Salta il menù

Invia | Commenta

Il tema della fraternità
nell'ambito della letteratura antidonatista

di Paola Marone (9 maggio 2010)

1. Introduzione

Dopo il Concilio Vaticano II, che aveva dedicato al tema della fraternità tutto il IV capitolo della Dichiarazione Nostra aetate e vari passaggi delle Costituzioni Gaudium et Spes e Lumen Gentium, vennero condotti molteplici studi sul ruolo della fraternità nella Chiesa. Si pensi ad esempio ai saggi di Adam, Ratzinger, Tillard, Voillaume e De Candido,1 evidentemente volti a presentare e interpretare la prospettiva ecclesiologica emersa appunto dal Concilio Vaticano II. A partire dal mistero di Dio Padre, tutti questi lavori hanno delineato l'unità tra gli uomini in termini di fraternità, e hanno compreso la Chiesa dentro il quadro di riferimento definito dall'idea della fraternità universale, rifacendosi apertamente a Paolo VI che sollecitava i «fratelli di fede in Cristo» a riconoscere «il traguardo dell'umano progresso» espresso nella formula: «ogni uomo è mio fratello» in relazione all'argomento supremo «della paternità divina».2

Certamente questi lavori si sono richiamati alla patristica, ma solo in via subordinata hanno valutato quella che doveva essere la situazione dello specifico periodo della controversia donatista. In tal senso ci accingiamo adesso a esaminare le testimonianze letterarie dei più antichi Padri della Chiesa, per arrivare a delineare l'evoluzione che subì nell'antichità la concezione della fraternità e per tentare di ricostruire le possibili cause di quella sorta di ritorno alle origini che si verificò nel IV secolo, durante lo scisma provocato dall'elezione di Maggiorino.3

2. Le testimonianze più antiche

Partendo dal Vangelo di Matteo che afferma: «voi siete tutti fratelli... perché uno solo è il Padre vostro» (Mt. 23, 8-9), si comprende che la fraternità per i primi cristiani si manifestava compiutamente nella paternità di Dio, una paternità che doveva essere amore personale di Dio verso ciascuna delle sue creature (cfr. Mt. 6, 25-34). Il Nuovo Testamento infatti applica spesso il termine "fratello" (αδελφος) non solo ai parenti di Gesù, ma anche a tutti i membri della comunità religiosa, che nel segno dell'amore di Dio che li aveva generati e dell'amore di Cristo che li aveva redenti, erano stati chiamati a vivere la loro fede nella solidarietà verso il prossimo.4

Frequentemente, quindi il corpus paolino e le lettere cattoliche hanno utilizzato la formula «fratelli miei carissimi» (αδελφοι μου αγαπητοι) per indicare tutti i fedeli (cfr. 1 Cor. 15, 58; Phil. 4, 1; Iac. 1, 16. 19; 2, 5). D'altra parte l'autore della 1 Pietro ha definito l'intera Chiesa come una "fraternità" (cfr. 1 Pt. 2, 17). Secondo lui il credente era sempre parte di una famiglia, che aveva Dio per Padre. Partendo da questo presupposto, l'autore della 1 Pietro presentava l'amore cristiano come amore fraterno e insisteva sul fatto che la carità era in grado di coprire «una moltitudine di peccati» (cfr. 1 Pt. 4, 8). Proprio l'amore doveva unire i cristiani fino a farli diventare una comunità volta al servizio (cfr. 1 Pt. 2, 17; 5, 9), alla compassione (cfr. 1 Pt. 3, 8; 5, 5), alla pratica dell'ospitalità (cfr. 1 Pt. 4, 9), oltre che a beneficare tutti, persino i persecutori (cfr. 1 Pt. 3, 8-12). Proprio l'amore poteva aumentare lacoesione e consentire a tutti i credenti di riconoscersi fratelli tra loro (cfr. 1 Pt. 2, 17. 59) e cristiani di fronte al mondo (cfr. 1 Pt. 4, 16).

In tal modo all'epoca degli apostoli la fraternità era lo spirito di concordia e di condivisione che, cementato dall'amore di Dio, legava tutti i fedeli (αδελφοτης) (cfr. 1 Pt. 2, 17; 5, 9) e li rendeva uniti nell'ascoltare la parola di Dio, nello spezzare il pane e nel pregare (cfr. Act. 2, 42), e pronti a usare la carità verso l'intera umanità (cfr. 1 Ts. 4, 9; Hebr. 13, 1; 1 Pt. 1, 22; 2 Pt. 1, 7).

