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L'essenza del cristianesimo di Adolf von Harnack: il dibattito sullo sviluppo del dogma e il suo impatto sulla missiologia

di Paolo Trianni (15 agosto 2010)

1. Le fonti di Harnack

Tra i molti meriti di Harnack -- probabilmente uno dei meno studiati -- c'è il fatto che la sua opera teologica possa essere di aiuto alla ricerca teologica svolta dalla missiologia. Ciò si deve al fatto che lo studioso tedesco, specialmente attraverso L'essenza del cristianesimo,1 ha innescato tutta una serie di studi che, indagando il rapporto tra il messaggio essenziale del Vangelo e le varie culture con cui esso è venuto a contatto nel suo sviluppo storico, affrontano temi che toccano da vicino la missiologia.

Nel libro in questione, infatti, la riflessione di Harnack si è interrogata, in fondo, circa l'inerenza o l'"ineribilità" delle altre tradizioni culturali e religiose rispetto al messaggio originale di Cristo. Di esso ha fatto appunto una ricostruzione prescindendo dalle modificazioni e dalle "sovrastrutturazioni" che il contatto con culture a lei estranee -- in primo luogo quella greca e romana, ma lo storico tedesco considerava accidentale persino quella giudaica -- hanno apportato a tale messaggio. Questa scissione o dissociazione tra un'"essenza" elementare del cristianesimo ed il patrimonio dogmatico successivo della Chiesa, è esattamente la tesi fondamentale esposta da Harnack nel libro di cui sopra, il quale, ancorché essere uno dei pilastri della nascente teologia liberale, ha avuto ripercussioni dirette nelle riflessioni di autori come E. Troeltsch, W. Dilthey, A. Loisy ed E. Buonaiuti. L'essenza del cristianesimo, tuttavia, è stata analizzata criticamente anche da K. Barth, ed ha un peso notevole nelle teologie di autori come D. Bonhoeffer e R. Bultmann, che tra l'altro furono suoi allievi. Le asserzioni di Harnack, cioè, hanno acceso una lunga ed articolata controversia il cui tema centrale deve considerarsi il "luogo" essenziale della fede. La sua ricerca storica, in altri termini, ha stimolato la riflessione teologica sul che cosa sia opportuno ed appropriato credere all'interno dei molteplici contenuti della tradizione religiosa cristiana. Ciò può dirsi anche se, ben presto, la sua ricerca di un'"essenza" del cristianesimo ha paradossalmente richiamato il rapporto con le altre culture religiose, come per esempio è avvenuto in Troeltsch, o anche il concetto stesso di esperienza religiosa in sé, com'è avvenuto, sulla scia di Schleiermacher, in Dilthey. Il nodo cruciale messo in luce dalla riflessione dello storico tedesco, comunque, resta, almeno in una chiave di lettura generale, quello che emerge dalla rilettura dell'amico Troletsch.2 Quest'ultimo, infatti, leggendo l'opera harnackiana in contrapposizione a quella di Loisy, fa capire come il tema che fa da sfondo a L'essenza del cristianesimo sia in realtà il modello generale di cristianesimo che deve essere assunto: se quest'ultimo, cioè, debba rimanere fedele alla sua essenzialità originaria meramente etica o non debba piuttosto aprirsi e farsi fecondare dalle altre culture religiose, le quali, nel loro abbraccio universale, si rivelano così funzionali e necessarie per comprendere in modo compiuto i suoi misteri costitutivi. In entrambe le prospettive la missione rimane fondamentale, e in ambedue le posizioni il cristianesimo appare come universale, ma opposti diventano i modi -- in Loisy ed Harnack --, di intendere sia la strategia missionaria che l'universalità del messaggio di Gesù.

L'opera dello storico tedesco, in ogni caso, se ha influito in modo determinante sulla riflessione teologica e filosofica successiva, ha anche ereditato quella sensibilità e quella tradizione di studi a lui precedente che già aveva messo in rapporto l'illuminismo con la teologia accademica. Harnack, in particolare, mise a frutto le intuizioni di autori illuministi come H. S. Reimarius e J. S. Semler. Da quest'ultimo, nella fattispecie, raccolse la distinzione, di matrice originariamente scolastica, tra un'essenza del cristianesimo e l'esistenza di sue forme storiche sempre contingenti ed inadeguate.3 Già Scheleiermacher, comunque, si era interessato al tema dell'essenza, individuando l'essenza comune delle religioni prima nel "sentimento dell'infinito" e successivamente nel "sentimento dell'"infinita dipendenza", inaugurando così una riflessione sul tema poi raccolta dalle fenomenologie di Rudolf Otto e Gerardus van der Leeuw. Il titolo del suo libro, però, Harnack lo riprese direttamente da L. Feuerbach, che nel 1841 aveva appunto pubblicato un saggio dal titolo omonimo: L'essenza del cristianesimo. In esso l'autore distingueva una vera essenza antropologica del cristianesimo da una falsa essenza teologica. Non è un caso, a questo riguardo, che, non senza una vena di provocazione polemica, Barth abbia poi annoverato lo stesso Feuerbach all'interno della teologia liberale. Di essa lo storico tedesco, al di là dell'accezione critica che l'appartenenza ad essa aveva nella sensibilità barthiana, rappresenta indubbiamente uno dei massimi rappresentanti.4 In particolare Harnack viene collocato nella cosiddetta scuola di Gottinga, la quale aveva come asserto centrale l'inconciliabilità tra metafisica e dogmatica, ritenendo che l'etica, in quanto teologia "naturale", fosse appunto il messaggio essenziale del Vangelo.5 Egli, infatti, contro Strauss ed in generale contro la critica razionalistica della scuola di Tubinga, recuperava l'attendibilità storica dei Vangeli sinottici. Al tempo stesso, però, operando una dissociazione dalle formulazioni dogmatiche della Tradizione posteriore, ne riassumeva il messaggio in un contenuto fondamentalmente morale. Questa diversificazione di scuole, in ogni caso, permette di comprendere come l'epoca in cui Harnack ha svolto la sua attività accademica coincida, in generale, con una delle più ricche mai vissute dalla storia della teologia. Anzi si può dire che il Novecento teologico, che dal punto di vista dello sviluppo della disciplina fu ricchissimo, si apre proprio con la sua opera: L'essenza del cristianesimo, che venne pubblicata proprio nel 1900. Nello stesso anno, però, uscirono anche Le ricerche logiche di Husserl e Die Entstehung der Hermeneutik di Dilthey.6 Fenomenologia ed ermeneutica si possono quindi considerare due indirizzi di pensiero paralleli e complementari alla riflessione critica di Harnack, la cui contemporaneità va certamente sottolineata al di là di improbabili e reciproche influenze dirette.7

