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Esegesi biblica e teologia sacramentaria nella prima fase della controversia donatista

di Paola Marone (29 marzo 2006)

1. Introduzione

In Africa, mentre i donatisti per giustificare la liceità dello scisma si ispiravano direttamente a Cipriano e in molti casi estremizzavano e radicalizzavano le idee di quell'illustre Padre della Chiesa, i cattolici stavano cominciando a guardare con favore alle deliberazioni della Chiesa di Roma. Tuttavia non sembra fuori luogo dire che per vari decenni gli scritti polemici dei dissidenti sono rimasti senza un'adeguata risposta, proprio perché tale risposta inevitabilmente avrebbe portato a rivedere, e forse anche mettere in discussione, l'autorità di Cipriano. Ottato, a quanto risulta dalle testimonianze antiche, per primo si cimentò nella confutazione di un'opera scritta da uno scismatico e in questo suo lavoro si confrontò con svariate tematiche di carattere storico e religioso, facendo sempre largo uso della Scrittura.1

Ora se già la specifica questione della cathedra Petri trattata da Ottato in relazione a Mt. 16, 18 è stata percepita in un articolo di Eno come un momento di rottura rispetto alla precedente tradizione africana,2 in questo contesto si vuole mostrare come più in generale l'esegesi del vescovo di Milevi costituisca il principale veicolo della trasformazione della teologia africana. Visto il frequente ricorso all'autorità della Scrittura che venne fatto nel corso della controversia donatista, anche nell'opera di Ottato si può notare facilmente come la polemica, che pure riguardava propriamente degli aspetti disciplinari, abbia trovato terreno fertile nello specifico contesto dell'esegesi biblica e proprio in tal modo sia riuscita a determinare un sostanziale cambiamento di alcuni di quegli schemi ecclesiologici e sacramentali che ormai, almeno nella Proconsolare, si potevano dire consolidati.

Quando parliamo dell'opera di Ottato ci riferiamo al trattato, generalmente noto come Adversus donatistas, scritto nella prima fase della controversia donatista per confutare il perduto Adversus ecclesiam traditorum dello scismatico Parmeniano.3

Numerosi sono stati nel Novecento gli studiosi dell'Adversus donatistas, ma né quelli che si sono occupati direttamente dell'interpretazione della Scrittura,4 né quelli che hanno avuto a che fare con l'ecclesiologia e la sacramentaria,5 sono di solito entrati nel merito dell'utilizzo di specifici passi biblici. Certamente i lavori finora pubblicati lasciano ancora molto da esplorare su quanto attiene contemporaneamente all'esegesi e alla teologia. Dunque con lo scopo di mettere a fuoco le principali trasformazioni che si possono essere verificate nella teologia africana del IV secolo, rispetto alla tradizione precedente, egregiamente rappresentata da un autore come Cipriano, prima inquadreremo l'Adversus donatistas nella fase iniziale della controversia donatista e poi osserveremo in che modo Ottato si sia avvalso quasi esclusivamente dell'autorità della Scrittura, per rifiutare quei capisaldi della prassi battesimale africana che con tanto vigore Parmeniano continuava a sostenere.

2. Alcuni punti nodali della fase iniziale della controversia donatista

Nel Trecento, nonostante la politica religiosa di Costantino e dei suoi successori,6 i donatisti, denominati propriamente come pars Donati, dato che prendevano il nome dal Donato successore di Maggiorino,7 anziché vacillare, riscuotevano una crescente popolarità. Potevano contare sulla complicità dei circoncellioni, gli esponenti rivoluzionari che nel frattempo si erano raccolti intorno al malcontento agrario,8 ma soprattutto si richiamavano costantemente alla tradizione più propriamente africana, che discendeva direttamente dalla predicazione di Cipriano.9 Ispirandosi a tale autore, questi riuscirono facilmente a parlare della purezza e dell'integrità, videro il martirio come la morte più gradita a Dio e ritennero che il battesimo dovesse essere amministrato da un uomo esente dal peccato. Se già Tertulliano aveva concepito la comunità cristiana dell'Africa in termini esclusivisti (cfr. De spectaculis 1, CCL 1, p. 227), esaltando l'esperienza del martirio (cfr. De fuga 5, CCL 2, pp. 1141-1142) e ponendo la santità dei suoi membri in relazione alla corretta amministrazione dei sacramenti (cfr. De baptismo 15, CCL 1, p. 290), Cipriano, che dopo la persecuzione di Decio si era confrontato con la delicata questione del battesimo conferito dagli eretici, ancora più vigorosamente sostenne quelle idee. Basti pensare che nella disputa con papa Stefano (254-256), il vescovo e martire di Cartagine, ritenendo con gli altri vescovi della Proconsolare che nessun prete in peccato mortale avrebbe potuto amministrare un sacramento valido, affermò che era dovere della comunità estromettere qualsiasi prete di tal genere per non essere contaminati (cfr. Ep. 67, 4, CCL 3/C, pp. 452-454), e stabilì anche che non ci poteva essere un battesimo valido fuori della Chiesa, per cui quelli che lo avevano ricevuto nelle sette di eretici e scismatici lo dovevano ricevere una seconda volta quando decidevano di professare la fede cattolica (cfr. Ep. 69-74, CCL 3/C, pp. 469-580).