Conformemente a Mt. 23, 8-9 («voi siete tutti fratelli... perché uno solo è il Padre vostro»), possiamo pensare che i rapporti tra i primi cristiani erano fondati su una fraternità spirituale che superava la parentela naturale. Nell'orizzonte della cristianità antica, la fraternità era per tutti, e consentiva a ciascuno di scoprirsi nel profondo unito al resto dell'umanità, come lasciava intendere, con una mirabile analogia, l'anonimo autore della Epistula ad Diognetum, quando diceva che «l'anima è nel corpo, come i cristiani sono nel mondo».5

Nelle più antiche comunità cristiane, in relazione alla nascita spirituale che permetteva agli uomini di avere Dio per Padre, il termine "fratello" assunse prima di tutto il significato di "cristiano". In questa prospettiva Giustino diceva che «i battezzati si chiamano fratelli».6 L'appellativo di "fratello" proprio sulla base dei nuovi vincoli, più forti di quelli del sangue, costituiti dal battesimo, permetteva di superare ogni discriminazione di razza, di età, di condizione, di sesso, e faceva nascere la coscienza di una fraternità universale di tutti gli uomini, visto che i cristiani -- come testimonia ancora Giustino -- consideravano «fratelli per natura» anche quelli che provavano odio nei loro confronti.7

La nozione di fraternità è stata colta nella sua dimensione universale anche da Clemente Romano,8 Ignazio di Antiochia9 e Clemente Alessandrino,10 e Tertulliano addirittura ha distinto una fraternità derivante dall'origine comune di tutti gli uomini, da una fraternità basata sul riconoscimento dell'unico Dio Padre. A tale proposito si legge nell'Apologeticum: «Siamo anche vostri fratelli, per il diritto della natura, madre universale, anche se voi siete troppo poco uomini, perché cattivi fratelli. Ma più propriamente adesso si chiamano e si ritengono fratelli quanti hanno riconosciuto un unico Dio Padre e hanno bevuto un unico spirito di santità, e, usciti dall'unico seno d'una comune ignoranza, si sono aperti, stupefatti, alla luce unica della verità».11

Però l'idea primitiva di fraternità era ormai destinata a perdere gran parte della sua forza originale. Già Cipriano, che pure nel suo epistolario continuava a dire «fratelli carissimi» (fratres carissimi), generalmente usò l'appellativo di "fratello" come un titolo ecclesiastico per i vescovi e il clero.12 Del resto per quel famoso martire di Cartagine uno degli aspetti più importanti della collegialità episcopale era proprio la partecipazione fraterna alle vicende degli altri vescovi. «Il suo epistolario -- come giustamente ha notato Carpin -- è una prova chiarissima di come egli ne condividesse gioie, dolori, preoccupazioni, speranze: un esempio di fraternità episcopale. E questa fraternità episcopale si allargava alla fraternità ecclesiale, poiché attraverso i loro vescovi le comunità cristiane si univano più profondamente tra loro».13

Quindi, dal III secolo il termine "fratello" smise di essere utilizzato tra i laici, e incominciò a essere impiegato nel sistema gerarchico della Chiesa, tra i vescovi14 e anche tra i monaci,15 e il concetto di fraternità subì una forte restrizione.16 L'appellativo di "fratello", onore primitivo del cristiano, cadde a un rango inferiore rispetto all'appellativo di "padre",17 ma il concetto primitivo di fraternità non era ancora completamente perduto, dato che nel IV secolo Ottato e Agostino lo usarono nella polemica contro i donatisti, facendone anche uno dei punti di forza della loro teologia battesimale.

3. Il ritorno alle origini del IV secolo

3.1. Ottato

Ovviamente in Ottato si trova anche il senso gerarchico della «collegialità episcopale» (collegium episcopale) .18 Per esempio presentando le liste dei vescovi di Roma, egli chiamò Siricio con il titolo «collega» (socius) .19 Secondo lui, per appartenere al legittimo collegio episcopale i vescovi dovevano rimanere uniti al vescovo di Roma, e tale unione si manifestava in maniera visibile nello «scambio delle lettere di comunione» (commercio formatarum) .20 Ottato, però, invece di insistere sulla collegialità, preferì focalizzare l'attenzione sul valore della fraternità, convinto del fatto che, mentre la collegialità si poteva rompere con la separazione delle Chiese, la fraternità andava oltre i confini delle singole Chiese e coinvolgeva tutti coloro che partecipavano all'unica nascita spirituale.

