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Bossuet legge Qoelet. L'Oraison funèbre de Henriette-Anne d'Angleterre Duchesse d'Orléans nel contesto del dibattito fra eloquenza e semplicità

di Lorenzo Mancini (15 agosto 2010)

Il celebre sermone dell'Aigle de Meaux diventa il pretesto per addentrarsi nel modo di accostare la Scrittura di Jacques-Bénigne Bossuet, inserendolo in quel più ampio dibattito su eloquenza e semplicità nell'attività omiletica che animò la Francia del Grand-Siècle. La morte di una principessa della Corona è riletta da Bossuet alla luce delle pagine di Qoelet, libro caro al predicatore, per il suo substrato filosofico e la ricorrente declinazione sullo sfondo degli opposti tra cui, certamente, la più più esistenzialmente coinvolgente è quella riguardante la grandezza e la miseria dell'uomo.

L'orazione scritta da Jacques-Bénigne Bossuet nel 1670 in occasione della morte della Duchessa d'Orléans Henriette-Anne d'Angleterre è diventata celebre per il suo alto valore letterario e quasi sempre immediatamente abbinata al suo incipit "Vanitas vanitatum" (Qoelet 1, 2) e al poliptoto "Madame se meurt ! Madame est morte !"1

Non è certamente un caso che quelle due citazioni siano rimaste, oltre che famose, anche eloquenti tracce per risalire ad un'opera se non addirittura ad un autore. L'intera attività letteraria ed omiletica del celebre predicatore viene immediatamente associata a quel versetto di Qoelet ed identificata con quelle tematiche che, sebbene significative, non esauriscono certo la vena creativa e la ricchezza contenutistica dell'opera di Bossuet.

I temi cardine del libro di Qoelet furono già cari alla meditazione e alla predicazione dell'autore fin dalla gioventù: nel 1648 in occasione del ritiro precedente l'ordinazione suddiaconale aveva scritto la Méditation sur la briéveté de la vie, nella quale con una ridondante quantità di domande retoriche, il giovane Bossuet, ancora lontano dalla maturità stilistica dell'Oraison funèbre de Henriette-Anne d'Angleterre, aveva riflettuto sul divenire delle realtà umane e sul rapporto tra la durata della vita e l'infinità del tempo; ancora nel 1662 nel Sermon sur la mort, ritornerà su quelle tematiche che più implicitamente troviamo in altri testi.2

Come si diceva la scelta di costruire il sermone attorno al libro di Qoelet è ampiamente meditata: Bossuet conosce bene la Scrittura, come ci testimoniano la sua formazione e alcune sue opere scritte e pubblicate nell'ultimo decennio di vita3 e in particolare gli è noto il libro sapienziale in questione con il suo substrato filosofico e quella ricorrente declinazione sullo sfondo degli opposti.4 Di tutte le opposizioni, certamente la più grande e la più esistenzialmente coinvolgente è quella riguardante la grandezza e la miseria dell'uomo su cui Bossuet ritorna lungo tutto lo svolgersi del sermone.

L'improvvisa morte della stimatissima Principessa Henriette d'Angleterre5 è il pretesto per Bossuet per far risaltare il notevole contrasto fra potenza e miseria, fra 'esserci' e 'non esserci', fra vita e morte:

Vanité des vanités, et tout est vanité. C'est la seule parole qui me reste ; c'est la seule réflexion que me permet, dans un accident si étrange, une si juste et si sensible douleur. Aussi n'ai-je point parcouru les Livres sacrés, pour y trouver quelque texte que je puisse appliquer à cette princesse. J'ai pris, sans étude et sans choix, les premières paroles que me présente l'Ecclesiaste, où quoique la vanité ait été si souvent nommée, elle ne l'est pas ancore assez à mon gré pour le dessein que je me propose.6

Il proposito di Bossuet è infatti quello di far vedere la morte attraverso una morte; quale migliore occasione del decesso di un'importante principessa della Corona per riflettere sulla nullità di tutte le presunte grandezze umane?

