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Accordo perfetto. La Trinità nella musica, la musica nella Trinità

di Chiara Bertoglio (Roma, 26-28 maggio 2011)

1. Introduzione

Il compositore francese Olivier Messiaen (1908-1992), teologo ed ornitologo oltreché musicista, soleva dire che l'obiettivo della sua musica era di veicolare verità teologiche,1 coniugando l'aspetto contemplativo che può essere forse il miglior e più grande risultato di una realtà artistica con quello di riflessione e trasmissione di una maggior comprensione, anche razionale e consapevole, del mistero cristiano. Da questa concezione ci muoviamo, per affrontare alcuni interrogativi: può la musica aiutarci a «dire» ed a «comprendere» qualcosa del mistero ineffabile ed inattingibile della Trinità? Se sì, come può farlo? Ed in quali modi si è tentato, nei duemila anni di cristianesimo in musica, di affrontare musicalmente i temi trinitari?

Nel corso del cammino, proveremo a considerare questo tema da diverse angolazioni, alcune delle quali si basano sul «linguaggio» della musica, sulla sua «sintassi» ed il suo evolversi nel tempo, altre su figure paradigmatiche della storia della musica, altre su forme e macroforme musicali. Ci capiterà di prendere in esame brani composti specificamente per la liturgia, cattolica e non; brani di musica sacra per argomento, contenuto (testuale ma non solo) e trattazione, benché non specificamente liturgica; brani infine apparentemente «profani» ma segnati da una profonda riflessione su temi trinitari. In questo percorso ci coadiuveranno tanto le affermazioni di Padri e teologi sulla Trinità e la musica, quanto ciò che i musicisti hanno pensato, contemplato e realizzato sulla Trinità nelle loro opere.

Va premesso che in molti casi sarà necessario affrontare argomenti abbastanza specialistici dal punto di vista della teoria della musica, dell'analisi musicale e della musicologia. Se infatti in molte epoche della Storia della Musica è stato piuttosto comune, per i compositori, affidare a vari livelli di lettura il loro messaggio (dal semplice «emozionale» alla provocazione di un «sentimento», dall'utilizzare simbologie ed onomatopee comprensibili da chiunque al porre in atto strategie compositive di notevole complessità e raffinatezza), è evidente che un tema ad un tempo fondamentale ed arduo come quello della Trinità abbia chiamato in causa tutte le loro risorse artistiche ed abbia anche provocato una musica spesso «ricercata», con artifici compositivi il cui apprezzamento «conscio» è riservato agli specialisti. Nello stesso tempo, per molti compositori delle varie epoche valeva anche un discorso che forse ultimamente si è perso, e cioè che il valore del loro lavoro risiedesse principalmente nell'intenzione con cui era stato compiuto e nella sua intrinseca corrispondenza con il mistero che si voleva esprimere.

Di conseguenza, se anche non tutti avrebbero potuto cogliere il «come» ed il «perché» di talune scelte compositive, e forse molti non le avrebbero nemmeno realizzate (cosa talora prevista se non addirittura auspicata dai compositori stessi), ciò non avrebbe impedito al più profondo contenuto della composizione di essere trasmesso, fruito e veicolato dai suoni stessi, in un processo che, oltre ad autore, esecutore, brano ed ascoltatori vedeva anche l'azione della Grazia, in modo più o meno esplicito e consapevole. Ne è un esempio paradigmatico la musica di Bach, della quale non possiamo occuparci diffusamente in questa sede, ma che, con costruzioni come la Clavierübung III, la Messa in si minore e molti altri (sia esplicitamente «sacri» sia solo implicitamente) ha effettuato un'esegesi teologica e mistica di livello eccezionale anche per quanto riguarda i temi trinitari.

2. La liturgia dell'amore trinitario

Uno dei modi più generali ma anche più importanti per affrontare il legame tra musica e Trinità consiste nel considerare il ruolo della musica liturgica (ma anche di quella sacra, e, in ultima analisi, anche di quella «profana» nel suo senso più bello, più alto, più ricco e più vero) in seno alle relazioni trinitarie ed a quelle del Dio Triuno con la Chiesa e con l'umanità.

Si tratta di un tema che fu affrontato proporzionalmente assai spesso dai Padri della Chiesa, ed è stato poi ripreso in epoca piuttosto recente da alcuni grandi teologi; in mezzo, per così dire, è stato più sovente praticato nella concreta realtà della musica e della liturgia che non oggetto di riflessione e di studio.

Per Clemente di Alessandria, l'uomo è «strumento» musicale del Logos, che l'ha reso armonioso nello Spirito Santo, affinché nell'uomo risuoni l'armonia divina, in lui venga ospitata la Parola e le si renda culto, e lo Spirito «soffi» nell'uomo come in un flauto, vivificandolo e rendendolo strumento di lode.2 In quanto immagine divina nel Logos, inoltre, l'uomo partecipa alla comunione trinitaria se si fa strumento della lode del Logos al Padre.3

Egli è «l'unico strumento di pace, il Verbo solo con cui onoriamo Dio4»: proprio questa visione secondo cui il Logos è «lo» strumento del culto divino, che sostituisce anche «gli» strumenti musicali, spiega anche la relativa contrarietà di Clemente all'uso di strumenti musicali, soprattutto di origine pagana, ma non solo (tromba, cimbalo, aulos, salterio) nell'ambito della vita cristiana.

Diverso ma complementare il punto di vista di Agostino. «È nella Trinità [...] che si trova la fonte suprema di tutte le cose, la bellezza perfetta, il gaudio completo», scrive infatti nel De Trinitate.5 È peraltro inevitabile che la riflessione sulla bellezza in connessione con il mistero trinitario tocchi profondamente anche la teologia del vescovo di Ippona, le cui opere «testimoniano di un suo duplice interesse, quello per la bellezza e quello per la teologia trinitaria6». In quanto creazione, seppur umana, per Agostino la composizione musicale è in qualche modo un entrare in comunione con l'attività creativa del Padre. «Il Padre è l'origine di ogni essere e perciò anche l'origine di ogni essere-bello», come sintetizza Tscholl discutendo della teologia trinitaria della Bellezza in sant'Agostino.7 Nel momento in cui la musica si fa liturgia, culto, preghiera o contemplazione, essa è poi anche un'azione di grazie che si compie per mezzo del Figlio nello Spirito, come sembra suggerire Giovanni Crisostomo, in pagine di rara bellezza che inseriscono anche la danza nella lode e nella comunione trinitaria.8

Egli stesso porta ulteriormente avanti la concezione trinitaria della musica umana in lode di Dio: «La musica è una invenzione del cielo; se l'uomo è musico lo è per una rivelazione dello Spirito Santo9». Si tratta di termini impegnativi: «rivelazione dello Spirito» è un'espressione che si riserva normalmente a qualcosa di ben diverso dalla musica.

In epoca recente, queste tematiche hanno trovato interessanti approfondimenti da parte dei teologi cristiani. Un articolo del 2000 dell'allora cardinale Ratzinger10 sottolinea la valenza trinitaria della musica liturgica. In quanto prevede un testo verbale, essa si radica nel mistero pasquale e nella rivelazione divina donataci nella Scrittura: «C'è quindi un chiaro dominio della parola; essa è una modalità più alta di annuncio [...] . Riferimento al Logos significa, dunque, anzitutto riferimento alla parola11». In quanto tale, essa partecipa sia al mistero della kenosis di Cristo sia al gaudio pasquale,12 ma è anche un dono dello Spirito-Amore13 nel suo agire in comunione con il Logos.14

Hart, dal canto suo, si serve dell'analisi di ciò che la musica di Bach ci rivela in merito alla sua attività ed al suo processo creativo per farne una sorta di simbolo della divina creatività, intesa in un senso trinitario. La musica di Bach ci rivela infatti la possibilità di una diversità intrinseca all'unità;15 di una creazione che è a sua volta «accoglienza»;16 la virtuale illimitatezza dello sviluppo tematico;17 la compresenza di un'apertura radicale e di un'altrettanto radicale coerenza.18 Secondo Hart, la consapevolezza di queste realtà può portaci ad una miglior comprensione «trinitaria» del Creato: la sua varietà e diversità sono la «logica» conseguenza dell'inerenza della diversità alla Trinità divina; anche la Creazione è irriducibile ad un piano astratto, essendo piuttosto «un dono d'amore»; infine, l'apparente illimitatezza del possibile sviluppo della Creazione rende testimonianza all'infinitudine dell'amore trinitario. Commentando questa posizione di Hart, Begbie constata che essa riflette una visione della relazione creatura/Creatore in termini di un «cosmo che riflette e partecipa della vita e dell'amore del Dio Triuno».19 Inoltre, sostiene Horne, è proprio in un concetto trinitario della creazione che anche l'attività creativa dell'uomo non si pone come «competitiva» nei confronti di quella divina, bensì come partecipazione ad essa nella comunione.20 Nell'incarnazione, il dialogo eterno del Padre e del Figlio si trasporta nel mondo della materia creata; la creazione artistica, come risposta creativa all'amore creatore, si fa necessaria, fin inevitabile nello Spirito.

Anche per Jenson, la comunione trinitaria è «un canto», al cui interno l'uomo viene «tratto» ed al quale, per Grazia, è chiamato a partecipare. Non è per una semplice mania di decorazione che la Chiesa insiste sulla bellezza della predicazione e della liturgia: «Un'assemblea che canta un inno di lode al Padre sta «raddoppiando» la lode del Figlio, e l'innalzarsi del ritmo e della melodia è l'innalzarsi della glorificazione del Padre e del Figlio da parte dello Spirito21».