Quando il vescovo di Milevi scriveva la prima redazione del suo trattato «i donatisti non permettevano di essere avvicinati, chiudevano le porte, ... e rifiutavano qualsiasi confronto diretto... » con i cattolici.21 Mentre in Africa la contrapposizione era totale, non era di poco conto chiamare in causa la fraternità fondata sulla stessa fede e sull'unico battesimo, e totalmente indipendente dalla condotta morale dei ministri.22 «Senza alcun dubbio, -- si legge nell'Adversus Donatistas -- essi» ovvero i donatisti «sono fratelli, anche se non sono buoni» («Sunt igitur sine dubio fratres, quamvis non boni») .23 Come l'impronta battesimale non si poteva annullare con il peccato, così «questo nome stesso della fraternità» (nomen fraternitatis) originato dal battesimo non poteva essere inficiato da alcuna colpa anche se grave.24 Fra cattolici e donatisti c'erano «i vincoli della santa fraternità» (sanctae germanitatis vincula) che non potevano essere spezzati completamente.25 Pur esistendo la discordia fra i cristiani dell'Africa a causa dello scisma, la scissione fra donatisti e cattolici non era completa, anzi, quello che era diviso, «era diviso soltanto in parte» (ex parte divisum est),26 perché cattolici e donatisti avevano «una sola nascita spirituale» (spiritualis una nativitas), benché fossero «diversi i comportamenti» (diversi sunt actus).27

In tal modo Ottato poneva nel vincolo della santa fraternità anche quelli che avevano ricevuto il battesimo fuori della Chiesa cattolica.28 Già dal prologo del suo trattato, con la formula carissimi fratres,29 si rivolgeva ai suoi avversari come a dei fratelli, dicendo: «Nessuno mi obietti che io chiamo fratelli (fratres appellare) senza una fondata ragione coloro che tali invece sono...».30 Per invitare a essere solidali con tutti i membri della comunità religiosa, faceva riferimento a Is. 66, 5 e insisteva sul fatto che la fraternità non poteva essere una scelta umana, dato che era ordinata dal precetto divino riportato dal profeta Isaia, ovvero dalle parole: «Voi che temete la parola del Signore, ascoltate la parola del Signore: a coloro, i quali vi hanno in odio e in esecrazione e non vogliono essere detti vostri fratelli, direte: voi siete nostri fratelli».31

Dopo aver affermato: «Alludo a Parmeniano, nostro fratello (fratrem nostrum), sempre però nella convinzione che egli permetta di essere chiamato con questo nome almeno da noi»,32 il vescovo di Milevi continuò a chiamare Parmeniano "fratello" per tutta la sua opera,33 talvolta anche in modo personale, come nell'espressione: «Perciò Parmeniano è mio fratello...» (Frater meus igitur Parmenianus) .34 Egli stesso ammetteva che le ripetute occorrenze di quell'appellativo, potevano anche infastidire il suo avversario, ma le considerava «un'evidentissima verità» (apertissimam veritatem) comunque necessaria (necessarium). «Fratello Parmeniano, -- scriveva appunto nell'Adversus donatistas -- cerca di riconoscere l'evidentissima verità di questa realtà, se ti degni di ascoltare, senza reagire, questo appellativo di fratello così spesso da me usato! Anche se a te risulta fastidioso, a noi tuttavia pare necessario, perché tralasciando la dimostrazione di quel nome, non risultiamo anche noi degni di condanna».35

Secondo Ottato dunque a nessuno era concesso di vivere senza la comunione con i fratelli, anche se si trovava in una santità totale, dato che la convivenza pacifica con tutti i membri della comunità religiosa valeva più della santità personale. Per questo diceva al suo avversario: «Ammetti pure che vi siano alcuni perfetti, di una santità totale: non è loro concesso di vivere senza la presenza dei fratelli (sine fratribus), e sono gli stessi precetti del Vangelo (evangelia praecepta) a vietare di allontanare i fratelli».36 E con le parole di Ps. 133, 1 che dice: «Ecco quanto è buono e quanto è giocondo che i fratelli abitino insieme!», riassumeva la sua concezione di fraternità37 e presentava come un motivo di vanto per tutti i cristiani (pulchritudo nostra) vivere insieme nell'unità e nella pace.38

3.2. Agostino

In linea con Ottato, anche Agostino a distanza di qualche decennio sviluppò il tema della fraternità richiamandosi alla tradizione più antica del cristianesimo. In effetti lui applicava il termine "fratello" propriamente ai cristiani e più genericamente a tutti gli uomini,39 tanto da specificare a proposito di Ex. 10, 23 che «viene chiamato fratello di un uomo anche una persona qualunque» (notandum etiam fratem hominis quelibet hominem dici) .40 Egli sosteneva che la fraternità universale derivava direttamente dalla comune discendenza di tutti gli uomini da Adamo ed Eva,41 ma nella sua produzione letteraria si soffermò soprattutto sulla fraternità tra cattolici e donatisti, i due schieramenti religiosi che ancora al suo tempo si contrapponevano in Africa.

