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La spiritualità trinitaria di Agostino d'Ippona

di Basil Studer (8 marzo 2007)

Riguardo alla spiritualità trinitaria di sant'Agostino, ritengo di essere in grado di dire cose forse meno conosciute. Oltre tutta una serie di studi, pubblicati nel n. 141 (2006) 1 ed in altri volumi dei Studia Anselmiana, ho fatto uscire l'anno scorso una introduzione al De Trinitate di Agostino.2 Incentrandomi sul messaggio cristiano di questa opera famosa, cerco di chiarire ciò che Agostino ritiene circa le proprietà personali del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo nonché di spiegare l'approccio cristologico della sua teologia trinitaria. In questo modo si contribuisce anche alla ricerca sul progresso spirituale in Agostino di cui ho trattato in una conferenza, tenuta in un simposio sul progresso spirituale che l'Istituto Monastico di S. Anselmo aveva organizzato nel 1992.3 Lì ho preso in considerazione particolare gli scritti anti-pelagiani del vescovo d'Ippona, mettendo in rilievo due aspetti: il progresso verso la giustizia perfetta (cioè verso l'amore perfetto) e il progresso verso la contemplazione perfetta (cioè verso la conoscenza perfetta). Infatti il De Trinitate di Agostino si presenta marcato da una forza dinamica straordinaria. Il vescovo d'Ippona vi dimostra la premura di condurre i suoi lettori a conoscere più profondamente ed ad amare più intimamente la Trinitas quae est unus Deus.4 Nella seconda parte intraprende anche una salita attraverso le immagini inferiori fino a quella più alta, l'imago sapientiae. Pur non raggiungendo la perfezione, si protende verso ciò che gli sta innanzi. Studiando dunque la spiritualità trinitaria nel De Trinitate di Agostino, prendiamo in considerazione pure ciò che egli pensa del progresso spirituale.

Abbiamo ancora due altri motivi di occuparci della spiritualità trinitaria di sant'Agostino. Da una parte, non c'è alcun dubbio che la tradizione monastica del secolo duodecimo, del tempo di san Bernardo, dava molta importanza alla spiritualità trinitaria. Uno dei primi abati del mio monastero, il beato Frowino (+1178) lo attesta con ogni chiarezza.5 Nel suo commento al Pater noster, spiega in modo trinitario le prime tre domande della preghiera del Signore. "Il nome sia santificato", si dice del Padre, "il regno venga" del Figlio e "la volontà sia fatta" dello Spirito Santo. Frowino non raggiunge l'altezza del pensiero trinitario del suo coetaneo Riccardo di San Vittore (+1173). Ci ha lasciato nondimeno una testimonianza preziosa del patrimonio agostiniano. Dall'altra è da lamentare purtroppo che la fede trinitaria viene oggi trascurata. I predicatori non vogliono o non osano parlarne. Considerano forse di più la cosiddetta Trinità economica, l'azione trinitaria nella storia della salvezza, ma molto poco la Trinità immanente, l'amore del Padre e del Figlio nello Spirito Santo. Bisogna dunque tenere viva la fede nella santissima Trinità, rendendola però accessibile anche ai semplici fedeli.

1. Il De Trinitate, una ricerca impegnata

Il De Trinitate di Agostino costituisce un trattato teologico. Noi diremmo oggi, una monografia. Nella sua opera tortuosa l'autore non si limita però ad esporre la dottrina trinitaria del suo tempo. Vi intraprende piuttosto una ricerca impegnativa, una inquisitio accademica e nello stesso tempo un esercizio spirituale.

Ho sviluppato questa caratteristica ovvia del De Trinitate nel primo capitolo della mia Introduzione a questa opera.6 Per mettere in rilievo la sua intenzione sia scientifica sia pastorale, ho studiato le espressioni quaerere, con quaestio ed inquisitio, disserere con dissertatio, purgari con purgatio ed exercere con exercitatio. Fra questi temi il primo è da considerare come il più importante. Quaerere significa due cose: da una parte, fare una inquisizione, porre questioni e rispondervi, decidersi per una alternativa che sembra la vera; dall'altra, cercare la propria strada, in senso biblico: ricercare la faccia di Dio. Coloro che cercano non hanno dunque solo la premura di risolvere un problema, ossia trattare di tutta una problematica, s'impegnano piuttosto anche a maturare nella loro esistenza personale.