Se infatti liturgia è prima di tutto ospitalità di Dio nella propria vita personale e comunitaria (cfr. Ap 3, 20), la dimensione della relazionalità con Dio e, tramite essa, con la comunità ecclesiale ed umana funge quasi da cantus firmus (per usare, in questa occasione, come metafora un concetto che incontreremo altrove come realtà) che unifica i modi diversi di realizzare la liturgia stessa. Che si tratti di una confessione cristiana o di un'altra, di uno stile musicale o di un altro, di un periodo storico o di una collocazione geografica o di un'altra, è la presenza dello Spirito che, suscitando sempre e direttamente la lode della Chiesa, è il vero cantus firmus dell'azione liturgica.22

Essa perciò si radica, si costruisce ed è causata dall'amore stesso di Dio, in cui il Padre ama il Figlio e viceversa. In tale ottica, la presenza di questo cantus non è soltanto elemento di unione fra le varie forme di liturgia e preghiera, ma anche veicolo di inserimento della liturgia stessa all'interno della dinamica di lode reciproca e di amore che si realizza all'interno della Trinità.

3. Musica, catechesi trinitaria

Fin dai primi secoli del cristianesimo, la pratica di canti religiosi aveva anche una funzione pastorale ed antieretica, perché il canto agevolava il tramandarsi, il credersi ed il contemplarsi delle realtà rivelate. In questo senso, anche i dogmi trinitari, di particolare complessità teologica, oggetto di tante controversie nel loro stabilirsi e di una certa difficoltà nel trasmettersi a livello ecclesiale, venivano posti in musica dalle diverse «parti» in opposizione, perché il canto avesse una funzione catechetica.23

Particolare attenzione all'esattezza teologica, proprio anche in vista di una diffusione delle dottrine contro l'arianesimo, caratterizza anche i tre inni a noi pervenuti ad opera di Ilario di Poitiers, uno dei quali tratta della consustanzialità di Cristo al Padre.24 Similmente, anche l'uso di cantare la dossologia detta «minore» («Gloria Patri et Filio... ») in conclusione di salmi e cantici viene sancito dal Concilio di Narbona (589) in funzione antiariana.25 La dottrina trinitaria divenne anche una motivazione «teologica» per ricercare un'unità nella diversità liturgica della koiné.26 Anche sant'Ambrogio si servì di inni latini appositamente composti per diffondere tra i fedeli la dottrina ed i dogmi trinitari;27 in epoca medievale, i tropi del Kyrie di impostazione «trinitaria», differenziandosi da quella originaria e cristologica, hanno costituito per molti fedeli una sorta di Biblia pauperum musicale per temi di catechesi pneumatologica, che altrimenti sarebbe stata pressoché inesistente.28 Del fatto che la liturgia in musica possa essere un mezzo potente di conoscenza esperienziale o simbolica (oppure esperienziale tramite la sua simbolicità) del mistero trinitario è peraltro convinto anche Carr.29

4. L'armonia del creato, l'armonia del Dio creatore

Se, nella teoria e nella filosofia greca,30 la musica, espressione di ordine e di armonia, era in ciò analoga all'armonia del creato e con essa si «sintonizzava», per i cristiani è il creato, con la sua armonia, ad essere un'immagine del Creatore (cfr. Sap 11, 21), la cui natura una e trina è perfetta espressione di armonia e modello di ogni armonia creata. Per gli antichi, sul modello della fisica e filosofia pitagorica, il grado di consonanza dell'intervallo formato da due note eseguite contemporaneamente era proporzionale alla semplicità del rapporto fra le loro frequenze (per cui erano sommamente consonanti l'ottava, 2: 1, e la quinta, 3: 2, mentre non lo erano la terza e la sesta).

Da un lato, sant'Agostino evidenzia la centralità nella musica di quel ritmo e di quella misura che sono frutti della Sapienza divina del Logos;31 dall'altro, la concordanza e l'armonia, nella musica e nella creazione, sono un'icona di quella perfetta concordia che si realizza nella vita trinitaria.32 Anche tratteggiando dei lineamenti di storia della musica liturgica, Ratzinger sottolinea la profonda comunione tra Logos e Spirito:

La matematica dell'universo [...] ha [...] fondamento [...] nello Spirito creatore; essa proviene dal Logos, in cui sono contenuta le idee originarie dell'ordine cosmico che Egli infonde nella materia grazie allo Spirito. [...] Il Logos stesso è il grande artista in cui tutte le opere dell'arte -- la bellezza dell'universo -- sono originariamente presenti.33

Una concezione che ha dei punti di contatto con quella di Balthasar, per il quale la musica permette di attingere alla logica del creato, o per meglio dire al Logos per mezzo del quale l'universo è.34

Tornando all'epoca in cui queste concezioni si definiscono, nel medioevo, fra gli altri, è degna di menzione la posizione di Giovanni Scoto Eriugena (ca. 815 -- ca. 877), che, nella sua De Divisione Naturae, propone un'analogia fra l'armonia del cosmo e quella musicale, accennando anche a quella che è stata spesso interpretata come un'allusione alla polifonia.35 L'idea secondo cui l'armonia musicale (in senso lato) è specchio dell'armonia del cosmo si può definire un'idea derivata da quella che stiamo sviluppando in queste pagine, ossia che è l'armonia/polifonia trinitaria a costituire il modello di ogni armonia/polifonia musicale, che, a sua volta, può costituirne un simbolo assai meno inadeguato di tanti altri.36

Il canto cristiano, «a una sola voce», diventa quindi potente icona esperienziale e veicolo di comunione con la vita trinitaria; esso unisce e crea, in immagine ed in atto, una «concordia» che appare nei suoni ma nasce fra le anime. È questo il punto di vista della mistica e compositrice medievale Hildegard von Bingen, per la qualecompimento della creazione è la risonanza in Dio dell'armonia della lode umana. Il creato trova il proprio significato autentico e profondo quando vi è armonia fra l'uomo ed il cosmo, mentre l'uomo stesso trova il proprio senso di creatura somigliante a Dio nell'armonia tra la sua lode e quella angelica.37

Per Hildegard il ristabilirsi della «sinfonia» è dono di Grazia ed impegno dell'uomo: la «sin-tonia» musicale è, ad un tempo, immagine ed anche realtà operante della concordia delle anime. Nella vita della sua comunità monastica, questa sintonia delle voci è un «processo» in atto: voci che si «accordano» fra loro e con la lode angelica, cuori che si «intonano» vicendevolmente nella comunione reciproca, con il creato e con Dio.38 Anche il poeta duecentesco Pierre de Peckham, peraltro, vedeva un'analogia tra la «concordia» nella vibrazione di tre corde d'arpa e la Trinità.39

5. Un Dio «Signore del Tempo»

Verso il Trecento, ad opera della cosiddetta «Scuola di Notre Dame», inizia il vertiginoso sviluppo della musica polifonica sacra, con la produzione di brani di immensa complessità contrappuntistica da parte dei fiamminghi in primis, e poi dei compositori di tutta Europa.40 Qui, i legami fra la teoria musicale e la teologia si realizzano tanto al livello della polifonia in sé quanto a quello di una delle «necessità» che essa pone ai musicisti: per poter gestire organicamente lo svolgersi di linee melodiche con un grado di complessità e reciproca «libertà» sempre crescente, è necessario notare, codificare e regolarne la scansione temporale, introducendo le nozioni di color e talea per organizzare il tempo musicale.

La teoria ritmica tardomedievale era stata infatti elaborata dalla cosiddetta «Scuola di Notre Dame» tramite la creazione di «modi» ritmici, ispirati a quelli melodici, che si basavano su diverse suddivisioni di una (o due) unità ternarie di tempo.41 Secondo Walter de Odington, un monaco di Evesham (presso Worcester), tuttavia, originariamente gli organa, prime composizioni a due voci di tipo sacro a noi pervenute, sarebbero stati piuttosto suddivisi in ritmi di tipo binario; egli tuttavia riconosce l'importanza della concezione del tre come numero perfetto in omaggio alla Trinità per lo stabilirsi di un sistema di divisioni ternarie.42 Il rimando alla Trinità nelle divisioni ritmiche ternarie è particolarmente chiaro anche nel trattato sul sistema mensurale di Johannes de Anagnia.43 Fu poi Philippe de Vitry a codificare e rendere universale un sistema ritmico basato «di preferenza» su suddivisioni ternarie «perfette», ed in seconda battuta su quelle binarie: modi perfetti od imperfetti, a seconda del tipo di longa; tempi perfetti o imperfetti, in relazione alle suddivisioni della brevis; prolationes «maior» (perfetta) e «minor» (imperfetta) a seconda della divisione della semibrevis.

Come sintetizza Reese, nel processo di codificazione teoretica del ritmo musicale, «doveva giungere inevitabilmente il giorno in cui fosse veramente compresa la natura del ritmo; e si dovette trovare che era ternaria. [...] I teorici medievali davano a questa unità il nome di perfezione44». Il trattatista duecentesco Francone di Colonia (documentato tra il 1250 ed il 1280), il cui testo Ars Cantus Mensurabilis45 ebbe straordinaria diffusione durante il medioevo ed il rinascimento, stabilì che la longa perfecta era la principale unità di tempo, differenziandosi così da un teorico precedente, Johannes de Garlandia, che invece la considerava un'entità composita, fatta di una longa imperfecta più una brevis. Da allora, ricorda Anna Maria Busse Berger, «La divisione ternaria della longa perfecta, da lui [Francone] associata con la Santa Trinità, doveva diventare l'unità mensurale di base nella teoria musicale francese. E quando realtà mensurali binarie erano descritte dai teorici francesi quattrocenteschi, erano considerate secondarie rispetto a quelle ternarie46». Il tempo ternario viene quindi definito anche da Rainoldi come «teologizzato», in virtù del riferimento trinitario.47 Anche Blankenburg, peraltro, sostiene che le proporzioni di color e talea nei mottetti isoritmici dell'Ars Nova venivano concepiti come ritratto microcosmico dell'ordine macrocosmico stabilito da Dio.48

L'idea è ripresa da Johannes de Muris, che sintetizza:

Quod autem in ternario quiescat omnis perfection, patet ex multis versimilibus coniecturis. In Deo enim, qui perfectissimus est, unitas est in substntia, Trinitas in personis; est igitur trinus unus et unus trinus. Maxima ergo convenientia est unitatis ad Trinitatem. [...] Tota musica, maxime mensurabilis, in perfectione fundatur, numerum et sonum pariter in se comprehendens. Numerus autem, qui in musica perfectus a musicis reputatur, ternarius appellatur, ut patet in praedictis. Musica igitur a numero ternario sumit ortum.49

La natura ternaria della musica è così plasmata sul modello trinitario: anche se non sempre una concezione consimile veniva espressa in questi termini, tuttavia, come sottolinea Leaver,50 l'interpretazione che comunemente si dava anche ai testi patristici sull'argomento era conforme a quella sintetizzata dal de Muris.

