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Corporeità e identità personale della donna. Alcuni spunti per una rilettura della Mulieris dignitatem

di Simona Segoloni (15 giugno 2007)

1. Vocazione cristiana e femminilità: un rapporto problematico?

Quasi venti anni fa, per la prima volta nella storia della chiesa cattolica, un pontefice emanava un documento ufficiale sulla donna e la sua vocazione nella chiesa e nel mondo: la lettera apostolica Mulieris dignitatem.1 Nel primo paragrafo questa affermava che la dignità e la vocazione della donna erano sempre state oggetto di attenzione della riflessione umana e cristiana, per precisare subito dopo che nei tempi recenti l'argomento aveva assunto un rilievo tutto particolare, come testimoniato dagli interventi del magistero. Giovanni Paolo II si riferiva qui ad alcuni discorsi di Pio XII, ad un paragrafo della lettera enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII e ad alcuni discorsi di Paolo VI. I discorsi di Pio XII si possono collocare in un crescendo positivo nei confronti del dibattito sulla donna: il primo, Allocuzione alle donne delle Associazioni cristiane italiane del 1945,2 richiamava la centralità del ruolo della donna nel focolare domestico per difendere il quale essa poteva anche scegliere di impegnarsi in campo politico e sociale; il secondo, Allocuzione all'unione mondiale delle Organizzazioni femminili cattoliche del 1952,3 riconosceva alla donna una capacità e un dovere di impegno rivolto alla pace e alla umanizzazione del genere umano; il terzo, Discorso alle partecipanti del XIV Congresso internazionale dell'Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche del 1957,4 spingeva ad un serio impegno per la promozione della donna con il richiamo a tenere in debito conto la vocazione soprannaturale dell'essere umano. I discorsi di Paolo VI furono invece pronunciati in occasione della proclamazione di S. Teresa di Gesù, 27 settembre 1970,5 e di S. Caterina da Siena, 4 ottobre 1970,6 dottori della chiesa universale: se il secondo discorso non dava alcuna indicazione sulla vocazione della donna, il primo tentava di armonizzare la proclamazione di una donna come dottore della chiesa con il testo paolino riguardante il comando di far tacere le donne in assemblea. Secondo Paolo VI la soluzione consisteva nel fatto che Teresa di Gesù poteva essere riconosciuta come dottore della chiesa, perché nel professare la sua fede aveva raggiunto tali vette da poter essere considerata una guida per i fratelli, senza che questo significasse che le donne nella chiesa siano chiamate ad avere funzioni gerarchiche di magistero e ministero. Bisogna riconoscere che tali interventi erano stati sporadici e non sempre approfonditi come la questione delicata dell'emancipazione femminile avrebbe richiesto, anche perché la riflessione teologica si era trovata ad occuparsi direttamente della femminilità e delle donne soltanto di recente.

Il problema della condizione della donna, infatti, venne sollevato solo nel XIX secolo quando ci si cominciarono a chiedere le ragioni della sua sottomissione fino a quel momento data semplicemente per scontata. Iniziarono da qui le rivendicazioni in vista dell'emancipazione femminile in ambito politico, economico e sociale. Il femminismo, infatti, cercò di ottenere dapprima la pari condizione fra uomini e donne da un punto di vista economico-sociale, ma poi giunse a sostenere, con il movimento radicale degli anni 60 del secolo scorso, la negazione di ogni differenza fra i sessi. Si ebbe, quindi, un'altra fase del femminismo concentrata sulla differenza sessuale, il recupero del mondo femminile, inteso in particolare come quello degli affetti e della maternità, e, quindi, una terza fase, tutt'ora in corso, che dovrebbe giungere al ripensamento dal punto di vista femminile di tutta la società, per costruire finalmente una umanità a due voci più umana e vivibile per tutti, uomini e donne insieme.7 Anche il messaggio finale del Concilio Vaticano II alle donne rilevava il cambiamento del contesto culturale:

Viene l'ora, l'ora è venuta, in cui la vocazione della donna si svolge con pienezza, l'ora in cui la donna acquista nella società un'influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto. È per questo che, in un momento in cui l'umanità conosce una così profonda trasformazione, le donne illuminate dallo spirito evangelico possono tanto operare per aiutare l'umanità a non decadere.8

Giovanni XXIII, inoltre, al paragrafo 22 della Pacem in terris, aveva già indicato l'ingresso della donna nella vita pubblica come un segno dei tempi:

In secondo luogo, viene un fatto a tutti noto, e cioè l'ingresso della donna nella vita pubblica: più accentuatamente, forse nei popoli di civiltà cristiana; più lentamente ma sempre su larga scala, tra le genti di altre tradizioni o civiltà. Nella donna, infatti, diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità. Sa di non poter permettere di essere considerata e trattata come strumento; esige di essere considerata come persona, tanto nell'ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica.9

Non è possibile ignorare, però, che il dibattito sulla questione femminile nacque fuori dalla comunità ecclesiale e che inizialmente venne avversato da questa, proprio perché associato a posizioni anticlericali. Nonostante questo, però, le donne cristiane cominciarono a chiedersi se la loro posizione nella chiesa rispondesse appieno alle loro aspettative e alle loro capacità. Si sollevò il problema della riduzione della donna al proprio ruolo o al proprio stato di moglie o vergine, molti chiesero di smascherare i pregiudizi maschilisti e di intraprendere una reale rivalutazione del ruolo delle donne nella vita della chiesa.10

Un dibattito di questa intensità non poteva certo rimanere fuori dalla riflessione teologica che inizialmente affrontò il problema nella cosiddetta teologia della femminilità,11 in cui si cercava di cogliere lo specifico della donna a partire dal punto di vista degli uomini, quindi tramite la teologia femminista, la quale tentava di portare nel pensiero teologico l'esperienza e il punto di vista delle donne e in particolare di rivedere criticamente tutte le fonti della rivelazione, per smascherare ogni eventuale pregiudizio maschilista e patriarcale che avrebbe inquinato la tradizione stessa e costretto le donne ad un iniqua condizione di subalternità.12

Il dibattito sulla questione femminile e la riflessione sulla donna si fece dunque gradualmente strada nell'attenzione del popolo cristiano, della speculazione teologica e degli interventi del magistero. Proprio nell'ambito magisteriale si deve riconoscere un grande merito nella rivalutazione della sessualità, del valore del corpo, della differenza sessuale e quindi della donna, a Giovanni Paolo II. Non è qui il luogo per esporre l'insegnamento ricco ed estremamente liberante dell'ultimo pontefice, si devono però ricordare in particolare le Catechesi sull'amore umano, nelle quali veniva preso in considerazione l'intero progetto di Dio sull'uomo in quanto maschio e femmina, chiamato all'amore e alla relazione nel corpo e nella differenza sessuale, la lettera enciclica Familiaris consortio e la lettera apostolica Mulieris dignitatem.13

Abbiamo parlato di rivalutazione della sessualità, della corporeità e della femminilità, perché la tradizione cristiana è stata accusata in più modi e da più parti di aver mortificato tutti questi aspetti dell'umano. Negare queste accuse senza un serio esame della storia della teologia e della prassi ecclesiale non sarebbe serio, né renderebbe un servizio alla chiesa e al mondo. È vero, invece, che, anche grazie all'importante contributo di Karol Wojtyla, il sospetto sulla sessualità e in particolare nei confronti della donna sembra oramai definitivamente caduto: nessuno fa più riferimento alle pagine dei padri o dei teologi in cui la donna veniva accusata di aver portato il peccato nel mondo, o di essere spiritualmente inferiore, o di non essere ad immagine di Dio:14 uomo e donna hanno davanti a Dio la medesima dignità perché hanno la stessa origine e la stessa vocazione in Cristo.

