Salta il menù

Invia | Commenta

Dalla pietra rotolata alla grande cattedrale. Pietre grezze della dottrina del Purgatorio (I-IV sec.)

di M. Benedetta Selene Zorzi (29 marzo 2006)

1. Introduzione

«Dalla pietra rotolata alla grande cattedrale», potrebbe essere una immagine della storia della formazione dell'idea e poi del dogma del Purgatorio.1 Come cioè dall'evento della risurrezione -- la pietra angolare del sepolcro vuoto di Gesù di Nazareth -- si sia arrivati, con altre pietre, alla magnifica architettura immaginifico-concettuale della cattedrale medievale del Purgatorio. Se volessimo reperire i fondamenti patristici della dottrina del Purgatorio, essi avranno piuttosto l'aspetto di rozze pietre tematiche, senza la forma che prenderanno quando saranno architettate nella cattedrale-Purgatorio.

Le Goff,2 in un saggio rimasto famoso, ha descritto la formazione di questa dottrina mostrando come essa si delinei chiaramente solo nel Medioevo.3 Secondo lui questo è il segno di una grande operazione culturale che ha implicato il cambiamento delle coordinate di riferimento di tutta una mentalità, che vuol dire anche della vita.4 Si passa infatti da un sistema binario o dualistico greco, ad uno ternario. Questo studioso parla della storia del purgatorio come un evento di spazializzazione, interiorizzazione dello spazio, immaginificazione dei concetti.5 Con questo egli non vuol dire, come a torto spesso gli è stato criticato, che il purgatorio sia un'invenzione medievale. Esso è appunto un'esplicitazione del nucleo della fede nella risurrezione. Del resto, dare tempo e spazio ad un concetto significa anche poterlo narrare, raccontare, spiegare. Le immagini sono l'altro modo in cui comprendiamo e ci esprimiamo.

«La gestazione di questo Nuovo Mondo -- dice Le Goff riferendosi al purgatorio -- è stata lunga e difficile». Se il dato della fede si è spazializzato, ha preso corpo, si è espresso con categorie non solo razionali, ma anche estetiche e sovra-razionali, lo ha fatto anche con l'aiuto delle donne e la loro intuizione del divino: Perpetua, nei secoli che ci interessano, ci fornisce il più antico testo in cui si profila l'immaginario del Purgatorio; Caterina da Genova (1447-1510), che però sta oltre i limiti del periodo che ci interessa, che vi scrive addirittura un trattato. Vorrei evidenziare come vi siano quindi anche radici matristiche oltre che patristiche.

La dottrina cristiana non è nata bell'e pronta la domenica della Risurrezione per noi oggi. Essa è andata formandosi lungo i secoli come equazione tra il nucleo kerygmatico della fede e le varie domande dell'uomo di ogni tempo. I primi Padri hanno dovuto dare delle risposte a problemi su cui la Sacra Scrittura non era chiara o che semplicemente non aveva ancora.

Il rispetto per questa eredità teologica bimillenaria, non è tentare di dimostrare contro ogni buon senso (oltre che contro l'evidenza storica), che l'attuale dottrina è nata ed è sempre stata così. Non si renderebbe ragione al processo storico e non la si capirebbe più. Non si capirebbe quel suo essere stata in un certo momento storico una (normalmente buona) risposta ad un (normalmente grosso) problema. Dobbiamo quindi capire il perché certe idee emergano ed evolvano in un certo modo; captarne il genio; per poter così non solo ripeterne le formule, ma trasmettere la forza e la bellezza con cui la fede è riuscita a trovare espressioni adatte ad ogni tempo.

Ovviamente la teologia è sempre situata: la nostra comprensione del mistero divino cresce in ogni epoca storica, che la sfida e che -- giustamente afferma Le Goff -- nell'ereditare opera una scelta.6 Questo non vuol dire che le realtà divine siano relative (oggi giustamente il Papa mette molto in guardia dal relativismo, in cui tutto è uguale), ma che l'esperienza umana di esse è sempre parziale, che non vuole dire meno vera. Vuol dire che la nostra fede non si ferma agli enunciati, alla -logia di ogni teo-logia, ma alla res, come ha detto stupendamente S. Tommaso.7

La terminologia «dottrina cattolica del purgatorio», sa un po' di crisi della Riforma, quando cioè questo «cattolico» acquista un significato polemico, oltre che parziale. Del resto la dottrina del Purgatorio è stata sancita in quel momento contro i protestanti, che non la riconoscono.8 Risulta però anacronistico parlare di cattolica in questo senso, riferendosi ai Padri della chiesa antica, che è l'epoca della chiesa indivisa. In questi primi secoli kath'hólon voleva dire la Chiesa universale, che semmai si oppone proprio alle spinte parzializzanti delle eresie (háiresis = scelta parziale).

Le tematiche escatologiche nella patristica antica sono complesse.9 Focalizzarmi sul tema del purgatorio è una buona delimitazione alla materia che devo trattare, anche se, ripeto, la dottrina del purgatorio così come viene formulata nel dogma di Trento ovviamente non si trova nei Padri. Mi muoverò dunque seguendo questi temi:

Ovviamente, l'inventario di queste pietre grezze non potrà mai rendere ragione della bellezza e dell'impatto estetico di un complesso artistico monumentale, quale è l'architettonica tridimensionale della cattedrale-purgatorio.

2. La preghiera per i (neo)nati in Dio

Tertulliano ci dice perché il legame con i defunti non si spezza: «Se ammettiamo la riusurrezione ci sentiremo legati a coloro con i quali dovremo risorgere» (De monog. X, 5).

Mentre i pagani pregavano i loro morti, i cristiani pregano per i morti10 e spesso li invocano chiedendo loro l'intercessione per i vivi.11 Questa profonda convinzione è documentata fin dal II secolo in tante iscrizioni funerarie presenti nelle catacombe.12 Tertulliano scrive: «Nel giorno anniversario della loro morte facciamo preghiere per i defunti come se fosse il giorno della loro nascita» (De corona III, 3). Tale preghiera venne presto inserita in quella dell'eucaristia;13 è sempre Tertulliano a dirci che la vedova «prega pure per l'anima del marito, e perciò supplica per lui il riposo eterno (refrigerium interim) e l'incontro con lui già nella prima risurrezione ed offre per lui il sacrificio (eucaristico) nella ricorrenza della sua morte» (De monog. X, 4). Si pregava per la pace del defunto, o refrigerium, inteso come la partecipazione alla gioia del paradiso.14

Altre iscrizioni testimoniano la richiesta di preghiera al defunto stesso perché interceda per i vivi,15 e questo culto inizialmente era esclusivo dei martiri. Si credeva infatti che il sacrificio dei martiri infatti venisse ricompensato in modo straordinario con particolari grazie.16

Negli Atti di Paolo e Tecla, 28-29, un testo anteriore al 200,17 è chiaramente testimoniata la fiducia che questo tipo di merito è un privilegio particolare dei martiri. La protagonista, Tecla, è esortata a pregare per una defunta pagana, apparsa in sogno alla madre, affinché ella possa passare nel luogo dei giusti e vivere per l'eternità.18 Cominciamo a trovare donne e sogni.