Partendo dal presupposto che cattolici e donatisti avevano identiche circoscrizioni, identiche basiliche, stesse suddivisioni gerarchiche, stessi sacramenti, e un'uguale organizzazione del culto e della liturgia, Agostino diceva: «Siamo fratelli, invochiamo uno stesso Dio, crediamo in uno stesso Cristo, sentiamo lo stesso Vangelo, cantiamo gli stessi salmi, rispondiamo lo stesso Amen, ascoltiamo lo stesso Alleluia e celebriamo la stessa Pasqua».42 E attraverso l'autorità della Scrittura, e in particolare sulla base di Is. 66, 5, che spinge a chiamare "fratelli" anche quelli che rifiutano qualsiasi legame di solidarietà,43 qualificava come "fratello" il vescovo donatista Massimino e faceva notare che anche Ceciliano, che i suoi avversari non riconoscevano come vescovo, per essere stato ordinato da un ministro indegno,44 rimaneva sempre un fratello.45

Poi accennando all'uso dei donatisti di ribattezzare i cattolici e manifestando una grande preoccupazione per l'unità dei cristiani in genere, il vescovo di Ippona ribadiva che i cattolici, contrariamente a quanto facevano i donatisti, riconoscevano il battesimo degli avversari. «Dunque, fratelli, -- si legge nell'Enarratio sul Salmo 32- soprattutto vi esortiamo a questa carità, non soltanto verso voi stessi, ma anche verso coloro che stanno fuori, sia ancora pagani e che ancora non credono nel Cristo, sia se sono divisi da noi, e confessano con noi il Capo ma dal Corpo sono separati. Fratelli, proviamo dolore per loro, come per nostri fratelli. Lo vogliano o no, sono nostri fratelli. Cesseranno di essere nostri fratelli, allorché avranno cessato di dire: Padre nostro».46 Agostino chiamava i donatisti "fratelli", perché confessavano «l'unico Cristo» e si trovavano «in un solo corpo, sotto un unico capo»47 ovvero, in conformità con il concetto teologico del Christus Totus, facevano parte dell'unica Chiesa indivisibile, nonostante i limiti e le divisioni della Chiesa visibile.48

Per Agostino la fratellanza tra cattolici e donatisti era strettamente collegata al fatto che anche questi ultimi «celebravano gli stessi sacramenti» e «rispondevano con lo stesso Amen» durante le funzioni liturgiche.49 Di fronte alle divisioni tra i cristiani dell'Africa, l'Ipponate rispondeva con l'esercizio della carità. Egli certamente viveva con tormento lo scisma e sentiva necessario il dovere della carità, tanto da esortare continuamente alla pace e all'unità. Per rispondere ai donatisti che avevano sconvolto la Chiesa africana e avevano lacerato il corpo di Cristo, riteneva significativo guardare agli stessi sacramenti e alla medesima liturgia.

Così Agostino lavorò strenuamente a favore dell'unità. Secondo lui l'unità era talmente importante che i vescovi cattolici dovevano essere disposti, per salvarla, anche a rinunciare alla loro carica. E nella Conferenza di Cartagine presieduta da Marcellino convinse i trecento vescovi cattolici che erano presenti a impegnarsi per iscritto, in caso di sconfitta, a lasciare l'episcopato ai loro confratelli donatisti, e in caso di vittoria, ad affiancare i vescovi donatisti nella carica episcopale.50 Vedeva la Chiesa come madre di tutti, santi e peccatori, anzi perfino, in qualche modo, madre di tutti gli uomini; e vedeva la purezza assoluta come un dono che la Chiesa poteva ottenere solo alla fine dei tempi; d'altra parte i sacramenti gli apparivano come opera di Cristo, in alcun modo alterabile dai peccati dei ministri. Dunque restare nell'unità della Chiesa risultava la condizione necessaria per aderire all'unico Cristo.51

Convito del fatto che anche i donatisti, in quanto cristiani, fossero figli di Dio, il vescovo d'Ippona si rivolgeva a loro come a dei fratelli e chiedeva ai suoi fedeli di fare ogni sforzo per ritrovare la concordia.52 Dalla paternità di Dio faceva discendere la fratellanza di tutti i cristiani e esternando la sua grande amarezza per il contrasto in atto tra le due Chiese, invitava i suoi avversari, a portare il dibattito sul piano dell'esegesi biblica.53 Anche l'esegesi biblica gli permise di esortare alla fratellanza e alla pace, visto che il Padre era morto e risorto, solo dopo aver lasciato a tutti gli uomini il suo messaggio di pace come testamento. Per cercare di ricomporre lo scisma, ripeteva con forza: «Siamo fratelli, perché litigare? Leggiamo, perché litighiamo».54 L'essere fratelli, l'essere le stesse membra che Cristo aveva riscattato con la sua passione doveva essere il vero motivo per ritornare all'unità, e la fonte sicura da cui attingere questa verità doveva essere la Scrittura.