Tuttavia il ricorrente tema del nulla e della vanità posto da Bossuet in termini talvolta più drammatici di quanto abbia fatto l'autore del Qoelet, non riesce ad eclissare una delle tesi portanti del testo biblico sul senso dell'eterno (l'ebraico e più denso concetto di 'olam7):

Mais dis-je la verité ? L'homme que Dieu a fait à son image, n'est qu'il qu'une ombre? Ce que Jésus-Christ est venu chercher du ciel en la terre, ce qu'il a cru pouvoir, sans se ravillir, acheter de tout son sang, n'est-ce qu'un rien ?

La prospettiva cristologia è per Bossuet una somma conferma alla tesi intuita da Qoelet: l'incarnazione di Cristo è qui, in un certo senso, motivata dal valore stesso dell'uomo in quanto creatura immagine di Dio; per Bossuet, negli aspetti positivi della creaturalità, sembra già essere implicita la salvezza. Nel testo della Vulgata, leggiamo "et mundum tradidit disputationi eorum" (Ecl, 3, 11); è Dio stesso che "ha posto il senso dell'eterno: ciò che è "posto" è dunque "dono" che viene dall'origine dell'essere e come tale è inscritto nella struttura essenziale dell'uomo".8 Ancora a tal proposito le parole di Bossuet:

Méditons donc aujourd'hui, à la vue de cet autel et de ce tombeau, la première et la dernière parole de l'Ecclésiaste, l'une qui montre le néant de l'homme, l'autre qui établit sa grandeur.9

Non si tratta tuttavia della saggezza degli uomini, annoverata ancora fra le vanità: essa a differenza del senso dell'olam è una falsa saggezza che sortisce esattamente l'effetto contrario rispetto a quella donata da Dio, essa "se renfermant dans l'enceinte des choses mortelles, s'ensevelit avec elles dans le néant".10 Ciò che gli uomini ritengono saggezza non fa in realtà che acuire il senso della nullità dell'uomo di fronte a Dio, del vorticoso divenire del tempo e dell'insignificanza della realtà.

Vi sono tuttavia delle grandi realtà umane -- e l'episodio della morte della principessa è uno di questi -- attraverso cui Dio istruisce il suo popolo, anche mediante la loro improvvisa sottrazione:

Dieu les frappe, pour nous avertir. Leur élévation en est la cause ; et il les épargne si peu, qu'il ne craint pas de les sacrifier à l'instruction du reste des hommes. Chrétiens, ne murmurez pas si Madame a été choisie pour nous donner une telle instruction. Il n'y a rien ici de rude pour elle, puisque, comme vous le verrez dans la suite, Dieu la sauve par le même coup qui nous instruit.11

Ma proprio da quella saggezza divina donata all'uomo, (l'olam per Qoelet, il mundum per la Vulgata, la "marque divine" come dirà Bossuet) scaturisce inoltre la vita eterna, prospettiva forse intravista opacamente dall'autore biblico, ma nitida ed inequivocabile per Bossuet alla luce della resurrezione di Cristo:

Madame n'est plus dans le tombeau : la mort qui semblait tout détruire, a tout établi : voici le secret de l'Ecclésiaste. [...] Car comme il est nécessaire que chaque chose soit réunie à son principe, et que c'est pour cette raison, dit l'Ecclesiaste, que le corps retourne à la terre, dont il a été tiré ; il faut, par la suite du même raisonnement, que ce qui porte en nous la marque divine, ce qui est capable de s'unir à Dieu, y soit aussi rappelé.12

L'anima, traccia del divino nell'uomo, si eleva al suo creatore seguendo la sua legge e il suo insegnamento e, allo stesso modo, si inabissa, seguendo i falsi insegnamenti degli uomini:

