Salta il menù

Invia | Commenta

Caritatis pace et amore veritatis. L'esperienza di Dio nell'Epistolario di Anselmo d'Aosta

di Alfredo Simón (2 marzo 2009)

L'interesse degli studiosi per le lettere di sant'Anselmo è molto cresciuto negli ultimi anni. La corrispondenza anselmiana, amplissima ma poco ricercata fino adesso, si è rivelata infatti come una nuova fonte d'informazione per conoscere meglio sia la personalità e la spiritualità dell'autore sia il contesto storico-sociale-ecclesiale medievale. In questa fase di nuovi approfondimenti di situa la nostra intenzione. Il recente volume delle Lettere 1 -- 147, che riporta il testo critico latino dello Schmitt con una traduzione francese1 e una introduzione breve di Kohlenberger, ci offre l'occasione per l'estensione del presente studio.2 Nelle seguenti pagine ci proponiamo di fare una lettura dell'epistolario, attraverso la diversificata tipologia dei corrispondenti del monaco teologo, per mettere in luce alcune delle concezioni ed esperienze teologico-spirituali più rilevanti che impostano una forma concreta del rapporto vissuto tra l'uomo e Dio e che possono avere, a nostro avviso, una attualità molto significativa per il cristiano di oggi per quanto configurano dei processi decodificati, frammentati e personalizzati di un intero insegnamento spirituale. Il titolo che abbiamo scelto intende esprimere bene, crediamo, la mentalità geniale di un Anselmo che non separa teologia e spiritualità, pensiero e vita, amore veritatis e caritatis pace, come lui dice nella lettera 83, per acquistare nella sapienza e nell'amicizia due chiavi d'interpretazione che racchiudono tutto il cammino interiore della vita cristiana dalla prospettiva di senso globale e grandioso che lui percepisce davanti al mistero di Dio rivelato all'uomo nella Parola e nella storia. A queste due chiavi menzionate aggiungiamo un'altra per articolare il nostro studio in tre parti tematiche attorno alla sapienza, all'amicizia e all'esperienza spirituale.

Un epistolario forma parte ineluttabilmente di una autobiografia. La personalità umana di sant'Anselmo potrebbe essere più conosciuta a livello storico con una lettura dettagliata delle lettere e delle relazioni stabilite per mezzo di esse. Tra i corrispondenti più noti spicca intellettualmente il nome di Lanfranco a cui sono dedicate sedici lettere. Quando Anselmo arrivò al monastero del Bec nel 1059 il priore Lanfranco era già un noto maestro impegnato nella lotta contro le teorie eucaristiche di Berengario. Anselmo rimase affascinato dalla sua personalità e dalla sua cultura e decise di diventare monaco accanto a lui. Il biografo Eadmero dice che allora si dedicò allo studio giorno e notte,3 osservazione iperbolica che ci mostra il deciso interesse di Anselmo per il sapere. Nel 1063 Lanfranco divenne abate di Caen e Anselmo gli succedette come priore al Bec. Le 147 lettere riunite nel volume sopra indicato, e che saranno l'oggetto principale della nostra ricerca, comprendono i periodi della vita di Anselmo trascorsi come priore e come abate, cioè tra il 1063 e il 1093. Riguardo alla collezione epistolare essa si ritiene formata principalmente dalla tradizione manoscritta di Canterbury e del Bec. Una domanda è stata posta dagli studiosi sull'origine e intenzioni circa la redazione e pubblicazione dell'epistolario: questo è un frutto letterario naturale, intelligente, semplice e sincero di Anselmo, come sostengono Schmitt e Southern, o, per il contrario, risponde alla ricerca del proprio interesse, della propaganda politica e persino di una raffinata furbizia, come hanno avanzato Fröhlich e Vaughn?4 È difficile giudicare l'intenzione celata di un autore, soprattutto quando non ci è pervenuta tutta l'informazione di cui avremmo bisogno per poter avanzare una valutazione del genere. Nel nostro caso il quadro generale della vita di Anselmo e il contenuto delle lettere si orienta insistentemente, a nostro avviso, a mostrare piuttosto un insegnamento sincero e coerente e a lasciare trasparire una personalità retta (molto retta) e onesta dello scrittore, benché non si possa ignorare che il carattere letterario del genere epistolare medievale ben potrebbe velare un certo enigma e mistero su più questioni che rimarrebbe sicuramente sconosciuto per sempre. Ma se l'epistolario avrebbe avuto eventuali motivazioni di propaganda politica e di prestigio personale ci si pone di fronte una ineludibile domanda: come si spiega la solida coerenza esistente tra il contenuto delle lettere, focalizzate in un insegnamento spirituale e morale senza cesure, e la sua propria vita piena di decisioni di giustizia che li costarono due esili, perdita dei beni, attacchi al suo prestigio dal re, dalla corte, dai vescovi? Perché non risparmiò le forti sofferenze e amarezze della sua vita prendendo decisioni a suo vantaggio meno nette moralmente e più conniventi con le circostanze politiche ed economiche del suo ceto sociale? Quindi bisognerebbe tenere conto del contesto globale della sua vita che sembra apparire svolto in una scelta consapevole di rettitudine decisa davanti a Dio come valore supremo e in consonanza con i consigli che lui dava agli altri attraverso le lettere. Al dire dei suoi biografi, la sua vita fu un riscontro, sofferto ma fedele, dell'ideale di giustizia senza compromessi che rivela il contenuto delle lettere e delle altre opere. In fondo egli visse quello che predicò, malgrado le sofferenze ingenti che li costò il prendere le decisioni giuste secondo il volere di Dio e, quindi, il vivere radicalmente quello che liberamente scrisse nelle lettere.

1. Anselmo, Lanfranco e le lettere della sapienza

L'epistolario ha inizio quando Lanfranco viene nominato arcivescovo di Canterbury nel 1070, circostanza questa che sollecita Anselmo a stabilire una comunicazione epistolare con il suo maestro e con i vecchi confratelli che lo accompagnarono alla nuova sede. La prima lettera è infatti una felicitazione a Lanfranco, suo venerato maestro, per la promozione alla sede primaziale inglese. Tuttavia la descrizione della situazione in Inghilterra da parte di Lanfranco era piuttosto tribolata: «Giacché codesta terra in cui siamo è quotidianamente scossa da tante e sì gravi tribolazioni, macchiata da tanti adulteri e altre sozzure, che non v'ha quasi alcuna classe nella società i cui membri si diano pensiero per la propria anima o bramino almeno di udire la dottrina salutare per appressarsi a Dio».5 Nel frattempo si trovò anche il caso del monaco ribelle Osborne che diventerà poi maestro di coro.6 Sul Monologion in concreto si tratta nelle lettere 72 e 77 datate negli anni 1076-77. Anselmo inviò a Lanfranco il Monologion per aver una sua opinione7 ma la risposta di Lanfranco sembra che fu molto critica di fronte all'audacia intellettuale di Anselmo e quindi costui dovette difendere il carattere tradizionale del suo pensiero secondo quanto si dice nella lettera 77: «La mia intenzione è stata di non affermare altro che non sia ... nelle parole canoniche o di sant'Agostino... nel suo libro De trinitate».8 La venerazione per Lanfranco come padre e maestro rimaneva comunque a giudicare dalle espressioni che leggiamo all'inizio della lettera: «Al suo signore e padre, al ben degno -d'esser dai figli della Chiesa cattolica amato e riverito- arcivescovo Lanfranco: il fratello Anselmo, servo suo per sottomissione, per affetto figlio, per formazione discepolo, nel modo megliore che può».9 Di fatti era nata tra loro qualche divergenza intellettuale riguardo a questioni di metodo teologico a causa dell'impostazione decisamente razionale del Monologion. Lanfranco nel suo Liber de corpore et sanguine Domini si era schierato contro Berengario utilizzando i testi sacri, le auctoritates, e non gli argomenti della dialettica che giudicava degni di censura per quanto avevano condotto Berengario a degli errori dottrinali. Allora Anselmo dichiara nel prologo del Monologion la sua scelta metodologica di procedere nel discorso su Dio mediante una argomentazione esclusivamente razionale (sola ratione persuadere), non significando in ciò che ricercasse delle novità dottrinali ma soltanto seguire la via dello sviluppo razionale delle verità di fede già trasmesse dalla Scrittura e dalla tradizione. Quindi la sua novità non è nel contenuto (che è completamente tradizionale) ma nel metodo argomentativo che tende ad aprire nuovi spazi di comprensione delle verità di fede.10 Era prevedibile la riserva di Lanfranco di fronte al metodo adottato da Anselmo vista la esperienza precedente con Berengario, benché nel caso di Anselmo il metodo razionale non aveva comportato errori rispetto alla teologia tradizionale precedente.