6. Un Dio «polifonico»

Il concetto musicale di polifonia è adottato da Cunningham51 come paradigma ed inquadramento globale di un tentativo di approssimazione e di parziale comprensione del mistero trinitario. Non solo: esso mostra la propria fecondità anche per quanto riguarda relazionalità derivate ma diverse, come quella fra Dio e l'uomo e quella fra esseri umani all'interno della comunità, in particolare di quella ecclesiale. Nella musica polifonica, per Cunningham, l'essere-uno e l'essere-tre non violano il principio di non-contraddizione, ed anzi la relazionalità (fra suoni e fra persone) è la dimensione «naturale» della musica. Inoltre, il «principale attributo [della polifonia] è una differenza simultanea e non esclusiva: ossia, più di una nota è suonata contemporaneamente, e nessuna di queste note è tanto dominante da renderne muta un'altra52». Così,

L'attenzione [rivolta] ad uno qualsiasi dei Tre non implica uno sminuirsi del ruolo degli altri; tutti e tre hanno le loro melodie distintive, e tutte sono «suonate» ed «udite» simultaneamente senza danno all'unità di Dio. Inoltre, possiamo giungere ad una comprensione del mondo creato come recante il marchio del carattere polifonico del suo Creatore.53

Già Dietrich Bonhoeffer utilizzò l'immagine musicale del contrappunto fra cantus firmus e voci superiori per parlare del nostro amore per il creato e per il Creatore: l'amore per Dio è la melodia portante «di cui le altre melodie della vita costituiscono il contrappunto54». Come sottolinea Cunningham, non si tratta di un'accozzaglia casuale di suoni, ma di una «relazione tra varie melodie55». Per Balthasar, il creato è come una sinfonia composta e diretta da Dio, in cui la pluralità è una ricchezza (e quindi non un difetto) a patto che vi sia una disponibilità ad «intonarsi sinfonicamente con l'altro» affinché si realizzi un'unità trascendente.56 La metafora è poi ancora utilizzata da Balthasar per introdurre un discorso prettamente trinitario: non ci è possibile «comprendere», nel pieno senso della parola, il mistero di Cristo cercando di «afferrarlo», di ridurlo ad una dimensione piattamente terrena.57

Anche la tecnica contrappuntistica del canone ha una valenza profondamente teologica, spesso utilizzata consapevolmente dai compositori con questa intenzione. Poiché il comes del canone, ossia la seconda voce, viene derivata rigorosamente dal dux, essa ne è quindi, propriamente, «generata», e non è «creata» dal compositore: ciò rende il procedimento assai idoneo alle raffigurazioni del Figlio, in particolare nell'ambito dei Credo liturgici.58 L'uso di comes retrogradi o inversi, inoltre, è un'efficace simbologia del fatto che il Figlio è immagine, «specchio» del Padre.59

La polifonia si presta mirabilmente a diventare icona trinitaria, come alcuni selezionatissimi esempi, fra i molti possibili, potranno mostrare. I primi due sono tratti dalle versioni che Claudio Monteverdi e Francisco Guerrero (1528-1599) hanno scritto del Duo seraphim.60 In Monteverdi, le parole «et hi tres» sono musicate sullo stesso accordo di triade, a tre voci, mentre alle parole immediatamente successive, «unum sunt», le tre voci si raggruppano in un unisono sulla nota sol.61

Figura 1 -- Claudio Monteverdi, Vespro della Beata Vergine, 1610, "Duo Seraphim"

Dal canto suo, il Duo Seraphim di Guerrero è una delle più stupefacenti e rivelatrici rese musicali simboliche della Trinità. Le parole «Tres sunt» vengono rese con un'ottava ed una quinta, ampiamente utilizzate in funzione simbolica anche da altri compositori; i nomi delle tre Persone divine, invece, trovano un'illustrazione musicale di grande effetto suggestivo. I diversi cori proclamano «Pater», «et Verbum», «Et Spiritus Sanctus»: il primo coro prolunga la propria triade conclusiva, che quindi permane quando il secondo coro proclama «et Verbum» partendo dal medesimo accordo. In questo modo, è come se la triade che rappresenta il Padre (ma, essendo una triade, rappresenta anche l'intera Trinità...) «generasse» il secondo coro, da cui è distinto (perché il primo coro mantiene il proprio accordo, e quindi lo si sente esistere «liberamente») ma con cui è perfettamente «concorde».

Altra efficacissima soluzione è quella immediatamente seguente, alle parole «et hi tres unum sunt». Qui i diversi cori si alternano e si avvicendano nel cantare la medesima triade: si percepisce lo stesso suono (anzi, lo stesso accordo) provenire da punti diversi, quasi «suscitato» dal coro che ha preceduto, come se si trattasse realmente di un fenomeno di eco potenziata (il suono viene da un punto, «rimbalza» e viene «rigenerato» dal contatto con l'ostacolo).

Anche se ragioni di spazio impediscono una trattazione anche solo sommaria dell'argomento, può valer la pena di menzionare l'uso simbolico in funzione trinitaria della polifonia anche in brani strumentali. In particolare, la possibilità di eseguire più linee melodiche contemporaneamente e l'uso liturgico consolidato hanno reso l'organo particolarmente confacente a questo genere di rappresentazioni. Dal punto di vista iconografico, si sono avvalsi di tale simbologia, fra gli altri, Athanasius Kircher62 e Jan van Eyck;63 secoli dopo, la struttura fisica dell'organo stesso rimandava il grande Albert Schweitzer ad immagini trinitarie: egli vedeva un'icona delle Tre Persone nell'Hauptwerk, nel Rückpositiv e nello Schwellwerk dello strumento.64

Non si tratta tuttavia di una prerogativa esclusiva dell'organo: una scrittura strumentale polifonica a tre voci con valenza di simbologia trinitaria si ritrova anche, a titolo puramente esemplificativo, nei brani pianistici di esempio, Charles Tournemire65 ed Olivier Messiaen.66

Può non essere casuale, peraltro, che la nascita, lo sviluppo e la massima fioritura della polifonia tardomedievale si siano realizzate in Francia e nei Paesi Bassi, ossia nelle zone in cui il culto trinitario era più sentito, sia a livello liturgico (feste istituzionalizzate, creazione di liturgie apposite), sia a livello spirituale e devozionale, come testimoniato anche dalla fondazione di congregazioni religiose dedicate esplicitamente al culto trinitario.

7. Un Dio «armonioso»

Già nel periodo arsnovistico, l'intervallo di terza inizia a figurare tra le consonanze ammesse, probabilmente in seguito all'influenza della musica d'Oltremanica: dapprima come «nota di passaggio» (ossia come un intervallo non consonante, o non del tutto, tollerato fra due note consonanti), poi come consonanza «imperfetta».67 Si dovette tuttavia giungere al Cinquecento perché il concetto di «accordo di triade» si potesse dire acquisito.68 Può essere qui interessante ricordare un'espressione del teorico tedesco Johannes Lippius (1585-1612) che sintetizza mirabilmente la concezione che alla sua epoca era giunta dal progressivo intensificarsi di una consapevolezza proveniente dai secoli precedenti.69 Per Lippius, la triade («trias harmonica perfecta») è «imago et umbra magni mysterii divinæ solum adorandæ Unitrinitatis70». Sulla stessa scia si muovono le riflessioni (particolarmente dense, feconde e stimolanti), proposte da Paolo Venturino sul tema della «Simbologia trinitaria della triade».71

La triade72 è l'elemento fondante dell'armonia della musica classica occidentale, poiché è l'accordo che compendia e definisce l'intera tonalità. Tale accordo si fonda sui primi sei armonici,73 distanti rispettivamente una quinta ed una terza (maggiore) dalla nota fondamentale. Secondo molti trattatisti, dal Rinascimento in poi, il numero sei rappresentava i giorni della creazione, ed il tre delle note dell'accordo rimandava al Creatore: un'icona della «celeste armonia risonante in eterno all'orecchio di Dio74».