Nella lettera apostolica Mulieris dignitatem non troviamo, però, solo la riaffermazione di un principio pacifico e talvolta disatteso, consistente nella pari dignità umana e cristiana di donne e uomini, ma una vera e propria rivoluzione teologica. La tradizione cristiana, infatti, è stata indubitabilmente segnata da una fortissima discriminazione nei confronti del sesso femminile non solo dal punto di vista della prassi ecclesiale, ma anche dal punto di vista teologico. L'inferiorità della donna è stata teorizzata al punto tale che la perfezione umana e cristiana doveva consistere per le donne anzitutto nell'abbandono della loro femminilità: diventare maschio era l'imperativo primo. Mai è stato negato che anche le donne fossero chiamate a partecipare alla salvezza di Cristo, ma esse partivano, se così possiamo dire, da più lontano, da una condizione inferiore sotto il punto di vista umano e morale. Più volte -- come abbiamo poc'anzi ricordato -- si è arrivati ad affermare persino che solo l'uomo maschio è ad immagine di Dio e che alla donna compete invece la maggiore parte di responsabilità per il peccato.15

Rispetto a questa tradizione la lettera apostolica sulla donna cambia completamente impostazione, servendosi dell'unico appiglio messo a disposizione proprio dalla tradizione: la riflessione sulla Vergine Maria. Dopo una breve introduzione, infatti, la Mulieris dignitatem prosegue con un capitolo sul mistero di Maria madre di Dio, in cui Giovanni Paolo II ricorda che una donna si trova al centro dell'evento decisivo della storia della salvezza e della rivelazione, dal momento che «quando venne la pienezza del tempo Dio mandò il suo figlio nato da donna» (Gal 4, 4), ma anche che l'atteggiamento della Vergine ha reso possibile per lei «un'unione con Dio tale da superare tutte le attese dello spirito umano» (MD3).16

In tale modo «la pienezza del tempo» manifesta la straordinaria dignità della «donna». Questa dignità consiste, da una parte, nell'elevazione soprannaturale all'unione con Dio in Gesù Cristo, che determina la profondissima finalità dell'esistenza di ogni uomo sia sulla terra che nell'eternità. Da questo punto di vista, la «donna» è la rappresentante e l'archetipo di tutto il genere umano: rappresenta l'umanità che appartiene a tutti gli essere umani, sia uomini che donne. D'altra parte, però, l'evento di Nazaret mette in rilievo una forma di unione col Dio vivo, che può appartenere solo alla «donna», Maria: l'unione fra madre e figlio. (MD4)

La predestinazione soprannaturale all'unione con Dio stabilita per ogni uomo si realizza in Maria nel modo più eminente possibile, in lei, dunque, si può contemplare la perfezione della vocazione umana.17 «La dignità di ogni uomo e la vocazione ad essa corrispondente trovano la loro misura definitiva nell'unione con Dio. Maria è la più compiuta espressione di questa dignità e di questa vocazione» (MD5). Non c'è più, dunque, per il cristiano l'esortazione a farsi maschio, ma, paradossalmente, a farsi femmina, in quanto la Vergine ha raggiunto la perfezione umana proprio in forza della sua femminilità, divenendo madre di Cristo. Ovviamente, il pontefice non vuole disprezzare la maschilità né individuare una superiorità spirituale o di altro genere delle donne, ma sicuramente spezza una linea di pensiero che è appartenuta alla nostra tradizione e che disprezzava il sesso femminile come inferiore da un punto di vista umano e cristiano. Ci sembra si possa affermare che tale "rivoluzione" operata da Giovanni Paolo II sia passata in secondo piano, non solo nei commenti alla lettera apostolica sulla donna,18 ma anche nella sua recezione a livello di prassi ecclesiale. Possiamo davvero dire che ogni pregiudizio nei confronti della donna sia caduto e che non esista più nessuna discriminazione?19 Il problema si ripropone, poi, anche a livello teologico, infatti non è stata ancora elaborata una soddisfacente teologia della differenza sessuale, né si è risposto alla domanda sul significato teologico dell'essere maschio piuttosto che femmina: esiste uno specifico maschile e femminile? Si può definire? Quali conseguenze ha per la vita cristiana e per la struttura della chiesa?

Questo breve scritto vuole tentare di contribuire alla ricerca del significato teologico della differenza sessuale esaminando alcuni aspetti della corporeità umana, nella quale tale differenza si manifesta e si realizza, per passare poi al rapporto fra la corporeità stessa e l'identità personale. Messi in risalto alcuni di quelli che si possono indicare come i nodi problematici del rapporto fra il corpo e l'identità personale, cercheremo di cogliere se e come la Mulieris dignitatem può fornire un contributo teologico significativo sul rapporto fra corpo, identità personale ed essere femminile. Chiuderemo infine indicando tre piste di ricerca sulla questione teologica della donna, ricavabili dalla lettera apostolica di Giovanni Paolo II.

2. Il rapporto fra corpo concreto e identità personale

Occorre, dunque, iniziare dalla riflessione sul corpo, perché non è possibile altrimenti sciogliere il nodo del significato teologico della differenza sessuale e quindi della maschilità e della femminilità. Il valore della corporeità, infatti, il rapporto che questa ha con il mistero personale e il nesso che la lega alla realizzazione della vocazione cristiana sono questioni decisive per poter correttamente impostare la comprensione dell'identità teologica della donna. Per molti secoli la riflessione umana e cristiana è stata inquinata dal disprezzo per il genere femminile e non possiamo negare che questo derivasse in parte da un pesante sospetto nei confronti del corpo e in particolare della sessualità.20 L'epoca moderna e quella contemporanea, in particolare nel XX secolo, hanno visto, invece, un imponente ritorno dell'attenzione al corpo. Non possiamo ripercorrere qui tutte le linee di pensiero che si sono dedicate a questa "riscoperta" della corporeità,21 tratteggiamo però un quadro di riferimento servendoci del lavoro di F. G. Brambilla.22

Secondo il teologo milanese oggi possiamo osservare tre filoni principali di riflessione sull'essere umano e in particolare sul corpo:23 il filone delle scienze naturali che mette in rapporto mente e corpo, il filone della filosofia tedesca che riflette sulla posizione singolare dell'uomo nel mondo in quanto l'uomo sarebbe caratterizzato dall'apertura verso il mondo e, infine, il filone fenomenologico in cui si parla di "corpo proprio" o "corpo vissuto". Tutti e tre questi filoni di pensiero vengono inquadrati da Brambilla nel tentativo della cultura contemporanea di risolvere il dualismo antropologico fra spirito e corpo, mentre materialismo e idealismo avevano continuato a perpetrare quello che, a tutti gli effetti, finiva per essere un riduzionismo antropologico basato sull'esaltazione di una o dell'altra componente dell'essere umano.

Il primo dei tre filoni, che mette in rapporto mente e corpo, pone alcune domande essenziali quali: esiste una mente distinta dal cervello? Si deve supporre un principio non organico per spiegare il fenomeno umano? Diverse sono le posizioni che si possono riscontrare nelle risposte a queste domande fondamentali, ma, secondo Brambilla, tutto il filone di pensiero sarebbe inquinato dal «fatto che intende identificare il rapporto mente-corpo o mente-cervello in un insieme di "proprietà" o in un "luogo" specifico, rivelando così la mentalità matematico-quantitativa che presiede allo studio scientifico del corpo (umano) a partire dalla modernità».24

Il secondo filone di pensiero, nato in Germania nella prima metà del XX secolo, cerca di definire l'identità dell'essere umano nel confronto fra il suo comportamento e quello degli esseri animali: toccherebbe così alle scienze della vita individuare il "proprium" umano che verrebbe colto nell'apertura al mondo (Weltoffenheit). W. Pannenberg recepì questa linea di pensiero a livello teologico e, partendo dall'apertura dell'uomo al mondo, delineò l'identità dell'uomo come nascita del proprio Sé in una storia di autotrascendenza e autorealizzazione. Il rischio sta, però, nel ridurre l'identità umana alla storia che la costituisce.

