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Questioni e prospettive emergenti dell'epistemologia teologica

di Lubomir Zak (10 settembre 2005)

Epistéme von epístamai=ephístamai ich bleibe stehen. Der Verstand ist nicht als die zum Stehen gebrachte Urpotenz, das aus der Bewegung zurückgekommene, nun sich selbst besitzende Prinzip der Bewegung.

F.W.J. Schelling, Philosophie der Offenbarung

Il metodo non è un insieme di regole proposte perché uno stupido le segua meticolosamente. È una struttura in vista di una creatività in collaborazione.

B. Lonergan, Il metodo in Teologia

1. Introduzione

Ormai molto è stato scritto sul rapporto tra teologia ed epistemologia, e sono altrettanto numerose le pubblicazioni che attestano il costante interesse per questo tema.1 Si tratta, certo, di un tema di per sé molto ampio. Le prospettive e le vie del suo approfondimento si estendono da una riflessione generale sul significato dell'epistemologia per la teologia, legata a quella sullo statuto epistemico della teologia in quanto tale, fino alle riflessioni sulle questioni specifiche, riguardanti sia i metodi e i linguaggi della teologia in generale, sia lo statuto, il metodo e il linguaggio delle singole discipline teologiche. Una simile estensione apre un 'cantiere' di riflessione epistemologica di vaste proporzioni e in molteplici settori, ma soprattutto in costante e inarrestabile evoluzione.

È inutile ricordare che l'introduzione del discorso epistemologico nel mondo della teologia non è per niente un'esigenza dei tempi moderni. Nonostante, infatti, la presenza di tale discorso diventi determinante in modo particolare a seguito dello straordinario sviluppo della scienza nell'800 e nel '900, le questioni epistemologiche iniziano a far parte della riflessione teologica ancora prima che vengano intavolate in modo esplicito con la comparsa, nel Medioevo, del concetto aristotelico di scientia. Cosa importante è che la ricerca di soluzioni a tali questioni si pone e viene declinata in organica connessione con la definizione dello statuto della teologia stessa. Definizione che, in realtà, rappresenta un permanente procedimento di messa a fuoco della propria identità e della propria missione sia religiosa, come teologia cristiana, che confessionale, incorporato in un processo generale sempre più accelerato soprattutto nei tempi moderni che investe tutta la Chiesa chiamata ad una costante ridefinizione della propria identità/missione per mezzo di un confronto incessante con i nuovi 'segni dei tempi', legati al progressivo cambiamento dei paradigmi culturali, sociali ed economico-politici. Ovviamente, si tratta di un processo che interessa la teologia tout court, invitandola a trattare temi nuovi e a elaborare prospettive originali di riflessione sistematica. Tuttavia, esso rappresenta in primo luogo uno stimolo e una sfida per l'epistemologia teologica.

Quando dico 'l'epistemologia teologica', mi rendo conto della complessità del settore che questo termine indica: sia per la differenza degli approcci alle questioni epistemologiche, dettata dalle differenze tra le teologie confessionali; sia per le specialistiche elaborazioni di tali questioni, legate al processo di costituzione della specifica identità delle singole discipline teologiche, ognuna delle quali viene caratterizzata dalle particolari scelte e preferenze di natura non solo tematica, ma prima di tutto epistemica. Tutto ciò spiega perché la mia presentazione del tema indicato dal titolo del saggio, deve necessariamente abbandonare ogni pretesa di esaustività. Rinunciando, inoltre, al tentativo di addentrarmi nei meandri delle specifiche questioni epistemologiche dell'una o dell'altra disciplina teologica cercherò, invece, di individuare e di esaminare, seppure in modo molto sintetico, alcuni 'movimenti' rinvenibili attualmente nella mappa generale dell'epistemologia teologica; quelli, cioè, legati alle aree di maggiore attività sul piano del metodo, del linguaggio, e così via. Una di tali aree, di fondamentale importanza, è contrassegnata dal rapporto, di illimitate variazioni, tra filosofia e teologia. Un'altra, invece, è determinata dalle coordinate del contesto che oggi gioca un ruolo sempre più determinante nella ricerca dei nuovi metodi e dei nuovi linguaggi della teologia. Di entrambe le aree mi occuperò nella prima parte del saggio. Nella seconda parte, poi, accennerò ai possibili percorsi di sviluppo della riflessione epistemologica in teologia, ispirandomi ad alcune delle più recenti elaborazioni dell'epistemologia della scienza.

2. Tra filosofie e contesti

Se con epistemologia s'intende, nella terminologia corrente, «l'indagine critica intorno ai presupposti, alla struttura, ai metodi della scienza e ai problemi delle singole discipline»,2 il significato del termine prende una piega specifica appena ad esso si aggiunge l'aggettivo 'teologica'. In questo caso, infatti, esso riguarda una scienza con tratti quanto mai particolari: la sua logica si fonda sull'esercizio della ratio fide illustrata, la sua criteriologia è determinata dalla collocazione esclusivamente ecclesiale, le sue 'teorie' richiedono un livello di comprensione esistenziale e, persino, spirituale. La percezione di un simile status scientifico rappresenta per la teologia una sfida, recepita dai teologi come invito di ridefinirne l'identità epistemica nella prospettiva unitaria di molteplici relazioni tra quelle che sono le 'istanze' chiave della fondazione, della trasmissione e della valutazione critica del pensiero teologico. La teoria dei loci theologici di Cano è indubbiamente uno dei tentativi più celebri e più ambiziosi di una simile ridefinizione, rivisitato e riproposto anche oggi, proprio per la sua attenzione alla complessità epistemica della teologia.3 Complessità alla quale prendono parte anche la ratio humana e la philosophia, due loci indispensabili alla composizione epistemica della teologia cristiana.

Oggi è più che mai evidente che il rapporto tra filosofia e teologia rappresenta uno degli elementi più centrali e più determinanti dell'intero sistema dell'epistemologia teologica. È forse anche per questa ragione che molti filosofi e teologi accolsero con interesse la Fides et ratio di Giovanni Paolo II, dando spazio ad un ampio dibattito sul tema proposto dall'enciclica. Resta il fatto che alcuni dei recenti sviluppi di natura epistemologica, rinvenibili nel mondo della teologia, sono frutto di una precisa scelta proprio sul piano filosofico. E ciò vale anche per la teologia ortodossa, nonostante, nel suo caso, tale scelta implichi la rinuncia al dialogo con la filosofia moderna e contemporanea, fatta con la convinzione della totale incompatibilità di quest'ultima con la riflessione teologica. Le conseguenze di una simile presa di posizione si vedono oggi soprattutto nelle opere degli autori russi e greci, i quali tradizionalmente dettano il passo dello sviluppo della teologia ortodossa, sviluppo che, bisogna ricordarlo, viene contraddetto dalle scelte compiute nel passato da numerosi teologi ortodossi, tra i quali, nell'ambito russo, i cosiddetti slavofili e i loro diretti o indiretti seguaci (P.A. Florenskij, S.N. Bulgakov...). Le ripercussioni, per la teologia ortodossa contemporanea, della rinuncia alla filosofia sono varie. Ad esempio, l'allontanamento -- denunciato in alcune occasioni anche dal metropolita Filaret, presidente della Commissione Teologica Sinodale (CTS) del Patriarcato di Mosca4 -- della riflessione teologica da una logica speculativa, tendenza che intende identificare la teologia con la sola dogmatica di natura apologetica. Oppure, la sfiducia nei confronti del metodo storico-critico e dell'ermeneutica in generale, considerando legittimi e, perciò, 'canonici' solo i metodi d'interpretazione rinvenibili nelle opere dei Padri greci; il che, di conseguenza, porta a rifiutare in modo radicale l'idea di un pluralismo teologico, giudicando l'autenticità della teologia nel suo corrispondere ad un unico modello 'canonico' del teologare: quello patristico, appunto. Vi sono, comunque, almeno nel mondo della teologia russa, dei primi segnali di cambiamento, legati all'attività della CTS.5 Difficile, comunque, prevedere quando essi porteranno la teologia ortodossa verso le prime elaborazioni di un serio ripensamento delle questioni epistemologiche, a lungo sottovalutate e lasciate in disparte con la pretesa di liberare la riflessione teologica dal razionalismo occidentale e dalla sua presunta 'scientificità'.6

Fuori dalle mura del mondo ortodosso la situazione appare molto diversa, in quanto proprio il dialogo con la filosofia influisce qui sulle più recenti proposte elaborate nel campo dell'epistemologia teologica, come ad esempio su quelle della Process Theology, ispirata alle intuizioni filosofiche di A.N. Whitehead e presente soprattutto nel mondo angloamericano. Pur trattandosi di un fenomeno molto variegato, la Process Theology rivela la sua proposta epistemologica in modo particolare negli scritti di J.B. Cobb (Jr), D.R. Griffin e S.M. Odgen, ognuno dei quali ne elabora una propria tipologia teorica.7 I tratti comuni di tale proposta sono: la tematizzazione dell'identità processuale del tempo e della storia come punto di partenza della riflessione teologica; la centralità e l'autonomia dell'istanza antropologica, della categoria di soggettività processuale e del metodo empirico quali unica via verso un sapere possibile; il riferimento a un'ontologia 'debole' dell'evento, intesa, cioè, come ontologia non dell'essere, ma dell'essere-ordinato. Nonostante rimanga aperta la questione dell'attendibilità della ricezione della filosofia di Whitehead da parte dei protagonisti della Process Theology, sembra che questi abbiano ormai esaurito le loro proposte epistemologiche più innovative. Ciò non si può dire, invece, dei teologi in dialogo con il decostruzionismo di J. Derrida e con la fenomenologia francese.

