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«Diversi rispetto a chi?»
Ricognizione teologica sull'identità maschile

di Giampietro Ziviani (15 febbraio 2011)

1. Una riflessione inconsueta?

1.1. La prevalenza femminile

Se ogni nostra riflessione è contestuale, e anche la via che intendiamo percorrere per dire qualcosa sulla maschilità deve necessariamente muoversi dal fenomeno cioè dall'esperienza, non possiamo non notare che essa oggi si presenta, sul piano sociale e culturale, piuttosto sbilanciata sull'orizzonte femminile. Il cinema, la filosofia, la letteratura preferiscono indagare gli universi delle donne piuttosto che quelli degli uomini. Forse perché più nuovi, più carichi di energia reattiva, più vari, o forse semplicemente perché più stimolanti: «il maschio rinuncia a interrogarsi sulla propria diversità, perché "per l'uomo è assiomatico che la propria identità sia una non-diversità, ossia l'identità (per antonomasia) dalla quale si concede alla donna (nei casi migliori) di distinguersi"».1

In questi anni i protagonisti maschili della letteratura e del cinema sono andati estenuandosi, oppure caricaturizzandosi, mentre appaiono in primo piano figure femminili divenute eroiche nella quotidianità (Almodovar né l'esempio più emblematico). Creare un dramma maschile non è difficile: basta insidiare il rapporto di un uomo con il suo lavoro, oppure metterlo in gara con qualcuno che fa o può più di lui e il gioco è fatto. Al contrario delle storie femminili che appassionano quando vi sono conflitti interiori, quelle maschili devono combattere, avventurarsi, vincere (o perdere) perché è sul piano del fare che si gioca la mascolinità. L'uomo è colui che fa, un «grande uomo» è colui che ha fatto molto e l'uomo «vero» quello «che ci sa fare». Non a caso il «fare» delle religioni, che è la liturgia, è da sempre patrimonio maschile, cui le donne devono corrispondere, ma che non possono guidare. Il loro posto è nel secondo cortile del tempo o sul matroneo della basilica.

1.2. Il maschile e la dittatura del fare

Se il dato psichico della donna sembra inestricabilmente unito a quello della sua funzione biologica generativa, quello maschile è altrettanto compromesso con questa dittatura del fare, del lavoro, della poiesis. L'uomo domina il mondo facendo, giocando al piccolo demiurgo. Basta un semplice training di coppia per cogliere la difficoltà delle mogli nel rintracciare gli elementi di genere del marito, che risulta lacunoso e approssimativo in casa, ma dichiarato vincente sul lavoro. Da parte sua l'uomo si vendica attraverso i limiti femminili nelle cose pratiche (automobile, elettronica): la donna non sa fare, ma mentre il femminile della moglie è esposto, il lato maschile del partner rimane nascosto anche alla donna che lo ama.

1.3. La prevalenza femminile

Le torsioni dell'animo maschile interessano meno perché avvengono meno, in ruoli e personalità strutturate rigidamente, o semplicemente perché sono più elementari e scontate, quindi meno avvincenti? Le due ipotesi non si escludono ovviamente, anche se sembra più probabile la seconda visto che è l'ignoto ad interessare, e non la riproduzione della noiosa realtà. In questa stagione si aprono all'universo femminile ignoti che prima accadevano nascosti. Le donne di oggi provano sentimenti che Jane Austen ha già descritto impagabilmente, ma succedono anche cose così nuove da dare al loro animo un supplemento di inedito che, per contro, appare appena accennato sul fronte maschile.2 Un analogo nuovo eroismo maschile si avrebbe spostando un protagonista su un orizzonte nuovo (a crescere da solo una famiglia, o un figlio disabile) dove potrebbe affrontare senza timore le lacrime e giocarsi -- come le donne -- sulla partita del quotidiano. Perché è esso, è la vita di ogni giorno ad essere diventata eroica anche per gli uomini.

Se proietto questa immagine in Dio non ne ricavo forse quella di una forza attiva, sempre agente e provvidente, sempre ad iniziare e prendersi cura? Ad un uomo attivo, un uomo d'azione corrisponde un Dio condannato ad agire. Tommaso gioca con questa tensione parlando di «motore immobile», ma non sembra così il primo Testamento: se Dio è Dio, se è fedele al suo nome deve agire: «perché o Dio non agisci? Perché non parli? Perché il malvagio trionfa? Non sei tu il più forte di tutti?»

1.4. Gli studi di genere

Anche a livello teorico ci rendiamo conto che l'identità sempre meno può essere identificata semplicemente con il genere: c'è un flusso di relazioni che la costituiscono, ci sono le rappresentazioni in cui si riconosce, c'è una reciprocità di dare e ricevere, ci sono desideri e affetti che ne muovono le scelte quotidiane, ci sono attività che si fanno e ruoli che via via si assumono. Ciascuno di questi elementi aggiunge qualcosa (e comprime qualcos'altro) così che quello che ne risulta è più un processo di una realtà statica, l'evoluzione della specie umana in atto in ciascuno di noi, un passato che non passa mai del tutto e un futuro che contiene mille possibilità, sortendo già da ora decisioni: «l'io è una relazione, un modo di coordinarsi tra un primus inter pares e i suoi simili (dai quali ha ricevuto la delega a rappresentarli) o tra un sovrano e i suoi sudditi».3

La riflessione sul genere è stata finora tutta dedicata alla condizione femminile, che presupponeva quella maschile dall'altra parte. Si è cercata la differenza (da parte di persone differenti) rispetto ad una identità dominante e presupposta, data per scontata nel movimento dal particolare all'universale, come appunto se l'identità sia una caratteristica statica, definita una volta per sempre. «Si diventa maschi rinunciando a molte cose, e questo fa sì che l'identità maschile sia di una parzialità disarmante e pericolosa. [...] L'identità è una forma di ascesi e "trancia" via fin troppe cose. La sua parzialità viene ricompensata con un segreto di sé che si impara a conoscere e a non dire. La stessa parzialità è una delle radici del desiderio dell'altra o dell'altro. Si rimpiange si, si rimpiange con brama, nel femminile, tutto quello che il maschile non è. Oppure si vorrebbe dare al femminile tutto ciò che il maschile pensa di essere. Il maschile si vorrebbe mangiare il femminile o vorrebbe esserne mangiato. È questa dialettica dell'incompletezza che ci rende disperatamente interessanti o inaspettatamente aperti».4

2. I luoghi teologici del maschile

Una ricognizione nella letteratura teologica riguardo il maschile rintraccia quattro nuclei ricorrenti, che ovviamente sono gli stessi anche della teologia femminile perché per ora ci si muove solo di rimbalzo e se da quella parte è stata avviata la strada, qui stiamo appena segnando il tracciato. I luoghi sono: la trinitaria, la cosmologia, la cristologia e l'antropologia.