Si era convinti che i martiri avessero un destino particolare: sarebbero stati immediatamente ricongiunti a Cristo. Infatti la morte del martire è una piena partecipazione al mistero di Cristo e implica quindi una immediata comunione con lui (così pensano Ignazio, Ad Rom. VI, 1-2, Clemente romano, Ad Cor. I, 5, 4-7, Policarpo, Ad Phil. IX, 2, così attestano gli Atti del Martirio di Giustino 5, 1-3, Tertulliano, De resurr. 43, 4, Cipriano, Ad Fortun. 13, così pensa Perpetua).

Ma il ritardo della Parusia poneva un grave problema: se le cose non stanno come pensava Paolo in 1 Ts 4, 16-1719 perché la Parusia ritarda, che cosa fanno i morti non martiri nel frattempo?

3. Ritardo della Parusia. Due risposte ad uno stesso problema: il millenarismo e destino (dell'anima e) del corpo.

Da parte gnostica la risposta a questa domanda è chiara: le anime vengono immediatamente assunte in cielo dopo la morte corporale. A prima vista non c'è niente di strano: abbiamo qui l'idea platonica dell'immortalità dell'anima, che anche i Padri accettano. Ma a ben vedere da parte gnostica l'attacco è più grave. La materia infatti è da questi considerata cattiva, opera del demiurgo dell'AT (come pensa Marcione) e non può partecipare al destino di risurrezione. Se non ci rendiamo conto di quale grave minaccia implica questa impostazione dualistica, non capiamo i Padri. C'è il rischio di rendere vana la fede in Cristo risorto e il compimento in lui delle promesse del Dio della creazione: ovvero si minaccia l'unità dell'uomo e unità della storia della salvezza. Il crollo di tutta la fede.

Nel trattato Sulla Resurrezione dello Pseudo-Giustino si dice che se ci fosse la sola risurrezione spirituale, bisognava trovare nel sepolcro il corpo. E invece Cristo risuscitò il corpo.20 I padri devono perciò affermare un destino di salvezza comune dell'anima e del corpo.21 Se quindi il corpo muore e l'anima non sale immediatamente al cielo, come quella dei martiri, deve esserci uno stato che è una sorta di attesa. È qui che le cose cominciano a complicarsi.

La risposta antignostica dei Padri può poggiare su una certa eredità giudaica e si articola su due fronti: l'idea del millenarismo da una parte e il concetto di Sheol dall'altra, come la versione collettiva e individuale della stessa cosa.

3.1 Il millenarismo

La versione cristiana22 di questa idea -- detto in poche parole -- prospetta un periodo dopo la morte, ma prima della seconda risurrezione finale (Ap 20, 4-6), che i giusti passerebbero sulla terra assieme a Cristo nella gioia in una creazione portata al massimo delle sue potenzialità (come doveva essere nelle intenzioni del Creatore, senza il peccato). Si tratta di un'escatologia con espliciti caratteri collettivi e che denota un'attesa escatologica ancora molto forte.

Ireneo -- che viene considerato il rappresentante principale del millenarismo (con il problema però che si fa del millenarismo di Ireneo il criterio per giudicare il millenarismo degli altri Padri) struttura gli eventi ultimi convinto che tutto l'uomo deve partecipare al destino di gloria, tutta l'unità psico-fisica (plasis). La carne però deve esercitarsi all'incorruttibilità dello Spirito. Questo periodo si configura quindi come una sorta di scuola in cui la carne si prepara e si abitua ad accogliere, portare, comprendere Dio (V, 8, 1; V, 32, 1). Tale periodo costituisce quindi una preparazione, un'iniziazione al mondo definitivo e maturo dello Spirito, iniziato con la creazione. Si capisce come per Ireneo la fede in questo millennio sia fondamentale per l'ortodossia contro le idee gnostiche. Infatti esso dimostra l'unità dell'uomo, l'unicità di Dio e l'unità della storia della salvezza cioè che il Dio dell'AT, che ha plasmato l'uomo, che ha promesso la terra (Is; Ger, Ez) è lo stesso che anche la darà ai giusti alla risurrezione (V, 34. 36, 3; Ap). Reso così capace di accogliere la gloria del Padre, l'uomo nuovo potrà conversare con Dio in una maniera sempre nuova (V, 36, 1).

Tertulliano parla di questo periodo di mille anni in quella Gerusalemme scesa dal cielo di Ap 21 che accoglierà i santi via via che essi risorgono, prima o dopo a seconda dei loro meriti. Il nostro avvocato sembrerebbe il primo a proporre l'idea di una differenziazione temporale secondo i meriti (cfr. Adv. Marc. III, 24, 1-13).23

Origene darà alla dottrina il colpo di grazia ritenendola un'impossibile e inaccettabile lettura materialistica di realtà che invece sono del tutto spirituali. Ma soprattutto in ambito asiatico il nucleo dell'idea resta in molti altri Padri.24

3.2 Il destino dell'anima

Sembra Giustino il primo a porsi il problema del destino del singolo immediatamente dopo la morte. Secondo lui «la sensibilità persiste dopo la morte» (Apol. I, 18, 1).25 Capiamo questa affermazione se ricordiamo che i Padri dei primi tre secoli assumono l'antropologia di stampo stoico perché più capace (rispetto a quella platonica) di spiegare il legame tra anima e corpo e quindi la risurrezione. Secondo questa concezione, lo spirito, lo pneuma, come del resto l'anima, seppur sottilissimo è comunque materiale e permea il corpo. Il dato presente nell'Apocalisse di un'attesa affinché il numero delle anime (di cui parla Ap 6, 11)26 diventi completo (Apol. I, 45, 1), fa strada a quella di un trattenimento di giudizio, di una condizione intermedia di dilazione della retribuzione. Secondo Giustino in questa attesa del tempo del giudizio le anime dei pii rimangono in un luogo migliore, mentre quelle ingiuste in uno peggiore27 (Dial. 5, 3).