2. Le tesi centrali dello storicismo di Harnack

Prima di scrivere L'essenza del cristianesimo, Harnack era stato autore di una ponderosa opera in tre volumi: il Manuale di storia del dogma, nel quale aveva presentato la sua tesi fondamentale, poi ripresa appunto nel testo del 1900, nella quale si intendeva dimostrare che il dogma della Chiesa è la risultante di un processo di ellenizzazione del messaggio cristiano.

Egli faceva così una personale distinzione, se non proprio una cesura netta, tra il contenuto essenziale del cristianesimo ed il suo rivestimento accidentale. Nel fare ciò egli procedeva non solo da storico, ma anche secondo una specifica comprensione della storia di ispirazione neokantiana, intesa cioè come necessaria determinatezza in cui non si danno assoluti.8 A suo avviso, infatti, «Essere uomo significa [. .] essere situati [...] in un contesto storico, a sua volta delimitato e limitato. Al di fuori di queste condizioni non si dà uomo».9 Egli, in questo modo, poneva le basi di una fondamentale relatività che potrebbe anche essere letta come vero e proprio relativismo se non fosse che ciò, nella logica di Harnack, era funzionale alla distinzione di un nucleo immutabile sempre valido (Kern) dalla scorza (Schale) del mutevole rivestimento storico.

Il professore berlinese poteva così evidenziare l'estrema duttilità del cristianesimo e delle sue forme storiche, le quali, nelle sue descrizioni, sono sottoposte ad una sorta di Aufheben hegeliano, inteso come processo che distrugge e conserva l'antico trasfigurandolo.10 Nella lezione dedicata al protestantesimo, dimostrandosi in verità, come dice Loisy, non uno storico, non un filosofo, ma un teologo evangelico, scriveva a questo riguardo:

Ogni riforma veramente significativa nella storia delle religioni è sempre innanzitutto una riduzione critica, perché la religione, nel corso del suo sviluppo storico, adattandosi alle condizioni esterne, attrae a sé parecchi elementi estranei unendosi ai quali produce una quantità di ibridi e di apocrifi che di necessità si pone sotto la protezione del sacro. Affinché non imbarbarisca per eccessiva esuberanza o non soffochi isterilità dal suo stesso rigoglio deve necessariamente venire un riformatore che la purifichi e la riporti a se stessa.11

L'aspetto problematico che ha scatenato le più ampie discussioni, verteva appunto non tanto sul concetto di un'essenza del cristianesimo, ma sui termini deprezzanti e svalutanti con i quali Harnack leggeva il processo storico che ha portato alla costituzione della dogmatica cristiana. Niente di più lontano, da questo punto di vista, dal contesto cattolico, dove si parla invece esplicitamente di evoluzione del dogma, come, in epoca più recente, ha dimostrato anche l'istituzione della celebrazione dogmatica dell'assunzione.12

Lo storico tedesco, in questa sua riduzione essenziale del patrimonio di fede cristiano, individuava tre ambiti che a suo dire contraddistinguono l'essenza della predicazione di Gesù: il Regno di Dio e la sua venuta; Dio come Padre ed il valore infinito dell'anima umana; e la migliore giustizia ed il comandamento dell'amore.13 Il corollario che inevitabilmente consegue da tale impostazione, però, è il totale svuotamento dogmatico della cristologia. Per Harnack, infatti, il Vangelo annunciava solo il Padre, non il Figlio.14 La predicazione contenuta nelle pagine del Nuovo Testamento, in altri termini, non legittimerebbe assolutamente la dottrina tradizionale sulla divinità di Gesù. Lo storico di Berlino, a questo proposito, affermò appunto che «tutta la costruzione della cristologia ecclesiastica sta al di fuori della personalità concreta di Gesù Cristo».15 Harnack, con un esplicito intento polemico, ricordava criticamente anche tutte le dispute che hanno accompagnato la cristologia e che ancora oggi accompagnano quello che la tradizione cattolica ricorda come simbolo niceno-costantinopoliano:

A causa di una sfumatura si rompeva la comunione fraterna e migliaia di persone venivano ingiuriate, scacciate, poste in catene ed uccise. Sul terreno della "cristologia" gli uomini hanno forgiato le loro dottrine teologiche in armi terribili e moltiplicato la paura ed il terrore.16