4. Osservazioni conclusive

Il termine astratto di "fraternità", usato per indicare collettivamente tutti i cristiani, e il termine concreto di "fratello" usato per definire ciascun fedele, sono indicativi della prima tappa della definizione della naturadalla Chiesa costituita da persone legate tra loro da vincoli spirituali (cfr. 1 Pt. 2, 17; 3, 8; 5, 9. 12) in linea con le parole di Gesù riportate da Mt. 23, 8-9: «voi siete tutti fratelli... perché uno solo è il Padre vostro».

Inizialmente il termine "fratello" veniva riferito indistintamente a tutti i cristiani, a cominciare dai parenti di Gesù, fino a quanti professavano la stessa fede e ricevevano il sacramento del battesimo. Quando poi il cristianesimo si diffuse notevolmente nell'impero romano, passò in disuso l'usanza di attribuire l'appellativo di "fratello" a ciascun membro della comunità religiosa. Quella fraternità spirituale che in origine suggellava un legame di sangue, venne applicata dai primi autori cristiani non solo a tutti i battezzati, ma anche a tutti gli uomini, assumendo così una chiara valenza simbolica, viceversa il termine "fratello" fu riservato esclusivamente ai rappresentanti della vita ecclesiale. Per quanto a quel punto il cristianesimo fosse ormai una religione con numerosi seguaci, negli specifici contesti episcopale e monastico, c'erano delle piccole comunità, paragonabili per dimensioni a quella degli apostoli, dove il termine "fratello" poteva essere riferito a ciascun membro.55

Dopo il cosiddetto editto di Costantino che riconosceva la libertà di culto ai cristiani, due vescovi africani, vale a dire Ottato e Agostino tornarono a riferire l'appellativo di "fratello" a tutti i fedeli, rivalutando il concetto primitivo di fraternità, basato sull'unica fede e sul battesimo. Questa loro decisione però si inquadrava nella polemica antidonatista. E certamente assumeva una grande importanza fare scaturire direttamente da Dio la fraternità di tutti i cristiani, mentre i donatisti parlavano della vera Chiesa come di una Chiesa formata solo di santi, e nel corso della controversia erano stati i primi a sollevare il problema della fraternità, rifiutando qualsiasi legame con i cattolici, non solo vescovi ma anche semplici fedeli.

Con indignazione l'anonimo autore della Passio Saturnini, delineando i sentimenti della cristianità africana dopo la persecuzione di Diocleziano, definiva la coesistenza nella Chiesa dei martiri e dei traditori come un vero «sacrilegio».56 Gli scismatici infatti consideravano i cattolici come quelli che avevano perso tutti i loro privilegi di cristiani, e non potevano rimanere nella Chiesa insieme con loro come fratelli, dato che sarebbe stato «indegno» che si riunissero «in un'assemblea i figli dei martiri e i figli dei traditori».57 Ottato attesta che i donatisti rifiutavano di lasciarsi dare del fratello dai cattolici,58 non volevano riconoscere i rappresentanti della Chiesa ufficiale come fratelli,59 né stare in pace60 o abitare insieme a loro.61 E ancora Agostino ci informa che i donatisti equiparavano i cattolici ai pagani e non li ritenevano né cristiani né fratelli, finché non si sottoponevano al secondo battesimo,62 dato che per loro quando sopravveniva una colpa si perdeva tutto il potere di amministrare i sacramenti, e anche qualsiasi legame fraterno.

I vostri commenti

Saremo felici di ricevere commenti a questo articolo. Nel caso abbiate dato l'assenso, il vostro commento potrà essere eventualmente pubblicato (integralmente o in sintesi). Grazie!

Note

  1. Cfr. K. Adam, Cristo nostro fratello, Brescia 1968; L. De Candido, Fraternità, in: Nuovo Dizionario di Spiritualità, Cinisello Balsamo 1985, pp. 674-688; J. Ratzinger, Fraternità cristiana, Roma 1962; J.M.R. Tillard, Eucaristia e fraternità, Milano, 1969; R. Voillaume, Esigenze di fraternità, Assisi 1971. Testo