Anche Ireneo (130-202) si oppone ad un'immediata risalita dell'anima nei cieli, perché come Cristo è stato tre giorni nelle regioni inferiori della terra e poi è risuscitato nella carne, così dopo la morte il cristiano soggiorna in una regione invisibile, in attesa che l'anima riprenda il suo corpo.28 Questa attesa per i giusti è felice. Essi vanno in una serie di dimore diverse, come vari gradi di nuova terra... in un progressivo avvicinamento a Dio. Ritroviamo il concetto chiave dell'antropologia ireneana che l'uomo deve abituarsi a Dio e che vi sono gradazioni nella capacità dell'umanità di portare lo Spirito.

È convinto della permanenza dell'anima nell'Ade fino alla risurrezione anche Melitone di Sardi (+ 190):

L'anima nell'Ade si lamenta per la perdita del suo corpo e grida: «Dov'è il mio buon corpo nel quale ero un uomo con i miei amici e i miei parenti, camminando con loro, ballando nel mio corpo?» [...] come un musico senza voce e senza parola, così l'anima a cui manca il corpo nel quale emettere la voce.29

Anche Tertulliano (150/160-220) ha un'idea corporea di anima, tanto che dice che ciò si dimostra nello stesso vangelo -- riferendosi alla parabola del povero Lazzaro in Lc 16 -- quando si vede che essa si duole dagli inferi o è consolata nel seno di Abramo: infatti solo le cose incorporee non patiscono e se patiscono significa che hanno un corpo.30 È proprio con Tertulliano che comincia a delinearsi in modo abbastanza esplicito l'idea di un luogo intermedio: il concetto si forma con l'aiuto di una riflessione sulla discesa agli inferi di Cristo e sulla parabola del povero Lazzaro in Lc 16, dove si menziona il «seno di Abramo».31 Arriviamo così all'idea di seno di Abramo.

4. Il seno di Abramo

L'importanza di questo concetto si deve capire ancora una volta all'interno della polemica antignostica. Tertulliano lo distingue nettamente sia dall'inferno che dal paradiso: è sotto terra come l'inferno, ma ha caratteristiche simili al paradiso.32 Ma lasciamo parlare direttamente lui:

La scrittura stessa [...] distingue dagli inferi il seno di Abramo [...] Una cosa infatti sono gli inferi, come penso anch'io, un'altra è il seno di Abramo. Infatti, egli dice che queste regioni sono separate da un grande baratro, che impedisce il passaggio dall'una all'altra [o nemmeno il ricco avrebbe sollevato gli occhi se non verso luoghi superiori]. [...] esiste un luogo ben definito, detto seno di Abramo, che serve ad accogliere le anime dei suoi figli, anche quelli proveniente dalle genti, poiché Abramo è padre di molte nazioni [...] Quella regione io la intendo, dunque, come seno di Abramo, una regione che, sebbene non sia nel cielo è pur sempre superiore agli inferi; nel frattempo essa offre una consolazione alle anime dei giusti, finchè la consumazione di tutte le cose non completi la risurrezione di tutti con la ricompensa, allorché apparirà la promessa divina, promessa che Marcione rivendica al suo dio, come se non fosse stata promulgata dal creatore (Adv. Marc. IV, 34, 11-14).

Il seno di Abramo è dunque «un luogo che temporaneamente accoglie le anime dei fedeli»; luogo in cui sono i profeti e i patriarchi,33 distinto dal luogo eterno (Adv. Marc. IV, 34, 14) e dove Cristo è disceso (così esso diventa anche una sorta di estensione della misericordia di Dio, Adv. Marc. III, 24, 1). Mentre insomma il refrigerium è il luogo celeste di felicità eterna dove godono i martiri subito dopo la morte, questo seno di Abramo è un refrigerium interim in cui attendono la resurrezione coloro che sono destinati alla consolazione finale (De anima 8). Questa provvisoria beatitudine nel seno di Abramo di chi attende il ritorno di Cristo, espressamente distinta dal refrigerium come dall'infernum, è infatti anche chiamata refrigerium interim.

Come già accennato sopra, considerate anche altre affermazioni di Tertulliano in altre opere, non è del tutto chiaro se in questo luogo vi siano anche gli ingiusti. Infatti Tertulliano dice anche che nel seno di Abramo si pregusta comunque già un anticipo del giudizio (o entrambi?)34 che però che sarà pieno e definitivo solo con il ricongiungimento dell'anima con la carne, alla risurrezione. Negli inferi l'anima soffre o gode, ma senza la carne (De anima 58). Comunque non è strano che Tertulliano lo consideri un vero e proprio luogo, e ciò non ci sorprende se consideriamo la sua antropologia: «risorgerai in qualunque posto (ubicumque) il tuo corpo sia stato dissolto» (Apol. 9).35

Anche in Cipriano troviamo una distinto destino per chi come i martiri non riceve direttamente il premio. Questo luogo sembra anche chiamarsi carcere, sulla base di un accostamento a Mt 5, 25-26 come troviamo nella Lettera ad Antoniano (Ep. 55, 20):

Una cosa è attendere il perdono, un'altra è giungere alla gloria; diverso è l'essere gettati nel carcere e non uscirne se non dopo aver pagato fino all'ultimo spicciolo (Mt 5, 26). Ricevere subito il premio della propria fede e del proprio coraggio è diverso dal purificarsi nel lungo tormento del dolore ed attendere per molto tempo la giustificazione come attraverso il fuoco; diverso ancora dal purificarsi di tutti i peccati col martirio. Infine attendere con ansia la sentenza che il Signore darà nel giorno del giudizio è diverso dal ricevere immediatamente la sua corona.36

Tuttavia dal contesto non si capisce se Cipriano stia parlando di un momento di purificazione dopo la morte, anzi i commentatori rilevano che la descrizione risente del flagello della pestilenza che affliggeva Cartagine. C'è in realtà un'altra frase in cui Cipriano ammonisce: «Tema di morire colui al quale la seconda morte sarà prorogata con una temporalità maggiore al fine di differire intanto solo i suoi crucci e i suoi gemiti» (De Mortalitate37), dove comunque lo stato descritto sembrerebbe più vicino all'inferno che non al purgatorio, anche se sembrerebbe riferirsi ad un momento dopo la prima morte, in attesa della seconda.