La tematica della ricerca impegnativa appare anzitutto nelle introduzioni ai libri nono e quindicesimo.7

IX, 1, 1. La nostra ricerca concerne, certo, non una trinità qualsiasi, ma la Trinità che è Dio, il vero, supremo ed unico Dio. Pazienta dunque, tu che mi ascolti, chiunque tu sia, perché stiamo ancora cercando e nessuno ha il diritto di biasimare chi si dedica alla ricerca di tali cose, sempre che ricerchi, basandosi su una fede incrollabile, ciò che è così difficile da conoscere e da esprimere. Chiunque invece vede meglio o insegna meglio ha ragione di riprendere immediatamente le affermazioni di chi non cerca. Cercate il Signore, è detto, e vivrà la vostra anima 1. E per evitare che qualcuno si rallegri alla leggera di aver in qualche modo appreso la verità, è detto: Cercate sempre la sua faccia 2. E l'Apostolo dice: Se qualcuno crede di sapere qualcosa, non sa ancora in che modo bisogna sapere. Chiunque ama Dio, questi è conosciuto da lui 3. Non dice: "Conosce Dio", che è pericolosa presunzione, ma invece: è conosciuto da lui. Così, avendo detto in un altro passo: Ora che conoscete Dio, si corregge subito e dice: anzi, che siete stati conosciuti da Dio 4. Ma ecco il passo più significativo: Fratelli, non credo di averla ancora raggiunta, ma una sola cosa faccio: dimentico quello che è indietro e, proteso, con una tensione di tutto me stesso, verso ciò che è davanti, corro verso la meta, per il premio di quella suprema chiamata di Dio in Gesù Cristo. Quanti dunque siamo perfetti, cerchiamo di avere questi sentimenti 5. La perfezione in questa vita, secondo l'Apostolo, non è altra cosa che dimenticare ciò che è indietro e protendersi, per una tensione di tutto se stessi, verso ciò che sta davanti 6. Questa tensione nella ricerca è la via più sicura fino a quando non si abbia attinto ciò verso cui tendiamo e che ci estende al di là di noi stessi. Ma è retta solo la tensione che procede dalla fede. È la certezza della fede che, in qualche maniera, è inizio della conoscenza, ma la certezza della conoscenza non sarà compiuta che dopo questa vita, quando vedremo a faccia a faccia 7. Abbiamo dunque questa intima convinzione e conosceremo che è più sicuro il sentimento che ci spinge a cercare la verità di quello che ci fa presumere di conoscere ciò che non conosciamo. Cerchiamo dunque con l'animo di chi sta per trovare e troviamo con l'animo di chi sta per cercare. Infatti: Quando l'uomo penserà di aver finito, allora incomincerà 8. Circa le verità da credere, nessun dubbio proveniente dalla mancanza di fede, circa le verità da comprendere, nessuna affermazione temeraria; in quelle dobbiamo attenerci all'autorità, in queste si ha da indagare la verità. Per quanto concerne dunque la nostra questione, crediamo che il Padre, il Figlio, e lo Spirito Santo sono un solo Dio, Creatore e Reggitore di tutta la creazione 9; che il Padre non è il Figlio, che lo Spirito Santo non è il Padre, né il Figlio, ma che sono una Trinità di persone in mutue relazioni in un'unica ed uguale essenza 10. Cerchiamo di comprendere questo, implorando aiuto da Colui stesso che vogliamo comprendere, e cerchiamo di spiegare, per quanto ci è concesso, ciò che comprendiamo, con così grande diligenza e pia sollecitudine che, supponendo anche che noi affermiamo una cosa per un'altra, in ogni caso non diciamo nulla che non sia degno di Dio. Che se, per esempio, diciamo del Padre qualcosa che non gli conviene in proprio, convenga almeno al Figlio, o allo Spirito Santo, o alla Trinità. Se diciamo del Figlio qualcosa che non gli conviene in proprio, almeno convenga al Padre, o allo Spirito Santo o alla Trinità. Così se attribuiamo allo Spirito Santo qualcosa che non indichi una proprietà dello Spirito Santo, non sia almeno estranea al Padre o al Figlio, o al Dio unico, la Trinità stessa. Per esempio, desideriamo ora vedere se lo Spirito Santo è in senso proprio quella incomparabile carità; se non lo è, lo è il Padre, o il Figlio, o la stessa Trinità; perché non possiamo contraddire all'assoluta certezza della fede né all'autorità inconcussa della Scrittura che afferma: Dio è carità 11. Tuttavia non dobbiamo mai lasciarci traviare dal sacrilego errore che ci fa ccia affermare della Trinità qualcosa che non convenga al Creatore, ma invece alla creatura 12, o che sia frutto di vane finzioni dell'immaginazione.

