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E le stelle stanno a guardare: l'Ipazia del film Agorà, di A. Amenábar

di M. Benedetta Zorzi (15 agosto 2010)

Verrebbe quasi da dire: se Ipazia avesse potuto veder la prima scena del film a lei dedicato forse si sarebbe sposata! Anche lei infatti come lo spettatore guardava il cielo, un cielo che interpellava allora gli antichi molto più di quanto esso riesca a fare oggi con noi contemporanei, e non solo perché la nostra luce artificiale ci sbarra e ci ha inquinato la vista, ma perché in generale i cieli e ciò che essi significano, oggi -- come non accadeva allora -- sono vuoti.

Verrebbe da dire: forse se Ipazia avesse avuto la possibilità di vedere per un momento la terra e i cieli in tutta la gamma delle loro parabole e dei loro cerchi non sarebbe stata uccisa. Perché basterebbe cambiare prospettiva a volte. Questo sarebbe relativismo se non fosse prospettivismo, che implica che una verità c'è (come Ipazia sapeva), che tuttavia non è in potere degli esseri umani raggiungerla una volta per tutte e per sempre, ma raggiungerla (!) solo e sempre parzialmente nel tempo e nello spazio ovvero secondo in una determinata prospettiva (totus sed non totaliter!).

Colpisce questa prospettiva -- a cui oramai Google Earth ci ha abituato -- ma che è la chiave del film. Quei cieli guardati e che guardano e "da cui gli uomini sembrano locuste"1 -- direbbe la Bibbia -- guardano sbigottiti anche quando queste piccole locuste si ammazzano per quei cieli. Quel cielo che sta a guardare le assurdità che si compiono in suo nome. Quel cielo di tutti e per cui gli uomini si dividono. Quel cielo che basterebbe cambiare prospettiva forse per poter comprendere, come ha osato Ipazia. Un cielo vuoto forse o abitato da una presenza, ma anonima, come il parallelepipedo di 2001 Odissea nello spazio, che apre l'era cinematografica New Age.

Ma erano le coniche a catturare lo sguardo di Ipazia, il suo sguardo interiore avrebbe detto Plotino,2 di cui Ipazia -- secondo uno storico -- sarebbe stata la vera erede.3 Di Plotino ci narra il discepolo, Porfirio, il quale, lamentandosi della sua propria mediocrità, ci dice che Plotino raggiunse l'estasi (il contatto col principio primo) ben quattro volte, mentre lui una sola.4 Così religiosa era la filosofia del tempo: "Credo nella filosofia", dice Ipazia nel film, perché lontano da un binomio oggi facile come quello scienza=ateismo, a quel tempo la filosofia aveva caratteri così religiosi, da diventare una forma di vita, un modo di impostare tutta la vita e se stessi e fu proprio per questo che il termine passò facilmente a designare la cristianità e la vita monastica stessa: l'amore-per-la-sapienza (che è Cristo).

È anche su questa linea metaforica che bisognerebbe interpretare la scena dell'assalto della biblioteca di Alessandria e del tentativo di Ipazia e dei suoi discepoli di salvare il maggior numero di manoscritti. L'editto di Teodosio del 391 è storia come storia è l'inizio della distruzione dei templi pagani. Un assalto al Museo (o meglio al Serapeo, che era la seconda biblioteca, inizialmente più piccola, esterna al Museo) pare ci fu anche conseguentemente (e non prima, come appare nel film) al decreto di Teodosio. Quella del resto non fu né la prima né l'ultima volta che la biblioteca dovette subire una parziale distuzione. Fin qui storia.