5. Perpetua

Guardiamo ora da vicino quello che è considerato il primo testo in cui si profila l'immaginario del purgatorio. Sono le pagine del diario di prigionia della grande martire cristiana, Perpetua, questa giovane donna di 22 anni, imprigionata con altri fratelli di fede e con il figlioletto che lei ancora allatta, martirizzata a Cartagine, il 7 marzo del 203. In un raro esempio di scrittura diretta di donna, Perpetua racconta gli ultimi drammatici momenti della sua vita e in particolare annota quattro suoi sogni: il secondo e il terzo di questi sono quelli che la tradizione posteriore considererà testi fondamentali per la credenza nel purgatorio.

È necessario collocare questi sogni nel contesto della situazione che Perpetua sta vivendo, per non allegorizzare troppo ma per cercare di cogliere quale convinzione si dischiuda da queste immagini. Il sogno è una convinzione profonda che si esprime senza filtri razionali, non ha troppa logica ed è di per sé visiva: è in immagine. Possiamo cogliere quindi in tali immagini il simbolo di quale convinzione Perpetua vada maturando negli ultimi istanti della sua vita, la situazione che ella vive dal profondo, le sue speranze, le sue convinzioni più vere, senza inganno.

Perpetua è appena stata condannata alle fiere (6, 6) nonostante suo padre l'abbia supplicata durante il processo di evitarsi la condanna, facendo appello al suo istinto materno, chiedendole di prendere in considerazione il piccolo figlio (6, 2); anche il procuratore l'ha implorata di salvarsi la pelle, questa volta facendo appello alla sua coscienza filiale, a favore del vecchio padre. E già vediamo che Perpetua è come messa già in una situazione di rappresentanza, se non di intercessione. Perpetua confessa la sua fede e cresce in lei viva ed esultante (6, 6) la convinzione che sarà martire, nonostante accanto a queste grandi gioie ella viva grandi dolori per esempio quella di essere costretta a vedere il padre anziano mandato via a bastonate, episodio in cui Perpetua ha un ulteriore processo di immedesimazione nel padre. Una volta tornata in prigione chiede di riavere il figlio per poterlo allattare ma il padre glielo nega. Qui avviene, scrive la sua penna, il vero miracolo: né il piccolo ebbe bisogno delle mammelle, né esse le si infiammarono. A Perpetua viene così risparmiato un duplice tormento: quello per il figlio (è ora certa che non ha bisogno della madre per vivere) e quello corporeo. Non è strano se vediamo nel sogno che ella fa subito dopo, anche una proiezione delle sue preoccupazioni affettive: materne, filiali e sororali.

C'è infatti un altro piccolo nel sogno, il fratellino morto e che non può bere. Per entrambe Perpetua sa di poter contare sulla forza della preghiera che le viene dall'approssimarsi sempre più certo del suo martirio. Andiamo ora al testo:

Pochi giorni dopo, mentre siamo tutti raccolti in preghiera, mi venne all'improvviso di fare a voce alta il nome di Dinocrate. Mi stupii che non mi fosse venuto in mente prima, bensì solo in quel momento, e provai un gran dolore al ricordo della sua disgrazia. Compresi all'istante che ero diventata degna di intercedere per lui, e che lo dovevo fare. La notte stessa ebbi questa visione. Vidi Dinocrate uscire da un luogo tenebroso, dov'erano in molti, tutto accalorato e assetato, d'aspetto ripugnante, d'un pallore mortale e, sul volto, la ferita che aveva al momento della morte. (Questo Dinocrate era stato un mio fratello carnale, morto orribilmente a sette anni per un tumore che lo aveva colpito al viso, e perciò la sua morte aveva suscitato l'orrore e il compianto di tutti. Era per lui che avevo pregato). Ma la distanza che ci separava era grande: non avremmo potuto in alcun modo avvicinarci, né lui a me né io a lui. Dove si trovava Dinocrate c'era una vasca piena d'acqua il cui bordo superava in altezza la statura del fanciullo. Dinocrate, nel tentativo di bere, si protendeva con tutte le sue forze. E io provavo un gran dolore vedendo che, pur essendo la vasca piena d'acqua, l'altezza del bordo gli impediva di bere. Qui mi svegliai e compresi che mio fratello era in difficoltà, ma confidai di riuscire in qualche modo ad aiutarlo. E pregai per lui ogni giorno, finchè non fummo trasferiti nella prigione militare [...] pregai per lui giorno e notte, gemendo e lacrimando, perché mi fosse concessa la grazia.

Il ricordo di Dinocrate, il fratellino morto, le sovviene durante la preghiera. Lei stessa sarà un'ulteriore figlia morta per il padre. Perpetua prova grande dolore al ricordo della disgrazia accaduta al fratellino. Ma in quel momento capisce che la sua condizione di prossima martire la rende degna di pregare per lui e che doveva farlo. È la fede nella forza e nel privilegio della preghiera dei martiri.

La distanza che li separa ricorda da vicino le parole di Lc 16, 2638 ma forse Perpetua la vive col dolore che la separa dal figlio o forse comprende quello del padre; si parla di un luogo a più riprese (7, 4. 7), per forza di cose, perché il sogno è visivo.39 L'elemento della sete e del calore ricordano tanto quella del bimbo strappato alle mammelle e della mastite che Perpetua rischia; il fratellino non può bere... come il suo figlioletto. Perpetua prova grande dolore per vedere che Dinocrate non può bere non perché l'acqua non ci sia, ma perché non può arrivarci, come il suo bimbo. Perpetua si sveglia ma ha la certezza di poterlo aiutare. Nei giorni successivi prega per lui ogni giorno e chiede la grazia e poi viene trasferita. È lei dunque che cambia luogo, avvicinandosi sempre più concretamente alla sua morte. Il successivo sogno avvenne dopo qualche tempo:

Il giorno stesso in cui fummo messi in ceppi, durante la notte ebbi questa visione. Vidi quello stesso luogo che avevo visto la volta precedente, e Dinocrate ben lavato, ben vestito e in salute; dove aveva la ferita, vedo una cicatrice; e la vasca che già conoscevo aveva il bordo abbassato all'altezza dell'ombelico del fanciullo, e l'acqua sgorgava senza posa. Sul bordo c'era una coppa d'oro piena d'acqua. Dinocrate si accostò e bevve da quella, e l'acqua nella coppa non veniva meno. Saziata la sete, prese a giocare e a divertirsi con l'acqua, come fanno i bambini. Qui mi svegliai, e compresi che era stato liberato dalla pena.