XV, 2. 2. Dio stesso, che cerchiamo, ci aiuterà, spero, perché il nostro sforzo non sia infruttuoso e perché comprendiamo come lo scrittore santo abbia potuto dire nel Salmo: Si rallegri il cuore di coloro che cercano Dio: cercate Dio e siate forti; cercate sempre il suo volto 3. Sembra, infatti, che ciò che si cerca sempre, non si trovi mai e come allora si rallegrerà e non si rattristerà invece il cuore di coloro che cercano, se non avranno potuto trovare ciò che cercano? Perché il Salmista non dice: "Si rallegri il cuore di coloro che trovano", ma: di coloro che cercano il Signore 4? E che tuttavia Dio Signore si possa trovare, quando lo si cerca, lo testimonia il profeta Isaia, quando afferma: Cercate il Signore e appena lo troverete, invocatelo; e quando si sarà avvicinato a voi, l'empio abbandoni le sue vie e l'iniquo i suoi pensieri 5. Se dunque, cercandolo, si può trovare Dio, perché è scritto: Cercate sempre il suo volto 6? Sarà forse che, anche una volta che lo si è trovato, bisogna cercarlo ancora? È così infatti che bisogna cercare le cose incomprensibili perché non ritenga di aver trovato nulla colui che abbia potuto trovare quanto è incomprensibile ciò che cercava. Perché allora cerca, se comprende che è incomprensibile ciò che cerca, se non perché non deve desistere, fino a quando progredisce nella ricerca dell'incomprensibile e diventa sempre migliore cercando un bene così grande, che si cerca per trovarlo e lo si trova per cercarlo? Perché lo si cerca per trovarlo con maggior dolcezza, lo si trova per cercarlo con maggiore ardore. È in questo senso che si può intendere l'affermazione che l'Ecclesiastico pone in bocca della Sapienza: Coloro che mi mangiano avranno ancora fame e coloro che mi bevono avranno ancora sete 7. Mangiano infatti e bevono, perché trovano, e, poiché hanno fame e sete, cercano ancora. La fede cerca, l'intelligenza trova; per questo il Profeta dice: Se non crederete, non comprenderete 8. E d'altra parte l'intelligenza cerca ancora Colui che ha trovato; perché Dio guarda sui figli dell'uomo, come si canta nel Salmo ispirato, per vedere se c'è chi ha intelligenza, chi cerca Dio 9. Dunque per questo l'uomo deve essere intelligente, per cercare Dio.

Dalla lettura di questo brano riteniamo due cose:

  1. Interessante è il riferimento a Fil 3, 13ss: "Fratelli, non credo di averla ancora raggiunta, ma una sola cosa faccio: dimentico quello che è dietro e, proteso, con una tensione di tutto me stesso, verso ciò che è davanti, corro verso la meta, per il premio di quella suprema chiamata di Dio in Gesù Cristo. Quanti dunque siamo perfetti, cerchiamo di avere questi sentimenti". -- Questa citazione apostolica mette bene in evidenza la dinamica continua del De Trinitate. La ricerca in essa è intesa come salita, come ascensus ed reditus ad caelum (Cicerone),8 come cursus qui constituitur in amore atque investigationis veritatis.9 L'espressione secundum intentionem che non si trova in Paolo, ma fa eco alla filosofia neoplatonica rinforza ancora lo slancio che fa muovere Agostino in avanti nel suo De Trinitate.10
  2. Nel testo letto emerge la frase seguente: "Nam et quaeritur ut inveniatur dulcius, et invenitur ut quaeratur avidius. " Non bisogna insistere sul fatto che queste parole esprimono più chiaramente possibile che la ricerca intrapresa nel De Trinitate non finisce mai, ma è nondimeno un piacere dolce.

2. Le proprietà personali del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo

Sono convinto che lo sviluppo di una spiritualità trinitaria richiede da noi il riconoscimento delle proprietà delle tre persone divine. In tutta l'introduzione al De Trinitate mi sono orientato verso questa convinzione. Perciò ho intitolato "Messaggio cristiano" la seconda parte in cui è proprio in questione la dottrina agostiniana stessa sulla Trinitas quae est unus Deus. Anzi, ho dedicato il capitolo quinto a questa tematica.

Non sono in grado di esporre in questa sede tutta la problematica delle proprietà o dei nomi propri delle tre persone. Ciò mi obbliga a limitare la mia esposizione alle osservazioni seguenti. All'inizio del capitolo rispettivo riconosco la tendenza di Agostino di insistere sull'unità della Trinità. Egli non incentra ancora l'attenzione del suo pensiero sull'unico Dio, come lo faranno i suoi discepoli fino ad oggi. Pur seguendo la tradizione nicena che dà molta importanza all'unica essenza divina, Agostino distingue chiaramente fra le affermazioni che si dicono ugualmente di tutte le tre persone e gli attributi riservati alle singole persone, come Padre e Figlio, ma anche Verbo, Saggezza e Dono. Per convincersene basta esaminare un testo meraviglioso del libro sesto del De Trinitate. Riprendendo un passo dal De Trinitate di Ilario di Poitiers, Agostino esprime con ogni chiarezza, cosa egli pensa delle singole persone.

Si tratta del testo del trin. VI 10, 11.