L'ultimo filone, quello relativo alla fenomenologia, sembra essere il più interessante, perché mette in rapporto il corpo con la coscienza e l'identità della persona e fa emergere il bisogno di una riflessione sulla libertà. Infatti, «la fenomenologia del corpo pone anzitutto l'enfasi sul significato simbolico della corporeità in vista della costituzione dell'identità e della scoperta della verità».25 L'obbiettivo, però, che resta ancora da raggiungere è l'elaborazione di un'antropologia che metta in rapporto l'identità del soggetto e il ruolo del corpo in ordine alla costituzione della sua coscienza: solo così si ha un corpo proprio «che entra nella costituzione del soggetto libero nel suo autodeterminarsi davanti alla verità come coscienza credente».26 Nel pensiero fenomenologico si possono individuare dei vantaggi indiscussi, che condividiamo ancora con F. G. Brambilla: la coscienza di sé, del mondo e degli altri sarebbe sempre mediata da una prospettiva corporea, quindi il soggetto ha un riferimento originario al corpo; la coscienza ha una prospettiva corporea, ma è anche capace di trascenderla; la prospettiva corporea e la sua trascendenza si coniugano nell'apertura simbolica all'essere, cioè nell'essere personale. Queste potenzialità positive non si sono, però, potute sviluppare pienamente, perché la fenomenologia è rimasta bloccata dal duplice intento polemico che l'ha originata contro una visione oggettivistica del corpo e contro una visione spiritualista della coscienza separata dal corpo.

Dal momento che non si è ancora riusciti a sciogliere il complesso rapporto fra corpo e identità del soggetto umano, non si potuto elaborare neppure un pensiero in cui la forma maschile o femminile del corpo entri concretamente a costituire l'identità della persona senza essere ridotta, da una parte, agli aspetti biologici, dall'altra, ad uno spiritualismo disincarnato che consideri ininfluente la reale corporeità della persona. Infatti, se è vero, come crediamo, che il corpo ha un ruolo nel costituirsi della coscienza e quindi nell'autodeterminarsi della libertà, quale valore ha, se ne ha, che questo corpo sia concretamente di donna o di uomo? Ci sembra di poter affermare che l'origine polemica del pensiero fenomenologico non abbia ancora trovato una risposta adeguata da parte dell'antropologia teologica sia nei confronti del corpo, che nei confronti della questione femminile. Questa viene risolta, infatti, o da un punto di vista materiale, secondo il quale il corpo della donna rivelerebbe la sua destinazione alla generazione o una sorta di passività, ricavata dalla dinamica dell'atto sessuale e dalle convinzioni ereditate dall'anatomia femminile medievale su un presunto ruolo passivo della donna nella fecondazione, oppure viene risolta in modo spiritualista, come se il corpo e la concretezza corporea della femminilità non avessero significato, perché non esisterebbe un sesso dato in modo "naturale", ma solo un "genere sessuale" costruito sostanzialmente dalla cultura che, di fatto, renderebbe insignificante la struttura biologica e corporea del soggetto: non importerebbe essere maschio o femmina, ma quello che si sceglie di essere dentro e/o oltre i condizionamenti culturali.27

Occorre abbandonare entrambe le prospettive: è inaccettabile la riduzione della donna alla sua struttura biologica, proprio come lo è per l'uomo, ma è altrettanto inaccettabile la dichiarazione di indifferenza del dato corporeo in un contesto culturale come quello odierno, in cui il corpo ha riconquistato gli spazi perduti, non solo nella quotidianità della vita, ma anche nell'elaborazione culturale e teologica. Se il corpo gioca un ruolo nel costituirsi della coscienza perché l'esperienza della persona è sempre mediata corporalmente, allora non può essere irrilevante se questo corpo sia maschile o femminile.

3. Corpo e donna nella Mulieris dignitatem

Dopo questi pochi cenni al problema del corpo in rapporto all'identità e alla vocazione della persona in genere e della donna in specie, torniamo alla lettera apostolica Mulieris dignitatem, nella quale cercheremo le tracce dell'ambiguità con cui il pensiero fenomenologico ha contaminato la riflessione cristiana.28 Nella Mulieris dignitatem, infatti, sono presenti sia elementi di grande rilievo per la comprensione della persona umana concretamente corporea, ma anche linee di pensiero che rischiano di ridurre la donna alla sua biologia, o di rendere irrilevante la caratterizzazione sessuale. L'argomento non era certo facile: forse per questo Giovanni Paolo II non scrisse una lettera enciclica, ma solo una lettera apostolica, e si preoccupò di annunciare in apertura che si accingeva a fare una "meditazione" e non un'esposizione dogmatica sul mistero della differenza sessuale e sulla vocazione della donna.

Subito dopo aver riconosciuto in Maria la piena realizzazione della vocazione umana, realtà su cui ci siamo già soffermati, la lettera apostolica sulla donna prosegue esponendo e commentando «quel "principio" biblico, in cui la verità rivelata sull'uomo come immagine e somiglianza di Dio costituisce l'immutabile base di tutta l'antropologia cristiana» (MD6). Il pontefice afferma a questo proposito la radicale eguaglianza fra maschio e femmina, entrambi creati come persone ad immagine e somiglianza del Dio personale, indicando il cuore di questa somiglianza proprio nella comunione interpersonale che l'uomo e la donna vivono nel reciproco dono di sé.29

Umanità significa chiamata alla comunione interpersonale. Il testo di Genesi 2, 18-25 indica che il matrimonio è la prima e, in un certo senso, la fondamentale dimensione di questa chiamata. Però non è l'unica. Tutta la storia dell'uomo sulla terra si realizza nell'ambito di questa chiamata. In base al principio reciproco dell'essere «per» l'altro, nella «comunione» interpersonale, si sviluppa in questa storia l'integrazione nell'umanità stessa, voluta da Dio, di ciò che è «maschile» e di ciò che è «femminile». (MD7)

Tale impostazione, che troppo frettolosamente viene spesso ritenuta come unanimemente sostenuta dalla tradizione cristiana, continua nell'esame del capitolo terzo del libro della Genesi sul peccato dell'essere umano, cui viene dedicata la quarta parte della Mulieris dignitatem. Qui non solo la donna non viene ritenuta maggiormente responsabile degli eventi che hanno condotto al peccato o più incline al male, ma si afferma anche che il dominio dell'uomo sulla donna, ritenuto pacificamente come "naturale", tanto che sia la morale familiare che la struttura della chiesa venivano impostate su di esso, altro non è che una conseguenza del peccato che ha violentemente intaccato la struttura comunionale della persona umana e quindi rovinato i rapporti fra femmina e maschio.30

Fondamentale uguaglianza, identica dignità personale, eguale vocazione al reciproco dono di sé e alla comunione con Dio, sono gli elementi che Giovanni Paolo II pone alla base della riflessione sulla donna, ma non basta ancora. La quarta parte della Mulieris dignitatem chiude il cerchio aperto dalla riflessione su Maria indicando il ruolo centrale ricoperto dalla donna nella stipulazione della nuova e definitiva alleanza in Cristo. Alla donna non viene riconosciuta solamente una parità creaturale, dunque, ma un ruolo determinante nel compiersi del mistero salvifico di Dio in Cristo.

Abbiamo così delineato, seppur velocemente, l'identità teologica della donna secondo la Mulieris dignitatem, anche se da questa non si può ricavare né il ruolo concreto della corporeità nella determinazione dell'identità personale maschile o femminile, né una chiarificazione sul valore della differenza sessuale se non per quello che riguarda il reciproco rapporto fra diversi: ma diversi in che modo? Passiamo ora a quei paragrafi più problematici, in cui le ambiguità nella concezione del corpo si riflettono su quella della donna. Facciamo riferimento in particolare alla sesta, alla settima e all'ottava parte, in cui la lettera apostolica si dedica alla vocazione della donna nel mondo e nella chiesa.