A suo avviso, in altri termini, «la cristologia viene considerata come se l'evangelo non offrisse alcun altro problema, ed il fanatismo che l'accompagna è ancor vivo oggi».17

3. Il dibattito successivo

Era inevitabile che una tale posizione scatenasse un'animata controversia, ed era in un certo senso scontato, alla luce della nascente teologia dialettica -- la quale scaturisce proprio da lui -- che Karl Barth prendesse posizione contro Harnack. Il giovane teologo, reagendo ad un articolo dello storico tedesco pubblicato su Christliche Welt (Mondo cristiano) dal titolo Quindici domande a quei teologi che disprezzano la teologia scientifica rispose con un articolo speculare intitolato: Quindici risposte al prof. von Harnack. In esso Barth accusava appunto la teologia scientifica protestante di essersi allontanata dalla Rivelazione di Dio, la quale, a suo dire, seguendo il papato della scienza, aveva finito col parlare semplicemente dell'uomo. La provocazione del teologo dialettico, da questo punto di vista, può appunto leggersi come una denuncia affinché l'annuncio cristiano non venga accostato alla stregua delle produzione profane. Un tale atteggiamento, a suo avviso, ridimensionava il valore trascendente della Bibbia a mero messaggio umano, quando, invece, all'opposto, esso dovrebbe essere conservato nella sua integrità, accettandolo interamente per quello che esso si presenta, cioè quale Parola di Dio. Da questo punto di vista, la posizione barhiana è un primo esempio di opposizione esplicita al relativismo storicistico.

Se Barth si è contrapposto apertamente ad Harnack, tra coloro che ne hanno assunto la ricerca, sia pure in modo critico, possiamo invece ricordare il compagno nella scuola di Gottinga, Ernst Troeltesch.18 Egli, nel 1903, scrisse appunto un articolo che portava il titolo: Che significa "Essenza del cristianesimo"? .19 Secondo l'autore il libro harnackiano rappresentava l'esempio emblematico della tendenza storicizzante della teologia, la quale, però, era vista tutt'altro che in termini negativi.20 Egli, a questo riguardo, cercando di fare una sorta di bilancio delle reazioni al testo di Harnack, riportava sia le critiche severe dei "dogmatici" sia quelle più serene di coloro che avevano un approccio storico al fenomeno religioso. In particolare, come vedremo meglio, riprendeva le critiche di Loisy dimostrandosi abbastanza vicino alle sue conclusioni. Troeltesch, in ogni caso, si distingueva per l'interesse verso le religioni non cristiane, cercando, al contempo, di individuare e giustificare le ragioni della normatività o assolutezza del cristianesimo rispetto ad esse.21

Il legame con Harnack, al di là delle differenze di fondo, consiste da un lato nell'adozione del metodo storico a discapito di quello dogmatico,22 e dall'altro nella simile ricerca un'"essenza" del cristianesimo, questa volta però specificatamente mirata a fondare la sua superiorità rispetto a tutte le altre fedi religiose. Anche Troeltsch, comunque, partiva dalla stessa prospettiva storicistica di Harnack, sostenendo che il cristianesimo era un fenomeno storico, e alla stregua di tutti i fenomeni storici non poteva essere visto come la realizzazione esaustiva ed immutabile del concetto universale di religione. Tuttavia, nella sua ricerca tesa ad arrivare ad una giustificazione della normatività del cristianesimo, ha avuto il merito di aprire una propria strada personale rispetto a quelle della vecchia e della nuova apologia.23 Egli è divenuto, forse più di quanto lo sarà Loisy, il profeta della "totalità" del cristianesimo. Nel senso che nella sua comprensione di esso convergono, di necessità, l'ebraismo, la predicazione di Gesù, la mistica di Paolo, l'idealismo del platonismo e dello stoicismo, la cultura medioevale, l'individualismo germanico e finanche il protestantesimo.24 In questa sua convinzione, quindi, egli si è senz'altro allontanato da Harnack, dimostrandosi decisamente più vicino, come si diceva, all'abate Loisy.25 Sul piano missiologico, quindi, la riflessione di Troeltsch, pur muovendo dalla lezione harnackiana, sviluppa un'evoluzione ulteriore, e dimostra l'implicita necessità, per il cristianesimo, di aprirsi alle altre culture religiose, e finanche la possibilità e l'importanza di essere arricchito da esse. Egli ha così mutato la centralità del tema dell'essenza in quello della normatività, considerando quest'ultima la componente specifica che rende il cristianesimo normativo, cioè superiore alle altre religioni.26 È questo, in definitiva, lo sviluppo fondamentale apportato da Troeltsch elaborando l'opera harnackiana.