Può essere interessante richiamare qui la valenza educativa e catechetica delle osservazioni sulle analogie trinitarie del sistema tonale, come evidenziato da John Butt. Secondo lo studioso, la musica «pratica» aveva infatti anche la funzione di trasmettere valori e principi religiosi e morali, ed a questo fine le possibilità offerte dalla speculazione sull'immagine trinitaria della tonalità erano davvero feconde. Secondo Butt, i teologi con competenze musicali collegarono immediatamente l'emergere del «nuovo» sistema tonale con il concetto di Trinità. Come sostiene lo studioso, il fenomeno naturale degli armonici poteva apparir loro quasi come una «prova scientifica» della teoria di Lutero secondo la quale la musica è un dono di Dio. In occasione della dedicazione di un organo, nel 1631, il sermone di un tal Friccius si poneva infatti la questione in modo assai chiaro ed evidente.75

Dal punto di vista acustico e psicoacustico, la sensazione di stasi, calma, solidità e sicurezza che vengono provocate dall'accordo perfetto lo rendono vieppiù adatto a simboleggiare acusticamente la realtà divina (immutabile, eterna, solenne): anche Beethoven sceglie di utilizzare la triade per le parole «Deum de Deo», «Deo vero» ed «Et vitam venturi sæculi» all'interno del suo Credo nella Missa solemnis.76

Da segnalare che anche Andreas Werckmeister, il quale elaborò un celebre sistema di temperamento che ancora oggi da lui prende nome, aveva una concezione allegorica e simbolica dell'attività di ricerca dell'intonazione: l'appendice speculativa «Von der Allegorischen und Moralischen Musik» nel suo trattato Musicæ Mathematicæ sostiene che Dio, ineffabile (unbegreifflich) e nascosto (verborgen) si rivela non solo attraverso la Scrittura ma anche tramite la natura e l'arte; per Werckmeister, quindi, le note della scala rappresentano allegorie della Creazione e dei giorni dell'attività creatrice di Dio, nonché, nelle loro funzioni, della Trinità.77 Per lui, infatti,

La musica mundana (delle sfere), così presente nel pensiero classico, è ritenuta creazione di Dio, il «Protomaestro del concerto universale»; essa è mirabile riflesso dell'unità divina, paradigma e coadiuvante dell'ordine cosmico ed antropologico. È presentata non «miticamente» ma, con continuità «scientifica», medinante un impianto matematico, che delinea un insieme di proporzioni fondanti i rapporti intervallari e regolanti l'ordine ritmico. È questa musica «superiore» a reggere la musica humana.78

La connessione fra ordine del Creato, ordine dei numeri ed ordine della composizione musicale, che ha percorso la storia del pensiero occidentale per millenni, trova in epoca barocca altri importanti teorici, fra i quali persino Keplero, che, con Mersennes e Kircher, è autore di uno dei più importanti trattati sull'argomento dell'epoca barocca.79

In questo periodo, la musica assume valore autonomo come fonte di significati simbolici cosmici e trascendenti. Se nel primo barocco essa si rivestiva di simbolismo in virtù della propria connessione con il linguaggio verbale, del quale «illustrava», anche con la numerologia, il significato, nel tardo barocco è la forma stessa della musica, tramite il suo ordinamento interno, a renderla parte dell'armonia cosmica, e, di conseguenza, specchio della sapienza divina.80

Concetti analoghi a questo permeano la storia della filosofia, della teologia e della teoria della musica occidentale lungo i secoli. Per Kircher, Dio si poteva definire come «grande Armosta81». Il termine, tratto dal greco harmostés, ha una portata semantica ben più ampia di «governatore», che corrisponde alla consueta traduzione italiana: esso infatti contiene in sé un riferimento «all'armonia, a colui che regge una realtà nel reciproco accordo fra le parti82». Nel suo trattato, Kircher rappresenta perfettamente la concezione a lui coeva di «un mondo ordinato secondo il numero e la matematica in una prospettiva teologica: l'armonia delle sfere, quella dei suoni musicali e quella fra corpo, sensi e anima -- pur afferendo a distinti campi del sapere -- tutte riconducono alla perfezione dell'opera del Creatore83».

Come ricorda Rainoldi,

Nella musica, metafisicamente in primis, [Kircher] ravvisa il concretizzarsi del concetto di armonia divina, tanto che essa diventa una dimostrazione della esistenza di Dio. Poi, di conseguenza, la musica è specchio dell'armonia cosmica: «numero sonoro» che ha nel sonus la «materia» e nel numerus la «forma» della scienza matematica.84

Gli sviluppi in epoca barocca del pensiero espresso da Kircher saranno importanti, e talora funzionali più ad una giustificazione ex post del ruolo di sempre maggior importanza ed indipendenza rivestito dalla musica anche in ambito liturgico, che non ad una genuina riflessione sulla teologia della musica:

Tra le enfasi barocche sul pensiero musicale in rapporto alla chiesa -- per giustificare la musica come «necessaria» -- si colloca l'insistenza a sottolineare una conformità della musica alla stessa natura divina. [...] Dio è ontologicamente musico, e come musico, secondo un modello armonico, crea l'universo. Pertanto non v'è di meglio, per esaltare la gloria divina, che fare della musica nei templi, con sforzo quantitativo e sfoggio qualitativo. Essa, con l'armonia e la bellezza dei suoni, crea un puntuale raccordo col piano delle realtà celesti e con la vocazione dei cori beati.85

E tuttavia, pur con la dovuta «distanza» e lo stabilirsi di piani di pensiero e di riflessione ben precisi e definiti, la metafora dell'armonia presenta tali potenzialità ed è stata tanto esplorata negli ultimi quattro secoli da rendere necessario considerarla attentamente.

La triade, costituita da tre note, tutte ugualmente necessarie, è anche lo spazio in cui si definisce sia l'altezza sia la gerarchia di tutte le altre note della scala. Le tre note della triade hanno funzioni diverse ma si relazionano con ciascuna delle altre, oltreché con l'intero spazio tonale. La tonica è l'elemento generativo dell'accordo e della tonalità, in quanto nel suo esistere come nota specifica, particolare, individuale, contiene già in sé una relazionalità, una fecondità musicale rappresentata dalla serie degli armonici. La tonica non contiene la scala «in potenza»: la contiene già in atto. E, nello stesso tempo, non si può nemmeno pensare alla tonica come ad un semplice insieme matematico di cui le rimanenti note della scala sono elementi: la tonica «dà vita» ad un mondo sonoro che vive in lei.

La tonica rappresenta inoltre il punto di quiete e il centro di gravità della tonalità, la nota alla quale ogni movimento tonale tende. Nello stesso tempo, questo ruolo di fulcro e di base tonale viene svolto dalla tonica sia in quanto singola nota (il «do») sia in quanto accordo perfetto, e quindi in interazione con le rimanenti note dell'accordo, che vengono implicate nella funzione di tonica della fondamentale anche qualora non venissero eseguite.86

La quinta dell'accordo ha una funzione differente. Per Venturino, essa rappresenterebbe il Figlio, raffigurando, nella sua qualifica tradizionale di «dominante», l'uomo «che si innalza, che cammina eretto, che viene innalzato sulla croce della vita, ma anche nella trasfigurazione e nell'ascensione87», ed anche le cinque piaghe di Cristo o l'essere umano tout court, caratterizzato dai quattro arti più la testa innestati sul tronco.88 La «dominante» è anche la nota che a sua volta genera l'altro grande accordo, che da lei prende nome; quello che rappresenta tensione, e che è costitutivamente in relazione con la tonica: pur avendo senso compiuto, infatti, esso tende inesorabilmente all'accordo di triade. La nota che lo genera viene quindi a rendersi «mediatrice» fra il mondo di quiete dell'accordo di tonica e il dinamismo delle rimanenti note della scala. Il quinto grado della scala può generare inoltre gli accordi di settima e di nona di dominante: in quest'ultimo caso, la nota fondamentale dell'accordo di nona (cioè il quinto grado della scala, che appartiene, come stiamo vedendo, anche all'accordo perfetto) «genera» un accordo che comprende tutte le note della scala che non sono comprese nell'accordo perfetto. Essa mette quindi in relazione tutto il «mondo» tonale che gravita attorno alla tonica con la tonica medesima.

Il terzo grado della scala,89 infine, è ciò che rende realmente accordo l'accordo di tonica. La sua presenza qualifica immediatamente il modo maggiore o minore della tonalità. È, per così dire, ciò che «scalda» e vivifica la triade: quella che sarebbe una quinta vuota, consonante senza dubbio, ma «ferma», statica e priva di «comunicazione» con l'esterno, tramite la presenza della terza acquisisce personalità, colore e calore.

L'interazione fra le note della triade rimanderebbe, a sua volta, secondo Venturino, alle relazioni intratrinitarie:

Dominante e mediante sono comunque armonici della tonica. Quindi derivano dal Padre, ma il Padre senza di esse non sarebbe manifestato, sarebbe una tonica sterile (un motore immobile, come diceva Aristotele). Dominante e mediante manifestano il Padre una con l'innalzamento vitale e sacrificale, ma anche con la realizzazione conseguente della gloria [...], l'altra con il riempimento di gusto (l'Amore, lo Spirito [...]) che porta dalla tonica alla dominante-Figlio con il ruolo di mediante (è lo Spirito che genera il Figlio in Maria), e che salda.90

Si rende necessaria una puntualizzazione. Se il discorso sull'armonia musicale è ricco, complesso ed affascinante; e se quello sulla Trinità è, per ovvie ragioni, infinitamente più ricco, complesso ed affascinante; se è possibile azzardare degli accostamenti fra questi due mondi e trarne qualche suggestione; tuttavia, a mio vedere, l'aspetto esperienziale -- così cruciale per entrambe le realtà di cui si tratta -- può rivelare, più di ogni discorso, la «verità» di una relazione.

In altri termini, l'armonia musicale è sì un «simbolo» di certi aspetti della vita trinitaria, ma è anche concretamente una creazione della Trinità, una realtà creata che da Dio è stata donata agli uomini. Il parallelismo smette perciò di essere una semplice figura analogica, e diventa, anche qui, una relazione. Allo stesso modo, è assai più proficuo, a mio vedere, «percepire» come l'armonia musicale è un riflesso dell'armonia trinitaria, anziché ridurre questa «prossimità di bellezza» ad un'equivalenza meccanica.

Possiamo, perciò, realizzare che molte delle funzioni della tonica possono essere accostate ad alcuni degli attributi del Padre, in primis per quanto riguarda la funzione «generativa» della nota fondamentale sia nei riguardi dell'accordo perfetto, sia in quelli dell'intero spazio tonale. Molto più problematico sarebbe trarre dal fenomeno dei suoni armonici una «gerarchia» all'interno della Trinità, che ovviamente non si può minimamente ridurre o accostare ad un fenomeno acustico. Può essere parimenti assai suggestivo vedere nella funzione di «perno» rappresentata dal quinto grado della scala un simbolo del Figlio nella sua duplice natura. All'interno dell'accordo perfetto, si può dire che tonica e dominante «si guardano», sono in una relazione diretta, che è nel contempo «dialettica» e «concorde». Piuttosto facile vedere in questa polarità un simbolo del Figlio come immagine del Padre, a Lui costantemente rivolto. Così, il quinto grado, dando vita (nello spazio determinato dalla tonica) all'accordo di dominante diventa sia parte del mondo di «quiete» autosufficiente dell'accordo perfetto, sia di quel mondo che gli gravita intorno e che -- per usare la celeberrima espressione agostiniana -- «è inquieto finché non riposa» in Dio. Altrettanto «facile», potremmo dire, è il riconoscere nelle qualità apportate dalla terza all'accordo perfetto un simbolo dell'azione dello Spirito, che «colora» e vivifica la relazione tra tonica e quinta, impedendo al semplice intervallo di quinta di rimanere una realtà chiusa e non comunicativa.