L'arcivescovo Lanfranco ad ogni modo fu generoso con il suo antico cenobio di Bec durante l'abbaziato di Anselmo quando il monastero attraversò momenti di difficoltà e incertezza economica e cadde di conseguenza in penuria e povertà; infatti nelle lettere 89 e 90, scritte attorno al 1080, si parla dell'indigenza della comunità e dell'aiuto prezioso dell'arcivescovo al quale ringraziò l'abate la sua benignità «grande e frequente».11 Questa situazione influenzerà più tardi ad Anselmo a favorire le nomine sicure di abati e vescovi nell'Inghilterra in modo di garantire sufficientemente la libertà dei monasteri nel contesto socio-ecclesiale del suo tempo.

La lettera 83 indirizzata all'abate Rainaldo mostra la prudenza di Anselmo di fronte alla diffusione del Monologion tra gente che non potrebbe capirlo e insiste aggiungendo come lui, sulla scia di Agostino, ha spiegato le persone e la sostanza di Dio benché, a causa della mancanza di un termine giusto per esprimere propriamente il significato della Trinità (ratione ob indigentiam nominis proprie significantis) i latini parlano di tre persone e una sostanza, mentre i greci invece confessano tre sostanze in una persona. Alla fine Anselmo invoca «la pace nella carità e l'amore della verità»12 in un equilibrio che tenta di armonizzare la ricerca intellettuale e amorevole della verità nell'ambito umano e spirituale che corrisponde ad essa come condizione di vita (la pace) e di dialogo comunitario (la carità) dove si verifica la esperienza dell'incontro autentico di verità e carità.

L'arcivescovo Ugo di Lione chiese ad Anselmo il Monologion e il Proslogion e, secondo le lettere 100 e 109, gli furono inviate comunicandogli Anselmo le modifiche che feci sui titoli. Il Monoloquium de ratione fidei divenne Monologion, e il Alloquium diventò Proslogion.13 Alluderà a quest'ultima opera nella lettera 112 in cui raccomanda il suo ultimo capitolo, sulla letizia perfetta, alla lettura dell'eremita Ugo.14

Alla controversia sulle dottrine di Roscellino sono dedicate le lettere 128, 129 e 136. Roscelino sosteneva che le tre persone divine sono tre realtà, perché se li pensassimo come una sola realtà, si dovrebbe affermare che il Padre e lo Spirito Santo si sarebbero incarnati insieme al Figlio. Per chiarire la questione dell'incarnazione, delle persone, delle realtà e delle relazioni trinitarie, Anselmo proietterà un'altra opera che chiamerà Epistola de Incarnatione Verbi, scritto rilevante anche per capire precisamente il senso che ha in Anselmo la disputatio e la ratio in un processo di intelligenza della fede che non è percepito in lui come separato dall'amore (amando), dall'umiltà (vivendo humiliter) e dalla adorazione (venerandum) .15 Questa prospettiva che emerge dalla esperienza monastica di Anselmo, sulla scia della regola di san Benedetto e degli scritti di Agostino e di Gregorio Magno, rivela un metodo teologico sapienziale in cui l'esercizio della razionalità, determinante per Anselmo, nella comprensione della fede non può separarsi dalla vita di amore, di umiltà e di preghiera se si vuole raggiungere veramente una conoscenza reale di Dio. In questo modo la ricerca in Anselmo riveste il carattere di una ragione sapienziale in un processo che coinvolge l'intero uomo e fa convergere intelligenza ed esperienza, come fu proprio nella tradizione teologica patristico-monastica.

Un concezione simile troviamo nella lettera 136 a Fulcone, vescovo di Beauvais, che tratta i problemi sulla formulazione della fede cattolica e dove alla fine espone in sintesi una considerazione sul metodo teologico come relazione tra fede, intelligenza e venerazione: «Agli altri [gli empi] si deve per via di ragione far vedere l'irragionevolezza del loro disprezzo per noi. Il cristiano deve in realtà arrivare a comprendere tramite la fede, non già avvicinarsi alla fede tramite una comprensione di tipo intellettuale o, se non riesce a comprendere, abbandonare la fede. Al contrario, quando può attingere una comprensione per via d'intelletto, ne è lieto; ma quando non vi riesce, s'inchina a quella verità che non è in grado di capire».16

I testi appena evidenziati illuminano l'atteggiamento intellettuale di Anselmo e mettono in luce il senso generale della sua concezione della teologia e del metodo teologico che sono considerati giustamente molto razionali ma che in realtà, diremmo oggi, hanno una convergenza di teologia e spiritualità che appaiono in lui inseparabili. Fede, intelligenza della fede, venerazione, hanno una relazione includente ben precisa e differenziata. Nella sua riflessione lascia ipoteticamente da parte la Scrittura e la tradizione non per mettere in dubbio i contenuti della fede ma per cercare, nel suo modo metodologico di argomentare, le ragioni («necessarie») di comprensione logica della verità. Anselmo parte da una vitale esperienza di fede e finisce nella fede, fatta più luminosa con la comprensione dell'intelligenza, ma nel suo discorso argomentativo di mezzo si muove con gli strumenti esclusivamente razionali.

Le lettere 174 e 209 trasmettono anche l'affetto di Anselmo verso il suo amico e assistente Bosone, l'interlocutore nel Cur Deus homo,17 sotto lo sfondo di una stretta relazione tra conoscenza, coscienza e amore.

Uno degli amici di Anselmo fu Maurizio a cui dedicò nove lettere e al quale considerava «per i suoi meriti signore, per la fede fratello, per la ansiosa preoccupazione figlio», «amato più che nessun altro e che lui amava più di altro».18 Egli aveva seguito Lanfranco in Inghilterra e subiva spesso il male di testa per cui Anselmo lo raccomanda vivamente al medico Alberto nelle lettere 32, 33 e 34. Nella lettera 42 è chiamato anche fratri et filio carissimo suo19 sola volta di questa espressione e, oltre ai consigli spirituali pieni di affetto, Anselmo gli parla sullo studio e sui libri e, in concreto, vi si trovano allusioni alla Regola di S. Dunstan e al De temporibus di Beda; inoltre nelle lettere 43 e 60 si cita il De Aphorismo di Ippocratee e nella 64 Virgilio; nella 74, gli comunica che ha inviato il Monologion a Lanfranco; nella 97 tratta invece sul male, un tema che svilupperà nel De casu diavoli: se il male è niente, che significa il nome di male? Che significa il «niente»?, Nulla o qualcosa? Non c'è contraddizione? Lui conclude che «male» e «niente» significano qualcosa; e che quello che significano è qualcosa non secondo la realtà ma secondo la forma del linguaggio.20