Un altro grande merito nella sua opera di approfondimento critico de L'essenza del cristianesimo, fu, comunque, come si accennava, l'aver messo in contrapposizione la posizione di Harnack con quella di Loisy. L'abate francese, nell'assumere lo spirito e gli sviluppi della teologia scientifica, si mise a capo del movimento etichettato con l'appellativo di modernismo.27 Egli rispose ad Harnack con il libro rosso, dal colore del testo, intitolato Il Vangelo e la Chiesa. In questo saggio Loisy accusava lo storico tedesco di non vedere la chiesa in continuità con il Vangelo e di procedere in realtà da filosofo, prendendo in esame troppi pochi passi biblici. All'opposto di Harnack, egli metteva invece l'essenza del cristianesimo nella pienezza e nella totalità della suo accrescimento. Loisy, cioè, aveva una nozione positiva ed evolutiva dell'essenza del cristianesimo, leggendolo come una realtà vitale che si perfeziona e si sviluppa attraverso il contatto con le diverse culture ed espressioni religiose.28 L'abate francese, affermando il concetto di una necessaria evoluzione, canonizzava così la storia, avviandosi verso una risoluzione filosofico-religiosa di tipo evoluzionistico in cui le formule dogmatiche sono ormai totalmente svalutate in rapporto all'esperienza mistica transconfessionale.29 Da questo punto di vista, chi raccolse la tensione prospettata da Loisy tra normatività del cristianesimo primitivo e imprescindibilità della storia fu E. Buonaiuti. Quest'ultimo, in una conferenza su L'essenza del cristianesimo del 1922, ed in seguito anche alla lettura della fenomenologia della religione di Otto, prendeva le distanze sia da Harnack che da Loisy. In un certo senso, cioè, anche Buonaiuti propose una sua concezione dell'essenza del cristianesimo. Egli, infatti, parlò di quest'ultimo come di un'etica originale sostenuta da una grande visione escatologica e da una profonda esperienza soteriologica. Ponendo la questione in tali termini, egli difendeva così la normatività del cristianesimo, dimostrandosi però aperto e rispettoso verso le altre esperienze religiose che fossero capaci di far emergere il numinoso.

Quest'ultime furono l'oggetto specifico della ricerca di Dilthey. Egli, sebbene nel suo carteggio si dimostri essere uno dei più aspri critici dell'opera di Harnack,30 ne ripercorse in verità alcuni luoghi fondamentali. Alla base dei suoi studi, infatti, c'è il tentativo di scoprire l'essenza della religione in rapporto alla relatività delle sue incarnazioni storiche. Dilthey, cioè, assume lo stesso concetto harnackiano di essenza (Wesen), applicandolo però non più al cristianesimo, ma all'esperienza religiosa in generale.31 Egli spostò così la questione dall'ambito cristiano a quello del pluralismo religioso, che indirettamente coinvolge appunto la prospettiva missiologica. Questo pensatore si chiedeva infatti quale fosse l'essenza delle religione, intesa come elemento costante che si conserva immutato ed immutabile rispetto ad un necessario e provvidenziale pluralismo confessionale e dottrinario. È facile comprendere, tuttavia, quali furono i motivi della contrarietà che allontanarono Dilthey dal relativismo harnackiano. Quest'ultimo, infatti, svalutava a priori le dogmatizzazioni accidentali che emergono dalle necessità della storia, mentre il primo, attraverso la sua impostazione ermeneutica, procedeva preliminarmente da essa. Il pensiero di Dilthey, da questo punto di vista, può forse aiutare a mettere a fuoco un altro aspetto della missiologia, la necessità imprescindibile, cioè, di procedere dalle attese del contesto nel quale si intende incarnare il messaggio.

4. Conclusioni missiologiche

Alla luce degli autori richiamati che direttamente o indirettamente hanno fatto riferimento a L'essenza del cristianesimo di Harnack, è possibile dedurre come egli, sostanzialmente, abbia messo in risalto una tensione di fondo: quella tra la condanna della storia e la sua canonizzazione. È ovvio, da questo punto di vista, che all'interno del concetto di storia dobbiamo necessariamente includere gli ambienti culturali e le religioni con le quali il messaggio cristiano si è dovuto confrontare in passato ed è chiamato ancora oggi a dialogare ed interagire. Alla luce di ciò, possiamo quindi chiederci quale contributo la missiologia (o missionologia se si conserva la radice latina) possa ricavare dalle riflessioni di Harnack e dal dibattito suscitato dal suo testo. La struttura stessa de L'essenza del cristianesimo e le discussioni successive alla sua pubblicazione, infatti, richiamano precisamente la questione del rapporto e della tensione tra il cristianesimo e le culture e le religioni ad esso estranee. Il tema centrale affrontato da Harnack, da questo punto di vista, è esattamente uno dei compiti centrali di cui tradizionalmente si occupa questa disciplina: l'inculturazione del messaggio evangelico. Come dimostra il titolo di una sua pubblicazione dedicata appunto alla storia della missione nei primi secoli del cristianesimo, egli era pienamente consapevole di quanto la sua riflessione toccasse le problematiche tradizionali della missione.32 La teologia missionaria, infatti, nel suo sforzo di adattamento ed incarnazione del messaggio evangelico, è chiamata a continuare la ricerca di Harnack, che è appunto consistita nel discernere all'interno dei contenuti cristiani il duraturo dal transitorio, l'immodificabile dall'adattabile.

È ovvio, tuttavia, che l'opera dello storico tedesco, mal recepita all'interno dello stesso mondo protestante, abbia poca o nessuna speranza di essere accolta in quello cattolico. Al tempo stesso, però, specialmente per la missiologia operante nel continente africano o in quello asiatico, rimane invariata la necessità, ispirata da Harnack, di distinguere quali "contenuti" si possano adattare ai costumi concettuali indigeni e quali invece attengono all'immutabile ed indefettibile essenza del cristianesimo.