L'intreccio cinematografico però suggerisce anche che Ipazia sarebbe stata l'erede di questa immensa cultura pagana, e tramite essa di tutta la cultura antica egiziana, in un tempo in cui oramai perfino ad Atene -- così ci informa Sinesio -- la tradizione filosofica antica era oramai in declino.5 I dati storici sembrerebbero insistere sul fatto che la preoccupazione di Ipazia fosse stata quella di conservare e tramandare questo sapere millenario in un modo accessibile e come avvenne per il padre Teone, anche la sua attività fu dedita soprattutto all'insegnamento.6 Fu davvero lei, quando successe al padre nella guida della comunità scientifica del Museo, l'anello ultimo di una catena culturale (diadoché) che nel IV secolo la vedeva quasi unica erede?7 E fu davvero un percorso nuovo quello che Ipazia inaugurò come capo della scuola neoplatonica? Davvero i suoi studi molto più rivolti alla matematica (imparata alla scuola del padre), le avevano fatto intuire qualcosa di nuovo e diverso da ciò che Tolomeo aveva affermato?8 La teoria eliocentrica era stata già ipotizzata nel III sec. da Aristarco e dal momento che Ipazia scrisse un commento alle opere di Tolomeo non è strano ritenere che i suoi interessi -- che mettevano insieme in modo nuovo l'algebra e la geometria con l'aritmetica di Diofanto -- riguardassero proprio le direzioni di ricerca che avrebbero percorso poi Descartes e Fermat mille anni dopo. Qualcuno lo crede, benché così facendo debba interpretare arditamente i pochissimi dati che di lei e della sua vita ci sono pervenuti.9

Ma certo non furono i cristiani a distruggere la cultura alessandrina e pagana antica. Tratteggiati nel film come poveracci, ottusi, "marmaglia", il cui messaggio può solo dare consolazione ai disperati; cieci, accecati e rendendo ciechi altri, ben dovrebbero incombere nel precipizio che Gesù prevedeva per tali persone. Ma degenerato risulta tutto il cristianesimo nel film, anche nel tratto più positivo che per un momento viene riconosciuto a questa fede, come quello caritativo del dare pane agli affamati. Ma anche questo tratto risulta corrotto dal fanatismo e si rovescia ben presto nel suo opposto quando a farlo è uno spirito fondamentalista e tracotante come quello di certi zelanti monaci del deserto (che già molti grattacapi avevano dato nel secolo precedente ad Origene e a molti altri loro stessi confratelli dalle istanze intellettuali). Possiamo immaginarci molti parabolani davvero così: rozzi e rigidi nel loro zelo fideista. I fondamentalisti trasversali ad ogni tempo e ad ogni settore.

Ma ci si scorda che a quel tempo il cristianesimo aveva raggiunto uno dei punti più alti dell'incontro tra fede e ragione, tanto che quella stessa tradizione filosofica pagana (Plotino, Porfirio, Proclo, Damascio) aveva la sua corrispettiva versione cristiana (Basilio, Gregorio, Mario Vittorino, Massimo Confessore, Ps-Dionigi), e che contatti filosofici tra la filosofia pagana e il cristianesimo erano frequenti, tanto che oggi a fatica riusciamo a distinguere un Damascio da uno Ps-Dionigi Areopagita,10 un Plotino da un Gregorio di Nissa.11 Per non parlare dei livelli di dialettica che si erano raggiunti tra i colti cristiani nelle controversie cristologiche e trinitarie proprio del IV-V secolo, che vedevano Alessandria cristiana protagonista.12 Ma anche le menti più alte vengono ridotte nel film all'unica alternativa di assetati di potere o di chi rinuncia alla propria testa per una obbedienza maggiore: Cirillo, Sinesio, lo schiavo.

Di Cirillo, che nessuno storico disegnerebbe mai come un umile e remissivo gerarca, viene già detto tutto allo spettatore odierno tramite la scelta dell'attore, un bellissimo profilo arabo sempre attorniato da turbanti neri.