Queste lettere rivelano l'amore di Anselmo per la sapienza, presa nel senso amplio di un impegno intellettuale e culturale come elementi integranti della vita monastica, della formazione della persona e della responsabilità dell'uomo di fronte al mistero di Dio.21 Di fianco alla redazione delle lettere si intravede il monaco e l'abate che scrive allo stesso tempo, nell'ambito della vita monastica, opere di grande spessore intellettuale su Dio e sull'uomo, sul bene e sul male, sulla verità e sulla libertà, nel contesto della cosmovisione cristiana altomedievale. Anselmo si mostra prevalentemente nelle lettere come un maestro della guida spirituale delle anime ma emerge anche come un guida del pensiero, della teologia e della filosofia, configurato più che nel lavoro di scuola, in una comunità monastica, con gli interlocutori monaci che vivono all'unisono una esperienza sapienziale di ricerca di Dio e che si fanno domande sulle ragioni del mistero della fede senza perdere di vista l'ideale di vita monastica vissuta nella rettitudine, nella gioia e nella santità. L'intelligenza diventa così un luogo della presenza di Dio e una esperienza della manifestazione divina nell'uomo. L'intelligenza appartiene al mondo interiore dell'anima che guida la volontà verso la verità. L'intelligenza è un'esperienza di Dio in quanto capacità della mente di raggiungere la verità nella rettitudine, di aprire la via di percezione e comprensione del mistero di Dio nella fede e nella vita. Risulta logico quindi che nelle lettere ci siano riferimenti alla applicazione rigorosa allo studio e al sapere e agli supporti strumentali di essi, ai libri, alla copia dei codici, all'invio e scambio di opere patristiche e liturgiche. Anselmo non è proprio un maestro di scuola che scrive per insegnare, piuttosto è un monaco che pensa, che si pone domande e che articola delle risposte con logica in un ambito libero di ricerca di Dio, caratteristica questa che hanno fatto di lui una delle figure monastiche medievali più stimolanti nella storia del pensiero. Molte delle sue opere sono state scritte in forma di dialoghi tra maestro e discepolo fatto che ci richiama ad un stile di conversazione orale più che di controversie tra argomentatori opposti redatte a tavolino. Egli tenta di approfondire al massimo la razionalità interna, la coerenza logica, l'intelligenza della verità divina e dell'agire umano, lontano certamente da una superficialità disimpegnata. Nelle lettere a Lanfranco appare chiaramente come Anselmo sottomette alla critica del suo antico maestro la sua opera, dimostrando così non solo venerazione ma soprattutto rigore, dialogo e confronto critico, come condizioni indispensabili per la ricerca intelligente della verità. Non ha paura della creazione di una via di pensiero libero e indipendente, sulle scie di Agostino, che prende come guida di comprensione la sola ragione, come dichiarerà nel Monologion, senza prescindere però dell'ossequio dovuto alle fonti della rivelazione, alla Scrittura e ai Padri. Dopo il confronto con Lanfranco, l'opera ideata nel circolo della comunità di monaci sarà diffusa altrove in ambito pubblico. Eadmero stesso illustrerà alcuni aspetti della sua personalità intellettuale nella sua biografia come segni di identità del santo monaco nella sua ricerca ed esperienza di Dio.22

2. Le lettere dell'amicizia

L'amore di amicizia in diverse espressioni è un argomento molto frequente nelle lettere. Cos'è l'amore, e in concreto l'amicizia e la dilezione, per Anselmo? Si può considerare un luogo dell'esperienza di Dio, o addirittura il luogo di quella esperienza? È l'amicizia un elemento fondamentale della vita cristiana e monastica o è un componente marginale? Molte lettere anselmiane sono dedicate infatti ai diversi rapporti di amicizia e fraternità che si coltivavano nei monasteri. Il tema riceve un'importanza del tutto particolare in questi scritti e, al dire di alcuni studiosi, il suo modo come è affrontato risulta originale rispetto alla precedente tradizione letteraria cristiana sull'argomento.23 Anselmo parlerà di verus amor, vera caritas, vera dilectio, vera amicitia, amicus verus per sottolineare come la verità è la chiave di comprensione della sua concezione dell'amore e dell'amicizia tra i monaci. Dio stesso sarà chiamato amico. Bisogna avere presente che il suo concetto di verità include la rettitudine della volontà nel compiere liberamente la volontà di Dio, secondo quanto scrisse nella sua opera De veritate. Posteriormente il cistercense Aelredo dedicherà un'opera monografica all'amicizia spirituale.

Esaminiamo alcune lettere più significative sull'argomento. Nel circolo di amici di Anselmo si trova Gondulfo, il quale dopo un pellegrinaggio a Gerusalemme era diventato chierico a Rouen e poi, nel 1057, era entrato nel monastero del Bec. Seguì Lanfranco a Caen e a Canterbury il quale lo consacrerà vescovo di Rochester nel 1077.24 Egli fu uno dei più intimi interlocutori di Anselmo e la loro profonda amicizia è testimoniata in tredici lettere le cui espressioni sono ben eloquenti: «Al fratello carissimo, all'amico certissimo... anima dilettissima dell'anima mia... tutto ciò che circa te sento, riesce dolce e gradito al mio cuore... dovunque tu vada, il mio amore (amor) ti accompagna...»;25 «Se non sapessi d'esser io totalmente tuo e tu totalmente mio... per il vicendevole affetto (dilectione), in te riconosci un secondo Anselmo»;26 «Al suo il suo, all'amico l'amico, al fratello il fratello, a Gondulfo Anselmo: per amore della felicità, perseveranza nella santità; in ricompensa alla santità, la felicità eterna»;27 «grazie all'eguale sentimento (dilectione) di familiarità, siamo sempre un'anima sola».28 A lui dedicherà la preghiera a Maria che è menzionata nella Lettera 28: «Una grande preghiera di Santa Maria» che è diventata in realtà tre preghiere (Orazioni V-VII)29 che cercano di provocare «la compunzione della contrizione e dell'affezione».30 Nella lettera 91 troviamo la espressione familiaris amicitia.31 Un singolare valore per capire la sua concezione della amicizia riveste la lettera 16 nella quale, oltre il richiamo al vero amico e alla reciprocità dell'affetto mutuo, Anselmo risponde all'impazienza di Gondulfo richiamando la sua attenzione alla coscienza e alla interiorità come luoghi della conoscenza e raccomandandosi alla preghiera come orizzonte escatologico e come sostegno sufficiente della fiducia della loro amicizia che deve rimanere libera da legami emozionali e continui bisogni comunicativi.32

Sensibilità, interiorità, prospettive teologiche, si incrociano nelle espressioni dell'amicizia intesa semanticamente attorno al vocabolario variegato utilizzato per riferirsi con differenti sfumature ad essa: anima, dilectio, amor, amicitia-amicus... A giudicare dal significato concernente la vita personale degli interlocutori il tema della amicizia pare acquistare in queste lettere una precipua importanza. Il linguaggio adottato da Anselmo riceve delle forme molto dirette quando usa i nomi concreti e chiama amico e fratello proprio ad un confratello accompagnando gli appellativi con degli aggettivi superlativi ed espressioni molto affettuose, emotive, quasi passionali e persino riportanti a un'unione spirituale e vicendevole delle anime. La reciprocità è inerente a un relazione di amore e amicizia e per Anselmo ha anche un valore come dono di Dio ed esperienza delle anime aperta al compimento felice dell'eternità. Cosa si intende dunque per amicizia qui, una idea, un concetto intellettuale, un ideale personificato, una esperienza personale reale? Fino a che punto ci troviamo di fronte ad un stile letterario espressione di una emozionalità finalizzata a se stessa, oppure di fronte ad una relazione interpersonale di vera amicizia e fraternità? Si tratterebbe di una amicizia particolare, intima ed esclusiva, come sembrerebbe ad un prima lettura, o la forma letteraria epistolare velerebbe un'ideale di affetto fraterno più amplio e libero nell'ambito comunitario della vita monastica? Quello che non si può trascurare è il riferimento esplicito ad una destinazione ultima di felicità eterna e santità che presta alle lettere un senso spirituale nel quale è necessario capirle e la cui prospettiva offre le condizioni trascendentali che giustificano il compimento ideale dell'esperienza vissuta attraverso la mediazione letteraria. Si adopera un linguaggio dell'amore sensuale, ma con un significato di analogia simbolica che è riferito palesemente alle anime, insito nelle coordinate di desiderio di una felicità che manifesta la ricerca di una riuscita personale e l'anelito della santità che è impegno, promessa e premio. Dunque letteratura e spiritualità forniscono una doppia cornice di comprensione che sopporta la descrizione dei sentimenti delle relazioni personali consumate in una distanza che vuole essere superata per mezzo di un rapporto epistolare evocante una figura spirituale di sicuro amore reciproco.