Vi sono, certo, molti settori del dialogo, ampiamente strutturato, tra filosofia e teologia -- tra cui quello della rivalutazione critica della svolta ermeneutica,8 oppure quello del dialogo con la tradizione analitica, da Frege in poi (Dummett e Quine) -- che hanno una notevole importanza per l'epistemologia teologica. Appare tuttavia evidente che l'orientamento della teologia verso la filosofia francese poststrutturalista ne rappresenta uno dei settori attualmente più influenti. In realtà, il riferimento a Derrida e alla sua teoria del linguaggio9 viene fatto, da molti teologi, nel senso di un ulteriore approfondimento della teoria del linguaggio di Wittgenstein. Oltre ad una non condivisibile rinuncia alla metafisica, questo orientamento propone un'idea fin troppo ridotta della teologia, definendola una grammatica: sia delle forme linguistiche e culturali della fede cristiana (G.A. Lindbeck, I.U. Dalferth, U. Barth...) sia della Sacra Scrittura (O. Bayer...). Forse la controversa proposta del luterano Lindbeck, autore di The nature of Doctrine: Religion and Theology in a Postliberal Age (1984),10 ne rappresenta una delle realizzazioni più discusse, e ciò anche per i risvolti sul piano epistemologico determinati dalla centralità praticamente assoluta del testo scritturistico: se, cioè, la teologia diventa una grammatica del linguaggio della fede, questo deve a sua volta rimandare al testo della Bibbia, dal quale deriva e che ne offre le regole del 'gioco'. Secondo Lindbeck, l'identità della teologia cristiana e dei suoi metodi deve essere determinata non dalla referenzialità nei confronti del dato storico o dell'esperienza antropologica, ma primariamente dal linguaggio della fede quale emerge dalla Scrittura, unico fattore oggettivo di natura anche epistemica. Di conseguenza, basta che la teologia, rinunciando ad essere teorica, diventi descrittiva, ossia intratestuale, imparando a trarre dal testo biblico la griglia ermeneutica per interpretare la realtà della fede.

Quanto al riferimento alla fenomenologia, la sua diffusione nel mondo teologico, compreso quello italiano, è oggi molto ampia e ben consolidata. Il fatto è che attualmente gli interlocutori preferiti della teologia sono in modo particolare i fenomenologi francesi della cosiddetta 'tournant théologique' (D. Janicaud), tra i quali E. Lévinas, J. -L. Marion e M. Henry.11 Forse gli stimoli più determinanti per l'epistemologia arrivano dall'autore del Dieu sans l'être, sempre più recepito nel mondo teologico europeo e angloamericano. Essi riguardano l'apertura della teologia -- non solo tematica, ma prima di tutto epistemica -- alla prospettiva simbolico-estetica e liturgica, suggerendo una rivalutazione positiva delle istanze epistemiche della teologia negativa. Non mancano comunque i teologi che, pur cogliendo gli stimoli della fenomenologia francese, ne mettono in rilievo i limiti, che, secondo alcuni, vanno necessariamente corretti, affinché questa corrente filosofica possa dare un effettivo contributo alla rifondazione dell'epistemologia teologica. Parlo di J. Milbank, spiritus rector della Radical Orthodoxy,12 movimento della teologia angloamericana nato negli anni '80. Tralasciando le critiche di Milbank, e dei suoi più stretti collaboratori (C. Pickstock, G. Ward, Ph. Blond), alla modernità -- fatte alla luce dell'idea della theo-logia e theo-prassi della partecipazione, ossia della reale partecipazione di Dio alla realtà creata --, è interessante notare la radicale svolta del movimento verso la premodernità, con risvolti anche epistemologici. Prima di tutto, il ripristino dell'ideale agostiniano della conoscenza quale sguardo unitario di scienza/sapienza sulla realtà. Aderendo ad esso, la teologia deve non solo superare il divario tra fede e ragione, ma, dato che ogni scienza e ogni sapienza sono possibili solamente grazie all'illuminazione divina, essa, come scienza/sapienza rivolta verso Dio e verso la sua azione economica, deve avere un ruolo guida nel mondo delle scienze naturali, della filosofia, della cultura, dell'arte e della società in generale. Lo statuto della teologia come scienza, dunque, va radicalmente ripensato. Si capisce, inoltre, che la prospettiva olistica di tipo platonico-agostiniano, adottata dal gruppo di Milbank, tende a ripristinare la centralità dell'orizzonte ontologico proponendo una 'ontologia trinitaria della pace'. Questa, però, non deve essere compresa come un'ontologia speculativa, ma ve intesa come intimamente legata alla realtà fenomenica, spazio della presenza e dell'azione di Dio nel mondo. L'ontologia e la fenomenologia, la materia e lo spirito, l'ideale e il reale, tutto ciò va compreso, secondo la Radical Orthodoxy, nella prospettiva della partecipazione, ossia delle molteplici relazioni di una mediazione reale tra le due 'sfere'. Secondo Milbank, sono proprio tali relazioni ad essere state tralasciate dai fenomenologi francesi, in nome di una concezione fin troppo formale (di tipo neocartesiano) di Dio e della Sua Rivelazione. L'ambizioso progetto della rifondazione dell'epistemologia teologica dei 'radicali' è stato avviato, senza tuttavia esaurire ancora le sue potenzialità. Esso deve però affrontare numerose critiche che, ad esempio, denunciano la sua radicale tendenza 'teocratica', poco propensa a salvaguardare i valori della libertà e dell'autonomia.

È vero che questi e gli altri esempi del dialogo tra teologia e filosofia non possono essere considerati gli unici fautori dei 'movimenti', innovativi o meno, rinvenibili attualmente nella mappa globale dell'epistemologia teologica. Tanto meno lo sono i dibattiti, sempre in corso negli ambienti universitari, attorno allo status scientifico della teologia, tipici dell'area tedesca, mitteleuropea o nordamericana. Vi è, infatti, un altro fautore ancora, quello del contesto, che oggi inizia ad emergere sempre di più come uno dei più significativi, facendo intuire la sua crescente importanza per la futura teologia: il 'contesto', compreso prima di tutto nel senso più specifico della parola, riguardante l'area femminista, socio-politica (le teologie della liberazione latino-americane, africane, asiatiche13...) ed ecologica del teologare. Soprattutto la prima, ormai presente in tutti i continenti e ricca di valide opere di alto livello,14 si rivela un'area contrassegnata da innovative proposte di natura non solo tematica, ma anche epistemologica, determinate da un tipo di 'logica della vita', tradotta in una nuova concettualità teologica, tratta dalla quotidiana esperienza dell'essere donna.15 Tuttavia, con il contesto intendo soprattutto le 'nuove' aree geografiche, ancora ieri quasi del tutto ignorate come insignificanti per lo sviluppo della teologia. Si tratta dei grandi contesti africani, asiatici o sudamericani, che vanno divisi necessariamente nei variegati subcontesti nazionali e locali. È più che mai sicuro che la futura teologia si svilupperà proprio in tali contesti e che saranno essi a imprimerle il loro timbro. Me lo fa credere il paziente lavoro dei numerosi teologi che vi appartengono,16 come anche la loro crescente determinazione di distinguersi dal modo del teologare occidentale, essendo «pronti per una radicale rottura epistemologica».17 Per non parlare delle presumibili previsioni demografiche, completamente sfavorevoli per le aree ecclesiali e teologiche occidentali.