Il punto cruciale di questo tema e cinematograficamente potente del film è certamente il momento in cui si istaura il parallelismo tra Ipazia che sta tentando percorsi nuovi seguendo la sua ricerca (la messa in dubbio del sistema tolemaico) e Oreste e Sinesio dall'altra (ma Sinesio storico al tempo della morte di Ipazia era morto già da qualche anno e anzi aveva lasciato Alessandria già molto tempo prima) 13 che per la loro fede rinunciano a mettere in discussione ciò che dovrebbero. Un ritornello facile questo, che si sente tornare anche tra le menti più illuminate: la fede non metterebbe in discussione nulla, ma solo la scienza sarebbe sempre in continua ricerca: "Voi non dubitate di quello in cui credete: non potete. Io devo", dice Ipazia ai suoi discepoli cristiani che le chiedono di convertirsi. Si ricorda sempre troppo poco che ogni sapere umano parte da un "dato" e ogni tesi da una ipotesi; come poco si ricorda che tutta la storia della teologia non è che un continuo ricercare nuove risposte e nuovi modelli di comprensione quando i consueti sembrano perdere di pregnanza nelle diverse epoche e per le diverse generazioni. Veramente solo l'ignoranza della storia, della filosofia e della teologia (ignoranza che si può anche ritenere sincera, ma che diventa colpevole in un film che pretende di smascherarla) può ammettere un giudizio simile, che cioè dal IV secolo all'illuminismo la conoscenza entrò nel buio della ragione.

Non calcato troppo nel film è il tema del binomio difficile scienza e donna, in questo sobriamente fedele ai dati storici. Non era strano trovare donne di grande calibro tra gli intellettuali greci.14 Ma di questi pochi dati viene tralasciato il "mantello del filosofo" che Ipazia si avvolse "da sé",15 con una autonomia e una "parrhesia" (Socr., Hist. Eccl. VII, 15, 361, 6) che certamente doveva risultare sconcertante anche per i più liberali.16

Il binomio donna e religione invece è polemicamente messo in risalto con il più controverso dei testi cristiani sulla donna (1 Tm 2, 11), mentre basta l'epiteto "strega" a raccoglierli tutti; "puttana" ne è la versione laica, prosaica, onnipresente in ogni latitudine dei tempi ogniqualvolta una donna eccede i ruoli socialmente precostituiti. Nella scena in cui la protagonista viene condotta al martirio, non a caso il regista le trasforma per un attimo allusivamente il mantello in una sorta di burqa.17

Perché chiaramente dietro la storia di Ipazia, anche quella dei pochi dati storici, il binomio che diventa conflitto fu quello donna-autorità.18 Ipazia non solo insegnava (magari alla stretta cerchia dei suoi studenti), ma nell'agorà dal popolo era venerata con il tributo semi-divino che i pagani davano alle grandi autorità,19 e dispensava giudizi politici e sociali come avevano cominciato a fare anche i vescovi nelle loro città.20 Ella era "dialettica nei discorsi e politica nelle azioni"21Non fu perché donna o perché scienziata, non fu perché atea o perché mettesse in forse qualche dogma religioso (Ipazia vestendo il mantello del filosofo cinico era di fatto tollerata dai cristiani e la corrispondenza con Sinesio chiaramente ci mostra che ella non aveva preclusione nei loro confronti) 22 ma perchè autorevole,23 e allora sì anche in quanto donna, e scienziata, facilmente interpretabile come atea e antireligiosa: il popolo la considerava la causa della non riconciliazione tra Oreste e Cirillo, ci dicono le fonti quanto alle motivazioni del suo martirio.24

Se il problema è appunto l'agorà, lo spazio pubblico e autorevole di Ipazia come donna, è proprio questo che manca nel film. Il suo contatto con la gente, il suo insegnamento laico, che vuol dire diretto a "tutti" senza distinzioni.25 Ipazia di Amenábar passa spesso di corsa in mezzo alle strade della città, come una musulmana.26 Sì, la bellissima Rachel Weisz è nei luoghi di potere, ma quasi vi risulta esserci al pari di una delle veline raccomandate nel nostro attuale parlamento. Sinesio riconosce a Ipazia la "facoltà del giudizio",27 Socrate Scolastico la sua assennatezza al cospetto dei capi e la sua capacità di stare in mezzo agli uomini (e ce lo dice sottolineando che poteva farlo perché ne era profondamente rispettata, infatti era rimasta vergine e non perchè fosse brutta!), Damascio dice che i capi prima di prendere decisioni su questioni pubbliche si recavano da lei. Sono questi ultimi due che fanno risalire all'"invidia" (phthonos) politica il movente del suo assassinio.