2.1. Il Dio-relazione di persone (trinitaria)

«L'interpretazione del femminile/maschile riflette una società umana relazionale, circolare, senza piramidi né gerarchie. Tutto evoca il modello trinitario di relazione "circolare". I latini parlano di circuminsessio ed i greci di peri-coresi: una danza dell'essere in relazione. La relazionalità umana è sul modello di Dio».5 L'orizzonte filosofico del '900, con la riscoperta tanto del carattere personale quanto di quello relazionale, ha bilanciato una immagine trinitaria che risultava anch'essa asimmetrica e statica. Il Figlio era sottomesso alla volontà sacrificale del Padre e questi a sua volta appariva prima signore dispotico e poi protagonista della vittoria, che traeva dagli inferi Colui che si era fatto obbedienza quasi passiva. Con la persona intera di Gesù di Nazareth è stata rivalutata tutta la sua integrità, la sua volontà, la sua libertà, la sua fede che lo portano a con-sentire alla volontà del Padre, decidendo -- fin dalle tentazioni iniziali -- di volere ciò che Egli vuole. Simile destino ha riguardato lo Spirito Santo, grande riscoperta tematica del secolo scorso in Occidente.

La Trinità, concepita come relazioni sussistenti, diventa il paradigma fondante di ogni diversità che si tiene unita nell'amore: «l'assoluta diversità e la reciproca donazione che nel divino costituiscono il fondamento dell'identità delle tre Persone, sul piano umano si manifestano analogicamente come differenziazione e specificazione di genere maschile e femminile».6

R. Guardini scrivendo sulle implicazioni dei misteri cristiani nella società civile (1916) dice qualcosa che sembra interessante anche per il rapporto maschile-femminile: «La Trinità insegna che tutto, ma proprio tutto, potrebbe essere, e al massimo grado, comune, dovrebbe essere comune. Una cosa sola non dovrebbe esserlo, e con ciò si contrappone alla dedizione il suo contrappeso: la personalità. Questa deve rimanere inviolata nella sua indipendenza. Il suo sacrificio non può essere né offerto, né accettato. La dedizione deve essere permessa ed offerta nel modo e nella misura giusta, e imperfetta è quella comunità in cui uno nasconde se stesso e le sue cose all'altro. Ma il diritto alla personalità è sacro ed inviolabile e deve rimanere inviolato: non appena è varcato questo confine, una comunità diventa subito contro natura, immorale, di qualsiasi tipo essa sia».7

Si tratta di piani ontologicamente diversi, non è possibile scivolare dalla Trinità all'uomo in maniera diretta, ma c'è da cogliere il concetto di relazione che va aprendosi sempre più e completando quello di identità in direzione dell'altro, del poter essere che è già in qualche modo contenuto nell'essere, che lo porta dentro. L'altro è implicato nella mia stessa identità, non arriva in un secondo momento, ma è esigito dal mio stesso essere persona, dentro e fuori di me, potenza ed atto. In questo anche le relazioni trinitarie vanno chiarendosi. I tre si contengono l'uno nell'altro e l'uno per l'altro, come realizzazione reciproca. Gesù è il compimento della paternità di Dio e lo Spirito è l'operatività di entrambi. Ciascuno provoca l'altro a dispiegarsi, a non restare chiuso in sé e ne contiene insieme la necessità. Tutti cospirano a rivelarsi, cioè a comunicarsi in maniera gratuita, non richiesta dagli uomini, ma necessaria alla natura dell'amore che per se stesso chiede di espandersi generando altre forme personali. L'analogia portante tra Trinità e creature sta in questo nucleo d'amore che precede e costituisce le persone. I nomi -- maschili e femminili8 -- con cui Dio si rivela nel primo testamento dicono anche questa volontà di farsi relazione multiforme, più ricca in se stessa e più adeguata all'altro. Il Dio trinità d'amore dovrebbe impedire il rimanere in se stesso e l'assolutizzazione di ogni forma, compresa quella di chi lo pensa.

2.2. La creazione della coppia originaria (cosmologia)

Prima che in modo reciproco, l'uomo e la donna sono sottomessi a Dio, questo è prevalente. Perché Dio è Dio, diverso dalle creature. La differenza di genere viene dopo ed è descritta in modo diverso dai due racconti, uno secondo una duplice natura sessuata: «maschio e femmina li creò» (Gn 1), l'altro staccando le due creazioni, subordinandole e inserendo tra esse un desiderio che è di adeguatezza, di complemento (Gn 2): il bisogno di trovare «un aiuto che gli sia simile», per concludersi anch'esso nella parità: «carne della mia carne, ossa delle mie ossa». Anche qui Dio benedice questa complementarietà con il comando di ricomporre l'unità, diventando «una sola carne». È difficile trovare specifici elementi di genere in un racconto di stampo mitologico, se non questa dialettica tra solitudine maschile, ricerca di un complemento adeguato e scoperta di una relazione esattamente corrispondente, «fianco a fianco». Nessun desiderio sarebbe stato appagato da qualcosa di meno, perché non si tratta di cercare aiuto (c'erano infiniti animali), ma di somiglianza, che trova esaudimento nel riconoscimento prima, e nel dono reciproco poi. Se la donna appare subordinata, l'uomo è decisamente incompleto. Si può lavorare ancora su questo livello simbolico e sul primo racconto, ma non dobbiamo portare troppo lontano questa che è una cosmogonia, un tentativo ispirato di fondare l'orizzonte sociale nel quale l'autore sacro scrive.9 Si cerca l'origine di tutto ciò che è considerato determinante, tra cui anche la diversità uomo-donna, mettendo anche questa relazione in comunicazione con Dio e con il suo disegno. È grazie a Dio che i due esistono, si riconoscono, tendono ad essere uno. Senza dimenticare che anche questa relazione è stata alterata dal peccato e che occorreva qualcuno che la riscattasse e la riportasse non solo al disegno originario, ma addirittura ad ospitare nella sua forma lo stesso disegno salvifico: immagine dell'amore di Cristo per la sua chiesa (Ef 5).