Estremizzando gli scritti di quell'illustre predecessore, fino al punto quasi di contraddirli, i donatisti si erano convinti di essere l'unica Chiesa dell'Africa, e in varie circostanze avevano rivendicato con fermezza di rappresentare l'autentica tradizione ecclesiastica, senza smettere mai di attribuirsi perfino il titolo di «cattolici». Così infatti ce li presentano i più antichi documenti della sétta,10 e ancora nella conferenza di Cartagine del 411 presieduta dal tribuno e notaio Marcellino, che decretò la ricomposizione dello scisma,11 li vediamo rivendicare per la loro parte quell'appellativo, che invece nell'uso comune era sempre riservato ai loro rivali.12

Già nei primi decenni del IV secolo, dopo che Donato di Cartagine,13 secondo la testimonianza di Girolamo (De viris illustribus 93, TU 14/1, p. 46), era riuscito ad avere dalla sua parte «quasi tutta l'Africa», quelli che rifiutavano qualsiasi contatto con i traditores avevano raggiunto una tale affermazione14 che li aveva portati ancora prima dei cattolici ad aprire il contraddittorio con la pubblicazione di una serie di libelli di propaganda e delazione. E anche se questi scritti dovevano essere proliferati, da richiamare l'attenzione dell'Impero e ben presto essere messi al bando da Costantino e da Costante,15 per alcuni decenni i cattolici sembrano averli ignorati.

Per quanto almeno nel Nord Africa il donatismo rappresentasse una seria minaccia per la Chiesa ufficiale, che si trovava improvvisamente in una posizione minoritaria, i cattolici stentarono a trovare una risposta teologica che potesse in qualche modo cambiare quella situazione. Anche il fatto -- come si diceva in apertura -- di trovarsi inevitabilmente a mettere in discussione l'autorità di Cipriano, sulla quale gli scismatici avevano costruito gran parte del loro sistema ecclesiologico e sacramentale, può essere stato un deterrente non trascurabile. Così per quasi cinquant'anni non abbiamo traccia di attacchi letterari contro il donatismo, né da parte dei cattolici dell'Africa e neanche da parte di quelli di Roma, dove pure a partire dal 320 si era stabilita una piccola comunità scismatica.16

Solo a circa mezzo secolo di distanza da quando aveva dato vita a un vero e proprio scisma a Cartagine, quel movimento, che si riconosceva nella Chiesa dei santi e dei martiri, cominciò ad essere oggetto di una specifica opera di contrasto da parte degli interpreti della Chiesa ufficiale. Ottato di Milevi, vescovo cattolico vissuto all'epoca dei papi Damaso e Siricio, fu il primo fiero avversario del donatismo, capace addirittura di condizionare il ben noto Agostino.17 Una solida preparazione culturale che spaziava dall'esegesi biblica alla teologia, senza disdegnare discipline propriamente profane come la retorica e la giurisprudenza, deve aver sostenuto quel Padre della Chiesa mentre si cimentava nella sua attività letteraria e pastorale.

Di fronte al rifiuto della Chiesa dissidente di partecipare a un pubblico contraddittorio, il vescovo di Milevi rispose all'Adversus ecclesiam traditorum del già famoso Parmeniano con l'Adversus donatistas (cfr. Adversus donatistas I, 4, 3-4, SCh 412, p. 178).18 Verosimilmente tra il 364 e il 367, subito dopo aver assunto la carica episcopale (361-363), egli sentì l'esigenza di confutare Parmeniano, per arginare il crescente prestigio che la Chiesa dissidente stava traendo dalla politica filo-pagana di Giuliano, e molto probabilmente, quando il vicario dell'Africa Flaviano, convinto restauratore del paganesimo, veniva nominato praefectus praetorio Italiae Illyrici et Africae (383) e molti approfittavano della situazione per screditare ulteriormente i successori di Ceciliano, decise di rivedere e approfondire quello che aveva già scritto. Non a caso anche le diverse versioni con cui i manoscritti del suo trattato ci hanno trasmesso le liste dei vescovi di Roma cattolici e donatisti (cfr. Adversus donatistas II, 3 e II, 4, SCh 412, pp. 244-248), ci riportano inequivocabilmente a due stesure composte a circa vent'anni di distanza l'una dall'altra.19

La lotta al donatismo doveva essere la preoccupazione dominante di quel vescovo, che nell'arco di vent'anni sembra aver lavorato esclusivamente alla composizione dell'Adversus donatistas. Del resto, se già gli autori antichi ci riferiscono che egli scrisse solo quell'opera contro il donatismo,20 di tutti gli scritti inediti o di incerta paternità, quali sono i Sermones sul Natale,21 sull'Epifania22 e sulla Pasqua,23 che sulla base di varie affinità contenutistiche e stilistiche in passato gli sono stati attribuiti, si può dire ormai conclusa in senso negativo la questione della paternità.24

3. Parmeniano e la teologia di Cipriano

Grazie all'Adversus donatistas noi oggi possiamo conoscere in gran parte il perduto Adversus ecclesiam traditorum di Parmeniano, e dunque affermare che, come la maggior parte dei donatisti, anche il vescovo scismatico di Cartagine rapportava la santità ad una dimensione di carattere collettivo, legata innanzitutto all'appartenenza ad una comunità esclusiva. In sostanza riteneva che la colpevolezza di un vescovo rendesse automaticamente inefficaci le orazioni pronunciate nel conferimento dei sacramenti e, cosa ancora più grave, minacciasse in concreto l'identità della Chiesa, dando vita ad una sorta di anti-chiesa.25 Per Parmeniano era decisivo riuscire a dimostrare che l'efficacia dei sacramenti e la santità dei ministri avevano un ruolo fondamentale nel raggiungimento della vita eterna e potevano aver luogo solo nell'ambito della comunità che garantiva l'integrità. Dunque in più di una circostanza, per avvalorare le sue convinzioni e al tempo stesso essere il più possibile incisivo, Parmeniano pensò bene di attingere direttamente dalla parola di Dio.