Piuttosto la regia è stata geniale nel narrare il binomio cristianesimo e corpo femminile. Se il rapporto Ipazia-Oreste ne presenta la versione luminosa (per quanto romanzata) 28: un Oreste che si dichiara alla luce del sole,29 capace di rispettare la scelta verginale della donna che lo inoltra in una relazione casta ma di coppia, dove al centro c'è la parità, il sostegno, il consiglio e l'affetto; la versione subdola è consegnata allo schiavo Davo, cristiano convertito, un personaggio del tutto inventato ma ovviamente monaco. Un rapporto che questi vive tutto tramite il cielo, rapporto che appare quindi infantile -- tanto più se il cielo non ascolta o è indifferente -- e allo stesso tempo morboso. Un rapporto che non trova mai un giusto equilibrio col corpo della donna: ora toccata ma a sua insaputa, ora quasi violentata per poi subito voler ritorcere contro di sé quella violenza fino ad accettare la propria morte/mortificazione per mano di quella donna inarrivabile, ma che infine si risolve nell'annientamento di questo corpo femminile. Un corpo troppo ingombrante, troppo onnipresente, perché ingombrante soprattutto nella testa più che negli spazi pubblici dell'agorà, la cui morte il regista non ci ha voluto mostrare nella spietatezza storica ma reale che fu la morte di Ipazia. Lacerata dalle conchiglie. Il regista ha preferito assegnare ad un atto di eutanasia l'ultimo atto della vita di questa donna: come ultimo gesto di amore del monaco per la maestra, e di misericordia forse per l'occhio dello spettatore. Perché si muore sì, ma c'è morte e morte, e il regista ci vuole dire che anche questa potrebbe avvenire come gesto di ultima pietà. Ma la scelta quanto mai discutibile di non mostrare la vera morte di Ipazia, denuncia lo stravolgimento della storia su un punto che rimarca quanto di palesemente ideologico ci vuole dire nel complesso il film tramite lo strumento di questo "personaggio".

Che resta di Ipazia alessandrina persona, dunque? Certamente il film ci ricorda che ella è esistita, ci ricorda l'importanza di questa donna che oltre che culturale fu politica, importanza che la storia degli uomini, come tante altre storie di donne, ha marginalizzato e ridotto. Perchè quella di Ipazia fu una storia vera, una delle troppe che hanno visto protagonista le logiche di potere, logiche che ovunque si affermino, fomentate dall'ignoranza, produrranno sempre vittime in tutte le latitudini geografiche, storiche e confessionali. Le storiche dell'antichità gioiscono a non essere più le poche a sapere dell'esistenza di una tale donna, ma certo dovranno aspettare che molti scendano dal cavallo dell'onda per tornare a cercare di dipanare la vera portata filosofica, culturale, storica e scientifica di Ipazia. 30

L'approccio alla scienza infatti è nel film tutto moderno: in un epoca in cui i più pagani avevano come minimo nell'Iperuranio tre entità divine, i cui le correnti filosofiche pagane si riempivano di pratiche teurgiche, in cui il nostro attuale binomio/dissidio filosofia-teologia allora risultava inconcepibile, e dove il regista stesso fa dire alla filosofa che bisogna cercare la "causa prima che tiene insieme l'universo", in fondo lo stesso Motore Immobile di Aristotele (Metafisica 1072 b 3) e che lungo la linea neoplatonica porterà Dante a identificarlo con quel Dio "che move il mondo e l'altre stelle" (Par. XXXIII, 145), risulta difficile attribuire ad una filosofa l'"ateismo" e proprio perchè scienziata.