Sono tutte immagini possibili, e, probabilmente, hanno anche una certa validità a prescindere dal loro valore puramente suggestivo. E, tuttavia (mi riferisco qui innanzi tutto alla mia diretta esperienza di persona che «vive» in mezzo ai suoni), c'è un quid molto più bello e molto più ricco nell'immaginare l'armonia musicale come simbolo di quella divina rispetto a quello che si può desumere da accostamenti come quelli fin qui tracciati. C'è una «comunicatività» del tutto esperienziale che ci colpisce come una rivelazione di bellezza nel momento in cui «percepiamo» che c'è «qualcosa di Dio», un'impronta della realtà divina e trinitaria, nella stupenda ricchezza di un movimento armonico fecondo, caldo e vibrante come quello che potrebbero regalarci tre cantori dall'intonazione perfetta. Mi scuso con il lettore per la qualità molto personale che hanno queste impressioni, ma ritengo che sia importante comunicarle e non trovo sia possibile farlo senza passare dall'esperienza diretta: se si avverte un fascino «intellettuale», «simbolico», «razionale» nella possibilità di effettuare qualche timido ragionamento sulla Trinità basandosi sulla realtà sonora dell'armonia, si avverte tuttavia un fascino assai più alto, forte e «reale» nel trascendersi di questo stesso discorso, al di là di associazioni teoriche e mentali, e nell'ambito di una realtà di bellezza che parla al cuore, assai più che alla speculazione razionale.

Inoltre, se diverse parti vocali (per esempio tre voci che cantano una triade) sono davvero ben intonate e vengono cantate da persone educate ad ascoltare le voci altrui ed uniformare il proprio timbro al loro, il risultato sonoro sarà quanto di più simbolicamente vicino ad una realtà di comunione si possa umanamente realizzare. Il suono prodotto avrà infatti una caratteristica immediatamente comunicabile di «unità», di «accordo» e, per così dire, anche di «individualità»; nello stesso tempo, si può percepire e distinguere la compresenza dell'apporto di diverse voci umane, ed il fatto che è proprio il loro essere «in relazione» reciproca (vale a dire l'una intonata in rapporto all'altra) a creare il loro accordo, la realtà musicale globale che non si può ridurre alla somma degli apporti di ciascuna.

Da un punto di vista acustico, inoltre, se diverse voci cantano la triade, e se sono realmente intonate, gli armonici che le diverse voci hanno in comune saranno numerosissimi. In tal modo, essi verranno intensificati e rafforzati, divenendo chiaramente percepibili ad un orecchio attento: la fusione dei suoni raggiunge allora un livello mirabile, in cui l'evidenziarsi degli armonici è quasi un «dono» acustico, un sovrappiù che risulta dalla perfezione dell'intonazione, e che caratterizza inconfondibilmente, inequivocabilmente ed inimitabilmente l'accordo stesso. In altre parole, l'accordo «do-mi-sol» cantato da tre voci intonatissime è una realtà «viva» acusticamente, una realtà «generativa», che provoca e produce suoni «propri». Ogni cantante produce, insieme con la propria nota fondamentale, anche i propri armonici; ma gli armonici che risulteranno dalla fusione delle voci non saranno semplicemente la somma di quelli prodotti da ogni singola voce, in quanto la loro interazione produce sonorità del tutto peculiari, non ascrivibili a nessuno dei cantanti preso singolarmente.

È degno di nota, in questo contesto, segnalare anche il valore fortemente simbolico della componente «umana» dell'accordo delle voci. Questa realtà irriducibile alla somma delle sue parti, questo suono che genera altri suoni, può risultare solo ed esclusivamente da una «comunità» che «si ascolta», che «ascolta». La generazione di quella pioggia di armonici non è possibile se tutti e ciascuno dei cantanti non ascoltano con la massima attenzione ciò che il loro vicino sta cantando. Da musicista, ricordo di essere stata molto colpita da un'intervista ad un membro dell'ensemble vocale inglese «The King's Singers91», che affermava:

Il modo in cui imparammo a cantare da ragazzi è rimasto con noi anche oggi ed è un suono estremamente inglese. L'enfasi non è posta sulla tecnica vocale per produrre, nel più ampio modo possibile, la vibrazione da tutto il corpo: lo scopo, al contrario, è quello di amalgamare perfettamente e delicatamente la propria voce a quella degli altri, esattamente come facevamo da ragazzi.92

In termini cristiani, si tratta di una perfetta metafora della comunione che si realizza tramite l'accoglienza dell'altro, l'apertura e l'ascolto. Tramite la carità, vincolo intratrinitario per eccellenza. Le dinamiche intratrinitarie vengono paragonate ad un accordo di voci anche da Jenson, che assume la metafora musicale assai più come simbolo, di notevole concretezza, piuttosto che come semplice immagine poetica. Il reciproco scambio che avviene tra le tre Persone divine è uno scambio che «canta», nelle parole del teologo; e il dialogo eterno tra Padre, Figlio e Spirito si fa bellezza perché è totale armonia e non ha altro scopo al di fuori di sé.93 Così, ricorda Edwards, il Regno dei Cieli, «la società felice nel suo massimo grado, è un dolce cantare reciprocamente per l'altro94». La bellezza del Creato redento sta quindi nel «dolce accordo reciproco» con «le persone della Trinità, la suprema armonia in assoluto95».

Testi citati

Copyright © 2011 Chiara Bertoglio

Chiara Bertoglio. «Accordo perfetto. La Trinità nella musica, la musica nella Trinità». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**97 B].

Note

  1. Olivier Messiaen, cit. in Samuel 1999, p. 21. Testo

  2. «Ma colui che discende da Davide e fu prima di lui, il Verbo di Dio, disprezzando anche la lira e la cetra, strumenti inanimati, avendo reso armonioso il cosmo ed anche il microcosmo, l'uomo -- anima e corpo di lui -- con lo Spirito Santo, canta a Dio attraverso lo strumento di tante voci, e intona allo strumento uomo: «Proprio tu mi sei cetra e flauto e tempio», cetra per l'armonia, flauto per lo spirito, tempio per la parola, affinché quella risuoni, quello ispiri, questo ospiti il Signore». Clemente Alessandrino, Protrettico, 1. 1. c. 5, 3. Cit. in Rainoldi 2000, p. 91. Cfr.: «La creazione è un evento musicale, che richiede l'attività del Logos per stabilire una harmonia cosmica, fisiologica e spirituale dalla discordia tramite la forza dello Spirito Santo. Attraverso le metafore dello strumento, l'essere umano può essere mostrato come riflesso del Dio Trino, con la cetra [...] che rappresenta la vibrazione di creazione nell'anima, l'aulos [...] l'ispirazione dello Spirito, ed il tempo le proporzioni del Logos attraverso cui il Verbo si fece carne». Stoltzfus 2006, p. 25. Testo

  3. «Il Signore fece l'uomo bello, strumento vivente, fatto a sua immagine; Egli è pertanto uno strumento di Dio, strumento tutto armonioso e bene accordato e santo, sapienza che è al di sopra di questo mondo, Verbo celeste». Clemente Alessandrino, Protrettico, 1. 1. c. 5, 4. Cit. in Rainoldi 2000, p. 643. Testo

  4. Clemente di Alessandria, in Migne PG, vol. VIII, p. 443; trad. dell'Anti-Niceno vol. II, p. 49. Testo

  5. Sant'Agostino, La Trinità, VI, 10, 12. Cfr.: «Ogni ente, quanto all'essere, deriva dal Padre e ogni essere-bello è tale mediante il Figlio. Nello Spirito Santo invece vediamo la realizzazione primaria di quello che nasce [...] dall'esistenza e dalla conoscenza del bello: l'entusiasmo per il bello che tende, in definitiva, verso l'unione [...] del conoscente e del conosciuto». Tscholl 1996, p. 124. Cfr. anche: «Al Figlio, la Sapienza, si risale partendo dall'essenza del Bello. [...] L'armonia che si trova nel mondo della materia si manifesta come un'emanazione ed espressione di una Mente che ordina le cose con sapienza; la bellezza spirituale invece appare come l'autentica e suprema forma di bellezza. Perciò la mente limitata dell'uomo sente il richiamo verso una bellezza che supera le bellezze create, la bellezza incorporea di Dio, la perfetta armonia dell'immagine, il prototipo di ogni ectipo, la norma di ogni valutazione e imitazione». Ibid., p. 134. Testo

  6. Ibid., p. 124. Testo

  7. Ibid., p. 125. Anche il filosofo quattrocentesco John Ireland si serviva del paragone musicale per simboleggiare l'attività creativa di Dio e la sua relazionalità con il Creato, comparabili, secondo lui, a quelle instaurate dal compositore con la sua opera musicale. Cfr. Broadie 1995, p. 66. Per contro, come ricorda Gunton, «La perdita di fede in Dio», che caratterizza la nostra epoca, «ha portato ad una perdita di fede nel valore redentivo (o almeno positivo) dell'attività artistica umana». Gunton 1988, p. 233. Testo