Nella Scrittura trovavano sostegno le principali argomentazioni trattate in ciascuno dei cinque libri di cui si componeva l'Adversus ecclesiam traditorum, e su tale base veniva trattata anche la necessità di ripetere il battesimo sui nuovi adepti che lo avevano ricevuto precedentemente nella comunità cattolica. Solo il battesimo amministrato nella sétta, infatti, in quell'opera che non ci è pervenuta era esaltato come l'iniziazione dei cristiani, prefigurata nel diluvio e nella circoncisione (cfr. Gen. 8, 8-12; 17, 9-14 in Adversus donatistas V, 1, 2, SCh 413, p. 110), e per i suoi effetti salutari, che lo rendevano paragonabile alla guarigione di Naaman il Siro (cfr. 4 Reg. 5, 14 in Adversus donatistas V, 9, 1, SCh 413, p. 154), risultava l'unico sacramento valido a cui dovevano aspirare tutti i fedeli. Nella cultura cristiana il diluvio, che simboleggiava l'atto salvifico esclusivo con il quale Dio aveva ricreato il mondo, e la circoncisione, attraverso la quale Dio aveva sancito la sua alleanza con l'umanità, costituivano già due tipiche immagini del battesimo.26 E dunque per Parmeniano era giusto pensare che, come nella vecchia economia si erano salvati quelli che erano rimasti dentro l'arca di Noè ed erano stati circoncisi, nel tempo presente si sarebbe potuto salvare solo chi riceveva l'unico battesimo nella sétta che lui rappresentava.

Inoltre, nell'Adversus ecclesiam traditorum anche un'ecclesiologia alquanto originale era tutta in funzione di questa teologia sacramentale. Basti pensare che, secondo Parmeniano, la vera Chiesa di Cristo, che poi poteva essere identificata solo con la comunità donatista, coincideva con l'unica e perfetta sposa del Cantico dei Cantici, preservata come un giardino chiuso o una fonte sigillata (cfr. Ct. 4, 12; 6, 8-9 inAdversus donatistas I, 10, 3-4, SCh 412, p. 192) e al tempo stesso adornata e contraddistinta dalle doti (cfr. Ct. 7, 2 in Adversus donatistas II, 5, 1-8, 2, SCh 412, pp. 250-260) della cathedra (= potere delle chiavi), dell'angelus (= l'angelo che secondo Io. 5, 4 muove le acque battesimali come il vescovo), dello Spiritus, del fons (= l'acqua santificante del battesimo), del sigillum (= il simbolo della fede) e dell'umbilicus (= l'altare da cui scaturisce la fecondità della Chiesa).27 Solo la vera Chiesa sarebbe stata omaggiata da Dio delle doti, e ne avrebbe potuto disporre nella vita ecclesiale e nell'amministrazione dei sacramenti. Così chi non poteva vantare alcun legame con tali doti, perché era un peccatore o comunque era disposto ad accettare all'interno del corpo di Cristo la presenza dei peccatori, non sarebbe stato in grado di amministrare i sacramenti, di purificare, di risollevare chi è caduto, di dare la libertà, di concedere il perdono e di assolvere dai peccati (cfr. Adversus donatistas I, 10, 6, SCh 412, p. 194), in poche parole non avrebbe potuto dare quello che non possedeva. Qui non habet quod quomodo dat? (Adversus donatistas V, 4, 7, SCh 413, p. 130) -- diceva Parmeniano -- ricalcando apertamente il famoso adagio ciprianeo: Quis autem potest dare quod ipse non habeat (Ep. 70, 2, 1-3, CCL 3/C, pp. 509).28

Riferendosi continuamente in termini biblici quel vescovo donatista, esaminava i fatti dell'ultimo cinquantennio del IV secolo, arrivando a pronunciare una condanna senza appello per la traditio dei libri sacri commessa durante la persecuzione di Diocleziano da molti ecclesiastici africani. Per lui, come per i fondatori del movimento di cui faceva parte, quel gesto non si trattava di una semplice debolezza, ma significava rinnegare la parola di Dio, fino al punto di porsi volontariamente fuori della Chiesa e perdere qualsiasi legame con la santità.29 Perciò quei ministri di Cristo che erano stati dei traditores, o che erano rimasti solidali con dei traditores, amministrando il battesimo avrebbero attinto l'acqua da «cisterne screpolate», come dice Ier. 2, 13, e non dalla «sorgente viva» di Cristo (cfr. Adversus donatistas IV, 9, 1, SCh 413, p. 104). Nella fattispecie tutti gli ecclesiastici cattolici che erano rimasti in comunione con Ceciliano o con i suoi successori potevano essere definiti sacrileghi. La solidarietà con i traditores avrebbe comportato una vera e propria «macchia ereditaria», che attraverso l'amministrazione del battesimo si sarebbe trasmessa ai fedeli, con le stesse modalità con cui si trasmetteva il peccato originale (cfr. Adversus donatistas VII, 1, 25, SCh 413, p. 206; VII, 1, 45, SCh 413, p. 216).30 E per evitare qualsiasi fraintendimento, dato che era fermamente convinto del fatto che «le cose che un uomo immondo tocca, diventeranno immonde» (cfr. Agg. 2, 14 in Adversus donatistas VI, 3, 1, SCh 413, p. 168), il vescovo donatista ricorreva simultaneamente a 1 Cor. 5, 11 («Con essi non prendere cibo»), 2 Io. 10 («non direte loro Ave») e 2 Tim. 2, 17 («il loro parlare infatti si allarga come una cancrena»), per dimostrare che, per non essere contaminati dal peccato, praticamente bisognava rimanere separati dalla Chiesa ufficiale, evitando accuratamente qualsiasi tipo di contatto con i colleghi cattolici (cfr. Adversus donatistas IV, 5, 4-5, SCh 413, pp. 91-92).