  2. Cfr. Paulus VI, Ascoltateci, Num. 14/11/1970, Acta Apostolicae Saedis LXIII (1971), p. 9. Testo

  3. Sui principali studi sul donatismo pubblicati nel Novecento cfr. E. Romero Pose, Medio siglo de estudios sobre el donatismo. (De Monceaux a nuestros dias), in Salmanticensis 29 (1982), pp. 81-99; inoltre sui più recenti orientamenti della ricerca cfr. B. Kriegbaum, Kirche der Traditoren oder Kirche der Märtyrer? Die Vorgeschichte des Donatismus, (Innsbrucker theologische Studien, 16), Innsbruck - Wien 1986; Ch. Pietri, L'échec de l'unité impériale en Afrique. La résistence donatiste (jusqu'en 361) e La difficulté du nouveau système en Occident : la querelle donatiste (363-420), in J.-M. Mayeur et al. (a cura di), Histoire du Christianisme, II, Paris 1995, pp. 229-248 e 435-451; S. Lancel - J.S. Alexander, Donatistae, in C. Mayer (a cura di), Augustinus-Lexikon, II/3-4, Basel 1999, cc. 606-638; E. Zocca, L'identità cristiana nel dibattito tra cattolici e donatisti, in Annali di Storia dell'Esegesi 21/1 (2004), pp. 109-130. Testo

  4. Nei Vangeli si parla di fratelli di Gesù sia in senso lato (cfr. Mt. 12,46-49; 28,10: Mc. 3,31-35; Lc. 8,19-21; Io. 2.12; 7,3.5.10; 20,17; Act. 1,14) che in senso specifico, con riferimento a Giacomo (cfr. Gal. 1,19), Giuseppe (cfr. Mc. 6,3), Simone e Giuda (cfr. Mt. 13,55). L'antico dibattito se questi "fratelli del Signore" (1 Cor. 9,5) erano figli naturali di Maria e Giuseppe, nati dopo Gesù, oppure figli di Giuseppe, nati da un precedente matrimonio, oppure figli di una sorella di Maria e quindi cugini, non è stato ancora risolto in modo univoco sulla base dei dati biblici. Molto spesso però, assimilando il significato del greco αδελφος a quello che assume in diversi contesti l'ebraico אח (cfr. p.es. Gen. 13,8; 14,14.16; 29,15; 31,23.25.32.37.46.54), sono stati intesi come "parenti prossimi". Testo

  5. Ep. ad Diogn. VI,1 (ed. F.X. Funk, 1, 400). Testo

  6. Just., Apol. 165 (PG 6, 427). Testo

  7. Just., Dial. cum Tryph. Jud. 134,6 (PG 6, 787). Testo

  8. Cfr. Clem. Rom., 1 Ep. ad Cor. XXXVIII,3 (ed. F.X. Funk, 1, 148). Testo

  9. Cfr. Ignat., Ad Eph. X,3 (PG 5, 653). Testo

  10. Cfr. Clem. Alex., Strom. VII,14,85 (GCS 3, 61) Testo

  11. Tert., Apol. 39,8s(CCL 1, 151). Testo

  12. Soltanto un confessore è stato chiamato da Cipriano "fratello" nell'ep. 53 (CCL 3/B, 250). Testo

  13. A. Carpin, Cipriano di Cartagine. Il vescovo nella Chiesa. La Chiesa nel vescovo, Bologna 2006, p. 51. Cfr. anche K. H. Schelkle, Bruder, in Reallexikon für Antike und Christentum II, (1954), p. 640. Testo

  14. Per quanto riguarda i vescovi cfr. Eus., Vita Const. 3,24 (PG 20, 1084s); Aug., De cath. rud. 1 (CCL 46, 121) Testo

  15. Per quanto riguarda i monaci cfr. Basil., Reg. brev. 104 (PG 31, 1061); Hier., In Hier. 4, praef. (CCL 74, 174); Egeria, Itiner. 10,3 (CCL 175, 50). Testo

  16. Cfr. F. Dolger, Brüderlichkeit der Fürsten, in Reallexikon für Antike und Christentum II (1954), p. 644; J. Ratzinger, Fraternité, in Dictionnaire de Spiritualità ascétique et mystique V, Paris 1964, c. 1149s; A. Hamman - M. Maritano, fratello/sorella, in Nuovo Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane II, Genova 2007, cc. 2004-2005. Testo

  17. Cfr. Ratzinger, Fraternité 1152s; Idem, Die christlische Brüderlichkeit, München 1960, p. 58. Testo

  18. Opt., Adv. Donat.1,4,1 (SCh 412, 178): Et quia collegium episcopale nolunt nobiscum habere commune, non sint collegati, si nolunt! Tamen, ut supra diximus, fratres sunt. Testo

  19. Cfr. Opt., Adv. Donat. II,3,1s (SCh 412, 246). Testo

  20. Cfr. Opt., Adv. Donat. II,3,2 (SCh 412, 246); cfr. anche P. Zmire, Recherches sur la collégialité épiscopale dans l'Église d'Afrique, in Recherches Augustiniennes 7 (1971), p. 58. Testo