  8. «Una è l'azione di grazie, una è l'esultanza, uno l'ordine delle gaudiose danze. Tale danza ci fu largita dalla bontà ineffabile del Signore, che fino a noi s'umiliò. Tale danza è raccolta dallo Spirito Santo; il concerto delle sue voci risponde al paterno beneplacito e ritrae la consonanza delle melodie della Santa Trinità, la quale è mossa quasi da un plettro, e rifrange questa felice e deliziosa melodia, questo canto angelico, questo concento che non conosce termine». San Giovanni Crisostomo, Hom. I, 1. In illud. Vidi Dominum, in Migne PG, vol. LVI, p. 98. Cit. in Rainoldi 2000, p. 95. Testo

  9. San Giovanni Crisostomo, In Ps. 7, cit. in Rainoldi 2000, p. 103. Testo

  10. Ratzinger 2000, pp. 37-48. Testo

  11. Ibid., p. 44-45. Testo

  12. Cfr. «la letizia da cui Haydn diceva di sentirsi travolto quando metteva in musica dei testi liturgici». Ibid., p. 45. Testo

  13. Lo Spirito «è l'amore, che opera in noi l'amore e ci muove così al canto». Ibid. Testo

  14. Lo Spirito non agisce disgiuntamene dal Logos, per cui «il dono che viene da Lui e che a oltre le parole è proprio per questo sempre riferito alla parola, al senso che crea e sostiene la vita, a Cristo. Le parole sono superate, ma non la Parola, il Logos». Ibid. Testo

  15. Il caso dell'ascolto «retroattivo» che si realizza al ripresentarsi dell'Aria «Da Capo» delle Variazioni Goldberg è illuminante, per la consapevolezza delle infinite possibilità di contrappunto e di variazione che Bach ci ha rivelato essere presenti nella disarmante semplicità dell'Aria. Cfr. Hart 2003, p. 282-285. Testo

  16. Le composizioni ed elaborazioni di Bach non sono soggette ad un sistema od una logica astratti ed imposti artificiosamente dal di fuori: l'analisi delle sue composizioni ne rivela un processo creativo in cui il reperimento di un materiale ricco di potenzialità determina la forma in cui il brano si manifesterà. Cfr. Dreyfus 2004, particolarmente cap. 5. Testo

  17. Wolff 2000, p. 469. Testo

  18. Anche se non ci è possibile predire l'evolversi di un brano bachiano al primo ascolto, cionondimeno esso ci cattura per l'impressione di cogenza e stringente consequenzialità che provoca in noi. Hart 2003, p. 277. Testo

  19. Begbie 2007, p. 137. Testo

  20. «Non è altro che in un'azione trinitaria che il mondo è portato all'essere e vi è mantenuto. La risposta della creatura è, come la preghiera, non tanto una risposta a Dio -- il nostro dialogo con lui -- quanto una partecipazione ad un dialogo che già esiste, l'eterna conversazione di Dio stesso». Per questo motivo, prosegue Horne, «la possibilità, o la potenzialità della creazione artistica si colloca nella dottrina dell'immagine». Horne 1995, qui p. 88ss. Testo

  21. Il concetto è presente anche in Hildegard von Bingen, che espande l'argomento, anche approfondendo la partecipazione dell'uomo alla liturgia d'amore trinitaria: per lei, la musica è un dono originario di Dio, essenzialmente legato allo Spirito vivificante infuso nell'uomo. Con il peccato, l'uomo perde la possibilità di «sin-tonizzarsi» con la lode cosmica a cui partecipano «gli spiriti» (angelici e beati). Cfr. Von Bingen 1991, p. 61-66, righe 99-101, 68-69, 71-75, 84-94. Cfr. anche: «Il nostro godimento di Dio consiste nel nostro essere tratti nel canto trinitario. Forse potremmo dire che ci viene permesso di raddoppiare le voci. Ed anche qui dobbiamo insistere sulla concretezza». Jenson 1997, p. 235. Testo

  22. Cfr. Rainoldi 2000, p. 109: «In tale orizzonte, l'essenza del canto liturgico può essere definita come lo stupore (antropologico) che promana dalla fede (teologale), sostenuto, come si sa, dall'Artista della memoria di Cristo che fa gemere e gridare: «Abbà, Padre!» (cf. Rm. 8,45); ma lo Spirito anima questo «riconoscimento» penetrando la corporeità: luce alla mente, calore al cuore, vibrazioni stess impresse alla vocalità di oranti, sussidiati, nel contempo, dalla tecnica e dagli apporti di una esperienza «artistica»». Testo

  23. Cfr.: «Come provocazione, [gli Ariani] intonavano canti di natura polemica, nei quali si chiedeva: «Dove mai stanno coloro che riconoscono un'unica potenza alle tre persone divine?», ed agli inni mescolavano delle affermazioni varie del genere. Giovanni [Crisostomo] allora, temendo che i suoi fedeli ne venissero adescati, li abituò a consimili forme di canto. Essi diventarono, in breve tempo, così esperti da poter controbattere mediante lo stesso metodo coloro che seguivano l'eresia, [e] superare gli eretici stessi». Da Storia ecclesiastica, VIII, 8; Migne PG 67, 1533. Cit. in Rainoldi 2000, p. 80. Testo

  24. Cit. in ibid., p. 124. Testo

  25. Cfr. ibid., p. 130, n. 176. Testo

  26. Cfr. il canone 14 del Concilio di Vannes (491): «Rectum quoque duximus, ut vel intra provinciam nostram sacrorum ordo et psallendi una sit consuetudo, et sicut unam Trinitatis confessione fidei tenemus, unam in officiorum regulam teneamus; ne variata observatione in aliquo devotio nostra discrepare credatur». È un punto di vista ripreso, in giorni ben più recenti, da un autorevole membro della Chiesa anglicana: «In molti luoghi si sceglierebbe una versione di questi cantici [eseguiti al Matins] scritta da un solo compositore, ma qui a Westminster ci piace cambiarlo: porta una diversa dimensione di musica che sostiene lo stesso service. [...] Non è questa un'esemplificazione della Trinità? Una liturgia ma tre stili diversi, e non in competizione». Carr s.d., p. 2-3. Testo

  27. «Dicono che il popolo è stato sedotto dall'incantesimo dei miei inni: è vero, non lo nego. Veramente grande è questo incantesimo e nessun altro è più potente: che c'è infatti di più potente della professione della Trinità, che ogni giorno viene celebrata dalla bocca di tutto il popolo? Tutti vanno a gara a proclamare la fede; essi sanno predicare coi versi il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Quelli che a stento erano in grado di essere scolari, sono divenuti tutti maestri». Sant'Ambrogio, «Lettera 75a, 34» in Banterle 1988, pp. 134-135. Cfr. Biffi 2003, p. 39. Testo

  28. Cfr. Anglès 1954, pp. 58-91, qui p. 60. A livello di curiosità, può essere interessante menzionare qui alcuni articoli che recentemente hanno investigato la sostanziale assenza di temi trinitari nei canti liturgici comunemente adottati da diverse confessioni cristiane. Lester Ruth deplora questa realtà, sottolineando che non è giusto considerare i temi trinitari come troppo ardui per essere proposti alla preghiera delle assemblee, poiché, anzi, il canto e la musica potrebbero aiutare notevolmente a farli entrare nella mente e nello spirito dei fedeli. Cfr. Ruth 2007; Kay, s.d.; e, in ambito protestanteWebber 2003. Cfr. anche la particolare attenzione dedicata al tema in ambito metodista, p.es. Bartels, s.d.; Bryant, s.d.. Testo

  29. «Dio dev'essere creduto ed adorato come uno e trino. Qui «essere adorato» è più semplice che «essere creduto». [...] Ci possono essere tre bei sermoni nella domenica della Trinità. Ma per quanto i predicatori possano dire, e per quanto bene possano dirlo, le persone si sentono toccate con un senso di Dio, «Tre in Uno», dalla musica. [...] Sarebbe difficile, o meglio impossibile, provare la Trinità. È [...] un modo di vedere che risulta dall'esperienza dell'adorazione». Carr s.d., p. 2. Testo

  30. Basti citare un frammento di Aristotele, per il quale la «harmonia è celestiale, e la sua natura è divina, bellissima e meravigliosa». Riportato in Plutarco, De Musica, 1139b. Testo

  31. «Agostino ammira l'effetto di queste proporzioni numeriche [...] specialmente nella musica. In questo campo gli piacciono sia la melodia sia il ritmo [...] proprio per questa proporzionalità». Tscholl 1996,p. 53. Perciò «dai ritmi corporei e da quelli spirituali, ma mutevoli, si giunge a quelli immutabili, che già si trovano nella stessa immutabile verità; [...] per conseguenza, attraverso le creature, vengono comprese e conosciute le realtà invisibili relative a Dio». Sant'Agostino, Ritrattazioni, I, 11, 2. Testo

  32. «Il corpo [...] presenta una certa armonia [concordiam] tra le sue parti; [...] perciò anche il corpo è opera di Colui che è il principio di ogni armonia» Sant'Agostino, La vera religione, 39, 72; infatti, «Nel Padre c'è l'unità, nel Figlio l'uguaglianza, nello Spirito Santo l'armonia dell'unità con l'uguaglianza». Sant'Agostino, La dottrina cristiana, I, 5, 5. Testo

  33. Ratzinger 2000, p. 47. Testo

  34. «[La musica] è, come ogni arte, logica: lo è forse persino più di altre essa è un punto limite dell'umano, e a questo limite comincia il divino. La musica è un monumento eterno al fatto che gli uomini seppero presagire che cosa è Dio, il quale, eternamente semplice, vario e dinamico, fluisce in se stesso, e nel mondo come Logos». Balthasar 1995, p. 47. Testo

  35. Cfr. Giovanni Scoto Eriugena, in Migne PL, vol. 122, p. 637-638: «Horum itaque omnium, similium dico et dissimilium, unus atque idem artifex est, cuius omnipotentia in nullius naturae deficit operatione. Proinde pulchritudo totius universitatis conditae, similium et dissimilium, mirabili quadam harmonia constituta est, ex diversis generibus variisque formis, differentibus quoque substantiarum et accidentium ordinibus, in unitatem quando ineffabilem compacta». Cfr., fra l'altro: Wiora 1971, pp. 33-43. Testo