Sembra allora quasi una nuova religione quella della scienza del regista: una scienza che risulterebbe l'unica capace di fare uguaglianza, di mettere insieme uomini e donne, schiavi, vescovi e politici; l'unica vera passione capace di radicare un'etica, di far stabilire relazioni armoniose con i propri simili e con se stessi, con il proprio corpo (penso alla felice resa del fatto -- storico! -- dell'assorbente)31 e nel rispetto casto di quello degli altri; una ricerca capace di dare senso alla vita, una passione della ragione capace di riempirla tanto da far disinteressare di amori e matrimoni senza cadere in deviazioni psichiche (e quasi risulta strano che Amenábar rispetto al dato della "verginità" di Ipazia -- uno stato di vita che le fonti ci mostrano come scelto e mantenuto, dato che rende Ipazia per un altro elemento ancora così simile a quei monaci cristiani -- non abbia cavalcato l'interpretazione di Ipazia lesbica). Ipazia e la sua scienza sono l'unico faro -- non solo il grande Faro di Alessandria, come nella locandina del film, ma quello illuministico della luce della ragione! -- nel buio in cui la religione (cristiana?) avrebbe portato il mondo.

Certo così è più chiaro che esiste un'etica anche non religiosa, ma questa scienza diventa ideologia quando non è disposta a vedere il bene che c'è ovunque, laddove e nella misura in cui i segni di altrettanta coerenza si mostrino, ovunque si mostrino, perché -- come insegnava Ipazia ai suoi discepoli -- "se due enti sono uguali ad un terzo, i tre enti sono uguali". Se la scienza si mostra come il cristianesimo e il cristianesimo come l'islam fondamentalista, allora i tre sono uguali.

Così sembra che proprio per questo assioma alla fine anche questa scienza risulta uguale al potere e alla religione che denuncia.

Su quegli stessi cieli su cu si aperto, si richiude il film. Quei cieli dai quali la terra risulta in fondo da millenni sempre la stessa: perché "non c'è niente di nuovo sotto il sole" diceva Qohelet, e le cose sembrerebbero davvero non essere cambiate nemmeno con l'avvento della nuova religione dello scientismo ateo e laicista.

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Note

  1. "Egli siede sopra la volta del mondo,/da dove gli abitanti sembrano cavallette" (Is 40,22); cfr Nm 13,33. Testo

  2. I,6,9,1. Testo

  3. Philostorg. Hist. Eccl. VIII,9. Testo

  4. Porf., Plot., 23. Testo

  5. Syn., Ep. 136: "L'Atene di oggi non ha nulla di eccelso a parte i nomi delle località. Come "consumata vittima", rimane la pelle qual traccia della bestia d'un tempo, così, emigrata di qui la filosofia al visitatore non resta che ammirare l'Accademia, il Liceo...Al giorno d'oggi l'Egitto tien desti i semi di sapienza ricevuti da Ipazia. Atene al contrario, che fu un tempo la sede dei sapienti, viene onorata solo dagli apicultori", Opere, a cura di A. Garzya, Torino 1989, 320-331. Testo

  6. Philostorg. Hist. Eccl. VIII,9 (Phot., Epitom VII: "introdusse molti alle scienze matematiche"); sull'argomento cfr. Beretta, Ipazia d'Alessandria, Roma, 1993, 45. Testo

  7. Socrate, Hist. Eccl. VII,15,3-6: "... ereditò la scuola platonica riportata in auge da Plotino e spiegava tutte le discipline filosofiche a chiunque volesse. Perciò coloro che volevano filosofare correvano da lei da ogni parte" (επι τοσουτον δε προυβη παιδειας, ως υπερακοντισαι τους κατ' αυτην φιλοσοφους, την δε πλατωνικην απο Πλωτινου καταγομενην διατριβην διαδεξασθαι, και παντα τα φιλοσοφα μαθηματα τοις βουλομενοις εκτιθεσθαι). Testo

  8. Così ritiene Beretta, Ipazia, 45-95. Testo

  9. Cfr. Beretta, Ipazia, 45-55. Testo

  10. Si veda la recente ipotesi di C.M. Mazzucchi, "Damascio autore del Corpus dionysiacum e il dialogo "Peri politikes epistemes"": in Aevum. Rassegna di scienze storiche linguistiche e filologiche 80 (2006) 2, 299-334, ora some saggio integrativo anche nella nuova edizione delle Opere di Dionigi Areopagita (Bompiani 2009). Testo