Prima ancora di entrare nel merito può sorgere una domanda sulla terminologia scelta per descrivere della vocazione femminile, nella sesta parte infatti si parla di verginità e maternità, mentre nella settima di sponsalità: non si corre così il rischio di dare al dato biologico-materiale un ruolo eccessivamente determinante?

Si comincia con l'affermazione che maternità e verginità sono le due dimensioni della vocazione personale della donna, mirabilmente unite in Maria, quindi si esamina la maternità alla luce del principio biblico prima esposto: la donna genera a partire dal dono reciproco degli sposi e quindi inserita nella pienezza della vocazione umana, inoltre essa non genera mai solamente nella carne, ma ogni volta che si ripete una maternità questo accade «sempre in relazione all'alleanza che Dio ha stabilito col genere umano mediante la maternità della Madre di Dio» (MD19): oramai la donna non dà alla luce solo figli dell'uomo, ma creature nuove, figli di Dio. Si passa poi alla verginità per il Regno descritta con categorie sponsali: la donna, come l'uomo, nella scelta consapevole e libera del celibato per il Regno, si dona sponsalmente rispondendo all'amore di Cristo e realizzandosi come persona proprio in quanto vive il mistero del dono personale di sé, annunciato fin dal principio come fonte e destino dell'essere umano.

Durante tutta la sesta parte il pontefice cerca di legare la maternità e la verginità non al semplice dato materiale, ma alla vocazione della persona umana, per questo può riferire tali categorie anche agli uomini e intrecciarle fra di loro, parlando di fecondità nella verginità e di castità nella maternità, ma il tentativo si è rivelato estremamente complicato. Da una parte il dato materiale rimane determinante, tanto è vero che la donna viene descritta sulla base delle possibilità che ha di esercitare la propria sessualità, generare o astenersi, dall'altro viene spiritualizzato al punto tale da perdersi e diventare irrilevante: si è madri sia che si generi, sia che non si generi. Il motivo di questa confusione probabilmente risiede nel fatto che non si delimita con chiarezza quando si parla del dato corporeo -- per esempio nella maternità -- e quando si passa invece a quello simbolico -- e quindi al valore che l'esperienza della maternità può avere per descrivere la vocazione cristiana di ogni essere umano in qualunque stato di vita.31

L'irrisolta tensione fra il dato biologico e quello personale, per cui nella lettura del dato corporeo, nel nostro caso la femminilità, si rischia o un materialismo incapace di rendere ragione del mistero personale o uno spiritualismo che sfugga il dato corporeo stesso, si riaffaccia nella settima parte della Mulieris dignitatem, dominata dalla categoria di sponsalità. Il testo parte dalla grande analogia nuziale di Efesini 5 in cui si parla del rapporto fra Cristo e la chiesa in termini nuziali e differenzia il rapporto fra Cristo e la sua sposa, in cui il ruolo di signore appartiene allo sposo, da quello fra marito e moglie, in cui non esiste signore e sottomessa, ma sottomissione reciproca e reciproco amore.32 Si passa quindi ad affermare che, se si rimane sul piano del rapporto fra Cristo e la chiesa, nella sposa, e quindi nell'elemento femminile, sono presenti sia uomini che donne, rappresentati entrambi dalla femminilità, mentre nello sposo, ovvero nell'elemento maschile, si fa riferimento solo a Cristo perché è questi che ama per primo e a cui la sposa-chiesa risponde. Anche qui il piano simbolico si mescola con il piano corporeo. Sul piano simbolico, infatti, la determinazione sessuale degli sposi non è significativa dal momento che la sposa comprende maschi e femmine, però viene riaffermata a proposito di Cristo che invece è assolutamente riferito all'elemento maschile. La domanda da porsi è se il cuore del simbolo sia la sessualità delle due parti o la relazione sponsale nel dono reciproco fra diversi, dove la diversità è solo simboleggiata dalla differenza sessuale, ma consiste nel fatto che Cristo è Dio e la chiesa è umana. Il pontefice sembra d'accordo con questa seconda ipotesi quando ribadisce che la sposa comprende uomini e donne, ma non sembra esserlo più quando descrive la maschilità di Cristo come decisiva e irrinunciabile in questo rapporto con la chiesa.

Le motivazioni di tale ambiguità ci sembra si trovino almeno su due livelli: il primo riguarda la volontà di spiegare la prassi ecclesiale di ordinare come presbiteri solo cristiani maschi, affermando che non può essere segno di Cristo sposo-maschio, una donna che invece può essere segno della sposa-chiesa composta di uomini e donne; il secondo è la convinzione che sia proprio della femminilità rispondere all'amore dello sposo-maschio che si dona per primo. Ci fermiamo su questo secondo elemento che ci sembra essere debitore di una concezione oramai superata della sessualità, della generazione e del rapporto fra i sessi. Quando il pontefice afferma che l'amore di Cristo è un amore di sposo-maschio, ha in mente l'iniziativa dell'amore di Cristo che ha amato per primo e fino alla fine donando completamente se stesso: il punto è che non si danno riscontri reali che l'amore dello sposo maschio abbia queste caratteristiche, mentre quello della sposa femmina si caratterizzerebbe anzitutto come risposta, non risulta chiaro quindi perché l'iniziativa dell'amore di Cristo, sicuramente reale, debba essere descritta in termini maschili, invece di rileggere il suo essere sposo semplicemente in termini di dono di sé in vista di una comunione. Ovviamente Cristo è un uomo maschio, ma è in virtù di questa maschilità che ha amato per primo, o ha scelto di essere maschio perché solo l'uomo maschio ama per primo, mentre la donna anzitutto risponde all'amore?

Che fra Cristo e la Chiesa sia Cristo ad amare per primo è indubitabilmente vero, ma fra uomo e donna questo schema non si ripete con la stessa certezza. L'esperienza umana può arrivare addirittura a ribaltare questa visione, non solo perché nel rapporto fra uomo e donna non sembra esserci questa dinamica di iniziativa e risposta così strettamente legata alla sessualità degli sposi, ma anche perché ogni essere umano, maschio o femmina che sia, fa la sua prima esperienza d'amore in modo passivo: egli/ella si scopre anzitutto amato/a e di norma ciò accade davanti al volto della madre. Sulla base di tale esperienza non si potrebbe allora dire che è il femminile ad avere una sorta di iniziativa nell'amore, cui l'uomo poi impara a rispondere crescendo e sviluppandosi?

Nella spiegazione del capitolo 5 della Lettera agli Efesini viene sottovalutato forse il condizionamento culturale della metafora nuziale: non era possibile, al tempo in cui furono scritti i testi sacri, simboleggiare l'iniziativa di Dio in un simbolo nuziale se non caratterizzando Dio stesso come sposo-maschio, ma questo non crediamo ci permetta di dedurre che Dio non possa essere rappresentato se non da un maschio e che il maschio sia caratterizzato da un'iniziativa nell'amore che in realtà appartiene solo a Dio e si rivolge verso ogni essere umano, maschio e femmina.

Invece la Mulieris dignitatem sembra proporre di leggere la vocazione della donna a partire dalla convinzione che essa sia colei che riceve l'amore per amare a sua volta.