  36. Il lettore potrà trovare un disegno storico/teologico molto efficace dell'evolversi di tale concetto in Sequeri 2008, in particolare pp. 43-72 ma non solo. Cfr. anche Erle 2005. Testo

  37. La commozione causata dall'ascolto della musica è provocata dalla nostalgia della patria celeste: udire una «sinfonia» (una musica «concorde») suscita nell'uomo una risonanza, poiché «anima hominis symphonia in se habet et symphonizans est» (Hildegard von Bingen, Liber meritorum, XLVI, p. 203), e «symphonalis est anima» von Bingen 1991, p. 61-66 (riga 141). Flynn collega il termine utilizzato da Hildegard, «symphonia», a quello con cui la Vulgata di s. Gerolamo traduceva i suoi provenienti dalla casa del padre misericordioso al ritorno del «figlio prodigo», ed al celebre commento di s. Ambrogio sul medesimo passo (Lc 15,25). Per s. Ambrogio, ricorda Flynn, era appropriato che si udisse una symphonia, poiché essa era segno della concordia ritrovata; inoltre, «sinfonica» è la lode che si innalza dalla Chiesa, nella quale persone diverse per età, sesso, provenienza e cultura cantano insieme l'inno a Dio. Cfr. Flynn 2007, pp. 1-8; S. Ambrogio, «Expositio evangelii secundum Lucam», in Migne PL, vol. 15, col. 1762-1763. Testo

  38. Come ricorda Flynn, nella comunità «ci si esercita ad «in-tonarsi» con il prossimo, si «prova» [rehearse] a vivere in modo che la diversità e la differenza formino una piacevole «composizione» [arrangement], [...] che non solo riflette l'armonia celestiale del paradiso, ma anche si riferisce all'interazione e mutua inabitazione (il contrappunto e l'armonia) che è la natura del nostro Dio Trino». Flynn 2007, p. 4-5. La concordia musicale e quella dello spirito sono quindi esplicitamente, per Hildegard, un risultato dell'azione trinitaria nell'uomo: «Sicut corpus Iesu Christi de Spiritu Sancto ex integritate Virginis Mari[a]e natum est, sic etiam canticum laudum secundum c[o]elestem harmoniam per Spiritum Sanctum in Ecclesia radicatum est». von Bingen 1991, righe 126-128. Testo

  39. Esse, infatti, «sount par accord come la Trinité», «suonano in accordo come la Trinità». Cfr. Pirro 1940, p. 53. Testo

  40. Qualche brevissimo accenno terminologico ed estetico. Con «polifonia» si intende la simultanea produzione di due o più linee melodiche, dette «voci», con una propria indipendente coerenza e che si combinano con le altre secondo le regole del contrappunto. L'imitazione è la ripresa di un motivo o una frase musicale proposti da una voce da parte di un'altra, con sfasamento temporale. Quando tale ripresa avviene in modo rigoroso (con tutti gli intervalli identici e per periodi di senso compiuto, non singoli frammenti) abbiamo un canone. Molte composizioni polifoniche sono su «cantus firmus». Con questo termine si indica una melodia, spesso tratta dal repertorio gregoriano, che viene fatta eseguire, normalmente in valori lunghi, da una delle voci, ed alla quale si rapportano tutte le altre. Essa è, per così dire, il «fondamento» dell'edificio contrappuntistico. Si dice che la «dimensione» della polifonia sia prevalentemente «orizzontale», in riferimento alle consuetudini grafico/rotazionali, proprio perché la valutazione estetica di un lavoro contrappuntistico prende in esame in primis la bellezza delle linee ed il loro intersecarsi «sulla lunga distanza», a differenza di quanto accade con l'armonia, che è di tipo «verticale» e maggiormente «istantanea». Il procedimento polifonico permette infatti il coesistere di intervalli a volte anche assai dissonanti, che non risultano tuttavia sgradevoli poiché si percepice la relativa indipendenza delle voci come una «garanzia» del loro ritrovarsi su un'armonia consonante, in una sorta di gioco simbolico di anticipazione, quasi come nei meccanismi narrativi del giallo o della commedia. Testo

  41. I modi ritmici erano perciò i seguenti, dove la durata della pulsazione è indicata da un numero (1, 2, 3 unità di tempo): Modo I -- Trocaico -- 2 + 1; Modo II -- Giambico -- 1 + 2; Modo III -- Dattilico -- 3 + 1 + 2; Modo IV -- Anapestico -- 1 +2 + 3; Modo V -- Spondaico -- 3 + 3; Modo VI -- Tribrachico -- 1 + 1 + 1. Cfr. Lord 2008, p. 56. Al riguardo del III modo, tuttavia, cfr. Hughes 1954, qui p. 319-320: secondo lo studioso, l'attribuzione di un omaggio alla Trinità per la modifica del ritmo dattilo classico da 2 + 1+ 1 a 3 + 1+ 2 sarebbe più un «pio post hoc che un genuino propter hoc». La vera ragione sarebbe da ricercarsi piuttosto nella difficoltà di sovrapporre un ritmo binario come quello classico ad una struttura basata su ritmi ternari. Testo

  42. «Longa autem apud priores organistas duo tantum habuit tempora, sic in metris: sed postea ad perfectionem dicitur, ut sit trium temporum ad similitudinem beatissimae Trinitatis quae est summa perfectio, diciturque longa hujusmodi perfecta. Illa vero quae tantum duo habet tempora, dicitur imperfecta». Walter de Odington, in Coussemaker 1864, vol. 1, pp. 181-250, qui p. 235. Anche Willi Apel riconosce l'importanza del dogma trinitario nello stabilirsi «di tale concetto e di tale terminologia»: Apel 1949, p. 96. Testo

  43. Vetulus 1977 (soprattutto p. 16-24). L'autore scrive: «Quaternarius principalis largae maioris repraesentat quattuor testes Trinitatis, videlicet quattuor evangelistas qui continentur in numero duodecim et principalium apostolorum et discipulorum, et ad ipsum numerum reducuntur per misterium Trinitatis» (ibid., p. 39). Testo

  44. Cfr. Reese 1990, p. 302-303. Testo

  45. Cfr. Coussemaker 1864, vol. 1, pp. 117ss. Testo

  46. Busse Berger 2002, qui p. 632. Testo

  47. Cfr. Rainoldi 2000,p. 268. Testo

  48. Cfr. Blankenburg, «Zahlensymbolik. A», cit., col. 1973. Testo

  49. Michels 1972, pp. 67 e 71. Testo

  50. Leaver 2007, p. 98. Testo

  51. Cunningham 1998, soprattutto p. 127ss. Testo

  52. Ibid., p. 128. Testo

  53. Ibid., p. 129. Testo

  54. Bonhoeffer 1970, p. 192. Testo

  55. Cunningham 1998, p. 130. Anche in questo caso la simbologia polifonica permette di comprendere l'amore per il Creatore e quello per il creato non come realtà in competizione, bensì in relazione (seppur con una ben chiara scala di priorità). Testo

  56. Balthasar 1972, p. 7-8. Testo

  57. «Noi impariamo il suo segreto permettendogli di tornare alle sue origini. E lo Spirito che procede dal Padre e dal Figlio, poiché non è né Padre né Figlio ma il loro reciproco amore, ci introduce in questo mistero. Persino la stessa Verità eterna è sinfonica». Ibid., p. 11-12. Anche Milbank, riferendosi spesso al De Musica di sant'Agostino, utilizza l'idea di polifonia per applicarla alla comunità credente, il cui obiettivo è «un consenso che è soltanto all'interno ed attraverso le interrelazioni della comunità stessa; un consenso che si muove e «cambia»: un concentus musicus». Milbank 1991, qui p. 227. Testo

  58. Cfr. il «genitum, non factum» nella Missa Ecce Ancilla Domini / Beata es Maria di Guillaume Dufay; lo stesso passaggio nella Missa Hercules Dux Ferrariae di Josquin Desprez; il «Filium Dei unigenitum» nella Missa Sine Nomine n. 2 di Johannes Tinctoris; e così via. Particolarmente interessante la soluzione di Bach nella Messa in si minore. All'interno del Credo, inoltre, il testo «genitum, non factum, [...] per quem omnia facta sunt» viene proposto da Bach con un procedimento imitativo «quasi» a canone. La scelta è particolarmente significativa: l'idea del canone porta alla mente il concetto di «generazione» del comes da parte del dux (e di non «creazione» da parte del compositore), mentre le licenze introdotte da Bach rappresentano la distinzione della persona del Figlio da quella del Padre. Cfr. Smith, s.d.. Testo

  59. Cfr., a puro titolo esemplificativo, la dossologia del Salmo 100 di Heinrich Schütz (SWV 36). Essa inizia con l'evocazione delle tre Persone: i due cori di quattro voci ciascuno, trattati con la tecnica dei cori spezzati, tipicamente veneziana, cantano dapprima ad una voce ciascuno (ad eco) quando viene menzionato il Padre. Una seconda voce entra all'evocazione del Figlio, costruendo un contrappunto per moto contrario con la voce superiore, a suggerire l'idea del Figlio immagine («specchio») del Padre. La terza frase, dedicata allo Spirito, vede l'intervento di una terza voce, e si apre su una triade ripetuta tre volte, seguita da un vocalizzo evocante il «librarsi» dello Spirito. Appare quindi significativo che Schütz suggerisca qui un percorso che si può sintetizzare come monodia, polifonia ed armonia: tutte e tre sono simbologie dell'amore trinitario. Similmente a Bach, invece, anche Messiaen, nelle Méditations sur le Mystère de la Sainte Trinité adotta la specularità «modificata»: sebbene i testi anteposti dal compositore alle Meditations V e VII suggeriscano che il Tema del Figlio è un'inversione del Tema del Padre («comme deux regards qui se croisent»), tuttavia, rileva la Bruhn, le discrepanze fra l'originale e la sua pretesa inversione suggeriscono le differenziazioni fra le due Persone evidenziate anche da san Tommaso, impedendo ai loro «significanti» musicali di porsi semplicisticamente come «l'uno lo specchio dell'altro» Cfr. Bruhn 2008, p. 110. Testo