Su questo sfondo si proietta la domanda sulla differenza: diverso rispetto a chi? Rispetto alla creazione della coppia originaria? Rispetto a Dio, oppure rispetto alla priorità maschile? Si postula già un salto: dove giunge la novità di Cristo? Possiamo leggere in maniera ingenua questi racconti come se non si trattasse di miti fondatori, servendoci con libertà del metodo allegorico, magari mediato dalla psicanalisi moderna e dalle categorie di maschio/femmina, padre/madre, peccato/colpa, ecc.? Non è piuttosto preferibile percorrere la via del confronto con altre cosmogonie e la società da loro instaurata. L'antropologia culturale è certamente uno strumento più oggettivo di analisi rispetto agli archetipi psicologici: mostra come nelle varie culture prendano forma diversamente anche i concetti che a noi sembrano più oggettivi (es. natura, persona) .10

2.3. Gesù uomo perfetto (cristologia)

«L'"inimicizia" tra l'uomo e la donna è un limite superabile o una condizione metodologica per la nuova antropologia? Al di là degli auspici, che pur sono segnali di un disagio non trascurabile, sarà possibile ridare senso alle parole e parlare dell'uomo senza che la convergenza di maschile e femminile sia una intimidazione o al massimo il richiamo ad una soluzione intimidatoria? È possibile salvare la differenza, senza che essa diventi prepotenza o sudditanza?».11 La via antropologica ha bisogno di un fondamento filosofico, prima ancora che teologico. Piuttosto che in una metafisica del maschile/femminile o in una lettura fondamentalista dei racconti fondatori si intravede una fecondità nel percorso fenomenologico e in una concezione unitaria e relazionale della persona, più simile al modello del pensiero orientale. La metafisica sembra condannarci al dualismo e quindi ad accentuare la diversità, a meno di non riuscire a ri-formularla, ad esempio come «ordine simbolico» o come dono.12

È evidente che bisogna passare anzitutto con la persona di Gesù di Nazareth, cominciando col chiedersi se la sua umanità maschile possa aver ospitato anche una proposta di salvezza per il genere femminile. Si può ripararsi nel binomio natura/cultura e considerare quella maschile solo la contingenza di una necessaria incarnazione, condizionata dal contesto culturale che mai avrebbe accolto il Messia in vesti femminili. Sembra tuttavia un pensiero un po'teorico, che chiede di rendere ragione anche del vissuto di Gesù, del suo nascere da donna, del ruolo di suo padre e del suo stesso diventare padre, madre e fratello per i suoi discepoli (Mt 12, 48). Se la sua carne ospita la parola definitiva del Padre, lì è inscritto qualcosa anche del genere da lui vissuto.13 C'è una via realista che deve fare i conti con il rapporto di Gesù con gli uomini e le donne del suo tempo, con il suo stare in maniera libera dentro i parametri culturali dell'epoca, l'annuncio del Regno fatto con parole e comportamenti nuovi, relazioni nuove. Il Regno è già qui, e la compagnia dei discepoli che lo seguono si intreccia di continuo con un discepolato delle donne, che riemerge vistoso sotto la croce e nei giorni della risurrezione. Il corpo che Maria di Magdala non può toccare (Gv 20, 17) 14 perché è iniziato il tempo della gloria, è lo stesso che lei e molti altri hanno visto e toccato molte volte; altrimenti non avrebbero potuto essere salvati e non riuscirebbero a testimoniare ora (1 Gv 1).

Il Gesù-uomo è protagonista di relazioni che diventano spazio di salvezza con discepoli, malati, donne, maestri della legge e più in generale con tutti quelli che manifestavano sete di acqua viva (Gv 4). L'incontro non si limita ad una corrispondenza tra domande e risposte, sebbene posta al livello più profondo o a quello del senso; l'esistenza del corpo risorto non può essere trattenuta né riconosciuta nemmeno dai discepoli perché ormai si pone su un altro piano. Coloro che lo vedono dopo la pasqua e mangiano il pesce con Lui incontrano ormai l'"adorabile persona" di Gesù, relazione trasfigurata perché redenta dal sangue.15 Cristo è il nuovo Adamo, da cui esce la Chiesa, nuova Eva. Il sangue e l'acqua dicono ancora un principio duale: la fonte sacramentale della grazia consegnata alla chiesa, come nel gioco maschile-femminile della duplice consegna del discepolo alla madre e della madre al discepolo, divenuto figlio. Sono relazioni nuove: mia madre e i miei fratelli sono coloro che qui, sotto la croce, si riconoscono e fanno la pasqua, passano insieme verso altro e di più.

2.4. L'uomo nuovo in Cristo (antropologia)

«Si è dovuto universalizzare quella umanità di Gesù che è distinta dalla sua maschilità ma correlata con essa; una sua lettura cristocentrica non può che essere inclusiva, comprensiva cioè di un significato valido per tutti, uomini e donne; questa singolare umanità custodisce, infatti, il senso ultimo di ogni persona»16 è l'inizio di questa umanità nuova e la spiegazione di essa: «svela pienamente l'uomo all'uomo» (GS 22).