Interrogandosi sul tipo di contributo che questi emergenti contesti potranno offrire, nel prossimo futuro, alla ricerca delle nuove proposte di natura epistemologica, è opportuno richiamare l'attenzione almeno ad alcune principali tracce del loro orientamento generale. Quanto al contesto africano,18 il lavoro dei teologi è determinato dall'instancabile cammino dei popoli d'Africa verso la conquista di una maggiore coscienza panafricana basata sui comuni ideali socio-politici e culturali. Emerge, infatti, sempre di più, la centralità del fatto culturale per la ricerca di nuovi modelli di teologia, in grado di valorizzare lo specifico linguaggio delle culture locali, inteso come luogo e occasione d'interpretazione e di comprensione del dato rivelato. Il metodo base di ognuno dei nuovi modelli contestuali tende ad essere sostanzialmente ermeneutico, «indissociabile da una dialettica incessante tra teoria e pratica», abituata, cioè, ad affrontare la verità della fede come «un dato che si fa e in cui possono accadere delle nuove figure».19

Quanto, invece, alla teologia dell'ampio e variegato contesto asiatico, vi sono alcuni tratti comuni di natura epistemologica determinati anch'essi dal contesto.20 Ad esempio, il tratto generale determinato delle millenarie culture asiatiche di non fare una netta distinzione tra teologia e filosofia, tra simbolo/narrazione e concetto. Oppure, una valutazione positiva del patrimonio delle altre religioni, fatta nello spirito del dialogo. Alcuni teologi asiatici studiano, infatti, le forme d'interpretazione dei libri sacri utilizzati nel buddismo, nell'induismo, nel confucianesimo, nel taoismo e nell'islam, cercando elementi utili per un'ermeneutica e un'esegesi biblica di tipo asiatico, come ad esempio l'utilizzo e la funzione comune degli antichi e da tutti ben conosciuti miti. Questo orientamento viene adottato soprattutto dai teologi in India,21 i quali si occupano seriamente del problema concernente fino a che punto sia possibile considerare e utilizzare le sacre scritture dell'induismo come fonte valida anche per la teologia cristiana.22 La posizione minoritaria del cristianesimo in Asia nei confronti degli altri mondi religiosi e culturali favorisce un modello di epistemologia costruito sul fondamento multiculturale e multireligioso. Sorge, ovviamente, il problema del rapporto tra la Tradizione, quale locus indispensabile della riflessione teologica cristiana, e le altre tradizioni religiose, la cui soluzione interessa vitalmente sia la teologia fondamentale che l'epistemologia. Ciò fa capire perché il contesto asiatico rappresenti una seria sfida in ordine all'identità sia religiosa che confessionale della teologia cristiana. Da una parte, occorre che la riflessione teologica si rivesta delle forme nuove di logica, di pensiero e di linguaggio, fedeli al contesto, cogliendo le fondamentali dinamiche psicologiche, sociali e culturali dei popoli asiatici. Dall'altra, la nascita e lo sviluppo dei nuovi stili o modelli del teologare asiatico non può tradire la specifica essenza del teologare cristiano. A questa duplice sfida si aggiunge la permanente sfida della comunicazione tra il mondo occidentale e quello orientale.23 Il lavoro dei teologi asiatici, infatti, si misura con la difficoltà di tradurre nella propria lingua i concetti filosofici e teologici occidentali e di tradurre nelle lingue occidentali i concetti elaborati a partire da un sentire e da un pensare orientale: una difficoltà reale e fastidiosa, ma che non può essere evitata, dato che l'utilizzo dei termini è legato, sia dall'una che dall'altra parte, ad una specifica forma mentis alla quale corrisponde sostanzialmente un adatto sistema delle specifiche dinamiche e delle forme linguistiche. Deve essere nell'immediato interesse della teologia sia in Occidente che nell'Oriente asiatico, che il lavoro di reciproca traduzione/comunicazione non si interrompa mai e per nessun motivo. Affinché, però, ciò si verifichi, bisogna rinunciare alla prospettiva di una comunicazione asimmetrica e inclusiva, lavorando insieme sull'idea di una visione unitaria della teologia cristiana, in grado di reggere gli inevitabili e, comunque, legittimi paradossi della sua complessa strutturazione epistemica.

3. Teologia e scienze naturali

In vista della realizzazione di un simile compito emerge con maggiore insistenza la necessità dell'apertura della teologia al mondo della scienza, in particolare delle scienze naturali. Sono molti i segnali che testimoniano l'avviarsi di un tale avvicinamento. Basti ricordare, ad esempio, il lavoro dei centri di ricerca nordamericani: il «Center of Theological Inquiry» di Princeton, lo «Zygon Center for Religion ans Science», con sede a Chicago, o il «Center for Theology and the Natural Sciences», con sede in Berkley.24 Il fatto è che il dialogo tra teologia e scienze naturali è e rimane uno dei fattori di maggior stimolo proprio per la ricerca di nuovi percorsi nell'ambito dell'epistemologia teologica, e ciò, tra l'altro, proprio perché «la razionalità scientifica e la ragione teologica si richiamano a vicenda».25 Fattore da valorizzare tanto più oggi, quando la scienza, consapevole dei limiti del neopositivismo, fa un ulteriore sforzo sulla via della teorizzazione epistemologica, analizzando e impostando in modo nuovo gli equilibri teorici e metodologici sul piano gnoseologico e logico della razionalità scientifica. È noto e, dai teologi, studiato e valorizzato, il contributo di K.R. Popper ad una simile ridefinizione, propenso a un orientamento epistemologico centrato sul metodo linguistico. Considerata dal punto di vista popperiano, l'epistemologia appare una disciplina destinata ad occuparsi dell'accrescimento della conoscenza, ma anche «una teoria della costruzione, della discussione critica, della valutazione e della prova critica delle teorie congetturali in competizione».26 Anche se il discorso teologico, occupandosi delle verità rivelate, non può essere sottoposto completamente al criterio della falsificabilità suggerita da Popper, ciò nonostante i teologi vengono invitati a non ignorare i limiti dei concetti e delle parole, correggendoli per mezzo del riferimento a quelle che sono le strutture portanti dell'esperienza fondamentale del credere.

Evoco solo di sfuggita i contributi di G. Sauter, W. Pannenberg e di alcuni altri teologi alla riflessione sullo statuto scientifico della teologia,27 di grande rilievo per la teorizzazione epistemologica, perché voglio ritornare sull'idea circa la necessità -- sperimentata nei confronti delle emergenti teologie contestuali, ma non solo -- di un pensiero teologico unitario e, contemporaneamente, paradossale; ricordando che è proprio questo tipo di pensiero, codificato epistemologicamente, ad emergere attualmente nel mondo delle scienze naturali. Mi riferisco, ad esempio, a E. Morin,28 poliedrico sociologo francese, il quale, definendo il reale come sistema organizzato di sistemi complessi, elabora un'epistemologia legata alla scienza degli «oggetti» complessi. Essa, distanziandosi dall'epistemologia dei modelli di razionalità totalizzanti, pervasivi e monologici, o dei modelli dissolutivi di ogni razionalità, propone un tipo di logica che procede «per costellazioni e correlazioni di concetti»,29 organizzando il pensiero come un sistema aperto, regolato secondo principi sviluppati sulla base della formulazione di una rete di concetti e modelli interconnessi, idonei a comunicare e cooperare tra di loro in modo reciproco. «Questo pensare» -- spiega C. Caltagirone --, «operando un trascendimento degli attuali confini concettuali e disciplinari, insiste sui rapporti dinamici, anziché sulle entità isolate, sviluppa un pensiero di processo in cui la forma viene associata al processo, l'interpretazione all'interazione, e unifica i distinti, non estrinsecamente ma simbolicamente, nel quadro di una visione del mondo reticolare che tiene insieme identità e contraddizione, e nel rispetto dell'unità e della molteplicità dei costituenti della molteplice e dinamica complessa realtà».30

Secondo Morin, tre sono i principi che regolano un simile modo di pensare: a) il principio dialogico, che consente di mantenere la dualità in seno all'unità; b) il ricorso di organizzazione, quale capacità di riconoscere che i prodotti e gli effetti sono contemporaneamente cause e produttori di ciò che li produce; c) il principio ologrammatico, che permette di «arricchire la conoscenza delle parti attraverso il tutto e del tutto attraverso le parti in uno stesso movimento che produce conoscenza».31 Questi tre principi permettono l'elaborazione di un pensiero complesso fondato, contemporaneamente, «sulla 'dia-logia' e sulla 'trans-logia' in un processo di integrazione che, arricchendo la dimensione interpretativa e costruttiva dei significati, determina l'ordine delle connessioni tra i diversi ambiti del sapere in un'apertura all'emergere di infinite e molteplici possibilità di determinazione categoriali».32 Un simile processo di integrazione risulta tanto più necessario per la costruzione di un pensiero, quanto più si impone, nella scienza contemporanea, il concetto di 'livelli di realtà', ossia di livelli di comprensione della realtà, teorizzato, tra gli altri, dal matematico B. Nicolescu.33 Oltre a esigere un rinnovamento delle categorie delle razionalità, capaci di cogliere le molteplici dinamiche interne della multiforme e stratificata strutturazione del reale, questo nuovo modo di considerare la realtà presuppone l'elaborazione di un approccio 'transdisciplinare', non riducibile al solo utilizzo dei metodi pluri- o interdisciplinari. Come viene ricordato da Morin e Nicolescu, ma prima ancora da N. Bohr e altri,34 la transdisciplinarietà significa l'unità della conoscenza fondata su una visione del mondo raggiunta grazie ad un legame circolare tra i diversi saperi, che si offrono come orizzonte esplicativo e interpretativo del reale.35 Un legame, cioè, che colloca i molteplici campi del sapere nell'insieme di una conoscenza in navetta che progredisce andando dalle parti al tutto e dal tutto alle parti, elaborando una prospettiva di comprensione globale. La vera sfida della transdisciplinarietà è quella di promuovere una logica 'interstanziale', ossia del passaggio da un livello all'altro della realtà, passaggio «all'interno del quale i diversi campi disciplinari e i corrispondenti linguaggi interagiscono, ciascuno al proprio livello di comprensione e di esplicazione, nella prospettiva di una comprensione globalizzante, non più analitica, della realtà».36