Il postulato che possiamo ricavare dal libro dello storico tedesco, riguardo a queste questioni, è che il cristianesimo sia una religione strutturalmente universale ed universalizzabile proprio in virtù del fondamento etico e non culturale della sua essenza. Le tesi contenute nel saggio, difatti, riguardano soltanto le forme culturali ed i contenuti della missione, non la sua possibilità. La capacità espansiva del messaggio cristiano, secondo lo storico tedesco, è infatti una conseguenza diretta della sua struttura di fondo:

L'evangelo non è entrato nel mondo come una religione statuaria e perciò non può possedere una sua forma di manifestazione classica e permanente in alcuna delle formazioni intellettuali e sociali in cui si espresse, nemmeno in quelle iniziali.33

Il cristianesimo, secondo Harnack, è quindi universale e può arrivare all'uomo di qualunque latitudine e cultura esattamente perché il messaggio di Gesù è esemplare nella sua semplicità. In un certo senso si può forse giungere ad affermare che per lo storico tedesco il cristianesimo è una sorta di non-religione, proprio perché ogni religione ha nel suo contenuto storicamente determinato il proprio limite, la propria relatività, il proprio condizionamento pregiudiziale, mentre l'essenzialità ed indipendenza culturale del Vangelo va al di là delle ristrettezze imposte da queste categorie. Seguendo la logica harnackiana, dall'autonomia culturale del messaggio di Gesù, anzi dalla sua universale umanità, possiamo ricavare come corollario che esso è necessariamente universale, e che tutti i contenuti dogmatici che vengono accidentalmente attribuiti ad esso sono delle sovrastrutture contingenti, incidentali e superflue. Secondo Harnack, come si è visto, l'essenza, a contatto con altre culture, si è caricata di aspetti che finiscono con lo snaturare l'originarietà dello stesso messaggio evangelico. Il problema di fondo sollevato dalle sue tesi consiste allora, come si accennava, nell'interpretazione e nella valutazione di quelle che abbiamo chiamato, usando il linguaggio di Marx, sovrastrutturazioni. In particolare, nel dibattito con Loisy, la questione emersa verteva sul fatto che tali dogmatizzazioni non dovevano leggersi come una sorta di tradimento, ma anzi come una necessità, essendo quello dell'arricchimento progressivo il destino inevitabile del cristianesimo. Il problema, posto in questi termini, diventa perciò quello di valutare se l'espansione missionaria, che sempre "adatta" il simbolo cristiano nell'inevitabile elaborazione teologico-culturale susseguente all'incontro con nuove contesti, comporti una "falsificazione" o non piuttosto un "accrescimento veritativo" e un più limpido svelamento del mistero rivelato. Se i "rivestimenti", cioè, che la teologia cristiana assume nei vari contesti culturali, siano una distorsione o non siano altrettanto "essenziali" quanto l'essenza del messaggio originario.

Il punto di arrivo di Harnack vorrebbe dimostrare che l'inculturazione occidentale si è rivelata una impropria dogmatizzazione che ha alterato l'essenza del cristianesimo o che, come hanno affermato anche altri autori, procede addirittura contro di essa.34 Egli ritiene infatti che le plasmazioni e le modifiche da esso subite siano state estrinseche e riconducibili a fattori esterni. Ciò, se da un lato evidenzia la flessibilità e la potenzialità adattativa della verità cristiana, dall'altro opera una pesante relativizzazione della Tradizione, perché intende dimostrare che taluni dogmi sono in realtà adattamenti culturali che non appartengono e nulla hanno a che fare con l'essenza del cristianesimo. In queste conclusioni harnackiane potremmo dunque leggere una implicita critica a quel tipo di missione che annuncia dogmi teologici, conseguenza di precedenti inculturazioni, anziché il messaggio essenzialmente etico del Vangelo. Secondo il punto di vista dello storico tedesco, infatti, sarebbe illegittimo proclamare ad una cultura che mai abbia udito il Vangelo una dogmatica che è qualcosa di ulteriore rispetto ad essa. Ciò, nella filosofia di Harnack, rappresenterebbe una minaccia all'identità stessa del cristianesimo, il quale, nella lettura che di esso egli dà, non ha e non deve avere nessun indirizzo culturale specifico. In definitiva, infatti, la sua prospettiva qualifica il cristianesimo come una potenza dinamica che è e che deve rimanere sempre altra rispetto alle forme in cui si determina.

La provocazione di Harnack tesa a scindere il Vangelo dalla fissità delle determinazioni storico-culturali, tuttavia, potrebbe anche essere letta non come una critica esplicita alla teologia missionaria, ma anzi, paradossalmente, come la prima missione del cristianesimo. Quest'ultimo, infatti, secondo l'autore, è chiamato non ad eleggere e coniugarsi con una sola cultura, ma ad entrare in tutte trasformandole dall'interno, proprio perché è esattamente questo la portata rivoluzionaria del suo messaggio.