Dal passaggio precedente consegue una antropologia modulata su Cristo, uomo nuovo, uomo perfetto. Se lui è la matrice non ci può essere una antropologia che definisca l'uomo aprioristicamente o previamente a Lui (prima l'anthropos, poi il cristiano). Nella misura in cui la filosofia e le scienze umane ci aiutano a fondarlo, nemmeno si può pensare che l'elemento del genere possa rimanere sottointeso nella definizione di persona. «È in questione la costruzione del rapporto. L'esperienza del peccato che insidia tutte le situazioni umane, porta talvolta a credere questa costruzione impossibile più che difficile; la fede afferma che assume configurazione concreta in Cristo in cui la creazione diventa nuova».17

La prospettiva più chiara è quella di Paolo e, come per la teologia femminista, il passo maggiormente citato è Gal 3, 27-28: Cristo è colui che ha abbattuto il muro di separazione. Si tratta di un testo battesimale e comunque venga interpretato -- è evidente la tensione con i passaggi che raccomandano la sottomissione della donna -- dice che l'essere in Cristo deve produrre una modificazione dei rapporti. La nuova creazione conosce relazioni nuove (Gal 4, 4-6) e non accetta più di essere contenuta negli schemi precedenti: «se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove (2Cor 5, 17) ». Per limitare l'interpretazione al livello personale bisogna non conoscere le comunità paoline, l'apertura con cui l'apostolo non solo si dirige ai pagani, ma anche accoglie la molteplicità dei carismi che si manifestano come azione dello Spirito e da ultimo, come si libera lui, cresciuto alla scuola di Gamaliele, dell'eredità del popolo eletto innestando in quell'ulivo buono la novità di Cristo (Rm 11). Dall'uomo nuovo Cristo Gesù scaturisce una umanità nuova, che anzitutto relativizza le differenze, e poi riesce a dirigerle in avanti, verso qualcosa di maggiormente redento.

Galati 3 è anche il fondamento di una forma ecclesiologica più paritaria: «chiesa comunità/discepolato di eguali»18 della quale vorrei sottolineare l'aspetto simbolico, solitamente trascurato, che forse la teologia femminista ha evidenziato in direzione antimaschile e che diventerà importante a mano a mano che anche in Italia assumeremo il contesto di minoranza. Non solo ciascuno di noi è chiesa, ma ciascuno è simbolo della chiesa, la rappresenta, la mette in opera nel senso sociologico: costruisce delle rappresentazioni di chiesa e di Vangelo. Se è vero che il bambino che per la prima volta partecipa alla celebrazione dei misteri cristiani li riconosce presieduti e in parte raffigurati da un maschio (benché vestito diversamente), è altrettanto vero che ben pochi altri maschi ha fino ad allora sentito parlare di Gesù, e pochi probabilmente ne vedrà anche in quella messa domenicale -- come qualcuno le definisce -- «infantile, senile, o femminile». Il livello simbolico non appartiene solo ai ministri, c'è una mediazione che è diffusa che potrà trovare effettivi riconoscimenti ministeriali, ma che di fatto è già affidata alle donne. Nel dibattito sul ministero ordinato inviterei a tener presente anche questa funzione simbolica, di fatto molto più estesa ed efficace sulle rappresentazioni di chiesa, come si dà ad esempio nelle realtà «povere» della catechesi e della comunicazione della fede in famiglia, dove può accadere anche l'inverso: che il cristiano laico, adulto e maschio, sia così assente da diventare un presupposto teorico, quasi mai visto concretamente.

3. Ecclesiologia e maschile: la questione del potere nella chiesa

3.1. Maschile=giuridico?

È un tema sul quale c'era stata una riflessione teologica importante, anche se non compiuta.19 La libido dominandi sembra appartenere intrinsecamente alla libido maschile.20 Si può dire che i gender studies abbiano mosso i loro passi proprio partendo dalla disparità dei sessi, ricercando i meccanismi di dominio nelle varie culture e come si costruisca spesso un equilibrio tra chi detiene il potere, il prestigio o l'autorità e chi vi sottostà adorando, obbedendo, ma anche gestendo i propri spazi di autonomia. È quella che gli antropologi chiamano «la valenza differenziale dei sessi» e che sta alla base della «costruzione sociale del genere».21

In tutte le chiese esistono delle istituzioni che esprimono l'autorità, tuttavia la riflessione sul poteri (ordine, giurisdizione, sacramento) e la loro forma storica è stata lasciata in mano ai giuristi, che affermano di aver fatto di tutto per tradurre in norme l'ecclesiologia conciliare. L. Sartori però scriveva ancora nel '95: «mi sembra di notare indizi di sottovalutazione o addirittura di silenzio su alcuni testi fondamentali del Vaticano II, e la tendenza ad interpretazioni riduttive, per eccessivo amore di chiarezza».22 Il teologo padovano prosegue affermando che il concilio non usa mai lo schema oppositivo (potestas ordinis-jurisdictionis), mentre ripetutamente adopera quello partecipativo dei tria munera, applicato a tutti i fedeli, ai vescovi, ai laici, ai presbiteri, in contesto pastorale come in quello missionario. Munus è un termine di radice biblica, che dice il compito, ma anche il dono specifico di ciascuno, è più dovere che potere.

Ma può l'asimmetria tra i due generi proiettarsi su quella tra Dio e gli uomini e così legittimare una struttura dove qualcuno domina uno sull'altro o le decisioni vengono prese solo da pochi, per quanto ispirati, riproducendo così una violenza almeno simbolica?23 Il Vaticano II ha lasciato un po'insolute queste questioni pratiche, si è occupato dei grandi principi e della visione di chiesa, delegando l'elaborazione delle regole ed il funzionamento delle strutture alle norme del codice. La chiesa di quegli anni ha vissuto tutto l'urto della contestazione antiautoritaria, alla quale però non ha saputo reagire con l'elaborazione di dinamiche nuove, ma spiritualizzando, attenuando i toni e le differenze, accogliendo ad esempio il protagonismo femminile, che peraltro non era minore prima del concilio, anche se meno riconosciuto e libero. L'autorità ha comunque espresso la sua attitudine più maschile: fare, operare, rendere concreti gli ideali, dare indicazioni, senza mai parlare di potere, negando la questione sotto le spoglie del servizio e di una necessità fattuale. «Qualcuno lo deve fare, in fondo è un sacrificio farlo e comunque lo facciamo come un servizio».

Una delle prime cose che il movimento femminile comprende è la necessità della struttura istituzionale e di potere per la costruzione della vita sociale; non c'è relazione senza mediazione giuridica, legame. Non basta l'affetto o il sentimento, il carisma o il servizio, bisogna che questo sia riconosciuto da qualcuno, o da tutti, proprio per costruire un equilibrio di eguaglianza tra le disuguaglianze, una unità tra le diversità.