Se l'autore della lettera agli Efesini chiama Cristo sposo e la chiesa sposa, egli conferma indirettamente, con tale analogia, la verità sulla donna come sposa. Lo sposo è colui che ama. La sposa viene amata: è colei che riceve l'amore, per amare a sua volta. [...] Quando diciamo che la donna è colei che riceve l'amore per amare a sua volta, non intendiamo solo o anzitutto lo specifico rapporto sponsale del matrimonio. Intendiamo qualcosa di più universale, fondato sul fatto stesso di essere donna nell'insieme delle relazioni interpersonali, che nei modi più diversi strutturano la convivenza e la collaborazione tra persone, uomini e donne. In questo contesto, ampio e diversificato, la donna rappresenta un valore particolare come persona umana e, nello stesso tempo, come quella persona concreta, per il fatto della sua femminilità. [...] Il passo della lettera agli Efesini che consideriamo ci permette di pensare a una specie di «profetismo» particolare della donna nella sua femminilità. L'analogia dello sposo e della sposa parla dell'amore con cui ogni uomo è amato da Dio in Cristo, ogni uomo e ogni donna. Tuttavia, nel contesto dell'analogia biblica e in base allo logica interiore del testo, è proprio la donna colei che manifesta a tutti questa verità: la sposa. (MD29)

La donna viene posta così come segno per l'umanità intera in quanto è colei che anzitutto riceve l'amore. Forse bisognerebbe sottolineare, invece, che il simbolo nuziale, così come è usato dalla Scrittura, ci rivela nella sposa ciò che è vero per ogni essere umano, ovvero che egli è anzitutto amato da Dio e chiamato ad una relazione interpersonale di comunione con lui, così come il pontefice stesso mirabilmente descriveva nel commento ai racconti della creazione. Infatti, affermando che è la donna ad essere caratterizzata da questo ricevere l'amore per ridonarlo, si finisce per sovrapporre alla femminilità l'umanità: cosa altro caratterizza l'essere umano, infatti, se non essere amato da Dio e quindi riamare di quello stesso amore? Se questo è ciò che è proprio della donna, che cosa rimane all'uomo o quale differenza c'è fra uomo e donna? La Mulieris dignitatem, partita per affermare la vocazione della donna dallo specifico femminile, l'essere sposa inteso nel senso di venire amata per riamare, finisce per ricadere nel generico: la vocazione della donna è l'amore per il fatto che ella è persona umana.33 Di nuovo materialismo corporeo e spiritualismo disincarnato si alternano senza soluzione di continuità e senza dare risposte definitive sul mistero della differenza sessuale e di nuovo ci sembra giusto sottolineare l'importanza di elaborare una teologia del corpo che stabilisca un reale rapporto fra la concreta corporeità e l'identità personale che si realizza nella storia.

4. Tre piste di ricerca

Nonostante le difficoltà cui abbiamo cercato di accennare, la lettera apostolica sulla donna è ricchissima di spunti capaci di far realmente progredire la riflessione sulla donna. Ci limitiamo ad indicare tre piste di ricerca fra le diverse possibili emergenti dal documento.

Partiamo dalla possibilità di parlare di Dio con immagini femminili allo stesso modo e con la stessa efficacia di quanto si possa fare utilizzando immagini maschili. Al paragrafo 8 della Mulieris dignitatem si afferma infatti che, dal momento che l'essere umano è ad immagine e somiglianza di Dio, esso/a gli somiglia e quindi è possibile descrivere Dio con immagini umane.34 Queste poi possono essere, in egual modo maschili e femminili, tanto più che in Dio non esiste una caratterizzazione sessuale, quindi le immagini utilizzate non significano un condizionamento di Dio rispetto alle caratteristiche umane.35 In particolare Giovanni Paolo II fa riferimento alla paternità di Dio e all'atto di generare il Figlio che non può essere caratterizzato in senso maschile, come se la generazione eterna del Figlio avesse delle caratteristiche ricalcabili sulla generazione maschile dell'essere umano36: Dio è padre e madre, anzi

ogni «generare» nella dimensione delle creature trova il suo primo modello in quel generare che è in Dio in modo completamente divino, cioè spirituale. A questo modello assoluto, non-creato, viene assimilato ogni «generare» nel mondo creato. Perciò tutto quanto nel generare umano è proprio dell'uomo, come pure tutto quanto è proprio della donna, ossia la «paternità» e «la maternità» umane, porta in sé la somiglianza, ossia l'analogia col «generare» divino e con quella «paternità» che in Dio è «totalmente diversa»: completamente spirituale e divina per essenza.

Il discorso sulla possibilità di utilizzare immagini femminili per parlare di Dio è stato affrontato più volte dalla teologia femminista, la quale ha notato come l'uso esclusivo di simboli maschili e patriarcali per palare di Dio abbia prodotto effetti concreti sulla vita della chiesa e in particolare abbia contribuito all'emarginazione e alla sottomissione delle donne. La teologia femminista si pone, per quanto riguarda la critica del linguaggio teologico tradizionale, dentro un movimento più ampio che cerca un nuovo modo di parlare di Dio, a prescindere da quello ereditato dalla modernità e facente capo al teismo, secondo il quale Dio non è anzitutto mistero assoluto di Amore, ma Essere eterno reggitore dell'universo e giudice supremo. Le teologhe femministe in questa ricerca tentano la via dell'esperienza femminile di Dio e della fede, recuperano i simboli femminili presenti nella Scrittura, richiamano l'attenzione su aspetti ritenuti secondari perché femminili: è giunto il momento di integrare i simboli maschili con quelli del mondo della donna per contemplare un volto di Dio più ricco e più vicino alla realtà.37

In tale processo non fa problema l'uso di termini che non siano biblici o che fino a questo momento non siano appartenuti alla tradizione, ciò che conta infatti -- come faceva notare Tommaso d'Aquino a proposito del termine "persona" -- non è che un certo termine appartenga alla tradizione, ma che a questa appartenga ciò che il termine significa.

Ci sembra che, nel riproporre l'uso di simboli femminili per parlare di Dio, il pontefice si allinei alle attese di quella parte della teologia femminista che vuole far uscire allo scoperto le possibilità ancora insite nel linguaggio legato all'esperienza delle donne e fino ad ora troppo scarsamente considerato. Su questa strada è possibile lavorare non solo per elaborare un pensiero sull'essere umano capace di tenere conto dell'intera vicenda umana, maschile e femminile, ma anche per un pensiero teologico che indaghi il mistero di Dio da più prospettive e senza limitazioni imposte da nessuna cultura dominante.

La seconda pista di ricerca è quella che più può contribuire all'elaborazione di un'antropologia teologica che tenga conto della caratterizzazione corporea dell'esperienza umana senza scadere nel dominio dell'elemento materiale. Tale pista consiste nella possibilità, tutta da verificare, che la maternità serva, in quanto esperienza caratterizzante la corporeità femminile, come chiave interpretativa per comprendere il costituirsi dell'identità umana e cristiana della donna. Non diamo qui ovviamente un giudizio definitivo sulla pista di ricerca indicata, in vista del quale occorrerebbe un altro tipo di approfondimento, ci limitiamo a notare che il corpo della donna appare di fatto strutturato in modo tale da essere condizionato in vista della generazione della vita: fecondità ciclica, struttura fisiologica, produzione di ormoni, desiderio e tensione verso la maternità e diversi altri elementi che non possiamo esaminare in dettaglio. Questa esperienza corporea, che è poi una percezione di sé, si ha prima, dopo e a prescindere dal realizzarsi effettivo di un concepimento, senza per questo essere sganciata dalla corporeità -- ciclo mestruale, menopausa, condizionamenti ormonali -- e finisce per costituire l'identità della donna in modo tale da spingerla, trascendendo la stessa esperienza corporea che conduce alla maternità fisica, ad aprirsi verso l'altro, a fare spazio all'altro, a donare la propria carne perché un altro abbia la vita. Così la vocazione cristiana, ovvero dare la propria vita nella sequela di Cristo, può ricevere dalla corporeità femminile la forma materna. Non per niente Cristo ha paragonato la sua Pasqua al travaglio del parto (Gv 16, 21-23) e la Vergine Maria ha vissuto la pienezza della sequela e della vocazione umana nella forma della maternità,38 senza dimenticare però che ella è essere umano perfetto non in quanto madre, ma perché incarna nella sua esistenza femminile, cui viene chiesta la maternità nei confronti di Cristo, l'obbedienza della fede e l'unione con Dio.