Ne vous étonnez pas donc si l'Ecclésiaste dit si souvent : Tout est vanité. Il s'explique, tout est vanité sous le soleil, c'est-à-dire, tout ce qui est mesuré par les années, tout ce qui est emporté par la rapidité du temps. Sortez du temps et du changement ; aspirez à l'éternité ; la vanité ne vous tiendra plus asservis. Ne vous étonnez pas si le même Ecclésiaste méprise tout en nous, jusqu'à la sagesse, et ne trouve rien de meilleur que de goûter en repos le fruit de son travail. La sapesse dont il parle en ce lieu est cette sapesse insensée, ingénieuse à se tourmenter, habile à se tromper elle-même, qui se corrompt dans le présent, qui s'égare dans l'avenir ; qui par beaucoup de raisonnement et de grands efforts, ne fait que se consumer inutilement en amassant des choses que le vent emporte.13

Ecco allora per Bossuet il senso autentico delle parole di Qoelet: non un banale invito al soave e sano godimento delle piccole dolcezze della vita di fronte all'ineluttabilità del male e della morte, ma invece un invito ad un intelligente discernimento tra ciò che è sapiente (e dunque in qualche modo divino) e ciò che non lo è:

Crains Dieu, et observe ses commandements ; car c'est là tout l'homme ; comme s'il disait : Ce n'est pas l'homme que j'ai méprisé : ne le croyez pas ; ce sont les opinions, ce sont les erreurs par lesquelles l'homme abusé se déshonore lui-même.14

Il timore di Dio, nel suo senso più alto e maturo è, per Bossuet, l'essenza della natura umana: "Voici ce qui est réel et solide, et ce que la mort ne peut enlever", tutto il resto non è addirittura umano.15 "Ce n'est pas l'homme que j'ai méprisé", dice Bossuet, rispondendo indirettamente a chi lo inseriva (e lo inserisce) nell'eterogenea corrente 'pessimista'di de Bérulle, Bourdalue e Pascal, che si oppongono all'ottimismo antropologico di François de Sales. Sono differenti i toni e le argomentazioni di Bossuet usati per riprendere quanto Qoelet dice sulla grandezza-nullità dell'uomo rispetto alla pascaliania "superbe diabolique" che gli fa credere di essere qualcosa di importante. Dio è sicuramente per l'uomo, nell'ottica di Bossuet, il terminus a quo e ad quem, ma nell'Oraison funèbre de Henriette-Anne d'Angleterre, proprio scegliendo di commentare un testo sapienziale, non sembra porre troppa resistenza all'ineluttabile morte del geocentrismo a favore dell'antropocentrismo.16

Tali argomenti vengono ancora ripresi nel testo, appoggiandosi anche ad altri libri biblici e a testi patristici sempre strettamente connessi alle tematiche esposte nel libro sapienziale e riportate alla vita e alla morte della principessa Henriette.

Il testo, in un crescendo retorico e drammatico,17 si muove verso la fine (proprio come nei corali conclusivi dei grandi oratori seicenteschi) in cui con una serie di domande, Bossuet riprende i temi portanti del libro di Qoelet fondendoli sapientemente con uno dei temi classici dell'omiletica post-tridentina, cioè la morte:

Les adorateurs des grandeurs humaines seront-ils satisfaits de leur fortune, quand ils verront que dans un moment leur gloire passera à leur nom, leur titres à leur tombeaux, leurs biens à des ingrats, et leurs dignités peut-être à leurs envieux ? Que si nous sommes assurés qu'il viendra un dernier jour où la mort nous foriera de confesser toutes nos erreurs, pourquoi ne pas mépriser par raison ce qu'il faudra un jour mépriser par force ? Et quel est notre aveuglement, si, toujours, avançants vers notre fin, et plutôt mourants que vivants, nous attendons les derniers soupirs, pour prendre les sentiments que la seule pensée de la mort nous devrait inspirer à tous les moments de notre vie ?18

L'Oraison è forse una delle più alte e rappresentative testimonianze della produzione omiletica dell'"Aquila di Meaux" oltre che una delle pagine più famose della letteratura religiosa del Grand Siècle ed importante documento nell'ambito della storia dell'esegesi.