Un simile orientamento epistemologico delle scienze naturali non può non interpellare anche la teologia, mettendo significativamente in gioco il suo statuto, il suo metodo e il suo linguaggio.37 Essa, cioè, viene invitata ad accettare la comune prospettiva di un'interpretazione globale del reale, e, assieme ad essa, ad acquisire la consapevolezza di avere necessità delle altre scienze, proprio perché rappresentano un modo differente -- ma anch'esso attendibile e da prendere in considerazione -- di dire il senso dell'uomo nel mondo. È dal di dentro di questa prospettiva che la teologia dovrebbe elaborare la sua riflessione, munita dei metodi e dei linguaggi rispettosi del suo specifico statuto della scientia fidei. Ignorandola, la teologia correrebbe il rischio di proporre i suoi contenuti, anzi, le sue verità, come un corpo estraneo, come realtà prive di qualsiasi riferimento e rapporto con le concezioni scientifiche del reale, come se il mondo verso il quale guarda la scienza non fosse lo stesso della teologia. Perciò il compito che attualmente si pone con urgenza davanti alla ragione teologica consiste, da una parte, nel mettere in rilievo «che nella stessa descrizione scientifica si possono individuare i momenti che possono servire all'interpretazione teologica», ma anche, dall'altra, nel riconoscere «che la struttura autocritica della ragione teologica è decisiva per la comprensione del reale, in quanto è legata alla forma della fede nella sua valenza di momento epistemico e di intelligibilità della rivelazione».38 Questo, ovviamente, è un compito di natura prettamente epistemologica, in quanto la prospettiva transdisciplinare richiede una seria riflessione sulle modalità della struttura formale e discorsiva del teologare, in grado di interagire in modo costruttivo con gli altri saperi dal di dentro del comune orizzonte olistico, offrendo un suo contributo specifico nella costruzione di quest'ultimo, riguardante il 'livello' di un senso più profondo, ossia metafisico della realtà.

4. Conclusione: la centralità della Rivelazione

Mentre nel mondo dell'epistemologia della scienza inizia ad imporsi sempre di più la sfida del «pensiero complesso», interpellando anche la teologia, non mancano le voci che segnalano la presenza di una tendenza del tutto contraria: quella di una progressiva frammentazione dei saperi, incluso quello teologico.39 Al di là delle classiche cause, di natura filosofica e culturale, di un tale fenomeno -- accentuato molto anche per via di un progressivo moltiplicarsi dei percorsi di specializzazione legati ai singoli settori di una determinata scienza --, è da dire che esso coincide con una 'pluralizzazione', sempre più in atto, dell'universo o dei molteplici universi abitati dall'uomo moderno e post-moderno. Riferendosi proprio a questa generale tendenza, A. Russo spiega: «Sta mutando velocemente il significato dell'universo in direzione di una complessità sempre maggiore. L'universo si è trasformato in pluriverso. Il luogo, il centro, l'unità di misura, che regolavano il mondo di un tempo, ora non esistono più nella realtà. Siamo alle prese con un altro universo dove non c'è più un unico centro o non esiste affatto un centro. [...] L'universo si è plurizzato non tanto perché, accanto al nostro, ne sono stati scoperti infiniti altri, ma perché già al suo interno stesso è regolato dal principio della molteplicità, della complessità, dell'eterogeneità. Ciò significa che ogni universo è un pluriverso, cioè è differenziato nella sua intima struttura. Noi stessi ci percepiamo strutture plurali e complesse. Lo testimoniano numerosi indicatori che registrano un aumento del tasso d'instabilità, d'imprevedibilità, d'incertezza, di disordine, in un'epoca già segnata dalla frantumazione, dall'instabilità, dalla mancanza di riferimenti affidabili».40

Quanto, dunque, alla frammentazione della teologia come scienza, essa viene considerata una delle conseguenze del pluralismo teologico, rinvenibile e, dunque, da affrontare innanzitutto sul piano epistemologico. Si tratta di un pluralismo non più superabile, in quanto, «dato l'ambiente socio-culturale nel quale il teologo deve lavorare, data la differenziazione dei metodi, data la differenza, che nessun singolo riesce più ad abbracciare, dei punti di partenza e dei linguaggi filosofici, data la enorme quantità di materiale d'esegesi e di storia dei dogmi, nessun singolo è più in grado di abbracciare con lo sguardo la teologia e di venirne a capo, anche solo nel momento attuale».41 Riferendosi proprio a questo tipo di pluralismo e riflettendo sull'elaborazione dei metodi nuovi del lavoro teologico, K. Rahner giunge ad affermare: «[...] saranno necessari sforzi di nuovo genere tendenti alla reciproca tolleranza, alla reciproca influenza e alla reciproca critica, sforzi che finora non erano necessari».42

Pur essendo pronunciate quaranta anni fa, le parole del teologo gesuita toccano il cuore di una delle questioni attualmente più emergenti e più urgenti da affrontare, legata intimamente alla questione della sopravvivenza dell'umanità: la ricerca di una Weltanschauung, di un modo di pensare nuovi, non dominati, cioè, da un pensiero unico; ovvero, la ricerca di un 'nuovo ordine', di vita e di pensiero, a carattere pluridimensionale. «Siamo stati infatti educati» -- scrive Russo, ispirandosi, tra l'altro, anche alle ricerche di Morin -- «a pensare sulla base del principio d'identità e di non contraddizione. Alla base c'era la concezione dell'universo binario. Il caos era percepito come un tabù, un inferno, una cosa terribile e mostruosa. L'esperienza contemporanea presenta al suo interno aspetti duramente conflittuali e perfino contraddittori. Siamo in un universo 'plurale', in un pluriverso. Per la futura sopravvivenza dell'umanità, per arginare la minaccia dei prevedibili rigurgiti di fanatismo identitario, mai come ora preoccupante, sarà necessario difendere ad ogni costo la tolleranza e il rispetto dell'altro, ipotizzando le possibili forme di organizzazione di una vita umana plurale in un mondo divenuto straordinariamente piccolo».43

Che la religione, cristiana in particolare, esibendo una competenza specifica, unica del suo genere, sia in grado di offrire un contributo sostanziale alla creazione della cultura e del pensiero pluridimensionali, è un fatto da considerarsi come una vera e propria vocazione e la missione di ogni religione. La religione, infatti, «è in grado di collegare, tenere unite insieme le sponde antitetiche della realtà: l'Essere e il divenire, l'Uno e il molteplice, l'Eterno e il tempo, Dio e l'uomo. E ancora peccato e grazia, caduta e redenzione, scandalo e santità. Sembra anzi che la sua specificità stia nel mantenere congiunte polarità discordanti, addirittura incompatibili. Ha la vocazione di far da ponte, di essere ponte: pontifex era chiamato nell'antichità chi assolveva a questo compito in maniera ufficiale. Ogni credente, in questo senso, è un costruttore di ponti, di relazioni significative, di reti di collegamento tra la trascendenza e l'immanenza, ma anche tra tutti gli essere umani. È egli stesso relazione».44 Il che vale, deve valere, in modo particolare, per ogni credente cristiano e, sul piano della competenza scientifica, anche per la teologia cristiana in quanto tale.