  60. Uno dei testi trinitari par excellence fra quelli musicati in Occidente, è ispirato alla visione di Isaia in Is 6,1-4. La versione di Monteverdi è contenuta nel Vespro della Beata Vergine Maria (1610). Testo

  61. Sulla valenza trinitaria del Duo Seraphim nel Vespro di Monteverdi, cfr. anche Whenham 1997, p. 47 etc. Testo

  62. La tavola XXIII della sua Musurgia Universalis (1650) raffigura un grande organo. Esso si compone di tre (più tre) grandi gruppi di canne, ciascuno composto da sette elementi, mentre i registri visibili sono tre più tre ai due lati della tastiera. L'elemento di maggior curiosità è tuttavia rappresentato dalla tastiera stessa. Come forse anche i non musicisti sanno, le tastiere dei pianoforti e degli organi hanno l'ottava composta da sette tasti bianchi e cinque neri, divisi in due gruppi di due e tre rispettivamente. L'organo di Kircher ha invece solo gruppi di tre tasti neri (che, con i quattro bianchi, formano «ottave» di sette semitoni, 4+3, anziché dodici, 4x3, come quelle «umane»): come propone Kerala Snyder, il concetto sotteso alla scelta di rendere praticamente «inutilizzabile» questo strumento potrebbe essere quello di «consacrare [mettere da parte] questo organo per Dio», tanto più che l'iscrizione sottostante recita: «Sic ludit in orbe terrarum aeterna Dei sapientia», ed il cartiglio sovrastante l'organo intitola la tavola «Harmonia nascentis mundi». L'organo è peraltro sormontato da sei cerchi raffiguranti i sei giorni della creazione divina; dalle canne fuoriesce aria, raffigurata come «nuvolette», forse, secondo noi, a rappresentare l'effusione dello Spirito. Lo strumento sta suonando a pieno volume, da quel che si può dedurre, a simboleggiare la pienezza della creazione raggiunta con l'uomo: «Come un abile organista, dopo aver esplorato e provato ogni registro separatamente, finalmente tira insieme tutti i registri dell'organo per sentire la consonanza generale di tutte le canne, così anche l'eterno Archimusico, dopo il preludio separato dell'opera dei sei giorni, finalmente fa suonare l'intero grande organo del mondo, perché ha creato l'essere umano come microcosmo, la creatura più perfetta». Kircher 1970, vol. 2, p. 367. Cfr. Snyder 2002, pp. 1-22, qui p. 1-2. Testo

  63. Alcuni studiosi hanno individuato nelle note do/sol e mi i tasti abbassati dall'angelo musicante che suona l'organo positivo nel polittico di Jan van Eyck dedicato all'adorazione dell'Agnello Mistico. (Fra l'altro, porre l'accordo perfetto in questa posizione «lata» corrisponde ancor più da vicino sia alla serie dei suoni armonici, sia alla concezione di triade come metafora trinitaria con il Padre raffigurato dalla fondamentale, il Figlio dalla dominante e lo Spirito dalla mediante). Poiché, secondo Brand Philip, la figura centrale della parte superiore del polittico sarebbe una rappresentazione della Trinità, apparirebbe particolarmente significativa l'allusione del pittore. Cfr. Brand Philip 1971, p. 54. Testo

  64. Schweitzer 1959, p. 69. Testo

  65. Nei Douze Prélude-Poèmes per pianoforte (1931), nn. 9-12 in particolare. Testo

  66. In particolare, ed a titolo esemplificativo, nei Vingt Regards sur l'Enfant-Jésus, tra l'altro nel n. 1, Regard du Père; nel Regard du Fils sur le Fils etc.; tra i brani per organo, cfr. l'ultimo movimento di Les Corps Glorieux (1939), «Le Mystère de la Sainte Trinité», e, ovviamente, le Méditations sur le Mystère de la Sainte Trinité. Testo

  67. «Durante il primo periodo della polifonia, le consonanze erano soprattutto desiderate al principio e alla fine di ogni pezzo; ma in alcune composizioni del secolo XIII si trovano le terze non solo al principio delle misure, bensì proprio all'inizio del pezzo, con terze maggiori e minori, e perfino con accordi perfetti maggiori e minori. [...] Il riconoscimento sempre più unanime concesso alla terza fa presagire il crollo di un sistema armonico basato sull'unisono, sull'ottava, la quinta e, in origine la quarta, [...] e preparava l'avvento di un sistema armonico basato sull'accordo perfetto». Reese 1990, p. 321. Testo

  68. Fino ad allora, infatti, si tendeva a vedere l'insieme delle tre note che compongono la triade non tanto come un'entità «armonica» in sé conchiusa, bensì come l'accostamento di due intervalli armonici consonanti. Cfr. Elders 1994, p. 188. Testo

  69. Egli fu il primo a formalizzare il concetto di «rivolto dell'accordo»: secondo questa idea, anche se ovviamente non vi è identità e corrispondenza totale, gli accordi «do-mi-sol», «mi-sol-do» e «sol-do-mi» sono tre versioni (o «rivolti») della medesima triade, che, nel primo caso, è detta «in stato fondamentale». Testo

  70. Lippius 1612. Cfr. anche Dammann 1967, pp. 40-49. Testo

  71. Venturino 2007, qui p. 67ss. Cfr. anche Hahn 1973. L'argomentazione dello studioso si inserisce nel contesto di un'argomentazione più ampia, mirante a dimostrare (in un modo che chi scrive reputa peraltro del tutto convincente) la presenza e la valenza teologica di un metodo di «temperamento» (accordatura) degli strumenti a tastiera elaborato da Johann Sebastian Bach e da lui cifrato nel frontespizio autografo del Clavicembalo Ben Temperato (1722). Omettendo quindi in modo semplicistico le complesse implicazioni acustico/matematiche pertinenti al discorso di Venturino e dei coautori dello studio, è qui interessante riproporre alcune delle sue affermazioni in merito alle valenze teologiche di tipo trinitario relative alla concezione dell'accordo perfetto o triade. Testo

  72. Sull'argomento, cfr. anche Dammann 1967, pp. 40-49; Dahlhaus 1955; Schadel 1995. L'autore tratteggia una concezione in cui la valenza trinitaria della triade è dapprima messa in relazione alle concezioni numerologiche pitagoriche, e quindi a quelle neoplatoniche e cristiane (Agostino, Tommaso, Bonaventura, Niccolò Cusano etc.). Schadel riconcilia quindi euristicamente la speculazione sull'Essere con la specificità della teoria musicale, proponendo una «grammatica» delle strutture fondamentali della musica ontologicamente concepita, con particolare attenzione alla definizione del concetto di tonalità (insieme con quello di atonalità, declinate secondo armonia, melodia e polifonia). Testo

  73. Gli armonici sono suoni di debole intensità ed altezza superiore che vengono emessi simultaneamente alla «fondamentale». Se, per esempio, la fondamentale è un do, il suo primo armonico sarà il do dell'ottava superiore, seguito dal sol (quinta), nuovamente dal do successivo e quindi dal mi (terza). Se si escludono le reiterazioni del do, i primi armonici di do sono quindi sol e mi. Testo

  74. Ledbetter 2002, p. 124. Testo

  75. «Ich wunder mich offt / daß im gantzen Clavir nicht meyr als drey claves zusammen stimmen / die andern sind lauter octaven. Ist das nicht ein augenscheinlich Geheimniß der hochgelobten Dreyfaltigkeit?». («Mi meraviglia spesso che nell'intera tastiera non più di tre tasti si accordino insieme, gli altri sono raddoppi di ottave. Non è questo un evidente mistero della lodatissima Trinità?», trad. mia). G. Friccius (Frick), 1631, Music-Buchlein oder niitzlicher Bericht von dem Uhrsprunge, Gebrauche und Erhaltung christlicher Music (Lüneburg), p. 35, cit. in Butt 1994, p. 39. Testo

  76. Cfr. Kirkendale 1970, qui p. 684. Testo

  77. Werckmeister 1972. p. 141. Testo

  78. Rainoldi 2000,p. 417. Testo

  79. Cfr. Johannes Kepler, Harmonices mundi. Libri V (1619); M. Mersennes Harmonie universelle (1636-1637). Testo

  80. Cfr. Blankenburg, «Zahlensymbolik. C», col. 1974-1976. Testo

  81. Kircher 1970, vol. 2 p. 462. Testo

  82. Erle 2005, p. 28, nota 44. Testo

  83. Ibid., p. 28 Testo

  84. Rainoldi 2000, p. 374-375. Testo

  85. Rainoldi 2000, p. 384. Cfr. Luppi/Padoan 1989, pp. 17-18. Testo

  86. In altre parole, se un singolo do può concludere come tonica un brano in do maggiore, il suo essere in relazione con il mi ed il sol sarà implicito anche qualora il mi ed il sol venissero omessi. Essi sono infatti presenti nella memoria dell'ascoltatore e anche, in atto, negli armonici della nota do. Testo

  87. Venturino 2007, p. 67. Testo

  88. Cfr. Venturino 2007, p. 54 etc. Testo

  89. È definito, nella teoria della musica tonale, come mediante, modale o caratteristica. Testo

  90. Venturino 2007, p. 54. Testo

  91. All'epoca dell'intervista il gruppo aveva modificato il proprio nome in «King'singers», per poi tornare alla denominazione originaria. Testo

  92. Pantano 2002. Testo

  93. Jenson 1996. Testo

  94. Edwards 1994, p. 182. Testo

  95. Anderson 1980, p. 305. Testo

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