La terza ed ultima pista di ricerca che consideriamo a partire dagli spunti della lettera apostolica sulla donna è la possibilità di discernere l'atteggiamento tenuto nei confronti della donna dalla Scrittura e quindi dalla tradizione. Il pontefice individua la condizione della donna alla luce della rivelazione evangelica e degli avvenimenti della redenzione e per fare questo indaga lo stile di Cristo, commentando con attenzione e grande sensibilità le pagine evangeliche in cui si racconta l'incontro del Signore con alcune donne. Nell'atteggiamento che Cristo ha avuto nei confronti delle donne, infatti, viene cercato il significato che la redenzione ha per la donna e quindi la novità evangelica nei confronti di colei che fino a quel momento aveva pesantemente subito le conseguenze del peccato:39 il principio biblico viene così riconfermato e portato a compimento.

L'atteggiamento di Gesù nei riguardi delle donne, che incontra lungo la strada del suo servizio messianico, è il disegno dell'eterno riflesso di Dio, che, creando ciascuna di loro, la sceglie e la ama in Cristo (cfr. Ef 1, 1-5). Ciascuna, perciò, è quella «sola creatura in terra che Dio ha voluto per se stessa». Ciascuna dal «principio» eredita la dignità di persona proprio come donna. Gesù di Nazareth conferma questa dignità, la ricorda, la rinnova, ne fa un contenuto del Vangelo e della redenzione, per la quale è inviato nel mondo. (MD13)

Questa dignità viene difesa da Cristo anche di fronte alle situazioni di peccato, quando non solo è pronto al perdono delle peccatrici, ma chiama gli uomini a riconoscere la loro colpa nel peccato della donna, come nel caso della donna sorpresa in adulterio. Continuamente egli protesta contro tutto ciò che offende la dignità della donna e per questo le donne si sentono così attratte e liberate dalla persona di Gesù da seguirlo sempre, fin sotto la croce: esse sono discepole fedeli, contemplatrici del mistero di Dio, interlocutrici di Cristo sulle più profonde verità della fede, testimoni della resurrezione.

Ciò che vogliamo notare, però, è che lo stile di Cristo viene indicato come discriminante di giudizio nei confronti di tutti quegli atteggiamenti che non si conformano alla novità del Vangelo, ma risentono dello stile antico di discriminazione e sottomissione. Quello di Cristo è l'atteggiamento che rivela la piena dignità della donna, il disegno di Dio su di lei espresso in quel principio biblico con il commento del quale si apre la lettera apostolica sulla donna: ciò che non è in linea con questa novità radicata nel principio di Dio è da abbandonare. Questo criterio per il pontefice riguarda la Scrittura stessa, là dove essa risenta dell'antico atteggiamento nei confronti della donna. Significativa a questo proposito è una affermazione al paragrafo 24 in cui si nota che gli scritti apostolici testimoniano la novità del Vangelo, ma a volte risentono anche della mentalità antica. Questa frase si chiude con la nota n. 49 nella quale vengono elencati alcuni di questi brani neotestamentari -- ci sembra importante sottolinearlo perché è molto più facile e indiscusso indicare i brani dell'Antico Testamento come patriarcali e culturalmente determinati da mentalità non evangelica -- in cui pontefice riscontra la non conformità con il Vangelo: Col 3, 18, 1Pt 3, 1-6, Tt 2, 4-5, Ef 5, 22-24, 1Cor 11, 3-16, 1Cor 14, 33-35, 1Tm 2, 11-15. Sarebbe interessante commentare ogni singolo passo, ci limitiamo a ricordare che tali brani riguardano in particolare la sottomissione della donna al marito, il divieto di parlare in assemblea, di insegnare, profetare o pregare pubblicamente senza essere sottoposta al segno visibile dell'autorità di un uomo.

Il testo della Mulieris dignitatem opera, così, sulla Scrittura un discernimento di fondamentale importanza riconoscendo ciò che è conforme o meno all'evento Cristo. Ciò che non viene fatto, anche se non mancano cenni a tale proposito, è un simile discernimento sulla tradizione teologica ed ecclesiale. Questa è una pista di ricerca importante e necessaria: quali sono i luoghi e i momenti in cui la tradizione cristiana è stata risucchiata dall'antica mentalità invece di essere conforme alla novità del Vangelo vissuta da Cristo? Perché un lavoro di questo tipo possa risultare valido occorre giustapporre posizioni e controposizioni sulla donna che si sono succedute nei secoli e lasciare che lo stile di Cristo, cioè l'autenticità cristiana, sia giudice per riconoscere quali delle concezioni teologiche e delle prassi ecclesiali seguite siano state davvero in linea con la novità evangelica. Dovrebbe essere un lavoro di sintesi, capace di servirsi dei tanti studi storici e teologici che oramai si sono occupati della "questione donna" all'interno della tradizione cristiana.

Chiudiamo qui la nostra breve riflessione sulla donna, la sua corporeità e gli stimoli che a questo proposito si possono cogliere dalla Mulieris dignitatem: sappiamo di non aver prodotto risultati compiuti, ma abbiamo provato ad indicare alcune piste intraprendendo le quali la ricerca sulla femminilità possa portare i frutti attesi dalla chiesa intera.

[Articolo apparso in Convivium Assisiense 2 (2006) pag. 57-79 - rivista di ricerche dell'Istituto Teologico di Assisi e dell'Istituto Superiore di Scienze Religiose di Assisi.]

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Note

  1. Giovanni Paolo II, Lettera apostolica "Mulieris dignitatem" sulla dignità e la vocazione della donna del 15 agosto 1988 in EV XI, 706-843. Testo

  2. AAS 37(1945), p. 284-295. Testo

  3. AAS 44(1952), p. 420-424. Testo

  4. AAS 49(1957), p. 906-922. Testo

  5. AAS 62(1970), p. 590-596. Testo

  6. AAS 62(1970), p. 673-678. Testo

  7. Cf.: G.P. Di Nicola, Uguaglianza e differenza. La reciprocità uomo-donna, Città Nuova Editrice, Roma 1988; T. Leonzi, La questione femminile come segno dei tempi in "Credere oggi" 2(1992), p. 5-16; P.S. Vanzan, Il femminismo contemporaneo. Crisi, rilancio e prospettive in "La Civiltà Cattolica" 2(1983), p. 379-391; Idem, La donna contesa. Origini e prime forme del femminismo in "La Civiltà Cattolica" 2(1983), p. 25-39. Testo

  8. Messaggio del Concilio alle donne, 08.12.1965, EV 1/502s. Testo

  9. Giovanni XXIII, Lettera enciclica Pacem in terris, 11.04.1963, EV 2/19. Testo

  10. P.S. Vanzan ricorda che mons. Hallinan nell'ultima sessione del concilio Vaticano II indicò alla chiesa la necessità di offrire alle donne qualcosa in più della vocazione di madre o suora, aprendo loro lo studio della teologia, i ministeri, il diaconato, la partecipazione ad organismi in cui ci si occupava dell'apostolato dei laici. Cf. P.S. Vanzan, La donna nella chiesa: indicazioni bibliche ed interpretazioni femministe in "La Civiltà Cattolica" 1(1986), p. 431-444. Riguardo la riflessione sulla condizione della donna nella chiesa si possono vedere anche: D. Abignente et al. (edd.), La donna nella chiesa e nel mondo. Studi promossi dalla Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale e dalla Commissione Diocesana Donna, Edizioni Dehoniane, Napoli 1988; R. Fossati, E Dio creò la donna. Chiesa, religione e condizione femminile, Gabriele Mazzotta Editore, Milano 1977; C. Militello, La donna soggetto nella chiesa in "Credere oggi" 2(1992), p. 111-124; P.S. Vanzan, La donna "partner" nel mistero della redenzione. Luci ed ombre nella prima bozza della lettera dei vescovi statunitensi in "La Civiltà Cattolica" 3(1988), p. 379-391; A. Zarri, Sensibilità femminile e liturgia attuale in "Rivista di pastorale liturgica" 2(1981), p. 31-39; M. Zimmermann, Né chierica né laica la donna nella chiesa in "Concilium" 6(1985), p. 50-60. Testo