Effettivamente Parmeniano della continuità con Cipriano doveva aver fatto un punto di forza della sua teologia. Non a caso già il suo illustre predecessore si era avvalso di vari passi del Cantico dei Cantici, per rappresentare la vera Chiesa come la sposa di Cristo, il giardino, la fonte sigillata e la colomba, con esplicito riferimento al tema dell'unicità (cfr. Ep. 69, 2, 1, CCL 3/C, pp. 471-472). Inoltre anche nelle lettere del vescovo cattolico, per giustificare l'invalidità del battesimo conferito dai ministri indegni, veniva usato Ier. 2, 13 (cfr. Ep. 70, 1, 1, CCL 3/C, p. 503), passi come 2 Io. 10 e 2 Tim. 2, 17 servivano per ammonire a stare in guardia dall'avere contatti con quelli che avevano peccato contro la Chiesa (cfr. Ep. 73, 15, 1, CCL 3/C, p. 546) e il tema del diluvio genesiaco si radicava sulla tipologia che descriveva la natura esclusivista della Chiesa come l'arca di Noè (cfr. Ep. 74, 11, 3, CCL 3/C, p. 579). In altre parole, per il donatista come per Cipriano non poteva esistere un battesimo salvifico fuori della Chiesa, ma l'unico battesimo poteva essere conferito solamente dentro la vera e unica Chiesa.

4. Ottato e il superamento della teologia africana

Dunque Ottato, confutando il suo avversario, ci ha documentato molte delle affinità che dovevano intercorrere tra Cipriano e i donatisti, ma ci ha fatto capire anche di aver evitato di attingere dal vescovo e martire di Cartagine, quando aveva l'esigenza di pronunciarsi su quella che doveva essere la corretta amministrazione dei sacramenti. Del resto nel trattato antidonatista Cipriano è nominato soltanto due volte, e solo in riferimento alla cattedra episcopale che lui occupava. Si legge infatti nel libro I: Nec Caecilianus recessit a cathedra Petri vel Cypriani sed Maiorinus cuius tu cathedram sedes, quae ante ipsum Maiorinum originem non habet (Adversus donatistas I, 10, 5, SCh 412, p. 194); e poco più avanti: Conferta erat ecclesia populis, plena erat cathedra episcopalis, erat altare loco suo in quo pacifici episcopi retro temporis obtulerant, Cyprianus, Carpoforius, Lucilianus et ceteri (Adversus donatistas I, 19, 3, SCh 412, pp. 212-213). Al di là di queste due volte, Ottato non fece più cenno a Cipriano, come se volesse intenzionalmente evitare di approfondire l'insegnamento di quell'illustre Padre della Chiesa.

Se Parmeniano aveva portato alle estreme conseguenze le idee di Cipriano, Ottato dal canto suo si trovò molto probabilmente a constatare che, nonostante l'autorità indiscussa che quel Padre della Chiesa continuava ad avere, era ormai impossibile accettare in toto la teologia sacramentaria che era legata alla tradizione africana. Nel 313, infatti, il concilio di Roma aveva condannato Donato, proprio a causa della ripetizione del battesimo effettuata sui nuovi adepti, nel 314 il concilio di Arles aveva condannato la prassi del doppio battesimo, resa pienamente operativa dallo scisma donatista e nel 345-348 il concilio di Cartagine aveva confermato quelle decisioni.31 E tutto questo doveva essere abbastanza per vedere il pensiero di Cipriano come un ostacolo per promuovere l'unità della Chiesa.

Così, anche se non si oppose mai apertamente a quel famoso vescovo cattolico, il Milevitano in sostanza ne metteva in discussione la teologia, quando confutava i donatisti.32 Mentre Parmeniano e Cipriano escludevano categoricamente qualsiasi possibilità di salvezza per chi si trovava fuori della Chiesa, Ottato andava a delineare una sorta di «periferia» della Chiesa (quasi ecclesia: Adversus donatistas III, 10, 6, SCh 413, p. 68), nella quale i sacramenti potevano essere amministrati in modo valido, come nella vera Chiesa, che per lui era evidentemente la Chiesa cattolica. Prendendo le distanze dal radicalismo africano che distingueva nettamente tra dentro e fuori la Chiesa, tra seguire Cristo e amare il mondo, tra veri cristiani e nemici, il vescovo di Milevi ammetteva che anche presso i suoi avversari potesse aver luogo la santificazione battesimale. Per lui il sacramento più che un actus ecclesiae era membrum et viscera ecclesiae (Adversus donatistas II, 10, 1, SCh 412, p. 262; IV, 2, 4, SCh 413, p. 82), e la Chiesa lo possedeva, ma non ne era l'artefice.33 Secondo Ottato il sacramento era una realtà «indipendente», ovvero chi lo operava non era la Chiesa, ma Dio stesso.34 Di conseguenza nell'Adversus donatistas veniva dato ampio spazio al ruolo decisivo di Dio nel conferimento del battesimo. E se nello specifico la Trinità, il credente e il ministro erano i tre elementi che potevano essere riconosciuti nell'amministrazione di quel sacramento (cfr. Adversus donatistas V, 4, 1, SCh 413, p. 126s), il terzo elemento, cioè il ministro, che per i donatisti era fondamentale ai fini della validità del sacramento stesso, a quel punto passava assolutamente in secondo piano. Si legge infatti nel libro V del trattato antidonatista che l'invocazione della Trinità e la fede del credente sono veramente necessariae, mentre la figura del ministro è quasi necessaria (Adversus donatistas V, 4, 1, SCh 413, p. 128).