Con un carattere più pratico e circostanziale, tra le lettere indirizzate ai laici, si trovano quelle del medico Alberto su cui si parla nella lettera 32, chiamandolo amico nostro e a cui sono dedicate le lettere 36 e 44. Anselmo si riferisce a lui come carissimo amico e allude ad un mutuus amor per sollecitare di lui alcuni servizi (Ep. 36). Nella lettera 44 si parla anche di affetto e amicizia, si nomina Cristo e sembra si tratti di un'eventuale consiglio vocazionale che si serve comunque di un vocabolario più sobrio e contenuto.33

Un altro nome destinatario di dodici lettere è Enrico, monaco di Bec, priore di Christ Church a Canterbury nel 1074, abate di Battle nel 1096. A lui scrive: «il cuore del tuo amico (cor amici tui) s'accende del desiderio di vedere ciò di cui innamorandosene sente e dire di goder di ciò di cui sentendo dire s'innamora... sono stato certo non esservi dissomiglianza nel nostro reciproco amare (amari)... non ho dubbi circa la somiglianza, del nostro reciproco desiderio... Dunque, si serbi il desiderio della carità (caritatis) fraterna... sì da mantener vivo il sentimento d'amicizia (affectum dilectionis), che con giusta distribuzione Dio elargisce».34

Osserviamo di nuovo qui l'uso delle espressioni letterarie riferite ad una amicizia vissuta interiormente (cor) nel desiderio reciproco, nell'amore e nella carità fraterna. Un ideale specchiato nella somiglianza che ricorda la teoria platonica dell'immagine che si rispecchia nella realtà e che prende nell'antropologia cristiana dell'immagine e somiglianza un asse fondamentale di riflessione. Quello che sembrava di essere proprio dell'intimità e dell'esclusività personale appare qui in modo simile dedicato ad un altro confratello e quindi ci fa capire che queste espressioni di affetto escono dall'ambito privato per acquistare una vera significazione nell'ambito più pubblico della condivisione aperta degli stessi sentimenti con più persone. Il carattere dialogico del discorso e il ricorso all'intersoggetività come ambito di senso contiene uno spunto, a nostro avviso, estremamente attuale. Compare anche l'idea dell'amore fraterno come dono di Dio e quindi in qualche modo come una partecipazione alla vita divina e come prospettiva di origine e destinazione ultima che allunga il significato coerente e degno che vuole darsi all'amore.

Un'amicizia particolare unì Anselmo a Gilberto, un monaco che fu educato proprio al monastero sotto la direzione di Anselmo. Seguì poi in Inghilterra a Lanfranco e divenne abate di Westminster nel 1085. Scrisse la Vita Herluini e altre opere di dialogo con un pagano e un'ebraico. Anselmo fu il suo ospite nei suoi viaggi all'isola. In uno di questi nel 1092 conobbe gli argomenti di un giudeo contro l'incarnazione. Sicuramente i dialoghi con Gilberto e i giudei hanno influenzato le sfumature di alcuni argomenti del Cur Deus homo. Attraverso la lettera 106 Anselmo inviò le sue felicitazioni a Gilberto per la nomina ad abate di Westminster. Gilberto è chiamato nella lettera 84 amice dulcissime e Anselmo gli rivela la desolazione del suo cuore che brama in desiderio della sua amicizia (dilectionis) .35 Nella 130 lo chiama amico, fratri, domino, patri, dilecto dilectori «L'entità e la sincerità (verus) di tale sentimento (affectus) m'era ben nota già quando, incrociandosi i nostri sguardi, i baci, gli abbracci, esso poteva manifestarsi».36 Ha 4 lettere indirizzate a lui.

Anselmo aggiunge in questa lettera le allusioni esplicite alle manifestazioni corporali di una certa passionalità dei sensi in una estrinsecazione letteraria del mutuo affetto che a causa della distanza non possono avere luogo, fatto che provoca in loro un senso di mancanza o privazione. È un'evocazione ideale della perfezione paradisiaca della relazione di affetto retto verso qualcuno che è chiamato amico, ma anche fratello e padre. . .? Si può parlare dell'amore vero senza allusioni all'amore reale di anima e corpo? Il linguaggio simbolico della vista e il tatto deve diventare astratto nella analogia o può includere l'esperienza reale? Particolarmente significativo nella tradizione mistica e liturgica è l'immagine del bacio per parlare dell'amore in tutta la sua potenzialità rievocante.

Nel discorso indirizzato ad Erluino, appartenente al circolo di Gondulfo e Maurizio, troviamo un linguaggio metaforico che richiama l'esperienza di Dio, la «soavità di Dio» in contrapposizione alla amarezza che si tralascia nel secolo: «Hai già, mio carissimo, incominciato a gustare che soave è il Signore. Bada dunque a non saziarti del sapore di questo secolo, che scorre a te in abbondanza, a segno di privarti del sapore di Dio, che in fretta e furtivamente scorre via da chi non si guarda. Considera spessissimo, fratello mio, e sappi in modo certissimo che, chi si lascia sedurre dalla dolcezza del secolo, è vinto da eterna amarezza; e chi è attirato dalla soavità di Dio si sazia di beatitudine sempiterna».37

La rappresentazione letteraria rimane ancorata nel sensibile. Allora avvengono ancora delle domande: Il suo concetto di amicizia ha un carattere personale o intellettuale, come appunterebbe Southern,38 o addirittura letterario? Il suo è un linguaggio simbolico che serve all'apparato letterario o il fascino del suo linguaggio è reale e trasmette una esperienza spirituale di amicizia vera che include affetto di anima e corpo? Quale è la personalità di Anselmo che traspare da queste lettere? Era una persona gentile, vicina e affettuosa o invece, come pensano alcuni, Anselmo era piuttosto distante, razionale e freddo...

Anselmo non elabora una teoria teologica sulla amicizia nell'epistolario e quindi individuare la sua concezione sulla amicizia non è semplice. Egli descrive i suoi sentimenti e il suo pensiero su una esperienza personale dove si intreccia qualcosa di divino e di umano, concerne il corpo e lo spirito. In queste e in tante altre lettere agli amici si osserva un linguaggio e delle forme letterarie che riprendono il tema tradizionale della antichità classica, la amicizia, che in Anselmo si ricrea vivamente verso un ideale della fusione delle anime in una esperienza spirituale di connotazioni letterarie fortemente emotive che annuncia l'orientamento psicologico del secolo XII. McGuire parla proprio di rivoluzione anselmiana quando tratta di definire la novità del linguaggio affettivo sulla amicizia in Anselmo.39 La tradizione monastica si ispirava nell'ideale classico e neoplatonico (Aristotele, Cicerone...) e, d'altra parte, biblico e patristico (Basilio, Agostino, Cassiano...). Gesù stesso aveva chiamato amici ai suoi discepoli, secondo il vangelo di Giovanni. La espressione di amicizia spirituale appare comunque con Beda il Venerabile che la applica alla relazione di Cutberto con un prete eremita (Vita Sancti Cuthberti). Beda parla anche di amicizia nelle lettere e nelle dediche dei suoi commenti biblici. San Bonifacio verso il 752 usa l'espressione concreta spiritalis amicitia in una lettera all'abate di Saint Denis. Alcuino parla spesso della amicizia con espressioni molto affettuose nelle sue lettere e distingue vari gradi di essa. L'espressione precisa di amicitia spiritali compare in una lettera al vescovo di Hexham e la sua comunità. Rabano Mauro nomina ugualmente l'amicizia nei suoi poemi utilizzandola in rapporto con Cristo.

Il concetto antropologico monastico dell'uomo nel medioevo comprende vari parametri ermeneutici comprendenti l'intelligenza ma anche i sensi, l'immaginazione e la comunità. Anselmo ispira e promuove un nuovo linguaggio per parlare della amicizia che significò una «rivoluzione» nell'espressione dei sentimenti umani e del modo di concepire i rapporti interpersonali e l'affettività in un ambito monastico. Il linguaggio utilizzato ha delle connotazioni personali e sensibili e persino corporali ma non riflette carnalità nel significato, nelle idee trasmesse, nelle intenzioni, come neanche ha paura delle emozioni sensibili e gli affetti appartenenti alla vita stessa. Prende letterariamente la passione dell'affetto in tutto il suo essere per riordinarlo poi nel messaggio secondo la verità del piano di Dio, la rettitudine e la libertà. È un linguaggio nuovo, originale nel suo contesto, per l'intensità sensibile che trasmette. Nell'amore la soggettività esperimenta la assenza di limiti e il linguaggio deve esprime tale propensione.