La lezione dello storico tedesco, dunque, avvicinata dal punto di vista della missiologia, può essere compresa come un mero invito ad annunciare l'essenza del cristianesimo nei vari contesti attraverso l'essenza stessa, evitando, cioè, di caricare il messaggio evangelico di elementi che sono il prodotto di una cultura o di una storia ad esso estranei. Tale convenzione, lungi dall'essere una confessione di relativismo, può anzi essere letta, paradossalmente, come un viatico di legittimazione alla missiologia e alla sua opera di inculturazione. Il messaggio evangelico, in altri, secondo Harnack, per la sua natura e per la fonte assoluta da cui proviene, risulta sì destinato ad essere annunciato in ogni tempo ed in ogni cultura, ma facendo attenzione a non farsi limitare da tali condizionamenti. Il messaggio di Cristo, nell'insegnamento dello storico tedesco, deve rimanere sempre ulteriore rispetto ai restringimenti culturali della storia. La sua missione specifica, infatti, nel richiamo harnackiano, deve essere quella di interrogare criticamente tutte le istituzioni storiche e le culture entrando in esse per poi, come si accennava, rivoluzionarle dall'interno. Nessuna cultura, dunque, in tale prospettiva, può essere vincolante e normativa per il costituirsi e l'affermarsi del cristianesimo, neppure quella latina e quella greca, perché ciò significherebbe limitarne l'evoluzione e l'espansione nel tempo e nello spazio. L'essenza del cristianesimo, non coincidendo che le sovrastrutturazioni e le artificiosità gessate di qualunque cultura, può dunque aprirsi -- è questa la lezione che sembra legittimo ricavare dal testo dello storico tedesco -- anche a contesti culturali molto lontani da quelli mediterranei. La sua riflessione, quindi, letta in chiave missiologica, sembra affermare che quando si annuncia l'"essenza" del cristianesimo e non la sedimentazione storica che l'accompagna, il messaggio evangelico non rischia di fare opera di violenza culturale, e vede anzi potenziata, in qualunque contesto, la sua incidenza e la sua rivoluzionaria capacità di rinnovamento spirituale e sociale.

L'Essenza del cristianesimo di Harnack, in definitiva, lungi dall'essere una critica semplicistica alla teologia missionaria, può anzi essere accolta come una profonda riflessione filosofica sulla natura e la forma che deve assumere la missione stessa. Il libro, cioè, anche può essere letto come una sorta di indicazione concettuale da cui la teoria dell'azione e della strategia missionaria deve trarre insegnamento. Del resto, al di là di quello che lo storico tedesco potrebbe obiettare, la teologia missionaria, specialmente nella sua storia recente, ha in fondo già recepito le sue provocazioni. Soprattutto la strategia missionaria cattolica postconciliare, infatti, nella sua azione apostolica, cerca con estrema prudenza un delicato equilibrio tra l'irrinunciabile fedeltà alla dottrina della Tradizione e l'apertura alla storia e alle sue variegate diversità culturali e sociali. Da un lato, quindi, possiamo dire che le prospettive indicate nel libro di Harnack, anche se non solo quelle, sono state feconde, dall'altro è altrettanto ovvio la missiologia non deve cadere nell'eccesso opposto in cui si potrebbe incorrere seguendo alla lettera le considerazioni dello storico tedesco: quello di svalutare troppo la storia e le sue acquisizioni.

Una missione ideale, dunque, tenendo conto sia della lezione harnackiana che del patrimonio dogmatico delle Chiese, da un lato non dovrebbe farsi carico di un'impropria inculturazione e dogmatizzazione che colora e determina ciò che è originariamente neutro, dall'altro non dovrebbe nemmeno rinnegare i contenuti di verità svelati dalla storia stessa e dalle mediazioni che gli sono proprie. Il primo compito che la teologia dovrebbe assumersi, così come emerge dalle considerazioni del tedesco, è, come si diceva, quello di discernere il contingente dall'assoluto. Nella sua ricerca incessante di una verità dogmatica ed ultimativa, cioè, l'indagine teologica che guarda alla missione dovrebbe porsi tra i suoi obiettivi quello di aiutare a discernere l'essenza del messaggio originario dalle sovrastrutture sempre relative della loro inesorabile storicità.

È bene ribadire, comunque, che secondo il pensiero originario di Harnack, la preminenza della religione cristiana consiste esattamente in questa sua superiore semplicità che gli consente di adattarsi e flessibilizzarsi. A suo avviso, infatti, come si diceva, il nucleo del cristianesimo non porta con sé nessuna cultura e da nessuna deve farsi permeare e determinare. L'essenzialità del Vangelo, per lui, è anzi la garanzia della sua universalità e della sua efficacia, il quale, però, per incidere socialmente deve sì mimetizzarsi nelle varie culture del mondo, ma anche, sul piano della fissazione del dogma, restare impermeabile rispetto ad esse. Da questo punto di vista, una posizione equilibrata può essere quella che ritiene atteggiamenti sbagliati sia il canonizzare una sola cultura, nella fattispecie quella greco-latina, sia il relativizzarle tutte denunciandone l'impotenza radicale ad incarnarne e concettualizzarne il messaggio.

In conclusione, quindi, il problema di fondo sollevato da Harnack con il suo celebre testo risulta corrispondere con uno degli interrogativi centrali che si pone la missiologia: se, cioè, l'annuncio missionario cristiano debba coincidere con la semplicità delle origini e in un messaggio meramente etico, o vi si debba includere non solo la cultura greca e quella romana, ma, in un futuro ancora lontano, anche le categorie ed il linguaggio di altre tradizioni metafisiche e religiose. La risposta harnackiana è chiara, e la sua provocazione deve sicuramente essere accolta in una riflessione sui fondamenti filosofico-teologici della missione, tuttavia l'individuazione di quale effettivamente sia l'essenza del cristianesimo e come essa debba essere annunciata, rimane, come si diceva, una questione aperta affidata allo sforzo incessante della ricerca teologica.