3.2. Un grembo ecclesiale

Costruire processi di partecipazione, prendersi il tempo di una gestazione delle riflessioni, lasciare oscillare e interagire gli elementi è però un processo troppo lungo, al quale si preferisce spesso la via più rapida verso le decisioni. Anche questo è molto maschile: il non sopportare le tensioni, il volere che al più presto si operi e ci si allinei tutti. Se una linea di dissenso si crea, questa rischia di diventare una frattura insanabile, perché l'autorità non fa il primo passo, ma semmai attende che il figlio prodigo ritorni. Non c'è morbidità, perché il conflitto viene rimosso, negato o spiritualizzato. Se non c'è potere non ci può essere nemmeno contestazione. Eppure nella chiesa, prima ancora del dissenso, dell'opinione pubblica o della ricerca teologica, fatica a trovare spazio la normale sperimentazione, quel procedimento di trial and error che appartiene alla ricerca moderna e che poi, di fatto, è d'obbligo in qualunque azione pastorale. Chiedere all'autorità di poter sperimentare qualcosa di nuovo in parrocchia, o in Facoltà, ecc. risulta subito sospetto. Ma le soluzioni adeguate non vengono rivelate direttamente, ma semmai mediate dalla prassi. Alcune realtà locali, come l'episcopato americano in occasione dei sul nucleare o sulla difesa della vita, lasciano maggiore gioco alla dialettica ecclesiale interna prima di intervenire, a costo di sopportare qualche tensione; si tratta di un atteggiamento anche più educativo, che fa crescere l'altro, anziché attendere sempre dall'alto una parola ispirata.

3.3. Il paternalismo ecclesiastico

Un secondo atteggiamento che credo sia piuttosto maschile nella chiesa, almeno a giudicare da quanto frequente è in ambito clericale, è quello dell'autorità che concede per benignità ciò che invece spetterebbe di diritto. È l'asimmetria che si veste di paternalismo, non accettando un rapporto alla pari. Perché lottare quando basta pregare un po', chiedere con insistenza? Conviene a tutti: è molto meno faticoso appellarsi alla bontà paterna o fare gli occhi dolci piuttosto che mettersi a discutere seriamente e stabilire quali sono le ragioni di entrambi. In questo dare-ricevere è mantenuta l'asimmetria ed il rapporto di dominio. «Perché negoziare un valore, concordare cosa ti spetta o ciò che sei, quando basta che tu me lo chieda per averlo? Fidati di me». In questo modo non c'è crescita responsabile, ma dipendenza continua ed esercizio dell'autorità. A livello morale è lo schema del «doppio binario»: affermare pubblicamente l'ideale più alto, disposti tuttavia ad ampia indulgenza privata per tutti quelli che sbagliano o non riescono ad adempierlo pienamente. Meglio indulgere nella condotta privata che negare pubblicamente un valore, si dice. L'alternativa potrebbe essere provare a ripensare la norma, adattarla o negoziarne le condizioni di praticabilità; perché a forza di allenarsi e crescere qualcuno potrebbe davvero raggiungere l'ideale.

Dietro questa scelta c'è nuovamente la questione del potere, ma c'è anche la diversità stessa, che genera sempre paura. L'altro è una minaccia che non sempre si può attaccare, a volte conviene blandire e portarlo dalla propria parte, così che disinneschi la sua diversità. Una società che azzera le diversità e le distanze è certamente meno conflittuale, dove tutti sono amiconi in partenza e si dà del tu perfino a Dio, ma sottointende anche parecchio specifico di ciascuno e perde per strada più di qualche ricchezza. Anche senza fare cortocircuiti metafisici, ma se Dio diventa come uno di noi cosa ce ne facciamo di Lui? E se ogni diversità o follia diventa norma a se stessa qual è la vita buona e su quali basi vivere assieme?

3.4. Il servizio è di tutti

Inoltre va detto che l'appello all'autorità vissuta come servizio è vero, ma parziale. Anche il concilio lo afferma in LG 18 e 24, usando addirittura il termine diakonia per ricordare ai pastori che il loro è un vero servizio. Se la chiesa è in Cristo come sacramento, anche la sua forma istituzionale deve rispecchiare questo e non essere isolata da quella carismatica o sacramentale, che ha proporzioni più vaste. Ma questo non vale solo per l'autorità, per l'istituzione o per il maschile. Gesù ha dato il servizio reciproco come regola per tutti i suoi discepoli, non solo per gli apostoli o per quelli che hanno ruoli di rilievo. «Lavatevi i piedi gli uni gli altri... Da questo vi riconosceranno». Il servizio non è una via migliore per coloro che sono chiamati ad una maggiore perfezione o responsabilità; è semplicemente la via di tutti, perché è l'unica, perché è la Sua: «io sono in mezzo a voi come colui che serve». «quando avrete fatto tutto quello che dovete fare dite, "siamo servi inutili"». Il vescovo è a servizio del suo popolo, ma anche viceversa; il marito è a servizio della moglie, la ama come Cristo ha amato la chiesa (Ef 5) cioè dando la vita per lei. Non risolviamo la questione dell'autorità spiritualizzandola, ma semmai pensando, provando dei modelli di famiglia, di comunità che mettano in pratica il servizio che ci rendiamo gli uni gli altri, su un piano paritetico anzitutto. Perché non si risolverà sul piano spirituale ciò che non funziona sul piano reale, umano.