La sua concezione ha un fondamento teologico globale di carattere escatologico: la amicizia vera è immagine e ci anticipa in qualche modo la felicità del paradiso quale destinazione ultima dell'uomo. Proprio nel paradiso non ci sarà nulla di terreno ma ci sarà invece la amicizia libera della carnalità di questo mondo, non perché la carne sia cattiva40 ma perché integrata e vissuta nella rettitudine libera e compiuta dalla pienezza della grazia, quando sarà quello che deve essere, secondo la giustizia originaria. Nel frattempo, ci resta la realtà terrena e storica dove si incrociano simbioticamente ideale e possibile distorsione di esso e la mediazione comunicativa di un epistolario pubblico che è conseguentemente un'interpretazione parziale. A livello biografico conosciamo la sua amicizia e intimità con Osberno (le loro due anime erano unite, secondo la lettera 4) ma quando questui morì, attorno al 1070, Anselmo, al dire di Eadmero, cambiò e divenne tutto a tutti. L'esempio pratico del monaco ribelle Osberno, al quale la premura di Anselmo trasformò la vita,41 rivela chiaramente la finalità spirituale di un affetto intenso. Forse trasferì l'intensità della sua amicizia a Gondulfo ma non con esclusività. Le lettere anselmiane celebrano l'amicizia monastica con un vocabolario rinnovato, con figure retoriche curate, come una via per raggiungere la beatitudine eterna e quindi come esperienza di Dio. Per Anselmo l'amicizia, l'unione delle anime nell'amore, significa prossimità, vicinanza, consolazione, conforto, e in realtà, in ultima istanza, unione con e in Dio nell'eternità. Allude al lessico della coscienza e dell'uomo interiore perché, come per Agostino, in Anselmo, l'interiorità e l'anima sono i luoghi privilegiati dove si trova la presenza di Dio. Egli parla in ogni lettera a una persona determinata ma con termini traspersonali che oltrepassano il rapporto concreto intersoggettivo. L'amicizia descritta nelle lettere non appare finalizzata a sé stessa, né esprime un bisogno fisico dell'altro, né è chiusa nel rapporto interpersonale di una emotività effimera che sparisce nel momento immanente, ma è il luogo di espressione del mondo interiore dove si sviluppa la dimensione spirituale della vocazione cristiana e monastica, la sua intenzionalità trascendente e il progresso etico nella santità verso il compimento nella felicità eterna. Quindi appare come una relazione reale che non cerca le sensazioni fisiche, ma che si vive nella libertà della comunione inerente ad ogni vocazione cristiana. Anselmo amava i monaci perché condivideva con loro la vita, la sapienza, gli ideali. Erano i compagni del pellegrinaggio terreno verso la visione di Dio. Egli la chiamerà «vera amicizia» per comprendere in una convergenza trasformante del desiderio i molteplici componenti ontici, etici e teologici che ne confluiscono nella sua costituzione fondamentale di senso. Nelle lettere l'amore non si identifica fenomenologicamente con l'affetto che può accompagnarlo (desiderio, innamoramento, gioia, ...) ma con la condivisione di una esperienza teonoma di senso in una vocazione trascendente che proviene e partecipa, nell'origine e nella fine, da Dio.

3. Le lettere dell'esperienza spirituale

La corrispondenza anselmiana scritta nel periodo del priorato e abbaziato al Bec ha come sottofondo un'evidente intenzione di comunicazione e condivisione di un cammino spirituale che molte volte ha il carattere di istruzione pastorale.42 La esperienza spirituale è riferita all'interiorità (anima, cuore, coscienza...) come luogo di esperienza di Dio in una dinamica di amore che integra il corpo e i sensi secondo un processo di rettitudine, unificazione e santità. Le lettere lasciano intravedere anche la preoccupazione pedagogica di un padre spirituale che, ispirandosi alla figura dell'abate delineata nella regola di san Benedetto, tenta di guidare con intelligenza, premura e magnanimità la vita spirituale di tutti quei cristiani che ricorrono al suo consiglio. Oltre le lettere destinate propriamente agli amici, ci sono altre indirizzate ad abati, priori, monache, novizi e persone laiche vicine ai monaci in cui si considerano diversi questioni di vita spirituale e monastica. Alcune esortano alla correzione di qualche vizio, come nella lettera 96 in cui si vieta il darsi agli eccessi del bere, o si ammonisce contro una grave disobbedienza, come nella lettera 137 quando Lanfranco, il nipote dell'arcivescovo Lanfranco, accettò l'abbazia di Saint-Wandrille senza il permesso dell'abate Anselmo. Si trovano infine altre lettere varie indirizzate al Papa Urbano II, a vescovi, a laici, uomini e donne, a famigliari...

Riguardo il contenuto, le lettere trasmettono soprattutto l'insegnamento spirituale di Anselmo riunito in un corpus che, accanto alle Orazioni e Meditazioni, fanno di questo autore medievale un grande maestro nella storia della spiritualità cristiana.43 Il suo stile persuasivo, il linguaggio del desiderio, il richiamo all'esperienza interiore, la profondità del messaggio, la sua concezione della vita monastica e l'ampiezza dei destinatari sono caratteristiche della sua corrispondenza che contribuirono già nel suo contesto al rinnovamento della vita cristiana nella Chiesa del secolo XI.

Le tematiche riprendono in modo rinnovato gli argomenti della tradizione monastica latina precedente, particolarmente segnati dalla regola benedettina e gli scritti di san Gregorio Magno. L'antropologia di fondo è determinata da una forte idea dell'uomo peccatore davanti al timore di Dio che ha bisogno della redenzione per vivere l'amore di Dio e raggiungere la salvezza eterna. Tra i temi della esperienza spirituale spicca quello della preghiera. Nella lettera 3, al monaco Roberto, Anselmo parla del fervore della preghiera,44 della sua utilità e della comunione che crea con il prossimo nella carità e nella presenza di Dio: «accese [le mie orazioni] dal fervore delle tue».45 Usa le figure letterarie per abbellire il discorso, ad esempio il chiasmo («uomo con venerazione amabile e con amabilità venerabile») e le antitesi («velocità» e «tardità», «correre» e «attardarsi»). Chiama il monaco Roberto miles dei che corre verso la patria celeste (in reditu patriae supernae... currere) indicando così, da una parte, il senso militare della lotta, della forza e della disciplina, e, dall'altra, una concezione dinamica ed escatologica della spiritualità monastica, che ricorda il vocabolario di Gregorio Magno nel tema del ritorno al paradiso come la vera patria.

Nella lettera 10, ad Adelaide, una donna laica nobile, egli, che si chiama «amico dell'anima vostra», allude alle sue Orazioni mettendo in stretto rapporto la preghiera, l'umiltà e l'amore: «con quale umiltà e con quale sentimento (affectu) di timore e di amore si debba offrire il sacrificio della preghiera», usando lungo la lettera un vocabolario simbolico del campo semantico dell'interiorità e dell'affectus: «dulcissimo affectu... intimo corde ... accendendum amorem».46 Ugualmente si osservano figure letterarie, allitterazioni e progressioni, in questo caso riferita al peccatore: «discutiat, discutiendo despiciat, despiciendo humiliet, humiliando», che creano nel lettore una dinamica coinvolgente nello stesso messaggio che si vuole trasmettere.