Ebbene, la questione dell'identità relazionale del teologare rappresenta, a mio avviso, una delle più significative questioni epistemologiche dei nostri tempi. Questione che, tra le altre cose,45 invita ad una seria riflessione sulla possibilità di riconciliare l'idea del pluralismo dei metodi e dei linguaggi con quella della specifica identità della teologia cristiana quale scientia fidei. Il fatto è, cioè, che la legittima differenziazione sul piano epistemologico non può tradire il proprium originario del teologare cristiano, la sua più profonda identità; un proprium che non va ridotto all'insieme dei tratti caratteristici (dal punto di vista tematico ed epistemologico) dei modelli storici più rappresentativi della teologia, ma che -- secondo la convinzione di molti teologi contemporanei, sensibili a questo tema -- va cercato all'interno dello stesso evento della Rivelazione, considerato il momento fondativo e la forma originaria della teologia cristiana.46 Con ciò non si intende affermare ingenuamente che la Rivelazione di Dio, avvenuta per mezzo dello Spirito Santo, in Gesù Cristo, contenga e produca una vera e propria epistemologia teologica nel senso stretto del termine. Si tratta piuttosto dell'invito a individuare quegli spunti o germi epistemici che qualificano sostanzialmente la theo-logica e il meta-odos rivelativi dell'evento trinitario.47 Spunti/germi di un intellectus incarnationis,48 in grado di ispirare e informare ogni ulteriore sviluppo dei futuri metodi e dei nuovi linguaggi teologici, assicurando una loro fedeltà epistemologica alla 'prima teologia', quella divina appunto, in quanto gli specifici contenuti di quest'ultima esigono una corrispondente forma trinitaria e teantropica di comprensione, di approfondimento e di comunicazione. Penso, ad esempio, alla dinamica rigorosamente dialogica del teologare cristiano, da mantenere costantemente in atto sul piano sia interpersonale (ma anche soggettivo-spirituale) sia intra- e interecclesiale, interculturale e interreligioso; alla dimensione simbolica della teologia; oppure alla centralità della prospettiva kenotico-staurologica, ossia dell'intellectus della kenosi con una logica del paradosso.49

La fondazione dell'epistemologia teologica sulla Rivelazione, il suo ampio ripensamento e ricentramento, potranno senz'altro aiutare la teologia ad aderire con maggiore consapevolezza e incisività all'ambizioso, ma comunque necessario progetto di elaborare nella prospettiva transdisciplinare un 'pensiero complesso', dando un contributo specifico alla sua realizzazione, che spetta solo ad essa quale scienza orientata verso la ricerca e la comprensione del senso globale della storia, del reale, del cosmo... Tuttavia, è prima di tutto all'interno della teologia, contrassegnata dal pluralismo epistemologico, che si deve riflettere sul contributo che una simile rifondazione potrebbe dare.50 Il pluralismo epistemologico della teologia, e la pluralità di modelli ad esso corrispondente, non deve essere temuto affatto come minaccia per l'integrità della scienza teologica, ma deve essere considerato l'espressione della sua capacità di entrare in comunicazione con i contesti nuovi, attingendo da essi -- seguendo la logica dell'intellectus rivelationis -- la specifica e appropriata 'morphe' per il suo metodo e il suo linguaggio.51 Resta il fatto che la teologia deve riconoscersi in un concetto di scienza nuovo, più dinamico e stratiforme, in grado di armonizzare le molteplici proposte epistemologiche salvaguardandone la singolarità e, allo stesso tempo, di collocare ognuna di esse nel comune quadro della specifica identità della teologia cristiana. Quest'ultima non può essere rinnegata sul piano dei contenuti, né dei metodi, né dei linguaggi.

Per elaborare un tale concetto complesso o paradossale di scienza, la teologia potrebbe prendere spunto dall'idea conciliare della gerarchia delle verità (cfr. UR 11), autocomprendendosi come unità di molteplici percorsi strutturati in modo differente su diversi piani a causa del diverso nesso con il fondamento della fede cristiana, vale a dire con la 'res' espressa per mezzo della 'forma' teologica originaria dell'evento rivelativo. Estesi -- nei limiti dell'analogia -- all'epistemologia teologica ripensata alla luce di una rinnovata dottrina dei loci theologici,52 il concetto di 'ordine gerarchico' e quello di 'diversi nessi' (con il fondamento = Rivelazione) permetterebbero, da una parte, di pensare la teologia come scienza nella sua plurale e dinamica complessità, conferendo un posto anche alle nuove proposte e ai nuovi percorsi di natura epistemica; dall'altra, di valutare in una maniera più equilibrata il giusto collocamento di tali proposte e percorsi nell'insieme della stratiforme struttura epistemica della teologia, chiamata a testimoniare in ogni tempo e in ogni contesto la sua fedeltà alla Rivelazione e alla propria identità confessionale.

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Note

  1. Tra gli studi più recenti cfr. C. Caltagirone, Scienze e teologia. Incontri e scontri ai confini della conoscenza, Bologna 2001; P. Hünermann -- Th. Söding (edd.), Methodische Erneuerung der Theologie. Konsequenzen der wiederentdeckten jüdisch-christlichen Gemeinsamkeitten, Freiburg i. Br. 2003; G. Lorizio (ed.), Teologia fondamentale, vol. 1: Epistemologia, Roma 2004; AA. VV., Il metodo teologico oggi. Fra tradizione e innovazione, il numero monografico di PATH, vol. 3, 2004/1; G. Lorizio-N. Galantino (edd.), Metodologia teologica. Avviamento allo studio e alla ricerca pluridisciplinari, Cinisello Balsamo 2004, terza ed., completamente rivista e aggiornata; C. Delpero, La teologia nella storia. Genesi ed evoluzione del metodo teologico, tr. it., Brescia 2004. Testo

  2. G. Gismondi, Fede e cultura scientifica, Bologna 1993, p. 71; per uno sguardo di sintesi sul concetto di epistemologia, con il riferimento al suo utilizzo nella teologia, si veda Id., art. Epistemologia, in Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede. Cultura scientifica, filosofia e teologia, a cura di G. Tanzella Nitti e A. Strumia, Roma 2002, pp. 486-504. Testo

  3. Cfr. B. Körner, Melchior Cano, »De Locis Theologicis«. Ein Beitrag zur theologischen Erkenntnislehre, Graz 1994; M. Seckler, Teologia Scienza Chiesa. Saggi di teologia fondamentale, tr. it., Brescia 1988, pp. 171-206. Interessanti, a questo proposito, anche le osservazioni riportate in W. Kasper, Teologia e Chiesa (2), tr. it., Brescia 2001, p. 85; P. Hünermann, La teologia dopo la 'Nostra aetate', tr. it., in Il Regno-documenti, 3 (2005), pp. 73-75. Testo

  4. Filaret (Vachromeev), Stand und Perspektiven der orthodoxen Theologie in der Gegenwart, in Stimme der Orthodoxie, 2 (2001), pp. 42-47; si veda anche la relazione (in particolare la parte 3) del metropolita Filaret al recente Sinodo dei vescovi della Chiesa ortodossa russa (2004) (reperibile all'URL http://www.mospat.ru/text/council2004/id/7756.html). Cfr. inoltre I. Alfeev, La teologia russa alla soglie del terzo millennio. Ci sarà una rinascita teologica in Russia? , in A. Mainardi (ed.), La notte della Chiesa russa, Magnano 2004, pp. 251-283; P. Valliere, Russian Religious Thought and the Future of Orthodox Theology, in St Vladimir's Theological Quarterly 45 (2001), 3, pp. 227-241. Testo

  5. Mi riferisco ai contatti tra la CTS e la Società internazionale dei filosofi cristiani (cfr. AA. VV., La santissima Trinità, Atti del Congresso internazionale teologico-filosofico, in russo, Moskva 2002), oppure ai seminari organizzati dalla CTS e dall'Istituto filosofico dell'Accademia russa di scienze (cfr. AA. VV., Teologia e filosofia: aspetti di un dialogo, Atti del Seminario di studio, in russo, Moskva 2001; AA. VV., Etica filosofica e teologia morale, Atti del seminario di studio, in russo, Moskva 2003). Testo

  6. Indicativi, da questo punto di vista, alcuni contributi apparsi in AA. VV., La teologia ortodossa alla soglia del terzo millennio, Atti del Congresso teologico della Chiesa ortodossa russa, a cura della CTS, in russo, Moskva 2000. Testo

  7. Su di loro si veda il recente saggio di A. Anelli, Processualità e definitività. La teologia a confronto con Whitehead, Assisi 2004, pp. 277-353 (con la bibliografia delle principali opere: della teologia nordamericana, di/su A.N. Whitehead, della/sulla la teologia del processo). Cfr. inoltre la voce Process Theology, in The Boston Collaborative Encyclopedia of Western Theology, consultabile all'URL http://people.bu.edu/wwildman/WeirWildWeb/conrses/mtw/dictionary/mwt_themes.htm. Testo