3.5. Un pensiero che funzioni

Così ci possono essere molte immagini di chiesa che ci danno ispirazione e ci aiutano, ma ciò che poi dovremo costruire -- perché in esso giochiamo le nostre relazioni e la sua stessa sacramentalità -- è una chiesa che funzioni come tale, che possa ospitare in maniera trasparente la proposta di salvezza che Dio fa agli uomini.24 La fuga nello spirituale o nel simbolico non ci aiuta in questo. Non basta che ci sia l'amore: bisogna che l'amore funzioni. Una relazione deve funzionare, un matrimonio, una parrocchia, devono poter manifestare ciò che contengono e celebrano, e questo può anche sopportare qualche tensione o asimmetria, ma non può costruirsi istituzionalmente asimmetrica perché diventa ingiusta e alla lunga insopportabile, finendo per sottomettere qualcuno agli altri. Certamente l'amore tutto sopporta, comprese le asimmetrie, inserendole nella logica della croce; funzionare non vuol dire essere sempre vincente, ma l'amore non sopporta di infliggere all'altro delle croci e di farlo magari in maniera sistemica, istituzionale. «Cristo assunse la condizione di servo e per questo Dio lo ha esaltato sopra ogni creatura» (Fil 2, 6-11). Colui che è uguale a Dio annulla l'asimmetria per farsi uguale agli uomini: «svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2, 7): è una perdita di identità anche sociale, perché il servo è l'ultimo gradino della società (qui è doulou, non diakonos). Colui che è pari a Dio non considera un privilegio la sua identità, ma la svuota per essere pari agli uomini, prende la condizione dell'altro che culmina nella morte in croce. Per questo Dio lo «sovraesalta», perché è partito da un atteggiamento negativo: «non considerò... umiliò se stesso». Nega la propria identità per ritrovarla dopo averla donata. Nella lettura di Paolo c'è una totale immersione nella storia umana, senza privilegi e fino al punto più basso, per poter vivere al massimo la fedeltà solidale con gli uomini e con il disegno di Dio. Essa riesce a coinvolgere Dio a tal punto che Lui lo riscatta e lo esalta. «Gesù apre per l'uomo una via alternativa all'esaltazione di sé anche davanti alla morte, che è il potere. L'uomo realizzato, nonostante il limite e la morte, è colui che vive, nella solidarietà fedele con gli altri uomini, la relazione fondamentale con Dio. Il Padre, origine e meta di tutti gli esseri».25

3.6. Formare a un maschile amicale

A livello ecclesiologico si può parlare di sinodalità, di partecipazione, di corresponsabilità, di comunionalità; sono tutti termini che dicono il recupero possibile di un procedere meno isolato dell'autorità; ma possono anche diventare delle maschere che lasciano tutto come prima. Per questo è importante portare il cambiamento più in profondità e farlo funzionare. Non interessa tanto un singolo evento partecipativo, ma dar vita ad uno stile che ascolti e condivida di più, sempre.

Da ultimo parlare di potere dopo lo scandalo pedofilia è davvero difficile, non possiamo fare discussioni astratte quando c'è qualcuno che soffre. Quella vicenda è proprio il frutto del connubio tra perversione e potere; se delle prime ve ne saranno sempre, soprattutto in una cultura che sposta sempre più avanti il limite, quello che non può più accadere è che vi sia un dominio e una sottomissione di quel tipo. La cultura è cambiata, l'antiautoritarismo ha prodotto il positivo di una maggiore vicinanza tra persone, il prete non è più l'autorità sacrale per i fanciulli e i giovani, ma «il don», l'amico a cui ci si rivolge, ma dal quale anche ci si stacca con facilità. Lo stesso modello paterno è diventato più morbido ed amicale. Questo forse non stimola la contrapposizione e quindi la costruzione di identità giovanili forti, ma forse ci darà famiglie meno litigiose, rapporti più paritetici e autorevolezza al posto dell'autorità. Un discorso sul maschile deve contribuire anche a questo, che forse non ne costituisce la radice filosofica, ma è il feriale dell'esistenza umana e cristiana, analogamente al problema parallelo della violenza sulle donne, che è una violenza maschile. In nessun caso possiamo chiuderci gli occhi: «misurarsi con la violenza è misurarsi con questa miseria per tentare di scoprire lo spazio per una diversa esperienza del corpo maschile da parte degli uomini e quindi nelle loro relazioni con le donne».26

Questo però dovrebbe aver abbattuto le ultime macerie di una condizione di separatezza che permane come metodo educativo nella chiesa. È ancora pensabile che vi siano itinerari formativi globali (ad esempio di candidati al sacerdozio) che non prevedono una normale interazione con figure e modelli di vita femminili? È possibile che vi siano ancora comunità monosessuali, soprattutto nella fase dell'adolescenza e della giovinezza, quando avviene la costruzione della personalità ed è maggiore la fatica dell'identificazione? Nella chiesa italiana sembra accadere l'esatto opposto della società civile, dove la professionalità educativa e della cura è ormai tutta femminile (insegnanti, psicologhe, assistenti sociali, medici, infermiere), con un evidente sbilanciamento che purtroppo non esprime altrettanta stima sociale. Se in questi ambiti vitali le donne scioperassero bloccherebbero tutto, come in Aristofane le donne greche scioperano dal letto dei loro mariti.27 Non credo sia un caso che gli unici monasteri e congregazioni religiose in aumento in europa siano quelli dove uomini e donne, ma anche famiglie e sacerdoti, vivono lo stesso ideale? Ai questi motivi psicologici e pedagogici si somma anche il rischio accennato, che la struttura monosessuale e carismatica riproduca meccanismi di potere che ingabbiano la persona in una struttura -- almeno mentale -- paramilitare.

3.7. L'apertura al gratuito

La perdita del potere temporale rappresenta un passaggio paradigmatico per la chiesa: anche se permane la tentazione continua di costruire alleanze e sorreggersi su strutture esterne, l'annuncio evangelico è sfidato a dire il proprio specifico nella libertà e nella gratuità, a mostrare la «differenza cristiana» in modo disinteressato. Questo significa perdere ogni violenza, eliminare ogni asimmetria, cominciando da un atto di fede nell'altro, che non ha bisogno di me per realizzare se stesso. Nessuna complementarietà tra le persone implica inadeguatezza. Ogni uomo e donna porta in sé ragioni sufficienti per vivere. Quante donne si realizzano senza uomini, quanti figli senza padre, quanti uomini e donne diventano crescono senza la fede, e non per questo sono forzatamente limitati o patologici. Non è accostandoli con il rimprovero paternalistico o con malcelato rancore che provocherò la loro coscienza e preparerò il Vangelo, ma semmai con l'abbassamento nella forma del servo, con la proposta libera di ciò che sono e che credo, fatta in modo sorprendente, proprio perché gratuita, non necessitata né richiesta. Riconosco che l'eccesso di libertà fa paura, induce al soggettivismo, chiede che si diano delle regole, porta ad irrigidirsi e inevitabilmente si ripara con la forza, con il senso del dovere, pure posto a fin di bene e in nome di Dio. Credo tuttavia che sul dovere e sui precetti abbiamo già giocato tutte le nostre carte. È tempo di rischiare il gratuito.28

Il potere incarnato dal maschile nella chiesa avrebbe forse bisogno di aprirsi al gratuito anche femminile, non perché senza si muore, ma perché assieme si è più ricchi. Questo riguarda anche la questione del ministero: anche qui la differenza è sostanziale e proviene dalla questione del potere e da una radice rivendicativa. Se il ministero fosse stato svuotato di autorità non lo avrebbero chiesto né le donne né gli uomini.