In questo testo di stampo molto poetico Agostino circoscrive in modo assai preciso le caratteristiche delle tre persone divine. A proposito dell'espressione di Ilario: Aeternitas in Patre, egli ammette che il Padre è eterno in quanto non ha alcun Padre. Non deve dunque la sua esistenza ad un altro. Ne consegue che il Figlio che proviene dal Padre non è eterno, ma coeterno.

La spiegazione dell'espressione species in imagine che si dice del Figlio è più estesa, come viene imposto dal contesto niceno. Agostino pensa che Ilario abbia parlato della bellezza dell'immagine in quanto intendeva sottolineare la congruentia, l'uguaglianza e la rassomiglianza perfetta del Figlio rispetto al Padre. Nello stesso Figlio essere e vivere e conoscere sono la stessa cosa come nel Padre. D'altra parte le ragioni di tutti gli esseri esistono in modo immutabile nel Figlio. Egli è l'arte del Padre che ha inventato in lui tutte le cose che sono una sola cosa in lui. Il Figlio è dunque in senso doppio immagine: sia in quanto rassomiglia in tutto al Padre sia in quanto comprende tutte le idee del creatore.

A proposito dell'espressione usus in munere che si applica allo Spirito Santo Agostino si innalza nella poesia più alta. Lo chiama l'abbraccio ineffabile del Padre e dell'immagine. Il Padre e il Figlio si abbracciano dunque, e la dolcezza della loro carezza è lo Spirito Santo. Da questo la soavità divina si estende su tutte le creature, assicurando loro l'unità ed il posto giusto nell'insieme del tutto.

In altri passi Agostino presenta la triade di aeternitas, veritas, caritas.11 Nel nostro testo non utilizza esplicitamente questo trinomio. Tuttavia si esprime in modo equivalente. Nel caso dell'aeternitas non c'è alcun dubbio. Assieme ad Ilario, Agostino attribuisce in senso proprio l'eternità al Padre. Quanto al Figlio invece Agostino non parla di veritas, ma di imago. Tuttavia, come risulta da altri testi egli non fa distinzione fra imago e veritas. Altrove infatti Agostino afferma che il Figlio è da considerare come vero Verbo, poiché è assolutamente conforme al Padre: si, si -- no, no come lui, e precede l'azione come il pensiero all'attività dell'uomo. A proposito dello Spirito Santo si deve tener conto del significato erotico della parola usus. Agostino, applicando questa parola al dono, cioè allo Spirito Santo, attribuisce a questo ciò che due provano quando si amano. Egli vede dunque nello Spirito l'amore del Padre e del Figlio, lo considera come caritas.

Se distinguiamo realmente con Agostino Padre, Figlio e Spirito Santo e attribuiamo a ciascuno di essi una proprietà singolare, ossia un nome proprio, non viviamo ancora una spiritualità trinitaria. Per arrivarvi, bisogna partecipare in qualche modo alla proprietà delle singole persone, unirsi singolarmente ad esse. Prima di spiegare questa unione specifica, conviene però esaminare in che maniera riusciamo a credere ed ad amare la Trinità quae est unus Deus.

3. L'amore verso Gesù ci apre la strada alla fede nella santissima Trinità

Nei primi quattro libri del De Trinitate Agostino difende la fede nicena secondo la quale le tre persone nonostante la loro distinzione reale sono uguali e pertanto un unico Dio.12 I libri V fino a VII servono a chiarire le formule di fede. La seconda parte del De Trinitate serve ad approfondire la fede, a trattarne modo interiore.13 Paragonando la Trinità all'amore umano nonché alla vita dell'uomo esteriore e dell'uomo interiore, Agostino non cessa di riferirsi alla necessità della fede, anzi arriva alla conclusione che possiediamo la Trinità solo nella fede: credendo diligere. Non definisce esplicitamente la fede trinitaria come ammissione di un mistero del tutto incomprensibile ed ineffabile. Ma lascia intendere che giungiamo solo sulla base della Bibbia a questo mistero.

Ora, la fede nella Trinità richiede doppiamente l'amore verso Gesù. Da una parte, Cristo, il nostro unico maestro, suscita, nutre e perfeziona in noi la fede nella sua divinità e pertanto nella divinità del Padre suo. D'altra parte, la fede nella Trinità è fondata su ciò che la Bibbia, chiamata nel De Civitate Dei historia sacra, racconta della dispensatio salutis, in particolare della vita, delle morte e della risurrezione di Gesù.14 A questo proposito, seguendo la tradizione precedente, si esprime con ogni chiarezza. Anche secondo lui, la theologia, la dottrina sulla Trinità eterna, è basata sull'oikonomia, la dottrina sulla storia della salvezza.15

Ho spiegato la tematica dell'amore nei confronti di Gesù nell'ultimo capitolo della mia Introduzione al De Trinitate. La conclusione di questo capitolo è molto semplice. Più amiamo Gesù, in particolare la sua risurrezione, più siamo in grado di amare la Trinitas quae est unus Deus. Non posso qui esporre tutto il capitolo. Mi limito al paragrafo fondamentale che concerne l'esegesi di Esodo 31, 18. Ecco il testo in questione:16