  8. La rapida presentazione delle tappe storiche principali e delle questioni fondamentali della svolta teologica verso l'ermeneutica offre il saggio di W. Jeanround, Il carattere ermeneutico della teologia, in R. Gibellini, Prospettive teologiche per il XXI secolo, Brescia 2003, pp. 49-71. Per uno sguardo di sintesi (con abbondante bibliografia) cfr. G. Moretto, art. Ermeneutica, in Teologia, a cura di G. Barbaglio, G. Bof, S. Dianich, Cinisello Balsamo 2002, pp. 519-536. Quanto alle osservazioni critiche riguardo tale svolta, rimando a G. Lorizio (ed.), Teologia fondamentale..., vol. 1, pp. 407-409; Id., Ermeneutica filosofica ed ermeneutica teologica, in Filosofia e teologia, 9 (1995), pp. 3-8. Pur riconoscendo i meriti dell'assunzione dell'ermeneutica da parte della teologia, il teologo fondamentale della Lateranense di Roma scrive con franchezza: «[...] si vanno prospettando in teologia delle possibilità di incontro con l'ermeneutica, che, a detta di qualche sostenitore di questo matrimonio, potranno instaurare un 'nuovo rapporto', rimuovendo la lacerazione prodotta dalla modernità, fra pensiero filosofico ed intellectus fidei. La proposta non ci entusiasma e non ci convince del tutto, in quanto, oltre al fondamentale carattere neopagano dell'ermeneutica, ci sembra che le affinità riscontrabili con alcuni contenuti della teologia siano piuttosto da attribuirsi alla dimensione comunque postcristiana della filosofia gadameriana [...]. La stessa tendenza visceralmente 'antimetafisica', che comunque finisce col caratterizzare le filosofie ermeneutiche, a nostro avviso, non rende in ogni caso un buon servizio alla teologia, che da 'custode dei misteri speculativi' si vedrebbe di nuovo ridotta a palestra di sentimenti, sostegno alla prassi (non importa se rivoluzionaria o reazionaria) o esercizio di pura erudizione filologica» (Id., art. Rivelazione, in Teologia..., a cura di G. Barbaglio, G. Bof, S. Dianich, p. 1370). Testo

  9. Per una lettura teologica del suo concetto della 'déconstruction' e della sua critica alla metafisica cfr. J. Ilunga Muya, Métaphysique et théologie chez Jacques Derrida. Essai sur la différence, in Lateranum, LXV (1999), 3, pp. 553-578; con riferimento al suo concetto di alterità e alla sua teoria del linguaggio cfr. A. Bertuletti, Pensiero dell'alterità e teologia della rivelazione, in Teologia, XIV (1989), 3, pp. 299-307. Testo

  10. Tr. it. La natura della dottrina. Religione e teologia in un'epoca postliberale, Torino 2004. Testo

  11. Uno sguardo di sintesi sulla loro ricezione da parte della teologia offre M. Eckholt, Eine theologische Wende? Entwicklungen in der französischen Philosophie, in Herder Korrespondenz, L, (1996), 5, pp. 261-266. Testo

  12. Oltre al saggio programmatico di L. Milbank -- C. Pickstock -- G. Ward (edd.), Radical Orthodoxy. A new Theology, London-New York 1999, si vedano J. Milbank, Theology and Social Theory. Beyond Secular Reason, Oxford 1990; Id., The Word Made Strange. Theology, Language, Culture, Oxford 1997; C. Pickstock, After Writing. On the Liturgical Consummation of Philosophy, Oxford 1998; G. Ward, Theology and Contemporary Critical Theory, London 2000. Per una valutazione preliminare dal punto di vista cattolico sia del saggio programmatico sia del movimento, cfr. L.P. Hemming (ed.), Radical Orthodoxy? A catholic Enquiry, Aldershot 2000. Per uno sguardo di sintesi si veda Th. Fliethmann, Radical Orthodoxy. Zu einer neuen Bewegung in der anglo-amerikanischen Theologie, in Herder Korrespondenz, LVI, (2002), 8, pp. 407-411. Un'ottima rassegna bibliografica che racchiude i più importanti saggi dei teologi appartenenti al movimento, assieme a quelli dei loro critici e recensori, è consultabile all'URL http://www.calvin.edu/%7Ejks4/ro/robib.pdf (Radical Orthodoxy: A select Bibliography, a cura di J.K.A. Smith e S. Schutt Nason). Testo

  13. Quanto alla bibliografia riguardante le principali opere della teologia della liberazione, sviluppatasi in diversi contesti, si veda l'URL http://www.providence.edu/las/theology.htm; e soprattutto la ricca rassegna bibliografica consultabile all'URL http://www.wheaton.edu/intr/Moreau/courses/532/biblio/biblio.htm (voce Liberation, in Contextualization Bibliographies), con una sintetica presentazione del contenuto dei saggi segnalati. Testo

  14. A questo proposito voglio ricordare le importanti parole del documento L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa della Pontificia Commissione Biblica (1993) dedicate all'approccio femminista alla Sacra Scrittura. Pur ricordando alcuni rischi di tale approccio, legati sostanzialmente ad una scelta ideologica o di partito, il documento dice: «Numerosi sono i contributi positivi provenienti dall'esegesi femminista. Le donne hanno preso così una parte più attiva nella ricerca esegetica; sono riuscite a percepire, spesso meglio degli uomini, la presenza, il significato e il ruolo della donna nella Bibbia, nella storia delle origini cristiane e nella Chiesa. L'orizzonte culturale moderno, grazie alla sua più grande attenzione alla dignità della donna e al suo ruolo nella società e nella Chiesa, fa sì che si pongano al testo biblico nuovi interrogativi, occasioni di nuove scoperte. La sensibilità femminile porta a svelare e a correggere alcune interpretazioni correnti, che erano tendenziose e miravano a giustificare il dominio dell'uomo sulla donna» (Città del Vaticano, p. 61). Tra le opere che offrono una panoramica sul genere della teologia femminista e le sue ulteriori ramificazioni rimando a R.S. Chopp -- S. Greeve Davaney (edd.), Horizons in Feminist Theology. Identity, Tradition, and Norms, Minneapolis 1997; E. Green, Teologia femminista, tr. it., Torino 1998; L. Isherwood -- D. McEwan (edd.), Introducing Feminist Theology, Sheffield 20012; D. Sawyer -- D.M. Collier (edd.), Is There a Future for Feminist Theology? , Sheffield 1999; M. Amba Oduyoye, Introducing African Women's Theology, Sheffield 2001; K. Pui-Lan, Introducing Asian Feminist Theology, Sheffield 2000. Tra le recenti pubblicazioni apparse in Italia cfr. C. Militello (ed.), Donna e teologia. Bilancio di un secolo, Bologna 2004. Per la bibliografia si consiglia di consultare numerosi portali, presenti sull'internet, dedicati alla teologia femminista, facilmente raggiungibili grazie ai motori di ricerca, tra cui: http://www.dike.de/hulda/fembib.html (Feminist Theology Online Bibliography); http://www.users.csbsju.edu/~eknuth/xpxx (Christian+Feminist, offre un numero ristretto di saggi di accesso diretto sull'internet, assieme ad alcuni altri links importanti per la ricerca bibliografica); cfr. inoltre i links indicati nel http://www.teologhe.org. Quanto alla bibliografia dedicata più specificamente alla teologia femminista 'contestualizzata' si veda il già citato URL (cfr. nota 13) Contextualization Bibliographies (voce Women). Testo

  15. Per una riflessione sulle questioni epistemologiche nella prospettiva della teologia femminista si veda L. Tatman, Knowledge That Matters. A Feminist Theological Paradigm and Epistemology, Sheffield 2003. Testo

  16. Come nel caso della teologia femminista, anche in questo caso si tratta di un gran numero di opere. Tra quelle più recenti apparse in Italia cfr. M. Amaladoss, Oltre l'inculturazione. Unità e pluralità delle Chiese, tr. it., Bologna 2000; E. López Hernándes, Teologia india. Gli indios latinoamericani narrano la loro fede, tr. it., Bologna 2004. Una presentazione delle principale tappe di sviluppo delle teologie contestuali si trova in B. Chenu, Nascita delle teologie dei Terzi mondi. Nuovi luoghi, nuove letture, nuovi metodi, in G. Canobbio (ed.), Teologia e storia: l'eredità del '900, Cinisello Balsamo 2002, pp. 87-133. Per la bibliografia si veda l'URL http://www.wheaton.edu/intr/Moreau/courses/532/biblio/biblio.htm. Testo

  17. Sono le parole del manifesto dei teologi del Terzo mondo (Asia, Africa e America), preparato in occasione della Conferenza a Dar-es-Salaam nel 1976; cfr. K.O. Bimwenyi, Dépassements. A l'origine de l'Association oecuménique des théologiens du Tiers-Mond, in Bulletin de Théologie Africaine, II, (1980), 3, p. 46. Per una rassegna bibliografica di alcuni principali saggi dedicati alle questioni epistemologiche della teologia contestuale si veda http://www.wheaton.edu/intr/Moreau/courses/532/biblio/theometh.htm. Testo

  18. Per uno sguardo di sintesi della situazione attuale cfr. L. Boka, Il cammino della teologia africana, in Rassegna di teologia, XLI, (2000), 6, pp. 845-888; S. Kalamba Nsapo, Tendenze attuali della teologia africana, in R. Gibellini (ed.), Prospettive teologiche..., pp. 113-148, e le bibliografie ivi riportate. Una buona rassegna bibliografica commentata dei saggi della/sulla teologia africana si trova in Contextualization Bibliographies (l'URL citato nella nota 13 e nelle note successive). Testo