Approfondendo quello che innanzitutto aveva dichiarato papa Stefano nella disputa con Cipriano, Ottato sosteneva che senza l'invocazione della Trinità non si poteva avere il rito battesimale (Principalem locum Trinitas possidet, sine qua res ipsa non potest geri: Adversus donatistas V, 4, 1, SCh 413, p. 128). Allora il dono celeste poteva essere concesso ad ogni credente non dagli uomini, ma dalla Trinità (cfr. Adversus donatistas V, 3, 1, SCh 413, p. 120) e il sacramento del battesimo diventava interamente opera di Dio (cfr. Adversus donatistas V, 7, 8, SCh 413, p. 146).

A sostegno di tutto questo subentrava costantemente l'autorità della Scrittura. Nell'Adversus donatistas in primo luogo da Mt. 28, 19, in cui Cristo lascia ai suoi discepoli il comando di battezzare «tutte le genti nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (Adversus donatistas V, 3, 5-6. 8, SCh 413, pp. 122-124), emergeva l'imprescindibilità dell'invocazione del nome della Trinità. In secondo luogo da 1 Cor. 3, 7, che attraverso la metafora del vignaiuolo definisce Paolo e Apollo come coloro che piantano e irrigano e Dio come colui che fa crescere, scaturiva direttamente che i ministri sulla Chiesa non hanno il potere, ma il servizio (cfr. Adversus donatistas V, 7, 10, SCh 413, pp. 146-148).

Come in base alla parola di Dio poteva essere riconosciuta l'unicità del battesimo conferito nel nome della Trinità, così dalla parola di Dio veniva mostrata anche l'illegittimità della reiterazione del sacramento che era stato già amministrato nella sétta. In particolare da Io. 13, 10 in cui Cristo afferma che «chi si è già lavato una volta non ha bisogno di lavarsi ancora», risultava completamente fuori luogo la pratica del doppio battesimo, che fino a quel momento aveva avuto grande spazio nella Chiesa africana (cfr. Adversus donatistas IV, 4, 2, SCh 413, p. 88; V, 3, 10-11, SCh 413, pp. 124-126). Mentre Cipriano e i donatisti insistevano sul fatto che è la Chiesa a dare il dono del battesimo tramite i suoi ministri, perché tutti i doni sono posseduti innanzitutto dalla Chiesa, Ottato invece, ribaltando radicalmente la questione, metteva in rilievo che è sempre Dio a dare il battesimo per mezzo della Chiesa e dei suoi ministri.

Ma se l'esegesi può essere stata il principale veicolo della trasformazione della teologia africana, questo non esclude che il superamento della tradizione sia stato in qualche modo supportato anche dall'evoluzione che nel IV secolo subì la versione della Scrittura di uso corrente in Africa.35 Un'evoluzione che tra l'altro è ampiamente attestata nell'opera di Ottato ed in larga parte sembra da attribuire proprio al vescovo di Milevi.36 Si pensi ad esempio a come nell'Adversus donatistas sono citati i passi di Io. 13, 10 (Qui semel lotus est non habet necessitatem iterum lavandi: Adversus donatistas IV, 4, 2, SCh 413, p. 88; V, 3, 7. 8, SCh 413, pp. 122. 124) e 1 Cor. 3, 7 (Neque qui plantat neque qui rigat est aliquid sed solus Deus qui ad incrementa perducit: Adversus donatistas V, 7, 10, SCh 413, p. 148), sui quali abbiamo richiamato sopra l'attenzione. Nella fattispecie di tali passi non ci sembrano per niente casuali i lemmi iterum lavandi e solus, che non trovano riscontro nella Vetus latina, nelle opere di Cipriano e nella letteratura donatista, mentre nel trattato antidonatista permettevano di associare più chiaramente alla volontà del Signore l'irripetibilità del battesimo e contribuivano in modo non trascurabile a sottolineare la predominanza della componente divina nell'amministrazione dei sacramenti. E se il fatto che Agostino aggiunse l'espressione iterum lavandi alla versione donatista di Io. 13, 1037 fa pensare che i cattolici potevano aver preso volontariamente le distanze dalla Vetus di Cipriano, che continuava a rappresentare un valido punto di riferimento per i donatisti, il fatto poi di ritrovare Io. 13, 10 con l'espressione iterum lavari nell'Ep. 3 di Paciano,38 ci lascia ipotizzare che nell'Adversus donatistas ci sia stato un adeguamento non solo alle deliberazioni della Chiesa di Roma, ma anche alla Vetus che circolava in Italia prima dell'affermazione della Vulgata di Girolamo. Del resto l'Ep. 3 di Paciano era stata scritta contro Novaziano e, date le affinità tra novaziani e donatisti, poteva costituire un importante punto di partenza nella confutazione di Parmeniano. Inoltre, proprio in questo adeguamento alle deliberazioni della Chiesa di Roma, che nell'Adversus donatistas abbiamo visto coinvolgere innanzitutto l'esegesi biblica, ci sembra a questo punto di poter vedere i primi segnali di quella trasformazione della teologia sacramentale africana, che poi avrebbe trovato il suo completo sviluppo nella dottrina battesimale di Agostino.

5. Conclusione

Volendo studiare la teologia battesimale della prima fase della controversia donatista ci è sembrato utile considerare il contesto più ampio della letteratura cristiana dell'Africa dei primi secoli e dunque prendere in considerazione anche un illustre Padre della Chiesa quale fu Cipriano. Del resto molte delle particolarità dell'opera di Ottato acquistano un significato compiuto proprio quando sono collocate nel contesto di quelli che erano gli orientamenti della cultura del tempo.