  11. Siamo negli anni cinquanta del secolo scorso e la teologia della femminilità o della donna si inserisce nel quadro ben più ampio di quelle che vennero indicate come teologie del genitivo. Testo

  12. Indichiamo alcuni testi interessanti a proposito della teologia femminista: A. Carr, Grazia che trasforma. Tradizione cristiana e esperienza delle donne, Queriniana, Brescia 1991; R. Gibellini, La questione femminile come questione teologica in "Credere oggi" 2(1992), p. 17-25; E.A. Johnson, Colei che è. Il mistero di Dio nel discorso teologico femminista, Queriniana, Brescia 1999; Idem, La maschilità di Cristo in "Concilium" 6(1991), p. 42-152; M.T. van Lunen-Chenu - R. Gibellini, Donna e Teologia, Queriniana, Brescia 1988; E. Schüssler Fiorenza, In memoria di lei. Una ricostruzione femminista delle origini cristiane, Claudiana, Torino 1990; Idem, Gesù figlio di Miriam, profeta di Sophia. Questioni critiche di cristologia femminista, Claudiana, Torino 1996; L. Sebastiani, Nuovi linguaggi e nuovi simboli per una teologia al femminile in "Credere oggi" 2(1992), p. 97-110. Testo

  13. Per il pensiero di Giovanni Paolo II sulla sessualità, il corpo e la donna ricordiamo: K. Wojtyla, Amore e responsabilità. Morale sessuale e vita interpersonale, Marietti, Genova 1983; Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull'amore umano, Città Nuova Editrice - Libreria Editrice Vaticana, Roma 1985; R. Buttiglione, Il pensiero dell'uomo che divenne Giovanni Paolo II, Mondatori, Milano 1998; G. Campanini, Uomo e donna nell'antropologia di Giovanni Paolo II. Riflessioni sulle "Catechesi del mercoledì" in "La Famiglia" 1(1989), p. 44-56; A. Mattheeuws, De la Bible à "Humanae vitae". Les catéchèses de Jean-Paul II in "Nouvelle Revue Théologique" 2(1989), p. 228-248. Testo

  14. Anche per la concezione della donna nella storia della cristianità diamo alcuni riferimenti bibliografici che possono risultare utili per una introduzione sull'argomento. Cf.: U. Mattioli (ed.), La donna nel pensiero cristiano antico, Marietti, Genova 1992; K.E. Børresen, A immagine di Dio. Modelli di genere nella tradizione giudaica e cristiana, Carocci editore, Roma 2001; Idem, Natura e ruolo della donna in Agostino e Tommaso d'Aquino, Cittadella Editrice, Assisi 1979; E. Dal Covolo (ed.), Donna e matrimonio alle origini della chiesa, Libero Ateneo Salesiano, Roma 1996; E. Gössmann, La teoria della differenza delle donne nella tradizione teologica cristiana in "Concilium" 6(1991), p. 76-87; C. Mazzucco, "E fui fatta maschio". La donna nel cristianesimo primitivo (secoli I-III), Casa Editrice Le Lettere, Firenze 1989; C. Militello, Il volto femminile della storia, Piemme, Casale Monferrato 1995; A.M. Pelletier, Il cristianesimo e le donne. Venti secoli di storia, Jaca Book, Milano 2001; Rivista Concilium numero 6 del 1985. Testo

  15. Riguardo le affermazioni teologiche sull'inferiorità della donna, il suo essere ad immagine dell'uomo e non di Dio e la sua maggiore inclinazione al male e al peccato, si possono vedere i testi indicati alla nota precedente sulla concezione della donna nella storia del cristianesimo. Testo

  16. Per tutto il paragrafo il pontefice sottolinea come ogni uomo di ogni tempo attendesse e tutt'ora attenda la rivelazione e la salvezza di Dio in Cristo e come questa si sia compiuta nell'evento dell'incarnazione che ha per protagonista una donna, la quale, proprio per il suo peculiare posto nell'economia della salvezza, realizza con Dio quell'unione in cui l'essere umano, pur tendendovi, non osa neppure sperare. Testo

  17. Questa impostazione di Giovanni Paolo II ben si accorda con l'insegnamento della lettera enciclica sulla Vergine Maria, Redemptoris Mater, promulgata l'anno precedente alla Mulieris dignitatem. In tale enciclica Maria viene descritta principalmente come la discepola perfetta, colei che si stringe a Cristo nella fede e nella sequela, condividendone perciò lo stesso mistero di gloria e di santità. Testo

  18. AA.VV., Dignità e vocazione della donna. per una lettura della "Mulieris dignitatem", Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1989; AA.VV., Donna: genio e missione. Atti del convegno nazionale promosso dall'Arcidiocesi di Spoleto-Norcia e dall'Università cattolica sulla "Mulieris dignitatem" (Roccaporena di Cascia 1-3 giugno 1989), Vita e Pensiero, Milano 1990; G. Baum, La lettera apostolica Mulieris dignitatem in "Concilium" 6(1989), p. 192-199; P. Coda, Teologia e antropologia nella "Mulieris dignitatem" in "Nuova umanità" 1(1989), p. 9-29; V. Ferrua, "Mulieris dignitatem": un altro passo in "Rassegna di teologia" 3(1989), p. 265-268; E. Gössmann, Il tempo della donna. Sulla lettera apostolica di Giovanni Paolo II "Mulieris dignitatem", Queriniana, Brescia 1990; D. Lucarelli, Mulieris dignitatem in "Rassegna di teologia" 6(1988), p. 513-526; M.A. Macciocchi, (ed.), Ventinove chiavi di lettura della Mulieris dignitatem, Paoline, Milano 1992; S. Maggiolini, Profezia della donna. Lettera apostolica "Mulieris dignitatem". Testo e commenti, Città Nuova Editrice, Roma 1988; U. Mattioli, (ed.), Donna e culture. Studi e documenti nel III anniversario della "Mulieris dignitatem", Marietti, Genova 1991; E. Meneghini, (ed.), La donna nella società e nella chiesa, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1990; M.M Pedico, Maria di Nazaret icona del "genio della donna" in "Theotokos" 2(1996), p. 625-639; E. Rosanna - M. Chiaia, Le donne per una cultura della vita. Rilettura della «Mulieris dignitatem» a cinque anni dalla sua pubblicazione, Libreria Ateneo Salesiano, Roma 1994; E. Rosanna, Il genio della donna a servizio della vita in "Rivista di scienze dell'Educazione" 2(1999), p. 179-195; A. Serra, La "Mulieris dignitatem". Consensi e dissensi in "Marianum", 1(1991), p. 144-182; D. Tettamanzi, Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente. Meditando con il Papa la "Mulieris dignitatem", Editrice Ancora, Milano 1988; M. Toso, (ed.), Essere donna. Studi sulla lettera apostolica "Mulieris dignitatem" di Giovanni Paolo II, Elledici, Torino-Leumann 1989; M. Ubaldi, (ed.), La dignità della donna. Testo integrale dell'omonima lettera apostolica con i commenti di Aria, Baget Bozzo et al., Edizioni Logos, Roma 1988; Ps. Vanzan, "Mulieris dignitatem": reazioni e sviluppi in "Credere oggi", 2(1992), p. 83-96; Ps. Vanzan, "Mulieris Dignitatem": reazioni, contenuti e prospettive in "La Civiltà Cattolica", 4(1988), p. 250-260. Testo

  19. Basti pensare alla partecipazione delle donne agli studi teologici, agli organi decisionali o rappresentativi della chiesa, alla reale possibilità di contribuire alla guida delle comunità, alla stesura dei documenti, alla partecipazione liturgica. Ci sembra emblematico, a proposito, il caso dei ministri straordinari dell'eucaristia che, di norma, sono coinvolti nel servizio all'altare solo se sono di sesso maschile. Testo