  19. S. Kalamba Nsapo, Tendenze attuali..., p. 143. Testo

  20. Una loro rapida ma puntuale presentazione si trova in G. Evers, Auf den Kontext bezogen. Asiatische Überlegungen zu einer »Theologie der Harmonie«, in Herder Korrespondenz, L, (1996), 2, pp. 95-100; F. Wilfred, Vom Schattenboxen zum Dialog. Grundlegende Probleme einer asiatischen Theologie, in Herder Korrespondenz, LIII, (1999), 1, pp. 26-33; G. Evers, Im Übergang. Konturen und Strukturen asiatischer Theologie, in Herder Korrespondenz, LV, (2001), 10, pp. 521-527. Cfr. inoltre i recente saggio di M. Amaladoss, Insieme verso il regno. Teologia asiatica emergente, in R. Gibellini (ed.), Prospettive teologiche..., pp. 149-167. È degno di nota che alle questioni metodologiche della teologia asiatica venga dedicato il documento di studio della FABC (Federazione delle Conferenze episcopali dell'Asia) intitolato Methodology: Asian Christian Theology, Doing Theology in Asia Today, Hong Kong 2000. Per la bibliografia si veda Contextualization Bibliographies (l'URL citato nella nota 13 e nelle note successive). Testo

  21. Per uno sguardo di sintesi sull'emergente teologia cattolica in India e su alcune questioni epistemologiche da essa sollevate cfr. G. Evers, Vielfältig herausgefordert. Wo steht die Theologie in Indien? , in Herder Korrespondenz, LVII, (2003), 7, pp. 350-355. Testo

  22. Cfr. D.S. Amalorpavadass (ed.), Research Seminar on Non-Biblical Scriptures, Bangalore 1974. Tra gli studi dedicati al tema dell'utilizzo delle scritture non cristiane, sia nella teologia che nella prassi liturgica e pastorale della Chiesa, rimando ai saggi di A. Russo, L'uso delle scritture non cristiane. Legittimità teologica e opportunità pastorale, in Asprenas, XL, (1993), 3, pp. 323-348; M. Bordoni, L'universalità della salvezza in Cristo e le mediazioni partecipate, in PATH, vol. 2, 2003/2, pp. 384-399. Testo

  23. Cfr. G. Evers, Im Übergang..., pp. 522-523; H. Waldenfels, La teologia fondamentale nel contesto del mondo moderno, tr. it., Cinisello Balsamo 1988, p. 598. Testo

  24. Per non parlare dei numerosi studi dedicati al tema del dialogo tra teologia e scienze, pubblicati negli ultimi decenni. Si vedano, a questo riguardo, le indicazioni bibliografiche consultabili sul portale di «Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede» (http://www.disf.org). Tra le recenti pubblicazioni è doveroso segnalare il saggio AA. VV., L'uomo alla ricerca della verità. Filosofia, scienza, teologia: prospettive per il terzo millennio (Conferenza internazionale su scienza e fede, Città del Vaticano, 23-25 maggio 2000), tr. it., Milano 2005. Testo

  25. C. Caltagirone, Scienze e teologia..., p. 60. Testo

  26. Ibid., p. 72. Testo

  27. Si tratta soprattutto dei noti saggi: G. Sauter, Vor einem Methodenstreit in der Theologie? , München 1970; W. Pannenberg, Epistemologia e teologia, tr. it., Brescia 19992 (orig. ted. è del 1973). Testo

  28. Cfr. E. Morin, La méthode, vol. 1: La nature de la nature, vol. 2: La vie de la vie, vol. 3: La connaissance de la connaissance, Paris 1977-1986. Tra le sue numerose opere tradotte in italiano segnalo La conoscenza della conoscenza, Milano 1993; Introduzione al pensiero complesso, Milano 1995; La testa ben fatta. Riforma dell'insegnamento e riforma del pensiero, Milano 2000. Testo

  29. E. Morin, Introduzione..., p. 187. Testo

  30. C. Caltagirone, Scienze e teologia..., p. 189. Testo

  31. E. Morin, Introduzione..., p. 75. Testo

  32. C. Caltagirone, Scienze e teologia..., p. 190. Testo

  33. Tra le sue opere cfr. Nous, la particule et le monde, Paris 1985; La Scienze, le sens et l'évolution, Paris 1988; Livelli di realtà, tr. it., Milano 1991. Testo

  34. Mi riferisco, ad esempio, a P.A. Florenskij (1882-1937), filosofo, teologo e scienziato russo, il quale considerò l'elaborazione di una 'concezione integrale del mondo', ovvero di un pensiero 'complesso', il compito principale della sua vita. In uno dei suoi saggi constata criticamente: «Già da tempo, forse a partire dal XVI secolo, abbiamo smesso di percepire la globalità della cultura come vita nostra; già da tempo la singola personalità, a eccezione di pochi casi, non è più in grado di elevarsi ai vertici della cultura senza gravissime perdite. Già da molto tempo la partecipazione alla ricchezza viene conquistata sacrificando la globalità della personalità. La vita si disgrega in diverse direzioni, ed è impossibile andare in tutte le direzioni contemporaneamente. Ogni direzione di vita è a sua volta sfaccettata in settori specifici, in attività culturali distinte, e questo di converso comporta la frammentazione in singole discipline e in ambiti circoscritti, che poi a loro volta devono essere ulteriormente suddivisi» (P.A. Florenskij, Il valore magico della parola, tr. it. di G. Lingua, Milano 2001, pp. 99-100). Quanto alla proposta florenskijana di una concezione integrale del mondo e, di conseguenza, di un pensiero globale, mi permetto di rimandare al mio Verità come ethos. La teodicea trinitaria di P.A. Florenskij, Roma 1998. Testo

  35. Morin parla della transdisciplinarietà già nelle sue prime opere. In una di esse scrive: «Non si tratta solo di stabilire relazioni diplomatiche e commerciali tra le discipline, dove ognuna si confermi nella sua sovranità. Si tratta di mettere in causa il principio di discipline che mutilano con l'accetta l'oggetto complesso, il quale è costituito essenzialmente dalle interrelazioni, le interazioni, le interferenze, le complementarità, le opposizioni tra elementi costitutivi ciascuno dei quali è prigioniero di una disciplina particolare. Perché esista una vera interdisciplinarità, c'è bisogno di discipline articolate e aperte sui fenomeni complessi, e, ben inteso, una metodologia ad hoc. C'è bisogno anche di una teoria -- un pensiero -- transdisciplinare che si sforzi di abbracciare l'oggetto, l'unico oggetto, continuo e discontinuo a un tempo, della scienza: la physis» (E. Morin, Il paradigma perduto. Che cos'è la natura umana? , tr. it., Milano 20013, p. 205). Testo

  36. C. Caltagirone, Scienze e teologia..., p. 198. Testo

  37. Molto significative, da questo punto di vista, le intuizioni epistemologiche proposte in B. Lonergan, Il metodo in teologia, tr. it., Roma 2001, coniate dal mondo della scienza giudicato legittimamente plurale, data la sua complessità. Il teologo canadese, impegnato nell'elaborare il modello di un pensiero teologico complesso di tipo trascendentale, riconosce la natura dialettica o composta della scienza, determinata, tra le altre cose, dal carattere insieme logico e non-logico delle sue operazioni. Egli scrive: «Ma è opportuno notare sin d'ora che la scienza moderna deriva il suo carattere distintivo da questo raggruppare insieme operazioni logiche e non-logiche. Le operazioni logiche tendono a consolidare ciò che è stato raggiunto. Le operazioni non-logiche fanno sì che ogni conquista rimanga aperta a ulteriori progressi. L'unione dei due tipi di operazione ha come risultato un processo aperto, ininterrotto, progressivo e cumulativo. Questo processo sta in netto contrasto non soltanto con la fisicità statica che in Aristotele derivava dal suo fissarsi presocché esclusivamente su ciò che è necessario e immutabile, ma anche con la dialettica hegeliana la quale è un movimento racchiuso dentro un sistema completo» (ibid., p. 36-37). Testo