  11. Scelgo solo un saggio ad esempio, tra i tantissimi possibili: I. Ramelli, "Silenzio apofatico in Gregorio di Nissa: un confronto con Plotino e un'indagine delle ascendenze origeniane" in corso di pubblicazione in Silenzio e parola. Atti del XXXIX Incontro di Studiosi dell'antichità cristiana. Testo

  12. Solo per citare due grandi classici M. Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo, Roma 1975; A. Grillmeier, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa. Dall'Età apostolica al concilio di Calcedonia (451), Brescia 1982. Testo

  13. Sinesio frequentò la scuola di Ipazia ad Alessandria per circa due anni (393-395); vi tornò successivamente per sposarsi attorno al 403. Già nel 405 è nella Pentapoli dove nel 410 viene ordinato vescovo di Tolemaide. Muore circa due anni prima di Ipazia, cfr. Garzya, Introduzione a Syn., Opere, 9-34. Testo

  14. A parte Aspasia e Ipparchia o Temistoclea, si ricordino Giulia Domna; le donne della cerchia di Plotino (Porph. Plot. 9); Sosipatra (Eunap., Vit. Soph. 6,6,6-7); Asclepigenia (Marin., Procl., 28); Edesia e Teodora, quest'ultima, allieva di Isidoro e Damascio, possedeva una "buona preparazione in lettere, filosofia, geometria e aritmetica" (cfr. Mazzucchi, Damascio, 322 = Phot., cod. 181, 125 b 32-126a8); Macrina sorella di Gregorio e Basilio ebbe indubbiamente una formazione filosofica e la trasmise ai fratelli; Melania, referente di Evagrio, e altre benché non ci sia giunta la loro viva e autonoma voce, cfr. M.E. Waithe, Ancient Women Philosopher, 600BC-500A.D., Dodrecht 1987. Testo

  15. Dam., Isid. = Suda, "Hypatia", Y 166,7 Adler (περιβαλλομενη δε τριβωνα η γυνη). È vero che non è sottolineato un termine come auté, tuttavia non viene detto da chi ella ricevette il mantello, gesto che significava riconoscersi ed essere inseriti all'interno di una tradizione maestro-discepolo. Anche Beretta nota che "l'uso riflessivo del verbo ... sottolinea che Ipazia trovò in sé ... e non in altri ... l'autorizzazione ad intraprendere l'insegnamento", Ipazia, 144. Testo

  16. Socrate, Hist. Eccl., VII,15; cfr. J.M. Rist, Hypatia, in «Phoenix», 19 (1965), 214-225, qui 220-221. Testo

  17. Sono gli epiteti con cui nel film Ipazia viene calunniata mentre è portata nella chiesa dove sarà uccisa. Testo

  18. Damascio dice che "la città la amava e la venerava (prosekynei) grandemente" Suda, "Hypatia", Y 166,8 Adler = e Socrate Scolastico che "tutti la rispettavano profondamente e ne erano impressionati" (πλεον αυτην ηδουντο και κατεπλητοντο ) Hist. Eccl. VII,15,10), cfr. Beretta, Ipazia, 158-186. Testo

  19. Dam., Isid. "[Cirillo] vide grande folla davanti alle porte...Avendo chiesto cosa fosse quella moltitudine e di chi fosse la casa presso la quale c'era quella calca venne a sapere da quelli del suo seguito che in quel momento veniva salutata la filosofa Ipazia e sua era la casa" = Suda, "Hypatia", Y 166,8-9 Adler (ιδειν πολυν ωθισμον οντα προς ταις θυραις, επιμιξ ανδρων τε και ιππων, των μεν προσιοντων, των δε απιοντων, των δε και προσισταμενων. ερωτησαντα δε ο τι ειη το πληθος και περι ου κατα την οικιαν ο θορυβος, ακουσαι παρα των επομενων, οτι προσαγορευοιτο νυν η φιλοσοφος Υπατια και εκεινης ειναι την οικιαν). Beretta fa notare che il termine prosagoreuo era riservato agli imperatori e alle imperatrici, Ipazia, 140 Testo