Fa quindi il secondo sogno mente lei è messa in ceppi: ora l'acqua è raggiungibile, sgorga senza posa (il contrario di ciò che è avvenuto alle sue mammelle) e anzi non viene meno; Dinocrate può bere e sazia la sua sete e torna a giocare... come fanno i bambini. La consapevolezza che Dinocrate, con tutto ciò che il suo simbolo raduna, è liberato dalla pena, ora è piena. Il miracolo alle mammelle è avvenuto; può avvenirne un altro.

Che cosa troviamo davvero in più in questo sogno se non gli elementi comuni della fede del tempo? Certo è bello vedere con quanta grinta Perpetua è pienamente cosciente del suo destino di martire per la fede e come maturi, anche tra i dolori per i suoi affetti umani, la sua convinzione che la sua vera maternità e figliolanza, messe a così dura prova nel processo, si realizzeranno nel dare la sua vita piuttosto che nel conservarla. La forza della preghiera la lega e la legherà ai suoi cari anche oltre la morte. La ferita diventerà una cicatrice. Il dolore e la mancanza, l'assenza e la distanza, potranno mutarsi in gioia (Gv 16, 20-22;40 Rm 8, 20-21), la stessa gioia che Perpetua provava guardando il suo bambino giocare.

6. Fuoco e apocatastasi

È indubbio che un forte dolore spirituale lo sperimentiamo anche fisicamente come un fuoco. Il dolore brucia. Ma fin qui il germoglio dell'idea di Purgatorio non ha presentato ancora una delle caratteristiche tipiche che assumerà in seguito: il fuoco. L'idea del fuoco collegato al giudizio divino e alla pena ha dei retroterra biblici: il fuoco richiama i sacrifici consumati per il Signore, lui stesso è un fuoco divorante (Dt 4, 24) che consuma, distrugge, ma anche prova e purifica (1 Pt 1, 7; Ap 3, 18). Il collegamento al giudizio è tradizionale. Il fuoco è una pena eterna in Gd 7 e anche Ap 20, 10-15; 21, 8 conosce la seconda morte dello stagno di fuoco. Anche i padri considerano per lo più questo fuoco eterno, legato al giudizio finale come distruttore.41 Ma vi è tuttavia una differenziazione tra un fuoco distruttore e uno purificatore, che emergerà nettamente con gli alessandrini.42

Già la Didaché nella sezione escatologica parla di un fuoco della prova, pýrosis (16, 5) ricollegandosi all'idea di una prova col fuoco presente in Zc 13, 9 e forse allo strano testo di 1Cor 3, 13. 15, o anche 1Pt 1, 7.

Anche Ireneo, in Adv. Haer. V, 28, 4, dice che la tribolazione di coloro che sono salvati è necessaria in modo che essi dopo che sono stati tritati e impastati e poi cotti al fuoco siano adatti alla festa del re (cita ovviamente il noto passo della lettera ai Romani di Ignazio, dove però non compare il fuoco, Ad Rom. IV, 1).

Tertulliano riporta la distinzione dei filosofi tra un fuoco misterioso e uno ordinario; il fuoco che serve al giudizio di Dio non consuma ciò che brucia, ma ripara ciò che distrugge (Apol. 14). C'è quindi un fuoco non distruttore che tuttavia è eterno e che è la pena per i malvagi «o quelli non del tutto puri davanti a Dio» (Apol. 13).

Con Clemente e Origene l'idea di un fuoco purificatore per la correzione diventa predominante perché si poggia su una convinzione teologica: Dio non è malvagio e non punisce per vendicarsi, per odio o per invidia, ma per correggere. La ferita diventerà una cicatrice. Non può esserci dunque castigo divino se non per una pedagogia divina che purifichi l'uomo. D'altra parte questa idea poggia sull'altro polo che è il libero assenso dell'uomo che resta tale anche nel più incallito dei peccatori il quale può sempre persuadersi, accettare di essere corretto e migliorare.

È a partire da questi due poli che si costruisce l'idea di un processo di correzione in una serie illimitata di mondi che porterà all'idea dell'apocatàstasi, ovvero di uno stadio finale di restaurazione in cui il male non ci sarà più; Dio riuscirà a persuadère tutte le sue creature e alla fine anche il diavolo, l'ultimo nemico (1Cor 15, 26), sarà distrutto (HLv 9, 11; cfr. Princ. III, 6, 5).

Clemente Alessandrino parla di un fuoco che «santifica», che non consuma ma che fa emergere il bene e distrugge il male, ricollegandolo a quello di cui parlava già Eraclito:

Anche lui [Eraclito] conosce per averla appresa dalla filosofia barbara la purificazione mediante fuoco di coloro che sono vissuti nel male. Gli stoici in seguito al chiamarono conflagrazione (ekpýrosis). Seguendo lui credono che risorgerà chi è dotato di particolari qualità, proprio con ciò alludendo alla risurrezione (Str. V, 1, 9, 4).

Secondo Clemente anche Platone conosceva un fuoco e un'acqua che purificano (Str. V, 1, 9, 2) «luoghi di pena con la funzione di correggere e disciplinare», e così il nostro padre identifica la Geenna ebraica al Tartaro, al Cocito, all'Acheronte, al Piroflegetonte dei pagani (Str. V, 14, 91, 2).43 Parla di un fuoco intelligente (phrónimos) che «purifica non le carni, ma le anime peccaminose; e non si tratta del fuoco che tutto divora e volgare, ma del fuoco intelligente (phrónimos), quello che penetra attraverso l'anima quando attraversa il fuoco» (Str. VII, 6, 34, 4).44

In Str. VII, 2, 12 ripete che Dio non è assolutamente responsabile del male. Se castiga, lo fa per tre cause: o perché il castigato diventi migliore o per ammonire gli altri o perché l'offeso non sia disprezzato; e ci sono due modi di correzione:45 ammaestramento e punizione; quest'ultimo appunto è un modo di correzione (IV, 24, 154, 2). Per Clemente, tra l'altro, il fatto che «chi viene punito o corretto ha sensazioni vive, anche se si dice che subisce» (Str. V, 14, 91, 1) diventa una prova dell'immortalità dell'anima (preoccupazione tipica degli alessandrini, per cui l'uomo è sostanzialmente il suo nous). Clemente distingue due categorie di peccatori: emendabili e irriducibili. Per i primi il fuoco educa e santifica, per i secondi punisce e divora. Anche la punizione tuttavia deve giovare al peccatore perché non pecchi in avvenire.