  21. Cfr. Opt., Adv. Donat. I,4,4 (SCh 412, 178). Verosimilmente tra il 364 e il 367, subito dopo aver assunto la carica episcopale (361-363), Ottato sentì l'esigenza di confutare il vescovo scismatico Parmeniano, per arginare il crescente prestigio che la Chiesa dissidente stava traendo dalla politica filopagana di Giuliano, e molto probabilmente quando il vicario dell'Africa Flaviano, convinto restauratore del paganesimo, veniva nominato praefectus pretorio Italiae Illyrici et Africae (383) e molti approfittavano della situazione per screditare ulteriormente i successori di Ceciliano, compose la seconda redazione del suo trattato. A tale proposito cfr. P. Marone, L'esegesi biblica di Ottato di Milevi, (Studi e Proposte 5), Roma 2008, p. 31ss. Testo

  22. Cfr. J. Ratzinger, Volk Gottes in Augustinus Lehre von der Kirche, München 1954, p.116. Testo

  23. Cfr. Opt., Adv. Donat. 1,3,2 (SCh 412, 176). Testo

  24. Cfr. Opt., Adv. Donat. I,3,3 (SCh 412, 176). Testo

  25. Cfr. Opt., Adv. Donat. IV,2,5 (SCh 413, 84). Testo

  26. Cfr. Opt., Adv. Donat. III,9,4 (SCh 413, 64). Testo

  27. Cfr. Opt., Adv. Donat. I,3,2 (SCh 412, 176). Per Ottato infatti i donatisti erano i figli malvagi che avevano abbandonato la madre (I,2 [SCh 412, 174-176]) e diviso in due il popolo di Dio (II,12-13 [SCh 412, 264-266] e VI,1 [SCh 413, 160ss]), e il loro principale peccato era la superbia (II,20 [SCh 412, 280ss]) rivolta soprattutto a corrompere la disciplina (IV,4 [SCh 413, 86-88]). Su questo argomento cfr. P. Marone, La distinzione tra lo scisma e l'eresia maturata durante la polemica donatista, in Annales Theologici 22 (2008), pp. 105-114. Testo

  28. Si tenga presente che un secolo prima di Ottato, Cipriano (epp. 71,2,1 [CCL 3/C, 518]; 73, 23,1 [CCL 3/C, 557s]; 74,12 [CCL 3/C, 579s]) considerava come "battezzati" soltanto quelli che avevano ricevuto il battesimo dentro la Chiesa cattolica. Testo

  29. Cfr. Opt., Adv. Donat. I,1,1 (SCh 412, 172). Testo

  30. Opt., Adv. Donat. I,3,1 (SCh 412, 176). Testo

  31. Opt., Adv. Donat. I,3,1 (SCh 412, 176). Testo

  32. Opt., Adv. Donat. I,4,1 (SCh 412, 178). Testo

  33. Secondo il computo fatto da A. Mandouze (Optatus 1, in Prosopographie de l'Afrique chrétienne [303-353], Paris 1982, p. 795), il termine frater ricorreva più di 60 volte nell'opera del Milevitano. Testo

  34. Opt. Adv. Donat. I,4,2 (SCh 412, 178). Testo

  35. Opt., Adv. Donat. IV,2,1 (SCh 413, 80s). Testo

  36. Opt., Adv. Donat.VII,2,4 (SCh 413, 218). Testo

  37. Cfr. Opt., Adv. Donat. IV,4,2 (SCh 413, 88). Testo

  38. Cfr. Opt., Adv. Donat. III,9,3 (SCh 413, 64). Testo

  39. Cfr. Aug., En. in Ps. 32,3,29, en. 2 (CCL 38, 272). Testo

  40. Cfr. Aug., Loc. in Hept. II,56 (CCL 33, 411). Testo

  41. Cfr. Aug., En. in Ps. 25,2, en. 2 (CCL 38, 142). Testo

  42. Aug., En. in Ps. 54,16 (CCL 39, 668). Come ha giustamente rilevato P. Monceaux (Histoire littéraire de l'Afrique chrétienne depuis les origines jusqu'à l'invasion arabe, V, Paris 1920, pp. 154-155), i donatisti preferivano insistere sugli elementi di contrasto con i cattolici. Testo

  43. I passi agostiniani concernenti Is. 66,5 si trovano in: Aug., ep. 23,1 (CSEL 34/I, 64); Idem, C. partem Don. p. gesta 35,58 (CSEL 53, 160); Idem, Sermo ad Caesariensis ecclesiae plebem 2 (CSEL 53, 169); Idem, C. Gaud. II,11,12 (CSEL 53, 270); Idem, En. in Ps. 32,3,29, en. 2 (CCL 38, 272). A tale proposito cfr. É. Lamirande, La situation ecclésiologique des donatistes d'après saint Augustin. Contribution à l'histoire doctrinale de l'œcuménisme, Ottawa 1972, p. 84s. Testo