La quantità e la qualità della formazione teologica, scritturistica e filosofica di Bossuet sono fuori discussione; si tratta di inquadrarle storicamente e culturalmente proprio per capirle a fondo. Tuttavia, anche alla luce dei più recenti studi sul libro di Qoelet, la lettura praticata da Bossuet, appare profonda e ricca di spunti di riflessione, seppure, come già rilevato, da inquadrare in un determinato contesto storico, teologico e stilistico, facendo particolare attenzione alle connessioni fra questi elementi.

E proprio in merito allo stile di Bossuet molto interessanti sono le parole dello storico della letteratura francese del XVII secolo René Pommier (docente di questa materia per più di vent'anni alla Sorbona) che dalle pagine del suo sito personale, proprio in merito al celebre passo di Bossuet così si esprime:

Après avoir fait attendre le récit de la mort de Madame, après l'avoir retardé pour mieux le préparer, après avoir enfin marqué une légère pause, Bossuet va le lancer d'une manière particulièrement saisissante: « Ô nuit désastreuse! Ô nuit effroyable, où retentit tout à coup, comme un éclat de tonnere, cette étonnante nouvelle : Madame se meurt! Madame est morte! ». [...] Cette phrase qui donne l'impression d'être dictée par l'émotion que soulève spontanément un souvenir terribile, est très savamment élaborée. [...] Aux deux exclamation initialies scandées par l'anaphore « Ô nuit » et séparées par une légère pause, font écho les deux brèves propositions finales scandées par une autre anaphore « Madame » et séparées elles aussi par une légère pause. Cette première et cette dernière séquence symétriques encadrent une séquence plus longue et sans pause qui contraste fortement avec elles.19

Che la composizione dei sermoni di Bossuet fosse scrupolosamente studiata secondo precisi schemi retorici e drammaturgici in funzione della loro proclamazione di fronte all'uditorio è oggi ancora più evidente grazie anche ai numerosi studi di Bernadette Majorana sulla teatralità e l'oratoria nella predicazione colta e popolare nel XVII secolo.20 Su questo aspetto, ancora le parole di Pommier:

Les deux exclamations initiales sont de même longueur et ont le même rythme. Elles retentissent comme deux coups de cymbale, dont le second est plus puissant que le premier, grâce à l'adjectif 'effroyable' plus sonore que 'désastreuse'. À la lenteur solennelle de cette première séquence s'oppose le rythme rapide et haletant de la séquence médiane qui est particulièrement remarquable. La réussite tient d'abord à la parfaite régularité du rythme, avec trois membres d'égale longueur et accentués de la même façon: « où retentit tout à coup (7 = 4 + 3), comme un éclat de tonnerre (7 = 4 + 3), cette étonnante nouvelle (7 = 4 + 3) » (Ibidem)

Non va poi tralasciata la scelta delle allitterazioni e delle sonorità che permettono all'oratore di produrre interessanti effetti sonori (OÙ RETENTIT TOUT À COUP COMME UN ÉCLAT DE TONNERE CETTE ÉTONNANTE NOUVELLE) o di modulare con forza la voce grazie anche alla pronuncia francese (COMME UN ÉCLAT DE TONNERRE, CETTE ÉTONNANTE NOUVELLE21)

Inevitabilmente il testo patisce alcune forzature dovute alla circostanza dell'opera e al ruolo istituzionale dell'autore, ma tuttavia ciò non sembra compromettere sostanzialmente la corretta lettura del testo biblico.

È frequente che, a scopo didattico, si dica che nell'accostare questo tipo di scritti è necessario 'sfrondarli' dal linguaggio e dallo stile dell'epoca per mirare più direttamente ai contenuti e al pensiero degli autori. Ci si accorge ben presto che un tale tipo di operazione -- qualora possibile --, oltre che risultare inopportuna, risulterebbe dannosa e fuorviante. Che cosa bisognerebbe 'sfrondare'? Quali elementi precisamente? E soprattutto, come? Con quale metodo?