Anche Origene distingue un fuoco divino da un fuoco estraneo: quello divino è quello della fede, dell'amore e della misericordia, quello che infiamma per le parole del Signore... quello «estraneo» è invece quello che ci fa seguire le passioni (cfr. HLv).46 Come si sa, Origene sulla scia di una tradizione classica47 fa risalire il termine psyché a psychrós che significa freddo (Princ. II, 8, 3, 120).48 Dal momento poi che la creazione (katabolé) implica in greco l'idea di caduta, egli ritiene che le anime cadano nei corpi perché rifiutano il calore di Dio, infatti lo Spirito divino è caldo e il diavolo è freddo (Princ. II, 8, 3 = GCS 22, 157, 12). Ripercorrere il cammino che le riporta a Dio, significa quindi riaccendere il calore, «l'ardore dello Spirito Santo» (CCt 87 = SCh 375, I, 3, 8), un calore di un sole che illumina e non brucia (CCt 126-127 = SCh 375, II, 2, 16. 20).

Origene sembra il primo a parlare espressamente di una purificazione dopo la morte.49 Infatti l'espressione «tutti devono venire al fuoco» (Mc 9, 49), secondo lui, va intesa nel senso che chi è salvato è salvato mediate il fuoco, affinché se ha in sé qualche mescolanza della sostanza del piombo, il fuoco lo purifichi e lo sciolga cosicché diventi oro buono, come nella fornace si prova l'oro. Se uno è tutto piombo avverrà di lui che sarà sommerso nel profondo (cfr. HEx 6, 4, = 115).50 Tuttavia non bisogna disperare fino in fondo: perché è possibile che anche chi è stato divorato si ravveda e possa essere vomitato come Giona (cfr. HEx 6, 6).51

Anche Origene parte dal presupposto che Dio è un medico e se sottopone al supplizio del fuoco coloro che hanno perso la sanità dell'anima, è per restituire loro la salute. Lo stesso furore della vendetta di Dio serve a purificare le anime (Princ. II, 10, 6;) e a tale proposito l'Adamanzio richiama quattro passi biblici (Is 4, 4; 47, 14; 66, 16; Mal 3, 3) per mostrare come la pena del fuoco vada intesa come forma di rimedio. Proprio perché Dio punisce per correggere, e proprio perché l'uomo anche dopo la morte continua a progredire, si arriva all'idea dell'apocatàstasi: l'idea di una salvezza universale che implica la totale restaurazione di tutte le cose, dove il male non sussisterà più. La dottrina prende l'avvio da Origene, ma resta consistentemente presente nei Cappadoci anche se in modo spiritualizzato, a motivo delle polemiche che essa suscitò.52 Gregorio di Nissa la fonda filosoficamente: il male non può essere infinito, perché solo Dio è infinito. Le sofferenze quindi possono avere solo carattere purificatorio e temporaneo.

Gregorio di Nazianzo nella sua Orazione sul battesimo distingue anche lui un fuoco punitore da uno purificatore. Quello purificatore è quello che Cristo è venuto a accendere sulla terra; anche Cristo è detto fuoco in senso anagogico. Esso distrugge la materia e la cattiva disposizione d'animo e vuole che sia acceso il prima possibile per aiutarci rapidamente. Qui il fuoco si spiritualizza tanto che induce dei dubbi nel Nazianzeno, che arriva a chiedersi: chissà che anche il fuoco distruttore non sia una forma di maggiore benevolenza di Dio ed è degno di colui che punisce (cfr. Orat. 40, 36)?53

Questa idea, ripetiamo, presuppone un altro grande fondamento: il libero arbitrio dell'uomo che Dio tiene in così gran conto da non costringere nessuno, ma aspetta preferendo un mondo in cui vi sia il male, ma dove l'uomo sia libero di scegliere, ad uno in cui sussista solo il bene, che l'uomo sarebbe obbligato a fare; quindi anche il malvagio può convertirsi in ogni momento e tornare ad accogliere la misericordia di Dio.54

Comunque sia giustificata, la dottrina dell'apocatàstasi rende l'inferno temporaneo e reversibile, e lo fa quindi tanto simile a quello che sarà il purgatorio.55

7. Conclusione

Abbiamo riportato alla luce le pietre grezze della grande cattedrale dottrinale del dogma del Purgatorio. Non siamo partiti dalla prospettiva medievale andando all'indietro a ritrovare o giustificare ciò che la situazione teologica ha voluto esprimere con il dogma del Purgatorio, ma abbiamo fatto un percorso storico notando come e perché questa dottrina si sia andata costituendo. Abbiamo visto che essa ha profonde matrici p/matristiche perché bagna su varie convinzioni, tutte conseguenze della fede nella risurrezione di Cristo: dunque dell'unione vitale con i nostri defunti, della potenza rigenerante della preghiera, di un destino di salvezza che riguarda la totalità dell'uomo. Queste idee svelano il volto di un Padre celeste, creatore del corpo e come sa correggere saprà anche rigenerare nel suo seno, nelle sue viscere di misericordia, le sue creature, anche se attraverso il fuoco bruciante di una sofferenza, una sofferenza tuttavia «imparagonabile alla gloria futura» (Rm 8, 8), un travaglio che -- il credente lo spera -- sarà il parto di una nuova vita.

Questa fede insinua quasi che la vera apocalisse, la rivelazione ultima di Dio, non è in «grandi terremoti, pestilenze e carestie, fenomeni spaventosi e grandi segni dal cielo» (Lc 21, 11) ma, come vide Perpetua, in un bambino che gioca.

[L'articolo è una rielaborazione della relazione «Fondamenti patristici sulla dottrina cattolica del purgatorio», tenuta al Convegno teologico in occasione del VII Centenario della morte di San Nicola da Tolentino: Escatologia, Aldilà, Purgatorio, culto dei morti. L'esperienza di San Nicola, contesto culturale, evoluzione teologica, testimonianze iconografiche e prassi pastorale, Tolentino, 26-28 ottobre 2005.]

I vostri commenti

Saremo felici di ricevere commenti a questo articolo. Nel caso abbiate dato l'assenso, il vostro commento potrà essere eventualmente pubblicato (integralmente o in sintesi). Grazie!