  20. Cfr. Dam., Isid., 79,15-18; Costantino aveva introdotto l'istituto dell'episcopalis audientia per cui i vescovi cominciavano ad avere un ruolo giuridico in questioni sociali. Testo

  21. Dam., Isid., 79,12-13 = Suda, "Hypatia", Y 166,7 Adler (εν τε τοις λογοις ουσαν εντρεχη και διαλεκτικην εν τε τοις εργοις εμφρονα τε και πολιτικην), realizzava quindi il modello della perfetta filosofa secondo Platone (cfr. Beretta, Ipazia, 82). Testo

  22. Cfr. Rist, Hypatia, 221-222. Testo

  23. Studia acutamente il problema del conflitto di autorità tra vescovi-potere e donne-potere imperiale Beretta, Ipazia, 158-186. Testo

  24. Socrate, Hist. Eccl. VII,15, 13-15 (διαβολην τουτ' εκινησε κατ' αυτης παρα τω της εκκλησιας λαω, ως αρα ειη αυτη η μη συγχωρουσα τον Ορεστην εις φιλιαν τω επισκοπω συμβηναι). Testo

  25. Socrate, Damascio e Filostorgio sottolineano tutti questo carattere "democratico" del suo insegnamento (Socr. Eccl., Hist. Eccl. VII,15,361,3; Philostorg., Hist. Eccl. VIII,9; Dam., Isid. = Suda, "Hypatia", Y 166,7 Adler). Testo

  26. Damascio ricorda che Ipazia "faceva le sue uscite in mezzo alla città e spiegava pubblicamente a chiunque volesse ascoltarla" (δια μεσου του αστεος ποιουμενη τας προοδους εξηγειτο δημοσια τοις ακροασθαι βουλομενοις) e anche che il giorno dell'uccisione avvenne "mentre usciva secondo il costume" (προελθουση γαρ κατα το ειωτος) Suda, "Hypatia", Y 166,7.9 Adler. Testo

  27. Ep 154, 375. Testo

  28. Il genere letterario film impone sempre che vi sia una storia d'amore. Testo

  29. Nella scena della sua esibizione musicale. Testo

  30. A. Maeger, Hypatia. Die Dreigestaltige, Hamburg 1992, che tuttavia su basi nulle le attribuisce il corpus dionysiacum; Ead., Hypatia II, Hamburg 1995; M. Dzielska, Hypatia of Alexandria, Cambridge 1995. Testo

  31. Dam., Isid., 102, p. 77,1-17 = Suda, "Hypatia", Y 166,7-8 Adler. Il lessico Suda dà due interpretazioni dell'accaduto: la prima, quella che viene attribuita dalle "male lingue" potremmo dire (απαιδευτοι λογοι), cioè i discorsi volgari, è probabilmente la versione più aderente alla realtà e cioè che Ipazia riporta il giovane (anonimo) innamorato alla natura della cultura con una risposta che ha un tono molto cinico ("questo dunque ami o giovane, niente di bello"); la seconda richiama invece più linearmente il percorso dell'eros platonico verso la vera Bellezza, lo stesso che Socrate propose ad Alcibiade, cfr. Symp. 218d-219a. È interessante notare che il fatto viene riportato subito dopo che si è detto che Ipazia insegnava pubblicamente a tutti, come a dire che nonostante ciò ella rimase casta e vergine benché fosse molto bella e attraente, al punto tale che uno studente si innamorò di lei perdutamente" (προς δε τω διδασκαλικω και επ' ακρον αναβασα της πρακτικης αρετης, δικαια τε και σωφρων γεγονυια, διετελει παρθενος, ουτω σφοδρα καλη τε ουσα και ευειδης, ωστε και ερασθηναι τινα αυτης των προσφοιτωντων). Suda, "Hypatia", Y 166,6 Adler. Testo