  20. Oltre ai testi già indicati sulla storia del pensiero cristiano riguardante la donna, alcuni contributi presenti nei commenti alla Mulieris dignitatem e ai testi sulla storia teologica del corpo si possono segnalare: Y-M. Duval, L'affaire Jovinien, Institutum Patristicum Agostinianum, Roma 2003; D. Hunter, Resistance to the virginal ideal in late-fourth century Rome: the case of Jovinian in "Theological Studies" 48(1987), p. 45-64. Testo

  21. Per una prima panoramica si possono vedere: S. Spinsanti, Il corpo nella cultura contemporanea, Queriniana, Brescia 1983; U. Galimberti, Il corpo. Antropologia, psicoanalisi, fenomenologia, Feltrinelli, Milano 1984; V. Melchiorre, Corpo e persona, Marietti, Genova 1987; X. Lacroix, Il corpo di carne. La dimensione etica, estetica e spirituale dell'amore, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1996. Testo

  22. F.G. Brambilla, Antropologia teologica, Queriniana, Brescia 2005, p. 361-399. L'impostazione del manuale è stata riproposta dal teologo milanese durante il corso di aggiornamento per docenti di teologia sistematica organizzato dall'ATI e tenutosi a Roma dal 28 al 30 dicembre 2006. Testo

  23. Brambilla accenna senza trattarlo anche ad un quarto filone di pensiero, quello delle scienze psicologiche che mettono in rapporto anima e corpo. Testo

  24. Brambilla, Antropologia, 365. Testo

  25. Ivi, 374. Testo

  26. Ibidem. Testo

  27. Ci riferiamo qui ad alcune derive estreme degli studi di genere. Cfr. L.S. Cahill, Sesso, genere e etica cristiana, Queriniana, Brescia, 2003. Riguardo alcune derive della riflessione sul genere sessuale si era espressa negativamente anche la Lettera ai vescovi sulla collaborazione fra i sessi della Congregazione per la dottrina della fede del 31.05.2004. Testo

  28. La filosofia fenomenologia ha avuto una grande influenza sull'elaborazione dell'antropologia teologica e sulla teologia morale cattolica del 1900. Oltre ai pensatori dichiaratamente cristiani che hanno fatto parte della scuola fenomenologica come E. Stein e M. Scheler, non possiamo non ricordare P. Ricoeur e G. Marcel. Infine è doveroso riconoscere il debito di K. Wojtyla nei confronti del pensiero fenomenologico e in particolare di M. Scheler. Cf. R. Buttiglione, Il pensiero. Testo

  29. Con queste categorie Giovanni Paolo II rilegge il brano biblico che indica la donna come un aiuto simile all'uomo e ne deduce che una persona umana non può essere se stessa se non nel dono di sé in vista di una comunione personale, cosa che non potrebbe realizzare senza un'altra persona che le stesse di fronte. Testo

  30. Così si legge al paragrafo 10: "Questo «dominio» indica il turbamento e la perdita della stabilità di quella fondamentale eguaglianza, che nell'«unità dei due» possiedono l'uomo e la donna: e ciò soprattutto a sfavore della donna, mentre soltanto l'eguaglianza, risultante dalla dignità di ambedue come persone, può dare ai reciproci rapporti il carattere di un'autentica «comunione di persone». Se la violazione di questa eguaglianza, che è insieme dono e diritto derivante dallo stesso Dio creatore, comporta un elemento a sfavore della donna, nello stesso tempo essa diminuisce anche la vera dignità dell'uomo". Testo

  31. Notiamo, inoltre, senza avere la possibilità di approfondire la questione, che troppo frettolosamente la lettera apostolica sulla donna dichiara la superiorità dello stato verginale sul matrimonio, ovvero sulla condizione in cui la sessualità viene esercitata sotto ogni aspetto. Occorrerebbe considerare attentamente, a nostro parere, se in questo tipo di posizioni non giochi un ruolo determinante il sospetto sulla sessualità e se veramente tale insegnamento sia coerente con quello espresso dallo stesso pontefice all'inizio della lettera sulla creazione dell'essere umano e il valore della differenza sessuale. Testo

  32. Anche a questo proposito è bene notare che la ricezione della chiesa rispetto a questo insegnamento non è compiuto. Spesso nell'insegnamento ordinario, nella predicazione, nella catechesi e in non poche altre occasioni viene ribadita una sorta di signoria del marito nel rapporto coniugale, affermando questo sulla base del testo paolino di cui sopra. Testo

  33. Al paragrafo 30 si parla più specificatamente dell'affidamento dell'uomo fatto alla donna, ma anche qui è difficile dire se si esce dalla vocazione propria di ogni essere umano: l'amore e la cura dell'altro non appartengono alla vocazione di ogni uomo e alla sequela di ogni cristiano? Testo

  34. L'impostazione della Mulieris dignitatem chiama in causa la dottrina sull'analogia, infatti la lettera fonda la possibilità di usare immagini umane per parlare di Dio sul fatto che l'essere umano è simile al Creatore. Dietro a tale convinzione si deve cogliere l'impostazione tomista nella quale si intrecciano la nozione di causalità e quella di partecipazione, per cui il rimando alla realtà divina sarebbe incluso nella realtà creata. Dio, infatti, agendo come causa produce effetti simili a sé e ciò che è creato partecipa dell'essere di Dio, di conseguenza ciò che viene da Dio sarebbe di per sé adatto a parlare di Dio. Il problema di questo modo di procedere, indicato già da Tommaso, è che la creatura finisce per essere il fondamento epistemologico del discorso su Dio. Tommaso evita il problema indicando nell'analogia solo uno strumento conoscitivo per evitare la condanna dell'inconoscibilità di Dio, mentre la Mulieris dignitatem sembra fondare l'analogia da un punto di vista metafisico: a partire dall'uomo si può conoscere Dio perché i due hanno una realtà comune. Cf. P.A. Sequeri, «Analogia» (voce) in Dizionario Teologico Interdisciplinare, I, Marietti, Torino 1977, p. 341-351. Testo

  35. Nel commentare questo passaggio della lettera sulla donna I. de la Potterie chiosa il pontefice dicendo che mentre le immagini maschili vengono usate per parlare di Dio in senso proprio, quelle femminili lo sono in senso metaforico. Questo sarebbe evidente nel fatto che il padre umano genera di per sé, senza ricevere da altri, proprio come avviene in Dio. Cf. I. de la Potterie, «Antropomorfismo e simbolismo del linguaggio biblico sulla relazione uomo-donna» in AA.VV., Dignità e vocazione della donna, p. 110-116. Testo

  36. Ricordiamo che quanto viene affermato qui nei confronti della generazione del Figlio, ovvero l'assenza in Dio di una caratterizzazione maschile e femminile nella generazione divina, non viene ribadito circa l'amore di Cristo al quale si riconoscono caratteristiche sponsali in senso maschile, consistenti nell'amare per primo. Testo

  37. Si possono vedere sull'argomento: A. Carr, Grazia che trasforma. Tradizione cristiana e esperienza delle donne, Queriniana, Brescia 1991; G.P. Di Nicola - A. Danese (edd.), Il maschile e la teologia, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1999; E.A. Johnson, Colei che è. Il mistero di Dio nel discorso teologico femminista, Queriniana, Brescia 1999; V. Ramey Mollenkott, Dio femminile. L'immaginario biblico di Dio come donna, Edizioni Messaggero, Padova 1993; E. Schüssler Fiorenza, Gesù Figlio di Miriam; L. Sebastiani, Nuovi linguaggi. Testo

  38. Ricordiamo qui quanto già è stato detto a proposito della Vergine come perfetta realizzazione dell'umano proprio in forza della sua femminilità, dal momento che la forma della sequela di lei fu l'essere madre di Cristo. Testo

  39. Richiamiamo qui i termini in cui la Mulieris dignitatem commenta il racconto di Gen. 3 e in particolare le conseguenze del peccato sull'umanità. Testo