Una visione sacramentaria estremamente vicina alle posizioni della Chiesa di Roma portò Ottato a muoversi in settori biblici prima quasi totalmente inesplorati. Certamente la perizia di Parmeniano e dei donatisti in genere può aver influito sull'elaborazione dell'Adversus donatistas, ma soprattutto il grande affidamento che i dissidenti facevano su Cipriano, deve aver spinto Ottato a cercare di intraprendere nuove strade, non solo nel campo battesimale, ma anche nel campo esegetico. Così, se il materiale biblico delle opere del vescovo e martire di Cartagine nel trattato di Parmeniano andava a sostegno della collaudata prassi del doppio battesimo, il materiale biblico inserito per la prima volta dal vescovo di Milevi nel contraddittorio tra donatisti e cattolici svincolava la validità del battesimo dall'ortodossia e anche dalla moralità dei ministri, spostando l'attenzione sull'irripetibilità dei sacramenti e allo stesso tempo fornendo un fondamento teologico agli orientamenti disciplinari della Chiesa di Roma.

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Note

  1. Assai vasta è la bibliografia sul movimento del donatismo. Per gli studi pubblicati nella prima metà del Novecento si può vedere: E. Romero Pose, Medio siglo de estudios sobre el donatismo. (De Monceaux a nuestros días), in «Salmaticensis» 29 (1982), pp. 81-99; e per i più recenti orientamenti della ricerca ci si può indirizzare verso: B. Kriegbaum, Kirche der Traditoren oder Kirche der Märtyrer? Die Vorgeschichte des Donatismus, Innsbruck - Wien 1986; Ch. Pietri, L'échec de l'unité impériale en Afrique. La résistence donatiste (jusqu'en 361) e La difficulté du nouveau système en Occident: la querelle donatiste (363-420), in Histoire du christianisme II, Paris 1995, pp. 229-248; 435-451; M. A. Tilley, The Bible in Christian North Africa. The Donatist World, Minneapolis 1997; S. Lancel - J. S. Alexander, Donatistae, in Augustinus-Lexikon II/3-4, Basel 1999, cc. 606-638 E. Zocca, L'identità cristiana nel dibattito tra cattolici e donatisti, in «Annali di Storia dell'Esegesi» 21/1 (2004), pp. 109-130. Testo

  2. Cfr. R. B. Eno, The Work of Optatus as a Turning Point in the African Ecclesiology, in «Thomist» 37 (1973), pp. 668-685. Testo

  3. Cfr. Ottato, Adversus donatistas, ed. M. Labrousse (1995-1996), SCh 412-413; cfr. anche C. Mazzucco, Note critiche su una nuova edizione di Ottato di Milevi, in «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa» 34 (1998), pp. 109-131. Anche se l'opera di Ottato ci è giunta senza titolo e alcuni editori moderni (p. es. J. Cochlaeus e L. E. Dupin), basandosi sul codex Remensis 221, che nell'explicit dell'ultimo libro riporta l'espressione Ad Parmenianum schismaticorum auctorem, la hanno poi intitolata Contra Parmenianum donatistam o De schismate donatistarum, in questo caso si preferisce utilizzare il titolo proposto dall'ed. M. Labrousse di Adversus donatistas, che più degli altri sembra tenere conto dell'indicazione di Girolamo (De viris illustribus 110, TU 14/1, p. 50: adversum Donatianae partis calumniam). Testo

  4. Sugli studi che sono stati condotti sull'esegesi biblica di Ottato cfr. C. Mazzucco, Ottato di Milevi in un secolo di studi: problemi e prospettive, Bologna 1993, pp. 179-180. Testo

  5. Sugli studi che sono stati condotti sulla teologia di Ottato cfr. C. Mazzucco, Ottato di Milevi in un secolo di studi... , cit., pp. 136-149. Testo

  6. Sulla linea politica adottata da Costantino e dai suoi successori nei confronti del donatismo cfr. F. Martroye, La répression du donatisme et la politique religieuse de Constantin et de ses successeurs en Afrique, in «Mémoires de la Société Nationale des Antiquaires de France» 73 (1913), pp. 23-40; P. P. Joannou, La législation impériale et la christianisation de l'Empire romain (311-476), [Orientalia christiana analecta 192], Roma 1972, p. 34s. Testo

  7. Su Donato di Cartagine, eponimo del movimento donatista, talvolta riconosciuto in Donato di Casae Nigrae, cfr. A. Mandouze, Le mystère Donat, in «Bulletin de la Société Nationale des Antiquaires de France» 1982, pp. 98-104. Testo

  8. Sui Circoncellioni cfr. A. Gotoh, Circumcelliones: the Ideology behind their Activities, in Form of Control and Subordination in Antiquity. Proceedings of the International Symposium for Studies on Ancient Worlds, January 1986, Tokyo, Leiden - New York - København - Köln 1988, pp. 303-311. Testo

  9. La stretta connessione tra la tradizione cristiana africana e il donatismo è stata sottolineata più volte e a proposito di tematiche diverse. Per una panoramica generale sull'argomento ci si può dirigere verso: E. Romero Pose, Donatismo, dottrina, in Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane, a cura di A. Di Berardino, I, Casale Monferrato 1983, cc. 1018-1022. Testo