La contrapposizione dialettica monastero-mondo, cose terrene -- cose celesti, è frequente nelle lettere, prendendo il concetto giovanneo di mondo come luogo della concupiscenza e del peccato ma non solo in questo senso. Si avverte anche un'idea di mondo non necessariamente negativa ma semplicemente come espressione della caducità di tutte le cose effimere che non sono Dio e la cui esperienza non può fornire un senso pieno alle aspirazioni più profonde della vita dell'uomo. Un esempio lo troviamo nella lettera 81 al laico Unfrido: «terrena pro caelestibus despicere, caelestia pro terrenis percipere».47 Anselmo si rivela qui come teologo, come ricercatore amabile dell'intelligenza, della sapienza, della verità e parla infatti di essere amicos... de intelligentia veritatis, e, allo stesso tempo, traspare l'umanità e la fraternità nel suo rapporto con Unfrido (dilecta fraternitate). Citando la prima lettera di Giovanni lo esorta a non amare il mondo e le cose del mondo che passa perché vive nelle tenebre. Il mondo è un «fuoco divorante» (gloria eius non est gloria, sed ignis vorans). E li invita a fare quello che considera più saggio e più felice: abbandonare il mondo e seguire Cristo (sequeremini Christum).

L'idea della chiamata (vocantem Christum) e della sequela di Cristo (sequi Christum) si presenta bellamente anche nella lettera 117 dove egli, come abate, esorta il giovane Guglielmo a vivere nella libertà della verità (in libertatem veritatis),48 ad abbandonare la vanità del mondo e accostarsi alla via della Gerusalemme celeste che è visione di pace.

La lettera 2 riprende la dicotomia tra le cose temporali e le cose eterne (pro aeternis temporalia despicere, pro temporalibus aeterna percipere), ma Anselmo ammira l'amore spirituale del giovane Lanzone, che sta in processo di discernimento, (ad spiritualem accenderet amorem)49 e lo esorta di progredire ogni giorno (cotidie acquirat proficiendo) nello studio della Sacra Scrittura (studendi in sacra scriptura) e nella custodia del cuore (omni custodia serva cor tuum). Di nuovo l'idea di non amare il mondo, con una allitterazione: riserit, risum eius horrete, horrendo ridentem irridete, ut post irrisorem eius irrideatis et ipso lugente rideatis. Alluderà similmente al falso «sorriso» del mondo nella già menzionata lettera 8, al monaco Erluino, dove contrapporrà in una dicotomia simbolica il «sapore del mondo» e il «sapore di Dio» ispirandosi e commentando la lettera di Giacomo.50

Particolarmente significativa risulta la lettera 37, di nuovo al già novizio Lanzone, per il quale adotta anche il saluto dilecto dilectus, amico amicus, fratri frater.51 Da mettere in rilievo ancora la espressione dell'unione affettiva delle sue anime in una sola per mezzo della carità (de duabus tamen animabus nostris caritas unam conficiat... animae nostrae... sese amplectantur) e il richiamo all'introspezione della loro conscientia, idee che anticipano il vocabolario e l'impostazione dell'ideale di una amicizia spirituale e la psicologia dell'interiorità che si svilupperà nei autori cistercensi del dodicesimo secolo (san Bernardo, Aelredo di Rievaulx...). La vita presente è un pellegrinaggio anelante verso la patria celeste (huius vitae peregrinatione... speramus in patria ad quam suspiramus). Alla speranza Anselmo unisce la fiamma della carità e l'obbedienza al piano di Dio (dei dispositioni ... oboedire). E dopo il riferimento alle virtù teologali presenta la vita monastica come una milizia di Cristo (Christi militiam) dove si lotta contro la violenza del diavolo nemico che ha una cattiva volontà e una ragione velenosa (malae voluntatis... venenosae rationis). Lo esorta al fervore spirituale (spirituale fervore) e agli esercizi di una vita pia (piae vitae exercitia), alla costanza e alla mansuetudine (constantia et mansuetudine). Si potrebbe considerare questa lettera come una breve ed essenziale istruzione sulla vita spirituale che contiene tutti gli elementi del pensiero monastico anselmiano: una visione escatologica della vita cristiana, la sequela di Cristo, la esperienza della amicizia e della carità, la coscienza, la rettitudine della volontà, la lotta contro il diavolo, la pratica delle virtù.

Ugualmente nella lettera 101, Anselmo previene a Elinando contro il diavolo e li incoraggia a perseverare nell'esercizio delle virtù e a fuggire dei vizi per l'amore e la speranza del regno celeste e per custodire la santità di vita, la perfezione.52 Lui si appella anche a una delle sue dialettiche care, la contrapposizione vanità -- verità.

La vita monastica è oggetto di tanti altri insegnamenti e raccomandazioni di Anselmo, in particolare riferite ad alcune virtù come la stabilità, l'obbedienza, la rettitudine, la pazienza e la mansuetudine. Per contro costatiamo la scarsità di richiami alla liturgia e alle penitenze corporali. La vita regolare nella comunità e la stabilità sono raccomandate da Anselmo ad esempio nelle lettere 37 e 38. Disapprova il monaco che per proprio capriccio cambia di posto: infelix monachus, si saepius de loco ad locum proprio appetitu mutatur.53 E avverte della necessità della costanza e la pazienza per vivere in monastero: Ad hanc vero monachus qui in monasterio conversatur, pertingere nullatenus valet sine constantia et mansuetudine, quae mansuetudo indissolubilis comes est patientiae54. Al monaco Roberto, che fuggì del monastero, Anselmo lo prega di ritornare e continuare a servire Dio pacificamente con la comunità (ad monasterium vestrum veniatis et ibi cum aliis pacifica et benigna conversatione deo serviatis).55 Invece al monaco Ernosto, ammalato, Anselmo consola nella sua infermità e nelle sue afflizioni con un significativo accenno antropologico sull'uomo interiore e l'uomo esteriore (exterior homo... interior homo)56 e alcune citazioni della Scrittura. La regola di san Benedetto risuona ancora tra le parole dedicate al priore Enrico nella lettera 73 nella quale lo invita a fare tutto col consiglio, e sull'obbedienza e la pazienza scrive con insistenza: in oboedientia et patientia, et scriptum sit quia oboedientiam mavult deus quam sacrificium, et quia patientia opus perfectum habet.57 Nella lettera 112, all'eremita Ugo, ritroviamo la visione escatologica e il vocabolario gregoriano sull'amore e desiderio del regno eterno (ad patriae caelestis amorem accenderent... aeterni regni desiderium),58 gli riccomanda la Scrittura e lo invita alla esperienza spirituale dell'affetto del cuore e la rettitudine di una vita santa (cordis affectu... sanctae vitae rectitudine) che non è vissuta nella solitudine ma nella comunione «con Dio e con tutti gli angeli e gli uomini», indicando così il significato ampliamente teologico della comunione ecclesiale di un eremita. In Anselmo la volontà e l'agire dell'uomo nella rettitudine non è evidentemente autoreferenziale, come nella modernità, ma riceve il suo fondamento dall'orizzonte trascendente, da Dio, da dove riceve anche la necessità della responsabilità per una vita di giustizia, degna e libera. Si supera così il dramma dell'incertezze del mondo esteriore.

Come ricapitolazione ribadiamo che l'epistolario anselmiano rappresenta un tentativo di ogettivizzazione di molti dati di una esperienza che in fondo è incomunicabile e incomprensibile per diversi versi. La sua portata per Anselmo comunque è incontrovertibile: l'esperienza di Dio ha un carattere grandioso per quanto l'uomo partecipa in una dinamica divina infinita che concerne l'anima e il corpo e che accade però non in nulla di esteriore ma nell'interiorità e nel cuore umano. Non si vede, non si tocca, ma si riconosce e si sente nella profondità soddisfacente dell'esperienza interiore. Questa realtà, che include la nostalgia della felicità escatologica, ha delle manifestazioni esteriori ed espressioni letterarie simboliche che si richiamano nel suo vero significato al mondo interiore, spirituale e naturalmente a Dio come realtà assoluta. Siamo nella concezione di ispirazione neoplatonica della interpretazione medievale della realtà vista da un cristiano.