Il linguaggio non è il semplice veicolo del pensiero dell'autore, o meglio, lo è ma in un modo che instaura una corrispondenza biunivoca tra il significato e un determinato significante. La scelta della parola è frutto di un preciso 'calcolo'che nulla lascia al caso o all'improvvisazione, ma che tutt'al più, si affida ad una virtuosa esecuzione. Non siamo lontani dalle dinamiche delle coeve arti figurative o della musica, anch'esse, nel caso della Francia del Grand Siècle, spesso funzionali ad un determinato sistema socio-politico.

Tuttavia anche questa prospettiva, da sola, non ci aiuterebbe a comprendere l'opera di Bossuet nella sua complessità. Vi è sicuramente anche una forte preoccupazione di tipo pastorale, seppure in una prospettiva lontanissima dalla nostra sensibilità: la parola, studiata con precisione dal punto di vista ritmico e acustico e inserita nella frase come una nota lo è in una battuta, è il mezzo che il predicatore usa per toccare l'emotività dell'uditorio e attraverso di essa innescare o risvegliare la riflessione sul tema proposto e suscitare la conversione del cuore.

Ho parlato volutamente di 'uditorio'e non di 'uditore', perché la prospettiva dell'omiletica in generale e di questa in particolare, è marcatamente collettiva e lavora in modo preciso anche sulle dinamiche dell'ascolto insieme e della condivisione implicita o esplicita delle reazioni suscitate.

E fu proprio Fénelon, che per colpa di Bossuet dovette soffrire non poco, ad affrontare con efficace ironia il delicato tema dell'eloquenza religiosa, soprattutto là dove si cerca di giungere ad una sintesi tra semplicità ed eloquenza, tra la semplicità apostolica e l'eloquenza umana.22

È evidente l'esistenza di un dibattito in corso nella Francia della seconda metà del XVII secolo e di una vera e propria 'rivoluzione'nell'ambito della produzione omiletica che tocca lo stesso Bossuet nel corso della sua vita e della sua attività: come si è già notato, le opere giovanili sono sensibilmente diverse da quelle della maturità: le citazioni e le domande retoriche diminuiscono ed è evidente la preoccupazione di arrivare anche ad un pubblico non colto.

Nel processo di maturazione, oltre ad essere evidente l'influsso di altri maestri dell'omiletica, non si ravvisa più la preoccupazione giovanile di ordine 'professionale'di dover presentare agli uditori qualificati il proprio cursus honorum accademico; la maturazione dello stile di Bossuet è dovuta anche alla conoscenza delle opere dei grandi maestri come Francesco di Sales, Pierre de Bérulle, Charles de Condren e Vincent de Paul che vogliono ricondurre il sermone alla sua originaria funzione catechetica e svincolarlo dalle preoccupazioni eminentemente stilistiche e virtuosistiche di molti predicatori.

Il sermone non è per Bossuet un genere letterario, ma uno strumento pastorale, come aveva efficacemente detto nel Sermon sur la Parole de Dieu del 1661:

Les prédicateurs doivent rechercher non de brillants qui egayent, ni une harmonie qui delecte, ni des mouvementes qui chatouillent, mais des éclairs qui percent, un tonnere qui émeuve, une foudre qui brise les cœurs23

"Avete messo il dito nella piaga" -- fa dire Fénelon ad uno dei personaggi del Dialogo III -- "Poiché la maggior parte dei sermoni sono dei ragionamenti filosofici. Spesso si cita la Scrittura solo alla fine, per buona creanza o per ornamento. Allora questa non è più parola di Dio, è parola e invenzione degli uomini".24

La Scrittura è per Fénelon, nella sua semplicità, già dotata di una sua eloquenza che va solamente richiamata; eloquenza e semplicità, nella nuova prospettiva, non sono contrapposte: l'eloquenza umana non è il rimedio alla semplicità (intesa come una sorta di rozzezza) e la semplicità non deve essere confusa con l'ignoranza e la grossolanità.