16. 27. Ordinariamente i più rimangono perplessi anche di fronte a queste parole: E il Signore parlò a Mosè a faccia a faccia come uno parla al suo amico 167. Tuttavia poco dopo lo stesso Mosè dice: Ordunque, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, mostrati a me chiaramente, affinché ti veda e trovi grazia agli occhi tuoi e sappia che questo popolo è veramente il tuo popolo 168. E poco dopo ancora: E disse Mosè al Signore: Fammi vedere la tua maestà 169. Com'è che si riteneva da alcuni che nelle apparizioni di cui si è detto prima fosse Dio a farsi vedere nella sua sostanza, tanto che qualche incompetente ha considerato il Figlio di Dio visibile in se stesso e non attraverso le creature e si riteneva che Mosè fosse entrato in mezzo alla caligine, nel senso che agli occhi del popolo si presentava una cortina di nubi 170 mentre dentro le nubi egli contemplava la faccia di Dio e ascoltava le sue parole? Ed in che senso è detto: Il Signore parlò a Mosè a faccia a faccia come chi parla al suo amico 171? Ecco, lo stesso Mosè dice: Se ho trovato grazia al tuo cospetto, mostrati a me chiaramente 172. Evidentemente Mosè si rendeva ben conto di quello che gli appariva in modo materiale e domandava la vera visione di Dio in modo spirituale. Quella conversazione che si manifestava attraverso delle voci, evidentemente era modulata come quella di un amico che parla ad un amico. Ma Dio Padre chi lo vede con gli occhi corporei? Il Verbo, che era al principio ed era Dio e per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose 173, chi lo vede con gli occhi corporei? E lo Spirito di sapienza chi lo vede con gli occhi corporei? Che significa poi: Mostrati a me chiaramente 174, se non: "Mostra a me la tua sostanza"? Se Mosè non avesse fatto questa domanda, si sarebbe certo obbligati a sopportare gli sciocchi che ritengono che, attraverso i fatti e le parole sopra raccontati, fosse apparsa visibile la sostanza di Dio agli occhi di Mosè, mentre ci è rivelato in modo evidentissimo che Mosè non poté ottenere tale visione, sebbene ne avesse manifestato il desiderio. Chi oserà dunque affermare che attraverso tali fenomeni, simili a quelli che apparvero in forma visibile anche a Mosè, sia apparso il vero essere di Dio agli occhi di qualche mortale e non invece una creatura docile al volere di Dio?

16. 28. Ed ecco ancora ciò che il Signore dice a Mosè nel seguito del testo: Non potrai vedere la mia faccia e vivere, perché nessun uomo può vedere la mia faccia e vivere. Poi disse: Ecco qui un luogo vicino a me; mettiti su quella roccia, mentre passerà la mia maestà. Io ti porrò al sommo della roccia e ti coprirò con la mia mano finché io non sia passato. Poi ritirerò la mano e vedrai il mio dorso, ma la mia faccia non ti apparirà 175.