Il pensiero spirituale anselmiano è delineato fondamentalmente dalla sua visione teologica totale, e particolarmente escatologica, della vita cristiana. Il suo sguardo ermeneutico è messo in Dio e nella felicità eterna, e in questa prospettiva troviamo una sua chiave di comprensione, una sua logica, una sua intelligenza che ci si può presentarsi consistente, forte e lucida, forse troppo per gli occhi dell'incertezza contemporanea. Ma la sua visione escatologica è forse all'origine della sua sicurezza e libertà, che risulta a sua volta liberante e ispirante in molti aspetti nel modo di parlare dell'anima e del corpo senza paure e senza complessi. La prospettiva escatologica non toglie nulla all'ottica della realtà e difatti la spiritualità anselmiana è pensata e scritta alla misura dell'uomo (homo noster), qui un'altra sua vena della sua attualità, dell'uomo concreto chiamato da Dio alla felicità (felicitatem), all'amore (spirituale fervore) e alla santità di vita (sanctitatem).

In merito alla nostra analisi, benché essendo parziale, sia dal contenuto e dal vocabolario dell'epistolario possiamo evidenziare alcune delle caratteristiche più significative per una considerazione contemporanea del suo messaggio. In questo senso scrivere spiritualmente in forma di epistolario ha dei vantaggi dato il suo carattere frammentario. L'insegnamento anselmiano si mostra pratico e concreto, diretto e personale, presta attenzione all'anima ma anche al corpo, è spirituale e umano. La lettera si presta a una comunicazione breve (breviter respondeo) ed effettiva che si dirige al nocciolo della questione che si vuole considerare o alla situazione, anche di salute fisica, dell'interlocutore (infirmitatis tuae), un fatto anche di grande attualità quando le tecniche di cure corporali hanno occupato un posto del tutto preferenziale nei nuovi modelli di esistenza emergenti nella nostra società individualistica. Non si trattano argomenti generali ma quelli che interessano a delle persone particolari e conosciute, con dei nomi, e quindi lo stile e il discorso è rivolto ad un argomento o problema che tocca la situazione vitale e la esperienza vera del destinatario, sia uomo o donna. La lettera fornisce alla spiritualità una base reale e dialogica di due persone che si comunicano, un io e un tu e il conseguente adeguamento dal pensiero teorico all'interesse più concreto delle circostanze in qualsiasi fase del percorso vitale. Anselmo infatti considera le virtù e i vizi, le gioie e le difficoltà delle persone, i propositi e le delusioni. La vicinanza, benché sia epistolare, crea uno spazio che tende alla amicizia, alla fraternità, note che non limitano una spiritualità, tra l'altro, estremamente dinamica, variegata e propositiva che si evidenza nei verbi di movimento utilizzati (correre, proficietis... ). L'intelligenza di Anselmo gli permette facilmente adattarsi alle molteplici condizioni e favorire un dialogo franco interpersonale che ispira fiducia reciproca e progresso spirituale.

Dal punto di vista più teologico diremmo che le lettere di questo periodo rivelano una spiritualità escatologica (velle aeternitatem), cristocentrica (Christi), retta (rectitudine), comunitaria (dilecta fraternitate), biblica (in sacra scriptura) e monastica (monachicam conversionem).

Gli amici e i corrispondenti dell'epistolario furono numerosi e molti di loro occuparono posizioni di grande responsabilità nella chiesa della Normandia e dell'Inghilterra nella sua epoca. Dunque l'insegnamento spirituale di Anselmo ebbe una diffusione e un'influenza che oltrepassava i limiti del monastero di Bec, durante i suoi periodi come priore e abate, un'influenza che si svilupperà ancora nella sua epoca successiva come arcivescovo, soprattutto per quanto riguarda la lotta per la libertà della chiesa. La concezione spirituale anselmiana ci appare comunque nuova, in qualche modo geniale e fascinante, in tanto che diversificata, cordiale, libera ed esigente nell'amplio campo di rapporti che seppe costruire attorno alla sua persona, alla sua testimonianza e al suo insegnamento.

Una considerazione teologico-spirituale ci porta a elencare concisamente varie chiavi fondamentali di lettura e interpretazione che si desumono dall'epistolario e che evidenziano quali sono i momenti concreti dell'esperienza cristiana e i luoghi privilegiati dell'incontro con Dio per ogni persona dove si manifesta la sua presenza e la sua azione di grazia. Potremmo ricordare come luoghi più salienti di esperienza di Dio: la sapienza e l'intelligenza del mistero di Dio; l'amore e l'amicizia; la interiorità e il progresso spirituale. Seguendo la tradizione monastica, Anselmo riflette un'idea della parola di Dio che è lettura, ascolto orante, impegno sapiente, studio intelligente e fonte della conoscenza e dell'incontro personale con Dio. L'amicizia si presenta come un rapporto interpersonale di comunione fraterna come forma ideale di vita cristiana e monastica, via di esperienza trinitaria, manifestazione della comunione divina e partecipazione umana all'amore che è essenza di Dio. Nell'amore non soltanto si raggiunge la perfezione personale per mezzo della donazione e dell'accettazione del dono altrui, ma amante e amato partecipano di una perfezione che gli trascende ed è proprio la partecipazione della stessa vita divina che da all'affettività una consapevolezza di sapersi compiuta in modo infinito. L'uomo interiore, la coscienza, il cuore, come luogo simbolico del desiderio, dell'amore e della gioia, è luogo di presenza principale di comunione con Dio, di autoconoscenza e di unificazione armonica della grazia. Il progresso spirituale evidenzia la forma reale dell'uomo peccatore in cammino verso la pienezza dell'evento definitivo della visione di Dio, prospettiva escatologica che anticipa, sostiene e accompagna la rettitudine e la santità di vita dell'uomo che vive la libertà.

La attualità ispirante dell'epistolario poggia nella capacità di assegnare il contenuto spirituale su una forma decodificata al plurale che si adatta in un processo di personalizzazione ad ogni singolo/a. L'insegnamento non segue il trattato generale ma si dispone in modo frammentario e differenziato secondo il destinatario, la situazione e il momento preciso della sua esperienza di Dio. Anselmo in questo senso si presenta anche come un maestro postmoderno con visione di futuro che tenta di proporre con una ammirevole capacità di simpatia umana la parola di Dio nel modo giusto secondo ogni persona e ogni circostanza.

I vostri commenti

Saremo felici di ricevere commenti a questo articolo. Nel caso abbiate dato l'assenso, il vostro commento potrà essere eventualmente pubblicato (integralmente o in sintesi). Grazie!

Note

  1. Anselme de Cantorbéry, Lettres 1 à 147 (Priorat et abbatiat au Bec), intr. par H. Kohlenberger, trad. et notes par H. Rochais, (L'œuvre d'Anselme de Cantorbéry 6), Cerf, Paris 2004. Testo

  2. Questa traduzione si aggiunge alle già esistenti in italiano, in inglese e, parzialmente, in spagnolo: Anselmo d'Aosta, Lettere, vol. 1: Priore e abate del Bec, intr. G. Picasso, I. Biffi, R. W. Southern, trad. A. Granata, note C. Marabelli, Jaca Book, Milano 1988; vol. 2, 1: Arcivescovo di Canterbury, edd. I. Biffi -C. Marabelli, Milano 1990; vol. 2, 2: Arcivescovo di Canterbury, edd. I. Biffi -C. Marabelli, Milano 1993. The Letters of Saint Anselm of Canterbury, ed. W. Fröhlich, Cistercian Studies Series 96, 97, 142, vol. I: lettere 1 - 147, Kalamazoo, Michigan 1990; vol. II: lettere 148 - 309, Kalamazoo, Michigan 1993; vol. III: lettere 310 - 475, Kalamazoo, Michigan 1994. Cartas de San Anselmo (solo 143), in Obras completas de San Anselmo, ed. J. Alameda, vol. II, BAC 100, Madrid 1953, 444 - 799. Citiamo l'edizione italiana con le sigle AL. Testo

  3. «Di giorno e di notte si dedicava agli studi», Eadmero di Canterbury, Vita di Sant'Anselmo 1, 5, ed. S. Gavinelli, Milano 1986, p. 39. Cf. Giovanni di Salisbury, Vita di Anselmo d'Aosta, ed. I. Biffi, Milano 1989. Testo