Note

  1. Il dogma, come si sa, viene sancito definitivamente a Trento, nel 1543, DS 1821. Testo

  2. Cfr. J. Le Goff,, La nascita del Purgatorio, Torino 1982 (or. fr. La naissance du Purgatoire, Paris 1981). Testo

  3. I termini hanno una storia. Il sostantivo «purgatorio» emerge solo tra il 1150 e il 1200. Ancora dopo Agostino «purgatorio» non è un sostantivo, ma un aggettivo (che si accompagna a ignis o poena etc.), cfr. Le Goff, La nascita, 5. Testo

  4. Cfr. Le Goff, La nascita, 3-4. Testo

  5. Rimaneggiamento di mentalità di vasta portata che Le Goff assimila al rimaneggiamento cartografico medievale, cfr. La nascita, 6-7 e 10. Testo

  6. Cfr. Le Goff, La nascita, 47. Testo

  7. «Actus credentis non terminatur ad enuntiabile sed ad rem», S. Th. II, 1, 2 ad 2. Testo

  8. Paradossalmente, perché come vedremo sono proprio i Padri greci a insistere su un fuoco non distruttore ma purificatore. Testo

  9. Cfr. G. Ancona, Escatologia cristiana, Brescia 2003, 139-174; ASE, Il millenarismo cristiano e i suoi fondamenti scritturistici, 15/1 (1998); La fine dei tempi, 16/1 (1999); Escatologia e scrittura, 17/1 (2000). Testo

  10. Cfr. Le Goff, La nascita, 55-56. Testo

  11. Cipriano. De mortalitate: «Magnus illic nos carorum numerus expectat: parentum fratrum filiorum frequens nos et copiosa turba desiderat, iam de sua incolumitate secura et adhuc de nostra sollecita», 26; cfr. O. Marucchi, Manuale di Archeologia cristiana, Roma 1923, 226-228. Testo

  12. Per es.: «Vos precor o fratres orare huc quando venitis et precibus totis patrem natumque rogatis, sit vestrae mentis Agapes carae meminisse», Catacombe di Priscilla, cfr. O. Marucchi, Le Catacombe ed il Protestantesimo, Roma 1911, http://freaknet.org/martin/libri/Catacomb/index.html, in particolare http://freaknet.org/martin/libri/Catacomb/P2C2.html. Testo

  13. Cfr. J. Finkenzeller, «Purgatorio»: Lessico di Teologia sistematica, 1990, 535-337. Testo

  14. Cfr. Marucchi, Manuale, 229-232. Testo

  15. «O Gennaro, abbi refrigerio e prega per noi», Cimitero di Callisto; «Vivi nella pace (eterna) e prega per noi», Cimitero di Domitilla; «Attico che la tua anima sia nella felicità e tu prega per i tuoi genitori», Cimitero di Callisto. Testo

  16. J.F. Dölger, «Der heidnische Glaube und die Kraft des Fürbittgebetes für die vorzeitig Gestorben nach den Theklaakten»: Jahrbuch für Antike und Christentum 2 (1930) 13-16. Testo

  17. Cfr. L. Moraldi, Apocrifi del Nuovo Testamento, Torino 1971, 1078. La letteratura agiografica, ha tutt'altro che un valore relativo dal punto di vista della storia delle idee, perché è il luogo in cui da una parte si diffondono i temi teologici del tempo a livello popolare e dall'altra è lo specchio di questa fede popolare. Testo

  18. «Trifena la prese (Tecla) nuovamente con sé poiché sua figlia Flaconilla che era morta, le aveva detto in sogno: Al mio posto madre, prenderai Tecla, straniera abbandonata, affinché preghi per me e io possa passare nel luogo dei giusti» (28). «Trifena le disse: Tecla, mia seconda figlia, vieni, prega per mia figlia affinché viva per l'eternità. Questo infatti è quanto ho visto in sogno» (29). Testo

  19. «Prima risusciteranno i morti in Cristo; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo rapiti insieme con loro, sulle nuvole, a incontrare il Signore nell'aria; e così saremo sempre con il Signore». Testo

  20. «Se ci fosse la sola risurrezione spirituale, sarebbe stato necessario che colui che risorgeva avesse mostrato da una parte il corpo giacente, dall'altra l'anima vivente. E invece egli non fece questo, ma risuscitò il corpo...» (fr. II, 9, 2 = A. D'Anna 49). Testo

  21. L'idea di poter riprendere i nostri corpi, che sembra impossibile, viene fondata sull'infinita possibilità di Dio da Gustino, cfr. Apol. I, 18, 6; Apol. I, 19, 4; cfr. anche nel trattato Sulla Resurrezione dello Pseudo-Giustino si dice che «se ci fosse la sola risurrezione spirituale, sarebbe stato necessario che colui che risorgeva avesse mostrato da una parte il corpo giacente, dall'altra l'anima vivente. E invece egli non fece questo, ma risuscitò il corpo...», fr. II, 9, 2 = A. D'Anna 49. Testo

  22. Cfr. Il millenarismo cristiano e i suoi fondamenti scritturistici: ASE 15/1 (1998). Testo

  23. Mette in questione il millenarismo di Tertulliano P. Siniscalco, secondo il quale si tratterebbe di un millenarismo spiritualizzato, cfr. L'escatologia di Tertulliano, 82-84. Testo

  24. Apollinare, Commodiano, Lattanzio, Vittorino di Petovio, cfr. Il millenarismo cristiano e i suoi fondamenti scritturistici, ASE 15/1 (1998). Testo

  25. Anche Taziano ha un testo che parla di un'attesa della risurrezione della materia corporea vaporizzata: «Anche se il fuoco annienterà questo mio pezzetto di carne, l'universo conterrà la materia vaporizzata... . Dio che regna, quando vorrà, restaurerà, come al principio, la sostanza visibile solo a lui» (Or. 6 = Burini 190). Testo

  26. «E a ciascuno di essi fu data una veste bianca e fu loro detto che si riposassero ancora un po' di tempo, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli, che dovevano essere uccisi come loro», Ap 6, 11. Testo

  27. «Quelle anime dei pii rimangono in un luogo migliore, mentre quelle ingiuste e cattive in un altro peggiore, attendendo il tempo del giudizio» (Dial. 5, 3). Testo

  28. «È chiaro che anche le anime dei suoi discepoli ... andranno nella regione invisibile, assegnata loro da Dio e lì dimoreranno fino alla risurrezione, aspettando la risurrezione; poi riprenderanno i loro corpi e risusciteranno integralmente, cioè corporalmente, come risuscitò il Signore e così andranno al cospetto di Dio. ... Così anche noi dobbiamo attendere il tempo della nostra risurrezione», Adv. Haer. V, 31, 1-2. Testo

  29. De anima et corpore 32, 1; 33, 3, da M. Simonetti - E. Prinzivalli, Storia della letteratura cristiana antica, Casale Monferrato 1999, 92. Testo