4. Alterità e differenza, complementarietà e alleanza

4.1. La scomparsa del prossimo

«Ci siamo smarriti. Si sono smarriti i maschi -- intelligenti -- che hanno perduto la sicurezza di essere al loro posto, e si sono smarrite le donne che hanno pensato che una buona vendetta le avrebbe ripagate di millenni di umiliazioni».29 A conclusione del percorso sono questi i termini più frequenti: alterità, differenza, reciprocità, ricchezza della diversità, essere di stimolo l'uno all'altro, custodire qualcosa che all'altro manca, farsene dono nella libertà, ecc.

Sono tutte cose importanti che ho tralasciato nella ricerca di uno specifico maschile. Oltre a condividerle tempo vorrei fare un passo in avanti: perché la differenza non può diventare complicità? Perché la minore competitività interna non può diventare una migliore difesa dall'esterno? Perché non è che manchino i nemici, tanto degli uomini quanto delle donne. Basta guardare le vicende di un istituto come la famiglia o la vita stessa, oggetti di qualcosa di più di un disinteresse politico e sociale, ma di vero fastidio culturale, di un livore, di un gusto nel veder fallire ogni ideale e impegno duraturo. Questo è una ragione di alleanza, ma ce n'è una ancora previa che è la mancanza dell'altro. Mentre stiamo a discutere sulla nostra differenza è proprio scomparso l'altro come persona, come fratello o sorella, per lasciare il posto soltanto all'individualismo, che è radicale chiusura.

Luigi Zoja così scrive nel suo saggio La morte del prossimo: «Per millenni un doppio comandamento ha retto la morale ebraico-cristiana: ama Dio e ama il prossimo tuo come te stesso. Alla fine dell'Ottocento, Nietszche ha annunciato: Dio è morto. Passato anche il Novecento, non è tempo di dire quello che tutti vediamo? È morto anche il prossimo. Abbiamo perso anche la seconda parte del comandamento perché sappiamo sempre meno di cosa parliamo. «Il tuo prossimo» è una cosa molto semplice: la persona che vedi, senti, puoi toccare».30 Questo elemento di vicinanza sembra oggi essere rifiutato, anche questo con uno stile molto maschile, che rifugge il contatto fisico, l'eccessiva confidenza delle persone. La vicinanza è temuta, le comunicazioni sono virtuali, ma c'è poco spazio per l'incontro e quando avviene non mette in gioco. Inoltre, comunicando poco, non si litiga più abbastanza: nel silenzio i rancori diventano fossati incolmabili.

4.2. Un'amabile differenza

Dio ha benedetto Maria «tra tutte le donne», l'ha scelta tra infinite altre senza razionali motivazioni, come fa ogni uomo che si innamora. Lo sguardo di Dio è maschile, perché l'innamoramento è un sentimento esclusivo che scatta per una persona sola. Quel sentimento genera un «fare» di Dio, che è ancora maschile, principio di fecondità, un «lasciar fare» allo Spirito.

Il primo servizio che le donne e gli uomini si devono rendere è quello di una amabile differenza, della prima alterità che mi attrae, pur disturbandomi come tutte le altre e che per questo manda in crisi la mia coerenza. Come potrò mai amare il fratello, come Gesù comanda, se nessun fratello risulta per me amabile, se tutti pensano sempre e solo a se stessi e mi consigliano di fare altrettanto. L'alternativa sessuale attraente, a qualunque genere appartenga, mi stana dal mio isolamento. È una delle poche speranze che abbiamo di non finire rinchiusi dentro i nostri splendidi isolamenti.

Per noi credenti l'altro, il fratello (e la sorella) è anche la via della nostra carità e della nostra fede. Chiara Lubich commenta spesso la frase di Gesù «chi vuole essere mio discepolo prenda la sua croce e mi segua». La croce non va cercata lontano, dice Chiara: «Dove trovare la nostra tipica croce, croce particolare? Negli uomini, nei nostri fratelli e sorelle disuniti da Dio e tra loro. Sono, infatti, gli uomini, con tutto il loro bagaglio di abbandono, la particolare croce che il Signore ci chiede di portare. Ponendo quella in spalla giorno per giorno, abbiamo accesso alla sequela di Gesù. Altrimenti per noi questa avventura è chiusa...».31

Qualche volta noi uomini siamo davvero la croce per le donne e viceversa. Ce lo diciamo spesso scherzando, ma questa è invece la verità e la strada della nostra santificazione. Per questo la nostra reciprocità diventa alleanza: insieme possiamo liberare il mondo da ciò che lo soffoca, che è proprio l'individualismo e l'alterità percepita come nemica.

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Note

  1. B. Antonini, Sull'identità maschile e femminile, in C. Militello (cur.), Che differenza c'è?, SEI, Torino 1996, 72. Testo

  2. Cito solo due recenti romanzi: Accabbadora di M. Murgia (Einaudi, Torino 2009) e E' nata una star di N. Hornby (Guanda, Parma 2010): la prima storia affonda nella sardegna arcaica per agganciare i temi attuali del fine-vita, mentre la seconda racconta con leggerezza una famiglia ravvivata dalla scoperta delle doti sessuali nascoste del proprio figlio. Entrambe descrivono solo i movimenti dell'animo femminile, diversamente inconsueti, con pochi fatti e figure maschili deboli, perdenti. Testo

  3. R. Bodei, Destini personali. L'età della colonizzazione delle coscienze, Feltrinelli, Milano 2009, 69; nello stesso testo interessanti le pp. 179-183 dedicate al pensiero di Simmel sul femminile e la differenza di genere. Testo

  4. F. La Cecla, Modi bruschi. Antropologia del maschio, Elèuthera, Cremona 2010, 18. Testo

  5. M.T. Porcile Santiso, Uomo-donna: prospettive antropologiche e teologiche, in: C. Militello (cur.), Che differenza c'è? Fondamenti antropologici e teologici della identità femminile e maschile, Sei, Torino 1996, 143. Testo