  4. Cf. R. W. Southern, Anselmo d'Aosta. Ritratto su sfondo, Milano 1998. S. N. Vaughn, St. Anselm and the Handmaidens of God: A Studi of Anselm's Correspondance with Women, Turnhout 2002. I. Biffi, «Anselmo dal Bec a Canterbury: l'itinerario di un discernimento», La Scuola Cattolica 116 (1988) 306-338, qui 312. Testo

  5. Ep. 30 Da Lanfranco, AL 1, p. 169. Cf. M. Gibson, Lanfranco, Milano 1989. A. R. Pedrizetti, «Letters of Saint Anselm and Archbishop Lanfranc», American Benedictine Review 12 (1961) 430-460. Testo

  6. Ep. 39, A Lanfranco, AL 1, p. 191. Testo

  7. «L'Opuscolo da me rimesso alla vostra paterna disamina», Ep. 72, A Lanfranco, AL 1, p. 261. Testo

  8. Ep. 77, A Lanfranco, AL 1, p. 273. Testo

  9. Ibid., p. 271. Testo

  10. Cf. Anselmo D'Aosta, Monologion, ed. I. Sciuto, Milano 1995, I, p. 48. A. Ghisalberti, «Dilecto dilectus, amico amicus, fratri frater: l'epistolario beccense di Anselmo d'Aosta», La Scuola Cattolica 116 (1988) 339-355. P. Gilbert, «Alcuni aspetti delle lettere di Sant'Anselmo», La Scuola Cattolica 125 (1997) 609-632. Testo

  11. Ep. 90, AL 1, p. 301. Testo

  12. «Latinos dicere tres personas credendas in una substantia, Graecos vero non minus fideliter tres substantias in una persona confiteri... Caritatis pace et amore veritatis», Ep. 83, AL 1, p. 287. Testo

  13. Cf. Ep. 109, AL 1, p. 339. Testo

  14. «Proslogion appellatur, ubi de pleno gaudio tractavi», Ep. 112, AL 1, p. 344. Testo

  15. «Nullus quippe Christianus debet disputare, quomodo quod catholica ecclesia corde credit et ore confitetur non sit; sed semper eandem fidem indubitanter tenendo, amando et secundu illam vivendo humiliter quantum potest quaerere rationem quomodo sit. Si potest intelligere, deo gratias agat; si non potest, non immittat cornua ad ventilandum, sed submittat caput ad venerandum», Epist. De incarnatione Verbi, I, S. Anselmi Opera Omnia, ed. F. S. Schmitt, Roma 1940, vol. II, pp. 6-7. Cf. J. B. Ramírez, El discurso cristológico de la Epistola de Incarnatione Verbi de San Anselmo. Una lectura hermenéutica-estructural, Lateranense, Roma 2004. Testo

  16. «Christianus per fidem debet ad intellectum proficere, non per intellectum ad fidem accedere, aut, si intelligere non valet, a fide recedere. Sed cum ad intellectum valet pertingere, delectatur; cum vero nequit, quod capere non potest veneratur», Ep. 136, AL 1, p. 401. Testo

  17. Cf. E. López, «Conoscenza di Dio e delle anime nelle Lettere di sant'Anselmo a Bosone (Lettere 174 e 209)», La Scala 59 (2005) 97-105; 145-151; 195-200; 245-252; 318-323. A. Simón, «Teología, razón y contemplación. El Cur Deus Homo de San Anselmo en una obra reciente», Revista Española de Teología 65 (2005) 281-288. A. Hubert, «El enigma del hombre según Anselmo de Canterbury», Teología y vida 55 (2004) 494-530. Testo

  18. Ep. 32, AL 1, p. 175. Testo

  19. AL 1, p. 195. Testo

  20. Cf. AL 1, pp. 313-317. Anselmo D'Aosta, La caduta del diavolo, edd. E. Giacobbe - G. Marchetti, Milano 2006. F. Bertini, «Aspetti letterari nell'opera di Anselmo: le citazioni dei classici latini nelle Epistole», Rivista di Storia della Filosofia 48 (1993) 457-465. Testo

  21. Un'analisi terminologica del vocabolo sapientia si trova in C. Almada, «Scientia e sapientia nell'Epistolario di Anselmo d'Aosta», (di prossima pubblicazione). Cf. J. Leclercq, Cultura umanistica e desiderio di Dio, Firenze 2002. I. Biffi, Protagonisti del medioevo, Milano 1996. Testo

  22. Eadmero, Vita di Sant'Anselmo, 57-61. Testo

  23. Cf. A. Fiske, «Saint Anselm and Friendship», Studia Monastica 3 (1961) 259-90. Southern, Anselmo, 145 ss. Testo

  24. Cf. Vita Gondulfi, PL 159, 813. Testo

  25. Ep. 4, AL 1, p. 117. Testo

  26. Ep. 34, AL 1, p. 177. Testo

  27. Ep. 41, AL 1, p. 195. «Fratri frater, amico amicus, dilecto dilectus, Gondulfo Anselmus», Ep. 59, AL 1, p. 228. Testo

  28. «Familiari dilectione copulentur», Ep. 91, AL 1, p. 303. Testo

  29. Cf. Anselmo d'Aosta, Orazioni e Meditazioni, edd. C. Marabelli et al., Milano 1997, 160-215. Testo

  30. «Compunctio... contritionis vel dilectionis», Ep. 28, AL 1, p. 166-167. (trad. modificata). Testo

  31. Ep. 91, AL 1, p. 302. Testo

  32. Ep. 16, AL 1, p. 145. Testo

  33. Cf. Ep. 32, AL 1, p. 175. Ep. 36, AL 1, p. 179. Ep. 44, AL 1, p. 201. Testo

  34. Ep. 5, AL 1, p. 121. Testo

  35. Ep. 84, AL 1, p. 287. Testo

  36. Ep. 130, AL 1, p. 387. Testo

  37. Ep. 8, AL 1, p. 129. Testo

  38. Cf. Southern, Anselmo, 146-165. Testo

  39. Cf. B. P. McGuire, Friendship and Community. The Monastic Experience 350-1250, Kalamazoo, Mich., 1988 («The Monastic Response: The Anselmian Revolution c. 1070-1120» pp. 210-230). Testo

  40. «Appetitus vero, quos omens vocat apostolus «carnem» et «concupiscentiam», in quantum sunt, non sunt mali vel injiusti», De Concordia III, 13, S. Anselmi Opera Omnia, ed. F. S. Schmitt, Roma 1940, vol. II, p. 287. Testo

  41. Cf. Eadmero, Vita di Sant'Anselmo II, 13, pp. 47-48. Testo

  42. Cf. I. Biffi et al. (edd.), Anselmo d'Aosta educatore europeo, Milano 2003. Testo

  43. Cf. J. Pouchet, «Preghiera e teologia in Sant'Anselmo», L'Ulivo 9 (1979) 1-13. I. Biffi, «Anselmo al Bec. Amabilità e rettitudine di un monaco riuscito», in AL 1, pp. 43-88. J. Leclercq, La spiritualité du Moyen Age (première partie), Aubier, Paris 1961 (trad. it. Bologna 19862, 2002). B. McGinn, Storia della mistica cristiana in occidente (s. VI-XII), Milano 2003. Testo

  44. Nella traduzione francese manca una frase della p. 36, Sic enim coram deo... cor... os. Testo

  45. Ep. 3, AL 1, p. 115. Testo

  46. Ep. 10, AL 1, p. 133. Testo

  47. Ep. 81, AL 1, p. 280. Testo

  48. Ep. 117, AL 1, pp. 354-359. Testo

  49. Ep. 2, AL 1, pp. 108-115 Testo

  50. AL 1, p. 129. Testo

  51. Ep. 37, AL 1, p. 181. Testo

  52. Ep. 101, AL 1, p. 323. Testo

  53. Ep. 37, AL 1, p. 182. Testo

  54. Ibid., p. 186. Testo

  55. Ep. 119, AL 1, p. 362. Testo

  56. Ep. 9, AL 1, p. 131. Testo

  57. Ep. 73, AL 1, p. 265. Testo

  58. Ep. 112, AL 1, p. 343. Testo