  10. Cfr. Collatio III, 220, CCL 149/A, pp. 233-234 (= Agostino, Ep. 88, 2, CSEL 34/2, p. 408). Testo

  11. Della Conferenza di Cartagine del 411, che praticamente determinò la ricomposizione dello scisma, registrando anche la partecipazione di illustri donatisti, quali i vescovi Macrobio, Petiliano, Gaudenzio ed Emerito, ci sono pervenuti gli atti mutili nella loro stesura ufficiale (cfr. Gesta Collationis Carthaginiensis, CCL 149/A; S. Lancel, Actes de la conférence de Carthage en 411, SCh 194, SCh 195, SCh 224, SCh 373) e anche il riassunto completo portato a termine da Agostino (cfr. Breviculus collationis cum donatistis, CCL 149/A, pp. 259-306). Testo

  12. In particolare i donatisti si definirono «catholici» nella notoria letta durante la prima giornata (cfr. Collatio I, 14, CCL 149/A, p. 62) e nell'intestazione del loro mandato (Collatio III, 251, CCL 149/A, p. 242). Sulla concezione donatista della cattolicità cfr. B. Quinot, Les donatistes sont-ils catholiques ? , Bibliothèque Augustinienne 30, Paris 1967, p. 785. Testo

  13. V. supra n. 7. Testo

  14. Ci danno un'idea dell'ampia diffusione che erano riusciti ad avere i donatisti in Africa due concili della Chiesa scismatica, vale a dire il concilio riunito a Cartagine da Donato nel 336 che vide la partecipazione di 270 vescovi (cfr. Agostino, Ep. 93, 10, 43, CSEL 34, p. 486) e il concilio riunito a Bagai da Primiano nel 394, dopo lo scisma massimianista, in cui furono coinvolti 310 vescovi (cfr. Agostino, Contra Cresconium III, 52, 58, CSEL 52, p. 463). D'altra parte è anche significativo il fatto che alla conferenza di Cartagine del 411 parteciparono 285 vescovi scismatici e 286 vescovi cattolici (cfr. Collatio I, CCL 149/A, pp. 53-160; S. Lancel, Actes de la conférence de Carthage en 411, Introduction générale, SCh 194, pp. 117-118). Testo

  15. I Libelli donatisti vietati da Costantino nel 319 (cfr. Codex Theodosianus IX, 34, 1, ed. Th. Mommsen, p. 486) e liberalizzati nel 320 (cfr. Codex Theodosianus IX, 34, 2, ed. Th. Mommsen, p. 487), furono nuovamente messi al bando da Costante nel 338 (cfr. Codex Theodosianus IX, 34, 5, ed. Th. Mommsen, p. 487). A tale proposito cfr. Ch. Pietri, L'échec de l'unité «impériale» en Afrique. La résistance donatiste (jusqu'en 361), in: Histoire du Christianisme, II, Paris 1995, pp. 239-243. Testo

  16. Lo stesso Ottato (Adversus donatistas II, 4, 5, SCh 412, p. 248) ci testimonia la presenza di un piccolo gruppo di donatisti detti montenses nella città di Roma. Cfr. Y. M. -J. Congar, Noms des Donatistes de Rome, Bibliothèque Augustinienne 28, Paris 1963, p. 746. Testo

  17. Sull'influenza che Ottato può aver esercitato su Agostino cfr. C. Mazzucco, Ottato di Milevi in un secolo di studi... , cit., p. 133. Testo

  18. D'altra parte il primo confronto diretto tra le due Chiese si verificò nel 403 (cfr. Concilium Cartaginensis a. 403, PL 11, cc. 1200-1201). Testo

  19. Già a partire dall'inizio del Novecento, la maggior parte della critica ha datato le due redazioni dell'opera di Ottato rispettivamente tra il 364 e il 367 e intorno al 385. Cfr. P. Monceaux, Histoire littéraire de l'Afrique chrétienne depuis les origines iusqu'à l'invasion arabe, V, Paris 1920, pp. 248-251. Testo

  20. Cfr. Girolamo, De viris illustribus 110, TU 14/1, p. 50. Testo

  21. Si tratta del Sermo che comincia con le parole Advenit ecce dies qua sacramentum [cfr. Sermo in natali sanctorum innocentium, ed A. Wilmart, in «Revue des Sciences Religieuses» 2 (1922), pp. 282-288]. Testo

  22. Si tratta dei Sermones che cominciano con le parole Meminit sanctitas vestra, dilectissimi fratres, ante paucos dies [cfr. G. Morin, Deux sermons africains du Ve/VIe siècle avec un texte inédit du symbole, in «Revue Bénédictine» 35 (1923), pp. 233-236], Sicut dies hodiernus anniversario reditu [cfr. Agostino, Sermo 131, PL 39, cc. 2005-2007] e Domini et Salvatoris nostri Iesu Christi adventus [cfr. Agostino, Sermo 132, PL 39, cc. 2007-2008]. Testo

  23. Si tratta dei Sermones che cominciano con le parole Solemne tempus devota religione peregrinus [cfr. Sermo in Pascha, ed. A. Wilmart, in «Revue Bénédictine» 41 (1929), pp. 198-199] e Maria veniens ad Christi Domini monumentum [cfr. Sermo in solemnitate sancte Marie Magdalene, ed. V. Saxer, in «Revue Bénédictine» 80 (1970), pp. 42-46]. Testo

  24. I Sermones sull'Epifania, in quanto dipendenti dal Sermo 199 di Agostino, sono stati datati con sicurezza dopo il IV secolo [cfr. H. -D. Altendorf, Recensione a: S. Blomgren, Eine Echtheitsfrage bei Optatus... cit. , c. 600; H. Silvestre, Trois sermons à retirer définitivement de l'héritage d'Optat de Milève, in «Proceedings of the African Classical Association» 7 (1964), pp. 61-62], ma risulta ormai poco consistente anche l'attribuzione a Ottato dei Sermones sulla Pasqua, inizialmente sostenuta già con molte riserve [cfr. V. Saxer, Un sermon médiéval sur la Madeleine. Reprise d'une homélie antique pour Pâque attribuable à Optat de Milève (+392), in «Revue Bénédictine» 80 (1970), pp. 30-37; A. Wilmart, Un prétendu sermon pascal de S. Augustin, in «Revue Bénédictine» 41 (1929), p. 202; G. Morin, in Miscellanea Agostiniana, I, Roma 1930, p. 766]. Testo