  44. Come è noto lo scisma donatista ebbe inizio quando tra il 308 e il 311 un concilio di vescovi presieduto da Secondo di Tigisi dichiarò deposto Ceciliano e pose a capo della Chiesa di Cartagine Maggiorino, che fino a quel momento era stato un semplice lettore. Secondo tale concilio anche il fatto di essere in comunione con chi, come Ceciliano, poteva essere stato ordinato da uno che aveva consegnato i libri sacri durante la persecuzione, vale a dire Felice di Aptungi, comportava necessariamente una vera e propria apostasia. Sui prodromi dello scisma donatista cfr. E. Buonaiuti, Il Cristianesimo nell'Africa Romana, Bari 1928, pp. 292-311; T.D. Barnes, The Beginnings of Donatism, in Journal of Theological Studies 26 (1975), pp. 13-22. Testo

  45. Cfr. Aug., Serm. 359,6 (PL 39, 1595). Del resto, secondo Agostino (cfr. p.es. Aug., C. litt. Pet. II,76,170 [CSEL 52, 106]), nella Chiesa da sempre per il bene della pace, e per garantire l'unità, i cristiani erano costretti a sopportare i cattivi fratelli. Testo

  46. Aug., En. in Ps. 32,3,29, en. 2 (CCL 38, 272). Testo

  47. Ibidem. Testo

  48. Cfr. C. Dell'Osso, Il «Christus Totus»: Chiesa ed Eucaristia in alcuni testi di S. Agostino, in Rivista di Scienze Religiose 2 (2004), pp. 337-353. Testo

  49. Cfr. Aug., En. in Ps. 32,3,29, en. 2 (CCL 38, 272). Cfr. Dell'Osso, Il «Christus, pp. 341-42. Testo

  50. Cfr. Aug., Ep. 128, 2 (CSEL 44, 30-31). Testo

  51. Sulla metafora della Chiesa madre nella controversia donatista cfr. P. Marone, La metafora dell'Ecclesia mater nella letteratura antidonatista, in Annales Theologici 23 (2009), (in corso di stampa). Testo

  52. Cfr. Aug., Serm. 359,6 (PL 39, 1595). Testo

  53. Cfr. Aug., En. in Ps. 21,2,30 (CCL 38, 131-132). Come ha affermato P. Borgomeo (L'Église de ce temps dans la prédication de Saint Augustin, Études Augustiniennes, Paris 1972, p. 205), «Ainsi, aux donatistes qui ne veulent pas reconnaître la Catholica, l'Église, le corps, répète exactement les paroles que le Christ, la tête, adressait aux Juif incrédules : "Interpretez les Écritures: elles donnent témoignage de moi" ; et, avec combien de tristesse : "Vous me chercherez et vouz ne me trouverez pas" (Serm. 129,3)». Testo

  54. Cfr. Aug., En. in Ps. 21,2,30 (CCL 38, 132). Testo

  55. Da uno studio di P.A. Harland (Familial Dimensions of Group Identity: "Brothers" [Adelfoi] in Associations of the Greek East, in Journal of Biblical Literature 124/3 [2005], pp. 491-513) risulta che il termine "fratello" anche prima del cristianesimo era utilizzato per identificare i membri di piccole comunità. Testo

  56. Cfr. Passio sanctorum Dativi, Saturnini presbyteri et aliorum 2, ed. P. Franchi De' Cavalieri, Studi e Testi 65 (1935), p. 50: Fas enim non fuerat ut in ecclesia Dei simul essent martyres et traditores. Testo

  57. Aug., C. partem Don. p. gesta I,1 (CSEL 53, 98); cfr. J.-P. Brisson, Autonomisme et Christianisme dans l'Afrique romaine, Paris 1958, pp.126-129. Testo

  58. Opt., Adv. Donat. I,3,1 (SCh 412, 176): nolint se dici fratres nostros.... Testo

  59. Opt., Adv. Donat. III,8,8 (SCh 413, 60): noluerunt fratres agnoscere... Testo

  60. Opt., Adv. Donat. IV,2,3 (SCh 413, 82): Vos nobiscum id est cum fratribus pacem habere non vultis. Testo

  61. Opt., Adv. Donat. IV,4,2 (SCh 413, 88): In uno habitare cum fratribus non vis... Testo

  62. Cfr. Aug., En. in Ps. 32,3,29, en. 2, (CCL 38, 272). Testo