17. Non senza ragione abitualmente s'intende il dorso di Dio come un'immagine del Signore nostro Gesù Cristo nel senso della carne secondo la quale nacque dalla Vergine, morì, risorse. Dorso di Dio può dirsi la carne di Cristo perché la mortalità è molto inferiore alla divinità, oppure perché egli si è degnato assumerla posteriormente 176, quasi alla fine del mondo; mentre la sua faccia significa quella natura divina nella quale non considerò una rapina la sua somiglianza con Dio Padre 177, natura che nessuno può vedere senza morire 178, oppure perché dopo questa vita, nella quale siamo pellegrini lontani dal Signore 179 e dove il corpo corruttibile pesa sull'anima 180, vedremo Cristo a faccia a faccia 181, come dice l'Apostolo; di questa vita un Salmo dice: Sì, tutta parvenza è ogni uomo che vive 182; ed un altro: perché nessun vivente può giustificarsi davanti a te 183. In questa vita, come afferma Giovanni, non è ancora stato mostrato quello che saremo. Sappiamo -- dice -- che quando ciò sarà manifesto saremo simili a lui perché lo vedremo quale egli è 184, intendendo evidentemente che ciò fosse riferito all'aldilà, dopo questa vita, quando avremo pagato il debito della morte e ricevuto la promessa della risurrezione. Oppure, perché anche adesso nella misura in cui conosciamo spiritualmente la Sapienza di Dio per mezzo della quale sono state fatte tutte le cose 185 nella stessa misura noi moriamo agli affetti carnali cosicché consideriamo questo mondo come morto a noi, anche noi moriamo a questo mondo e diciamo con l'Apostolo: Il mondo per me è crocifisso ed io per il mondo 186. Infatti di questa morte l'Apostolo dice anche: Se dunque siete morti con Cristo, perché, come viventi nel mondo, vi lasciate imporre i precetti? 187. Non è dunque senza motivo che nessuno potrà, senza morire, vedere la faccia 188, cioè la stessa manifestazione della Sapienza di Dio. Essa è infatti quello splendore verso cui sospira, per contemplarlo, ogni uomo che desidera amare Dio con tutto il suo cuore, con tutta la sua anima, con tutto il suo spirito 189. Per fargli raggiungere tale contemplazione chi ama il suo prossimo come se stesso edifica quanto più può anche il suo prossimo; da questi due precetti dipende tutta la Legge e i Profeti 190. Questa idea esprime anche lo stesso Mosè che, dopo aver detto, spinto dall'amore di Dio che più di tutto lo bruciava: Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mostrati a me chiaramente perché trovi grazia al tuo cospetto 191, subito per amore anche del prossimo aggiunse: E perché sappia che questo popolo è il tuo popolo 192. Essa dunque è la bellezza il cui desiderio rapisce ogni anima razionale, anima tanto più ardente quanto più pura, tanto più pura quanto più si eleva alle realtà spirituali, tanto più si eleva alle realtà spirituali quanto più muore alle realtà carnali. Ma fino a che siamo pellegrini lontano dal Signore e camminiamo per fede e non per visione 193, è il dorso di Cristo, cioè la sua carne, che dobbiamo guardare per mezzo della stessa fede, ossia fermi sul solido fondamento della fede che la pietra simboleggia: essa dobbiamo contemplare da tale osservatorio perfettamente sicuro, cioè all'interno della Chiesa cattolica, della quale è stato detto: E sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa 194. Infatti con tanta maggior certezza amiamo la faccia di Cristo, che desideriamo vedere, quanto più scopriamo nel suo "dorso" la grandezza dell'amore con cui Cristo per primo ci ha amati 195.

Il punto centrale di questa esegesi della teofania concessa a Mosè viene riassunto nel passo a cui ho già fatto allusione: "Tanto enim certius diligimus quam videre desideramus facies Christi quanto in posteribus eius agnoscimus quantum nos prior dilexit Christus".17 In italiano: "Con tanta maggior certezza amiamo la faccia di Cristo, che desideriamo vedere, quanto più scopriamo nel suo dorso la grandezza dell'amore con cui Cristo per primo ci ha amati".18

4. Imago - Imitatio: L'imitazione delle tre persone

Nella seconda parte del De Trinitate (libri IX fino al XV) in cui tratta modo interiore della fede trinitaria, Agostino ha la premura di conoscere in qualche modo la Trinitas quae est unus Deus per essere in grado di amarla, anzi di protendersi verso di essa. A questo proposito egli studia una serie di immagini, cioè di paragoni: l'immagine dell'amore, le immagini della conoscenza e dell'amore che l'uomo condivide con gli animali e le immagini della conoscenza e dell'amore dell'uomo spirituale.19 Così arriva tramite una salita graduale fino all'immagine più alta, l'imago sapientiae, che consiste nel fatto che il credente si ricorda di Dio, lo conosce e lo ama.20 Parlando di questa immagine secondo cui Dio ha creato l'uomo, Agostino non trascura per niente il fatto che questa immagine è stata deformata dal peccato ed ha dunque bisogno di essere riformata.

Ora, questa dottrina sull'immagine di Dio ha sempre trovato molto interesse nei lettori del De Trinitate.21 Purtroppo gli studiosi dell'opera tortuosa non hanno sufficientemente capito che la tematica dell'immagine include quella dell'imitazione.22 Anch'io non ho visto questo nesso nel mio studio sul progresso spirituale in Agostino.23 Questa mancanza si scusa in parte per il fatto che Agostino non è tanto esplicito a proposito dell'imitazione delle persone divine. Altrove si esprime con chiarezza maggiore. Così nel Contra Secundinum, dove invita il lettore ad imitare la liberalitas del Padre, la virtus et sapientia del Figlio e la caritas dello Spirito Santo.24 Comunque, leggendo il De Trinitate alla luce di questo testo, ci accorgiamo in che misura Agostino suppone anche in quest'opera l'idea dell'imitazione.25 Lo vediamo anzitutto nei testi nei quali egli riprende un passo della II ai Corinzi (1, 20), per spiegare il Figlio come vero Verbo di Dio. Il Figlio si avvera totalmente conforme al Padre in quanto é "Si, si -- no, no" come il Padre. Proprio questa conformità è da considerare come modello della vita cristiana. Come il Figlio è perfettamente simile al Padre, si dimostra pertanto vero Verbo, così anche noi dobbiamo cercare di essere coerenti, di essere "Si, si -- no, no". Ecco i passi da considerare:26