  25. Sul concetto di «santità» elaborato da Parmeniano cfr. E. Zocca, Dai «Santi» al «Santo». Un percorso storico-linguistico intorno all'idea di santità (Africa romana secc. II-V), Roma 2003, pp. 198-206. Testo

  26. Sul diluvio e sulla circoncisione come figure del battesimo nella letteratura cristiana dei primi secoli cfr. J. Daniélou, Bible et Liturgie. La théologie biblique des sacrements et des fêtes d'après les Pères de l'Église, Paris 1951, pp. 89-96 e 104-118. Testo

  27. In linea con P. Batiffol (Le catholicisme de Saint Augustin, I, Paris 1920, p. 84), anche G. Nicotra (Dottrina sacramentaria ed ecclesiologica presso i Donatisti, Excerpta ex dissertatione ad lauream in facultate theologica Pontificiae Universitatis Gregorianae, Venegono 1942, p. 25) e E. A. Bonomo (La Chiesa sposa e le doti in Ottato Milevitano, Excerpta ex dissertatione ad lauream in facultate theologica Pontificiae Universitatis Gregorianae, Roma 1943, pp. 13-15) hanno inteso il termine dos nell'accezione di dono nuziale. Comunque tale accezione non ci sembra inconciliabile con quella che al tempo di Parmeniano doveva essere la definizione di dotes proposta dal diritto civile (cfr. W. Choe, Ottato di Milevi, una svolta nella teologia della Chiesa e dei sacramenti, Diss. Istitutum Patristicum Augustinianum, Roma 2000, pp. 66-71). Testo

  28. Cfr. H. Koch, La sopravvivenza di Cipriano nell'antica letteratura cristiana: Cipriano ed Ottato, in «Ricerche Religiose» 7 (1931), p. 330. Testo

  29. Sul concetto di «santità» elaborato da Parmeniano cfr. E. Zocca, Dai «Santi» al «Santo»... , cit., pp. 198-206. Testo

  30. Cfr. anche A. C. De Veer, La traditio considérée par les donatistes comme un péché d'origine, Bibliothèque Augustinienne 31, Paris 1968, pp. 839-842. Testo

  31. Cfr. Concilium Romanum a. 313, in Mansi II, c. 435; Concilium Arelatense a. 314, can. 9, CCL 148, pp. 10-11; Concilium Carthaginense sub Grato, can. 1, CCL 149, pp. 3-4; cfr. anche P. Marone, Le deliberazioni conciliari della chiesa occidentale del IV e V secolo relative ai donatisti convertiti al cattolicesimo, in I concili della cristianità occidentale (secoli III-V). XXX Incontro di studiosi dell'antichità cristiana 3-5 maggio 2001, Studia Ephemeridis Augustinianum, 78, Roma 2002, pp. 271-275. Testo

  32. Probabilmente, come ha sottolineato G. Bavaud (Œuvres de Saint Augustin. Traités antidonatistes. II, Introduction, Bibliothèque Augustinienne 29, Paris 1964, p. 10), nella Chiesa africana del IV secolo sarebbe stato addirittura impensabile scrivere un Contra Cyprianum. Testo

  33. Cfr. W. Simonis, Ecclesia visibilis et invisibilis. Untersuchungen zur Ekklesiologie und Sakramentenlehre in der afrikanischen Tradition von Cyprian bis Augustinus, Frankfurt 1970, p. 46s. Testo

  34. Per l'uso del termine «indipendente» riferito al battesimo cfr. Congar, Œvres de Saint Augustin. Traités antidonatistes. I, Introduction, Bibliothèque Augustinienne 28, Paris 1963, p. 68. Testo

  35. Cfr. U. Moricca, Storia della letteratura latina cristiana, I, Torino 1925, p. 42. Testo

  36. Cfr. P. Capelle, Le texte du psautier latin en Afrique, Roma 1913, pp. 78-81; P. Marone, Ottato e la Scrittura, in «Studi e Materiali di Storia delle Religioni» 70 (2004), pp. 35-42; Eadem, Note sul testo biblico di Ottato, in «Studi e Materiali di Storia delle Religioni» 71 (2006), pp. 309-336. Testo

  37. Precisamente l'Ipponate a proposito di Io. 13, 10 riportò la versione di Petiliano non habet causam nisi pedes lavandi (Petiliano, Ep. ad presbyteros, in: Agostino, Contra litteras Petiliani II, 22, 49, CSEL 52, p. 48; II, 24, 56, CSEL 52, p. 55) e la sua versione qui lotus est non habet necessitatem iterum lavandi, con l'inserzione di iterum come nell'Adversus donatistas (Agostino, Ep. ad catholicos 22, 63, CSEL 52, p. 310; Idem, Contra Cresconium I, 31, 37, CSEL 52, p. 356). Testo

  38. Cfr. Paciano, Ep. 3, 10, PL 13, c. 1070. Tra l'altro si noti che a proposito di Io. 13, 10 la frase iterum lavari di Paciano è molto più vicina all'iterum lavandi dell'Adversus donatistas che il denuo mergi di Commodiano, su cui si era soffermato A. Pincherle (Sopra un verso di Commodiano, in «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa» 1 (1965), p. 433). Testo