  6. G. Colzani, o.c., 102 Testo

  7. R. Guardini, Il significato del dogma del Dio trinitario per la vita etica della comunità, in: Scritti politici, Opera Omnia VI, Brescia, Morcelliana 20058, cit. in A. Scola, Buone ragioni per la vita in comune, Rizzoli, Milano 2010, 34. Testo

  8. Cfr. G. Ziviani, I nomi femminili per dire Dio, in: Convivium Assisiense 11 (2009) 1, 77-103. Testo

  9. A livello di antropologia culturale la forma simbolica del maschile, rappresentato dall'uomo dimezzato visto di profilo, è presente in moltissime raffigurazioni di culture antiche. F. Héritier lo accosta al mito platonico dell'essere umano per punizione indebolito e diviso nei due sessi, «e meno male che poi ci si è comportati bene -- commenta Aristofane- altrimenti saremmo tagliati in due lungo la linea del naso«, F. Héritier, o.c., 124-125. Testo

  10. Per Bordieau è addirittura necessario passare attraverso il confronto con un'altra tradizione (nel suo caso i berberi di Cabilia) per «spezzare il nesso di familiarità ingannevole che ci unisce alla nostra»: P. Bordieau, Il domino maschile, Feltrinelli, Milano 2009. Testo

  11. B. Antonini, Sull'identità maschile e femminile, in C. Militello (cur.), Che differenza c'è?, SEI, Torino 1996, 67. Testo

  12. Cfr. L. Muraro, L'ordine simbolico della madre, Ed. Riuniti, Roma 2006, 73-88; J.-L. Marion, Dato che. Saggio per una fenomenologia della donazione, SEI, Torino 2001. Una rassegna di approcci in: L. Coccoli, Differenza maschile, differenza sessuale, in www.diotimafilosofe.it/down.php?t=3&id=246 (sito consultato il 2 dicembre 2010). Testo

  13. Scegliere questa caratteristica come necessaria per il ministero è fare cortocircuito, innestandolo solamente in persona Christi (come se non fosse maggiore la differenza rispetto alla somiglianza) e non anche in persona ecclesiae. Testo

  14. Rimando al bel romanzo tutto incentrato sulle donne della Passione: G. Marinelli, Non vi amerò per sempre, Bompiani, Milano 2008. Testo

  15. L. Coccoli a proposito del «noli me tangere» individua una tendenza maschile allo svilimento del tattile e a produrre messaggi autoreferenziali, a contenuto astratto, cfr. L. Coccoli, o. c., 8, www.diotimafilosofe.it/down.php?t=3&id=246 (sito consultato il 2 dicembre 2010) Testo

  16. G. Colzani, Nel contesto della reciprocità. Pensare con parrhesia la maschilità, in Non contristate lo Spirito. Prospettive di genere e teologia, Il Segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano 2007, 93. Testo

  17. D.Mongillo, Identità maschile e femminile; rilievi teologici, in C. Militello (cur.), Che differenza c'è?, 240. Testo

  18. S. Noceti, Pensare la chiesa in prospettiva di genere, in Non contristate lo Spirito, 193. Testo

  19. Cfr. H. Küng, La chiesa, Queriniana, Brescia 1969; L. Boff, Chiesa, carisma e potere, Borla, Roma 1986; J. Ratzinger-H. Maier, Democrazia nella chiesa. Possibilità e limiti, Queriniana, Bescia 2005; L. Sartori, Struttura di potere giuridico e carismi nella comunità cristiana, in: Concilium 13 (1977) 9, 90-104. Testo

  20. P. Bordieau, o. c., 30. Esiste anche una libido sciendi... il dominio attraverso la conoscenza. Testo

  21. Cfr, F. Hériter, Maschile e femminile. Il pensiero della differenza, Laterza, Roma-Bari 2010. Testo

  22. L. Sartori, Potere e consenso, ora in: Id., Il gusto della verità, I.S.E. San Bernardino, Venezia 2008, 399. Testo

  23. «La violenza simbolica si istituisce tramite l'adesione che il dominato non può non accordare al dominante quando, per pensarlo e per pensarsi, o meglio, per pensare il suo rapporto con il dominante, dispone soltanto di strumenti di conoscenza che ha in comune con lui e che, essendo semplicemente la forma incorporata del rapporto di dominio, fanno apparire questo rapporto come naturale»: P. Bordieau, o.c., 45. Testo

  24. Anche per l'identità sessuale si parla di un funzionamento, di una pratica che diventa habitus (Bordieu), di tecnica del sé (Foucault), una condizione che diventa facoltà. Testo

  25. R. Fabris, Assunse la condizione di servo. Cristologia e potere, PSV 51 (2005) 167. Testo

  26. S. Ciccone, Essere maschi. Tra potere e libertà, Rosenberg & Sellier, Torino 2009, 31. Il volume citato raccoglie le riflessioni di un gruppo di ricerca maschile a partire dalla violenza sulle donne; essa è rintracciabile sul sito: http://www.maschileplurale.it. Testo

  27. Cfr. Aristofane, Lisistrata. Tutte le donne elleniche, convinte dall'ateniese Lisistrata, fanno lo sciopero del sesso volendo ricattare gli uomini affinché pongano fine all'interminabile guerra del Peloponneso che travagliava la Grecia. Riescono nel loro intento, ma gli uomini non riconosceranno loro il merito del progetto politico. Aristofane rappresenta gli uomini come deboli e privi di progettualità politica, mentre Lisistrata propone la sostituzione dei valori politici e sociali con quelli intimi e familiari.  Testo

  28. Cfr. E. Biemmi, La via italiana al cambiamento, in: G. Ziviani-G. Barbon, La catechesi ad un nuovo bivio?, Messaggero, Padova 2010, 81-84. Testo

  29. F. La Cecla, o.c., 23. Testo

  30. L. Zoia, La morte del prossimo, Einaudi, Torino 2009, 3. Testo

  31. Cit. in M. Vandeleene, Io, il fratello, Dio nel pensiero di Chiara Lubich, Città Nuova, Roma 1999. 282. Testo