14. 23. Il Verbo di Dio Padre è dunque il suo Figlio unigenito, in tutto simile e uguale al Padre, Dio da Dio, luce da luce, sapienza da sapienza, essenza da essenza; egli è assolutamente ciò che è il Padre, ma non è il Padre, perché questo è Figlio, quello Padre. Per questo conosce tutto ciò che conosce il Padre, ma per lui il conoscere viene dal Padre, come l'essere. Infatti in Dio conoscere ed essere sono una sola cosa. E dunque come il conoscere non viene al Padre dal Figlio, così nemmeno gli proviene l'essere. Pertanto è come "dicendo" se stesso che il Padre ha generato il Verbo, in tutto uguale a sé. Egli infatti non "avrebbe detto" interamente e perfettamente se stesso, se ci fosse nel suo Verbo qualcosa di meno o di più di ciò che c'è in lui. È qui che si verifica in modo supremo il sì, sì; no, no 154. E dunque questo Verbo è veramente la verità, perché tutto ciò che c'è in quella scienza dalla quale è stato generato, c'è anche in lui e ciò che non c'è in essa non c'è nemmeno in lui. Ed in questo Verbo non vi può mai essere nulla di falso, perché è immutabilmente ciò che è colui che lo genera. Infatti: Il Figlio non può far nulla da sé, se non ciò che ha veduto fare dal Padre 155. È segno di potenza, il non poter far questo; né è infermità ma fermezza questa, perché la verità non può essere falsa. Dunque il Padre conosce tutto in se stesso, tutto nel Figlio; in se stesso come se stesso, nel suo Figlio come il suo Verbo, che procede da tutto ciò che è lui. Anche il Figlio conosce tutto alla stessa maniera, in se stesso, come ciò che è nato da quanto il Padre conosce in se stesso; nel Padre invece come ciò da cui è nato quello che il Figlio stesso conosce in sé. Il Padre e il Figlio hanno dunque una conoscenza reciproca, ma il primo generando, il secondo nascendo. E tutto ciò che è nella loro scienza, sapienza ed essenza, ciascuno di loro lo vede simultaneamente, non separatamente o isolatamente, come se con il suo sguardo passasse alternativamente da un oggetto all'altro ritornando dal secondo al primo, e poi di nuovo lasciasse questo o quell'altro per fissarsi su questo o su quello, come se non potesse vedere una cosa che cessando di vederne un'altra; ma, come ho detto, vede insieme tutte le cose e non ce n'è alcuna che non sia sempre vista da ciascuno di essi.

14. 24. Per quanto concerne il nostro verbo, quel verbo che non comporta suono né pensiero di un suono, ma è espressione di quella realtà che, vedendola, diciamo interiormente e perciò non appartiene ad alcuna lingua e di conseguenza in questo enigma ha una certa somiglianza con quel Verbo di Dio, Dio egli pure, perché anch'esso nasce dalla nostra scienza, come quello divino è nato dalla scienza del Padre. Per quanto concerne questo nostro verbo, dunque, se vi abbiamo riscontrato una qualche somiglianza con quello divino, non esitiamo affatto a considerare anche fino a che punto ne è dissimile, nella misura in cui ci sarà possibile dirlo.

5. Conclusioni

Convinto che noi cristiani non siamo in grado di vedere su questa terra la Trinitas quae est unus, Agostino intraprende una ricerca tortuosa ed impegnativa. Dopo avere confermato la validità della fede nicena, base indispensabile di ogni studio trinitario, egli ha la premura di conoscere per quanto sia possibile come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo siano una sola cosa per poter amarli almeno nella fede.27

Pur insistendo con la tradizione nicena sull'ugualianza essenziale del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, Agostino riconosce -- anche in questo punto fedele alla tradizione precedente -- la distinzione reale e pertanto le proprietà delle persone divine. Questo orientamento in fondo molto biblico lo porta a aprire la strada verso una spiritualità trinitaria.

Per raggiungere questa forma di vita evangelica, bisogna però fare attenzione a due cose. Da una parte, non si può amare la Trinitas quae est unus Deus senza amare per primo Gesù e la sua morte gloriosa. Dall'altra, aspirare ad essere una immagine della santissima Trinità include il desiderio di imitarla. Imitando l'Aeternitas, la stabilità, e la liberalitas, la generosità del Padre, imitando la sapientia e la veritas, la coerenza luminosa del Figlio, e imitando la caritas, il vincolo di amore, dello Spirito Santo, diventiamo man mano la loro immagine.