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Note

  1. Nel semestre invernale 1899-1900, il non ancora cinquantenne Adolf Harnack (1851-1930), che solo nel 1914 riceverà il titolo nobiliare che lo autorizzerà a chiamarsi von Harnack, iniziava un ciclo di 16 lezioni che, stenografate da uno studente, furono appunto pubblicate nel 1900 con il titolo: L'essenza del cristianesimo. Cf. A. Harnack, L'essenza del cristianesimo, Queriniana, Brescia 2003. Testo

  2. È forse opportuno e significativo ricordare che proprio Harnack, nel 1923, lesse l'orazione funebre di Troeltsch definendolo il più grande filosofo della storia apparso in Germania dopo Hegel. Testo

  3. Scriveva Harnack con una riflessione nella quale non è difficile riconoscere un sottofondo neokantiano: «nella storia non si possono esprimere giudizi assoluti» (A. Harnack, L'essenza del cristianesimo, cit., 76). Testo

  4. Il termine liberalis theologia, lo si trova già in Johann Salomo Semler (1725-1791). Egli per primo raccolse l'idea illuministica di una necessaria distinzione tra un'essenza del cristianesimo e le forme storiche di cui si riveste. Il termine teologia liberale, in ogni caso, stava ad indicare un libero metodo di ricerca storico-critico dei dati della fede e della teologia che non si sentisse vincolato ai dati a posteriori della tradizione dogmatica. Tra le fonti di tale indirizzo teologico, tuttavia, dobbiamo sicuramente includere anche il pensiero di Georg Wilhelm Friedrich Hegel e la filosofia della religione di Friedrich Schleiermacher. Testo

  5. La teologia liberale, nel corso del XIX secolo, fu rappresentata da tre scuole: la scuola teologica di Tubinga, la scuola di Gottinga e la scuola storico-religiosa. p3p3I maggiori esponenti della prima furono Ferdinand Christian Baur e David Friedrich Strauss, di quest'ultimo, in particolare, Harnack criticò l'interpretazione razionalistica del Nuovo Testamento. La scuola di Gottinga, nata intorno alla rivista Christliche Welt, è quella rappresentata da Albrecht Ritschl, Ernst Troeltsch e Adolf von Harnack. L'indirizzo in questione, in generale, considerava la metafisica e la dogmatica inconciliabili e riteneva che il messaggio teologico più importante consistesse nell'etica, in quanto teologia "naturale". Questa inclinazione verso una prospettiva etica non fu invece condivisa dai fondatori della scuola storico-religiosa, Hermann Gunkel e Wilhelm Bousset. Testo

  6. Cf W. Dilthey, Ermeneutica e religione, a cura di G. Morra, Rusconi, Milano 1992. Testo

  7. Sebbene un legame diretto tra il lavoro di Harnack e queste due correnti non sia individuabile, è altrettanto vero che sul piano contenutistico sia il metodo fenomenologico, con il procedimento dell'epoché e la riduzione eidetica, sia l'ermeneutica intesa come necessità di mettere l'attenzione e fissare il punto di partenza su l'uomo storico, non sono troppo lontane dalle posizioni harnackiane. Testo

  8. Cf A. Harnack, L'essenza del cristianesimo, cit., 76. Testo

  9. Ib., 72. Testo

  10. Scriveva l'autore richiamando implicitamente la prospettiva hegeliana: «La storia della Chiesa mostra, già nei suoi primi passi, che il "cristianesimo delle origini" dovette tramontare affinché il "cristianesimo" perdurasse, e così anche in seguito si sono succedute ulteriori metamorfosi. Fin dalle origini fu necessario sopprimere formulazioni, correggere speranze e mutare modi di sentire in un processo che non si è mai arrestato» (ib., 73). Testo

  11. Ib., 240. Testo

  12. Il dogma venne solennizzato il 1º novembre 1950 con la costituzione dogmatica Munificentissimus Deus. Un autore cattolico che ha riletto l'inculturazione in termini di ermeneutica è Edward Schillebeeckx. A suo avviso il problema dell'evoluzione del dogma si è presentato a più riprese nel XIX e nel XX secolo, sia in occasione del confronto con lo storicismo moderno, sia, appunto, con la controversia modernista. Per il domenicano la teoria ermeneutica era un equivalente della teoria dell'evoluzione del dogma. Da questo punto di vista accettare l'evoluzione significava semplicemente riconoscere possibile il passaggio da un implicito della verità ad una sua esplicitazione legittima ed omogenea. La differenza tra teoria dell'evoluzione del dogma e teoria ermeneutica, sotto questo aspetto, è che la prima mira risolvere i problemi storico-dottrinali, la seconda pone invece il problema della intelligibilità della rivelazione e della attualizzazione e rilevanza esperienziale delle formule di fede. Lo stesso Schillebeeckx, ricordava inoltre che questa prospettiva evolutivo-ermeneutica era già stata anticipata nel sec. V da Vincenzo di Lérins, il quale, nel Commonitorium (c. 23), contro gli eretici del tempo, ammetteva un certo progresso del dogma, precisando, però, che progresso non significa cambiamento. Testo

  13. Cf A. Harnack, L'essenza del cristianesimo, cit., 97ss. Testo

  14. Cf ib., 157. Testo

  15. Ib.,215. Testo

  16. Ib., 145. Testo

  17. Ivi. Testo

  18. Troeltsch fu autore, nel 1914, di una scelta la cui significatività non sfuggì, per esempio, a Barth: quella di passare dalla cattedra di teologia sistematica di Heidelberg a quella di filosofia della cultura di Bonn. Testo

  19. Il testo è consultabile in italiano in E. Troeltsch, Etica, religione, filosofia della storia, G. Gentili (ed.), Napoli 1974, 263-331. Testo

  20. Cf ib.,264. Testo

  21. Troeltsch, che sarà il teorico ed il teologo della Scuola di storia delle religioni (Religionsgeschichtliche Schule), nel 1902 scrisse un saggio dedicato alla ricerca della normatività del cristianesimo che egli individua nella sua essenza personalistica (cf E. Troeltsch, L'assolutezza del cristianesimo e la storia delle religioni,Morano, Napoli 1968). Testo