  30. «Quindi il fatto che si percepiscono tormenti o consolazioni, nel carcere o nel soggiorno degli inferi, nel fuoco o nel seno di Abramo dimostra che l'anima è corporea (igitur si quid tormenti sive solatii anima praecerpit in carcere seu diversorio inferum, in igni, vel in sinu Abrahae, probata erit corporalitas animae); infatti solo le cose incorporali non patiscono, ... ma se patiscono significa che hanno un corpo» (De anima 7, trad. mia). Testo

  31. «Così anche Lazzaro nell'oltretomba trovò conforto e sollievo nel seno di Abramo; il ricco ebbe il supplizio del fuoco, invece, e così trovano giusto compenso alle loro azioni o buone o cattive», De idolatria XIII, 132. Testo

  32. Ciccarese sottolinea le caratteristiche di deinfernalizzazione del purgatorio, cfr. La nascita, 135. Testo

  33. Nel Testamento di Abramo, un testo del II-III sec., si dice che Isacco e Giacobbe saranno collocati sul seno di Abramo, luogo di beatitudine eterna, dove «non c'è fatica, tristezza e lamento, ma pace, gioia e vita senza fine», L 20, 14. Testo

  34. «Un luogo ... nel quale si delinei un'immagine del futuro e si preveda come un preannuncio di entrambi i giudizi» (Adv. Marc. IV, 34, 11-14). Cfr. anche De Anima 55; in De anima 58 è un luogo degli inferi nel quale l'anima attende i due giudizi che avverranno al momento della restituzione della carne. Testo

  35. Negli autori successivi il seno di Abramo sembrerebbe semplicemente identificato con il cielo, cfr. Gregorio Nazianzo, Orat. 7, 17. Testo

  36. Cfr. Cipriano, Opere, Torino 1980, 580. Testo

  37. De mortalitate, 14. Testo

  38. «Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi». Testo

  39. Le Goff nota che sebbene oggi il purgatorio non sia considerato propriamente un luogo, ma generalmente uno stato, alle origini l'idea di luogo ha avuto un ruolo di prima importanza per il costituirsi della credenza (cfr. 18). Ciccarese (143) lo critica in questo, cercando di dimostrare come Dinocrate sia in un diverso stato. Non vedo però la necessità di questa dimostrazione, dal momento che Tertulliano ne parla come un luogo -- che non è troppo un problema all'interno della sua concezione in cui l'anima è materiale -- e anche qui lo spostamento di luogo di Perpetua è abbastanza importante. Testo

  40. «Sarete rattristati, ma la vostra tristezza sarà cambiata in gioia. La donna, quando partorisce, prova dolore, perché è venuta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'angoscia per la gioia che sia venuta al mondo una creatura umana. Così anche voi siete ora nel dolore; ma io vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi toglierà la vostra gioia». Testo

  41. Parla di un fuoco del giudizio con la punizione eterna degli empi il Martirio di Policarpo 11, 2. Giustino: parla di una punizione eterna nel fuoco del giudizio eterno e distruttore (Apol. II, 2, 1; I, 12, 1-2; I, 7, 1). Testo

  42. Lattanzio nel 317 scrive: «Quando Dio esaminerà i giusti lo farà anche per mezzo del fuoco. Coloro i cui peccati avranno prevalso, saranno avvolti dal fuoco e purificati» (Istitutiones VII, 21); Ambrogio nel sec. IV commentando il Salmo 36 dice: «Se il Signore salva i suoi servi, noi saremo salvati dalla fede, ma lo saremo attraverso il fuoco». Testo

  43. Stessa identificazione faceva Tertulliano in Apol. 47, 12-13; cfr. Siniscalco, L'escatologia di Tertulliano, 77. Testo

  44. Cfr. anche Protr. IV, 53, 3 e Paed. III, 8, 44, 2, in cui parla sempre di questo fuoco intelligente nel contesto delle pene inflitte da Dio per correggere. Testo

  45. L'esperienza di sofferenze e dolori porta a respingerli, cfr. Str. VII, 12, 76. Testo

  46. «Si vero in hac vita contemnimus commonentis nos divinae Scripturae verba, et curari vel emendari ejus correptionibus nolumus certum est quia manet nos ignis ille qui praeparatus est peccatoribus, et veniemus ad illum ignem in quo "uniuscujusque opus quale sit ignis probabit"» Hom. III in Psal. XXXVI, PG 12, 1357. Testo

  47. Platone, Crat. 399d-400a, Aristotele, De An. 405b29, Crisippo, SVF II, 222. Testo

  48. «L'anima ha tratto nome dal raffreddamento dall'ardore dei giusti (refrixerit a fervore iustorum) e dalla partecipazione al fuoco divino (divini igni participatione); tuttavia non ha perso la possibilità di tornare a quella condizione di calore nella quale inizialmente si trovava» (Princ. II, 8, 3 = GCS 22, 158). Testo

  49. «Sic stabit in igneo flumine Dominus Jesus juxta flammeam romphaeam, ut quemcumque post exitum vitae huius, qui ad paradisum transire desiderat, et purgatione indiget, hoc eum amne baptizet, et ad cupita transmittat, eum vero, qui non habet signum priorum baptismatum, lavacro igneo non batptizet. Oportet enim prius aliquem baptizari aqua et spiritu, ut cum ad igneum fluvium venerit in Christo Jesu: cui est gloria et imperium in saecula saeculorum. Amen» In Luc 3, 16, hom. 24, PG 13, 1864-1865. Testo

  50. Lo stesso afferma contro Celso che deride l'affermazione di Dt 4, 24. Dio infatti consuma come un fuoco la malvagità, forgia la natura razionale, riempita dal piombo derivante dalla malvagità e da altre materie impure che hanno falsificato la natura dell'oro, cfr. CC IV, 13. Testo

  51. «La morte inflitta come pena del peccato è purificazione del peccato stesso... dunque il peccato è assolto dalla pena della morte e non resta nulla che possano trovare, al posto di questa colpa, il giorno del giudizio e la pena del fuoco eterno», HLv14, 4 = Danieli, 290. Testo

  52. Cfr. E. Prinzivalli, «Apocatastasi»: DO, 24-29. Testo

  53. Cfr. Ancona, Escatologia, 159-160. Testo

  54. Già Ireneo diceva: «Tutte queste cose così impressionanti sono avvenute per la salvezza dell'uomo, per far maturare il suo libero arbitrio verso l'immortalità e rendere l'uomo più adatto all'eterna sottomissione di Dio», Adv. Haer. V, 29, 1. Testo

  55. Cfr. Le Goff, La nascita, 66; Ciccarese, La nascita, 137. Testo