Per valutare meglio l'orientamento biblico e pertanto soteriologico e spirituale, conviene prendere il doppio indirizzo del De Trinitate.28 Agostino ha composto questa opera famosa, ma difficile per consolare coloro che avevano difficoltà con le obiezioni avanzate contro la fede nicena.29 Allo stesso modo ha studiato la fede trinitaria per aiutare quei cristiani che si interessavano alla filosofica di allora a capire meglio quanto ogni conoscenza di Dio sia fondata sull'incarnazione del Verbo eterno.30 Parlando più concretamente, Agostino non cerca soltanto di spiegare che l'incarnazione come le altre teofanie non mettano in questione la fede cristiana, ma ha anche la premura di presentare questa incarnazione, missione visibile del Figlio, in quanto costituisce la vera mediazione, la gratia summa.31

[*Conferenza data a Buenos Aires nel 2006 a monaci e a monache cileni e argentini].

I vostri commenti

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Note

  1. B. Studer, Durch Geschichte zum Glauben. Zur Exegese und zur Trinitätslehre der Kirchenväter, (Stud. Anselm. 141), Roma 2006. Testo

  2. B. Studer, Augustinus, De Trinitate. Eine Einführung, Paderborn 2005. Testo

  3. B. Studer, "Il progresso spirituale secondo gli scritti antipelagiani di sant'Agostino": in M. Sheridan (ed.), Spiritual Progress (Studia Anselmiana 115), Roma 1994, 85-99 (cfr. le indicazioni bibliografiche, in particolare G. Madec, La Patrie et la Voie (Paris 1989), 155-192. Testo

  4. Cfr. Progesso: Stud.Anselm. 115, 97. Testo

  5. Cfr. Einleitung, 15s. Testo

  6. Introduzione, 58-84. Testo

  7. Agostino, trin. IX 1,1: CC 50,292s; XV 2,2: 460s. Testo

  8. È notevole che la struttura del trin. si dimostra ispirata allo Hortensius di Cicerone. Cfr. K. Schlapbach, "Hortenius": AugLex III/3-4 (2006) 425-436. Purtroppo l'autore non discute l'influsso dello scritto di Cicerone sulla composizione del trin. Testo

  9. Cfr. Agostino, trin. XIV 19,26: CC 50,458s. Testo

  10. Cfr. la nota 1 in Nuova Biblioteca Agostiniana 4,363. - Cf. inoltre s. 169,15, dove Agostino, facendo una esegesi dettagliata di Fil 3,13-16, chiama i cristiani fervidi perfecti vitatores. Cfr. Progresso: Stud.Anselm. 85. Testo

  11. Cfr. Agostino, trin. IV 1,1: CC 50,160, con i testi riferiti in nota. Testo

  12. Cfr. anzitutto Agostino, trin. I 2,4 e 5,7: CC 50,31 e 36. Testo

  13. Cfr. Agostino, trin. VIII 1,1: CC 50,269. Testo

  14. Cfr. il capitolo secondo dell'Introduzione, 85-109. Testo

  15. Cfr. Einleitung, 178s ed i diversi studi su questa tematica, pubblicati in Stud.Anselm. 141. Testo

  16. Agostino, trin. II 16,27-17,28. Testo

  17. Agostino, trin. II 17,28: CC 5O,119. Testo

  18. Cfr. NBA 4,115. Testo

  19. Cfr. Introduzione, 142s, con Agostino, trin. XII 1,1: CC 50,356 e XV 3,5: CC 50,466. Testo

  20. Cfr. Agostino, trin. XV 20,39: CC 50,517. Testo

  21. Cfr. A. Trapè, in NBA 4,XXXVIII-XLII, ed ormai I. Bochet, "Imago": AugLex III/3-4 (2006). Testo

  22. Cfr. V.H. Drecoll, "Imitatio": AugLex III/3-4 (2006) 519-525. L'autore ignora l'importanza de tema di imitatio per il trin. Testo

  23. Cfr. almeno Progresso: Stud.Anselm. 115,99, con trin. XIV 17,23. Testo

  24. Agostino. C.Secund. 10: BA 17,572: " ... magnanimitas virtutem, doctrina sapientiam imitatur. Ipsum etiam Deum Patrem, peccantes imitantur impia superbia, iusto pia liberalitate, Spritium denique sanctum iniquorum cupiditas, rectorum charitas imitatus." Testo

  25. Cfr. Einleitung, 204-207. - Senza conoscere Contra Secundinum 10, ho accennato in questo paragrafo all'idea dell'imitazione delle tre persone. Testo

  26. Agostino, trin. XV 14,23 e 24, linee 12ss: CC 50,496s. Testo

  27. Cfr. Agostino, trin. VIII 9,13: CC 50,290. Testo

  28. Cfr. Einführung, 81; 253f. Testo

  29. Cfr. Agostino, trin. I 5,8: CC 50,36; IV 15,20: CC 187.. Testo

  30. Cfr. Agostino, trin. IV 1,1-3: CC 50,159-169. Testo

  31. Cfr. Einleitung, 173ss, con tutto il libro IV ed in particolare con trin. XIII 19,19: CC 50,416. Testo