  38. C. Caltagirone, Scienze e teologia..., p. 199. Testo

  39. Su questo argomento vedi G. Lorizio -- S. Muratore (edd.), La frammentazione del sapere teologico, Cinisello Balsamo 1998. Il sempre più persistente pericolo della frammentazione viene avvertito sia nel mondo della teologia cattolica che nel mondo della teologia evangelica. Riguardo a quest'ultima, con un particolare riferimento al contesto nordamericano, viene recentemente constatato: «[...] la teologia sistematica corre il grande pericolo di 'balcanizzarsi', di polverizzarsi in teologie di gruppi, rivolte a identità e a interessi. Il loro specifico punto di riferimento è il 'potere' (normalmente quello degli altri), e di conseguenza il loro paradigma ermeneutico è il conflitto degl'interessi, sotto forma di potere, nelle sue mediazioni sociali, culturali e intersoggettive. [...] E, in relazione a una non riflettuta ricezione del post-moderno, vengono celebrate pluralità, ambiguità, discontinuità e alterità. In seguito a ciò, in particolare nella formazione fornita presso le altre scuole ecclesiastiche, la teologia sistematica, da esposizione e riflessione della fede cristiana, ben connessa, coerente e finalizzata alla formazione di giudizi teologici, è nell'imminente pericolo di venire affossata e dissolta» (R. Hütter, After Dogmatics? Osservazioni sulla teologia sistematica evangelica negli USA alle soglie del nuovo secolo, in Protestantesimo 55 (2000), p. 257). Testo

  40. A. Russo, Abitare il pluriverso. L'ultima sfida alle religioni, in Rassegna di Teologia 45 (2004), p. 837. Testo

  41. K. Rahner, art. Teologia, in Enciclopedia teologica. Sacramentum mundi, vol. 8, tr. it., Brescia 1977, col. 222. Testo

  42. Ibid., coll. 223. Testo

  43. A. Russo, Abitare il pluriverso..., pp. 838-839. Analizzando la situazione attuale, l'autore aggiunge con pertinenza: «Probabilmente c'è in giro un uso distorto o per lo meno parziale del concetto di identità. Questa, in concreto, non è un'essenza statica, monolitica, acquisita una volta per tutte. È sempre un costrutto culturale, un processo aperto all'incontro, alle contaminazioni. Per questo motivo, bisogna prendere le distanze da quelle concezioni che portano verso la reificazione, l'etnicizzazione e la biologizzazione dell'identità. Piuttosto che di identità, si dovrebbe parlare di processi d'identificazione e tener conto nella sua formazione del gioco delle contaminazioni» (ibid., p. 842). Per quanto riguarda la ricerca delle soluzioni in vista dell'inevitabile incontro e il confronto, sempre più planetario, tra le civiltà e le culture, tutto dipende dal tipo di dialogo che si intende porre in essere: «Molti autori occidentali, ad esempio, pur essendo convinti della necessità del dialogo, non lo concepiscono come un'esperienza d'interscambio paritario fra le diverse civiltà e culture del pianeta nel rispetto della loro autonomia, identità e dignità. Essi fanno fatica a cogliere il valore del pluralismo in quanto tale, l'idea di fondo cioè che sia un bene per tutti la molteplicità delle culture e che in ognuna di esse possa nascondersi un inestimabile patrimonio, prezioso per tutta l'umanità» (ibid., p. 843). Testo

  44. Ibid., pp. 848-849. Testo

  45. Un'altra questione che emerge in questa stessa prospettiva è, secondo Russo, quella di una gnoseologia pluridimensionale o 'complessa', capace cioè di ammettere una pluralità della e nella verità. Egli spiega: «Non si tratta di assumere per questo una posizione relativistica, convinti che la verità sia irraggiungibile e che in concreto un asserto valga l'altro. Bisogna invece prendere coscienza che ogni verità è sempre collocata in un contesto, rappresenta una prospettiva particolare e che non annulla per questo la possibilità di altre vedute. [...] Cambiando l'angolo visuale, non cambia certo la realtà. Si modifica però la prospettiva che rende di volta in volta diversa la vista della stessa realtà. [...] Si tratta di una prospettiva radicata nella realtà, ontologicamente giustificata e capace di abbracciare con il proprio sguardo l'intero panorama del visibile, che tuttavia può essere colto da altre postazioni in maniera diversa. Da ogni ottica si può vedere il tutto, ma il tutto è percepito ogni volta in maniera differente» (ibid., p. 851). Testo

  46. Tra i saggi dedicati a questo tema segnaliamo M. Seckler, Il concetto di Rivelazione, in W. Kern -- H.J. Pottmeyer -- M. Seckler (edd), Corso di teologia fondamentale, Brescia 1990, pp. 66-94; F. Fisichella, Prospettive epistemologiche circa il fondamento della teologia, in Ricerche teologiche, 2 (1991), pp. 5-20; Id., Che cos'è la teologia..., pp. 43-56; G. Lorizio, art. Rivelazione, in, Teologia..., a cura di G. Barbaglio, G. Bof, S. Dianich, pp. 1336-1376; C. Greco, Intellectus revelationis. Elementi per uno statuto ontologico ed epistemologico della rivelazione di Dio, in A. Ascione -- M. Gioia (edd.), Sicut flumen pax tua, Napoli 1997, pp. 235-252. La centralità della Rivelazione compresa nella prospettiva epistemologica è l'idea ispiratrice dei saggi di E. Salmann, Neuzeit und Offenbarung. Studien zur christlichen Analogik des Christentums, Roma 1986; Id., Der geteilte Logos. Zum offenen Prozeß von neuzeitlichem Denken und Theologie, Roma 1992; e di P. Coda, Teo-logia. La parola di Dio nelle parole dell'uomo, Roma 1997. Di grande interesse, inoltre, le intuizioni di T.F. Torrance elaborate -- sulle orme della teologia dialettica di Barth -- alla luce dell'idea della Trinità come «the innermost heart of the Christian faith, the central dogma of classical theology, [and] the fundamental grammar of our knowledge of God» (Trinitarian Perspectives: Toward Doctrinal Agreement, Edinburgh 1994, p. 1). Tra le sue opere: Reality and Scientific Theology, Dundee 1970; God and Rationality, London 1971; The Ground and Grammar of Theology, Belfast 1980; Transformation and Convergence in the Frame of Knowledge: explorations in the Interrelations of Scientific and Theological Enterprise, Belfast 1984; Testo

  47. Malgrado il suo impianto rigorosamente cristologico-trinitario, una simile idea non può non evocare le intuizioni di fondo dei filosofi e dei teologi del passato, convinti di ricercare le dinamiche strutturali della conoscenza sul piano dell'Essere. Quando un Eriugena, ad esempio, decide di adoperare la dialettica come metodo della sua teologia, lo fa partendo dal presupposto, suggerito da Plotino e da Dionigi Areopagita, che vi sia una corrispondenza ontologica tra il metodo e l'oggetto della conoscenza, ossia Dio quale motus stabilis et status mobilis. La dialettica negativa, come metodo del pensare Dio, è per lui «non solo 'arte argomentativa', ma piuttosto è fondata nell'Essere stesso» (W. Beierwaltes, Pensare l'Uno, tr. it., Milano 1991, p. 313). Testo

  48. Come afferma, ad esempio, Torrance, l'incarnazione di Dio in Gesù Cristo determina sia «la materia che la forma specifica» della teologia cristiana (The Christian Doctrine of God, One Being Three Persons, Edinburgh 1996, p. 1; cfr. anche p. 216). Testo

  49. Per un tentativo di approfondimento di questi fondamentali aspetti della teologia cristiana, derivati dalla riflessione sulla Rivelazione come 'teologia esemplare di Dio' (o theologia subalternans), mi permetto di rinviare al mio La teologia, statuto, metodo, fonti, strumenti. Epistemologia generale, in G. Lorizio (ed.), Teologia fondamentale..., pp. 183-228. Testo

  50. La sfida di un 'pensiero complesso', da elaborare nell'ambito della teologia, è stata recepita nella prima metà del '900 da P.A. Florenskij e S.N. Bulgakov, celebri esponenti della tradizione ortodossa russa. Entrambi vedono nella realizzazione di un simile progetto il compito della loro vita. Florenskij lo definisce: costruzione di una concezione 'integrale' del mondo; Bulgakov se ne occuperà all'interno della sua problematica e, comunque, originale sofiologia. Entrambi sono convinti dell'importanza, per un teologo, di pensare le verità di fede non settorialmente, ma nell'insieme, cogliendo i loro nessi più profondi che fanno parte della complessa o organica identità di ognuna di esse. Sono convinto che l'intuizione di fondo della sofiologia bulgakoviana è proprio quella di elaborare, alla luce di una prospettiva ermeneutica specificamente cristiana (trinitaria e cristologico-teantropica), una riflessione teologica in grado di cogliere ed esprimere il significato dei dogmi sul piano ontologico (l'essere di Gesù Cristo, l'essere della Chiesa, l'essere del peccato, l'essere della persona divinizzata...) secondo i parametri di un pensiero dinamico o processuale ispiratosi alla logica della dinamica/processualità rivelativa di Dio-Amore-Trinità. Testo

  51. Si veda, a questo proposito, il concetto di pluralismo teologico proposto in B. Lonergan, Il metodo..., pp. 358-362. Testo

  52. Cfr. W. Kasper, Teologia e Chiesa..., p. 85. Testo