  22. Scriveva Troeltsch: «Proprio del metodo dogmatico è appunto puntare sul petto la pistola dell'aut-aut» (ib., 21). Testo

  23. Troeltsch, che fondamentalmente distingueva tra religioni della legge (ebraismo e islamismo) e religioni della redenzione (bramanesimo, buddhismo e cristianesimo), propose una propria terza via per dimostrare la normatività del cristianesimo. Se la via vecchia dell'apologetica ortodosso-soprannaturlistica sottolineava l'origine soprannaturale ed i miracoli e quella moderna sottolineava la dimensione storico-evolutiva del cristianesimo, nel quale, secondo quanto avevano scritto Lessing, Kant, Herder ma anche Hegel e Schleiermacher, si realizza compiutamente l'essenza della religione, egli individua invece una strada teleologica. Troelstsch, fondandosi sul concetto di fine (Ziel) affermava che la superiorità del cristianesimo consiste nella sua intrinseca struttura personalistica, avendo come fine, appunto, quello della partecipazione alla personalità di Dio: «Tutte le altre forme religiose, in quanto ignorano l'esito al personalismo, stanno dietro o di fianco a noi. Ciò basta per darci quel senso di assolutezza di cui abbiamo bisogno e che è il solo che a noi sia dato conseguire» (ib., 146). Testo

  24. Ib., 121. Testo

  25. Scriveva Troeltsch: «solo il futuro, con la fine del tempo e con il giudizio di Dio apporterà la verità assoluta» (ib., 130). Testo

  26. Per Troeltsch l'essenza del cristianesimo coincide con la sua normatività rispetto alle altre religioni storiche. Superiorità che si esprime in primo luogo nella sua dimensione personalistica. Per lui infatti il cristianesimo «tutte le altre forme religiose, in quanto ignorano l'esito al personalismo, stanno dietro o a fianco di noi. Ciò basta per darci quel senso di assolutezza di cui abbiamo bisogno e che è il solo che a noi sia dato di conseguire» (E. Troeltsch, L'assolutezza del cristianesimo e la storia delle religioni, Morano, Napoli 1968, 146). Testo

  27. La teologia cattolica, impegnata in una restaurazione della tradizione scolastica, aveva già preso posizione contro la modernità con il Sillabo del 1864. Il "modernismo" che voleva appunto assumere una libera ricerca in campo teologico, venne avversato dai pontefici al punto che con Pio X si giunse a chiedere un giuramento antimodernista. Testo

  28. Scriveva Loisy: «Perché si dovrebbe ritenere che l'essenza dell'albero sia contenuta in una particella del seme dal quale è sorto, e perché non si sarebbe anche effettivamente e più perfettamente realizzata nell'albero che nel suo seme?» (A. Loisy, Il vangelo e la chiesa, Ubaldini Roma 1976, 76). Testo

  29. Cf. l'editoriale di P.C. Bori, in A. Harnack, L'essenza del cristianesimo, cit., 45. Testo

  30. Scriveva Dilthey a proposito del Manuale di storia del dogma: «sto leggendo con profonda ripugnanza, partendo dalla mia religiosità storica che procede per così dire per comparazione, il secondo volume di Harnack. Questo tentativo di staccare il cristianesimo dai suoi misteri e convinzioni e di trasformarlo in un particolare dato che si connette con la natura umana ma solo con un dio nominalistico, istruire funzionari per questa particolarità, quasi impiegati di Dio, deve colpire e recidere dovunque le profonde radici del cristianesimo. Esso nasce dal patto con l'ateismo del pensiero politico» (P. Y von Wartenburg -- W. Dilthey, Carteggio (1877-1897), trad. it. F. Donadio, Napoli 1983, 353). Testo

  31. Scriveva Dilthey a questo riguardo: «L'esperienza resta sempre soggettiva: solo l'intelligenza delle creazioni religiose basata sull'esperienza retrospettiva rende possibile una conoscenza oggettiva della religione. È per questo che il procedimento metodico per la determinazione dell'essenza della religione deve attenersi alle sue creazioni. La religione invero esiste in forme svariate, ciascuna delle quali rappresenta un insieme concreto particolare. Ognuna di queste religioni ha una storia, e tutte queste creazioni storiche possono essere sottoposte al metodo comparativo, in modo da cogliere l'essenza della religione ad esse comune» (W. Dilthey, Eremenutica e religione, cit., 142). Testo

  32. Cf A. von Harnack, Missione e propagazione del cristianesimo nei primi tre secoli, Bocca, Milano 1906. Testo

  33. Ib., 188. Testo

  34. È interessante ricordare la prospettiva non dissimile attraverso la quale Lanza del Vasto rispondeva a Vinoba, il prosecutore dell'opera gandhiana, il quale affermava appunto che non v'era civiltà cristiana in Occidente: «I cristiani ci sono, là come altrove e in questo secolo come negli altri, in un mondo ostile e beffardo, e simili ad agnelli tra i lupi. A parte la Chiesa, che è un mondo parte, la civiltà Occidentale è costituita dall'incontro di tre correnti: la corrente pagana, la corrente barbara e la corrente profana o volgare. [...] Le tre correnti non procedono da lei, ma piuttosto contro di lei» (Lanza del Vasto, Vinoba o il nuovo pellegrinaggio, Jaca Book, Milano 1980, 145). Testo