Bossuet, in una visione ancora più rigorosa, ritiene che l'eloquenza religiosa non debba mai perdere di vista il suo oggetto, ricordando che ogni indebito innalzamento retorico è contrario alla kenosi di Cristo:25 l'Oraison funèbre de Henriette-Anne d'Angleterre, per stile e per tema sembra muoversi con equilibrio in questa prospettiva.

La croce e l'abbassamento devono essere per Bossuet una vera e propria regola che il predicatore deve osservare per il bene proprio e dei fedeli; il sermone non è un "divertissement de l'esprit", ma la sua efficacia è in funzione dell'appoggiarsi alla potenza della parola di Dio "qui ne flatte pas le oreilles, mais qui porte ses coups droit au cœur"26

Del resto, sostiene Bossuet, quali strumenti retorici poteva vantare, per esempio, lo "style rude" di San Paolo di fronte a Greci e Romani? Non era certo la retorica l'arma di Paolo, ma la sua forza era come quella di un fiume che ha origine nelle montagne e scarica nella pianura il suo impeto.27

Colpisce profondamente una tale devozione alla parola di Dio; è anche grazie a tale rigore che il contributo di Bossuet può essere ritenuto prezioso sia dal punto di vista letterario sia da quello teologico per comprendere a fondo e correttamente quel periodo complesso ed affascinante che fu il Grand Siècle e purificarlo da letture parziali e/o distorte.

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Note

  1. Si utilizza il testo tratto da Bossuet, Œuvres, Paris, Gallimard, 1961, pp. 83-105 Testo

  2. Si veda in particolare l'Oraison funèbre de Yolande de Monterby del 1656, (Bossuet, Œuvres, pp. 9-15), l'Oraison funèbre d'Henri de Gornay del 1658 (Ivi, pp. 17-22) e il Discours aux filles de la Visitation del 1689 [Joseph Lebarq (a cura di), Œuvres oratoires de Bossuet. IV Sermons et panégyriques, Paris, Librairie Achette, 1921, pp. 475-477]. Testo

  3. Lettre sur les Psaumes (1690), Méditations sur l'Évangile (1695), Explication de la prophétie d'Isaïe sur l'enfantement de la Vièrge (1702), Explication du prophète Isaïe. Testo

  4. Virgilio Melchiorre, Qoelet o della serenità del vivere, Brescia, Morcelliana, 2006, p. 14. Testo

  5. Henriette-Anne Stuart (1644 - 1670), ultima figlia di Carlo I, si rifugiò in Francia, terra d'origine della madre, per scappare ai rivoluzionari. Venne cresciuta al Louvre in un regime di notevoli ristrettezze; tuttavia per la sua intelligenza, il suo stile e la sua bellezza, riuscì a farsi notare negli ambienti di corte, tanto da riuscire a sposare nel 1661 il fratello di Luigi XIV, il duca d'Orléans ed entrare nelle grazie del re che la mise addirittura a capo della missione diplomatica presso Carlo II per concludere un'alleanza con l'Inghilterra che venne successivamente stipulata. Fu ispiratrice della Bérénice di Corneille, ma anche di Molière e Racine, come attestano le dediche a lei indirizzate ne L'École des femmes (1662) e in Andromaque (1667). Tra le molteplici lodi, non mancarono tuttavia le calunnie e le invidie fra cui quelle del marito infastidito dai successi diplomatici della moglie: non è certamente un caso che Bossuet, per porre fine a queste voci, dica nel sermone "Le Roi, dont le jugement est une règle toujours sûre, a estimé la capacité de cette princesse, et l'a mise par son estime au dessus de tous nos éloges" (Bossuet, Oraison funèbre de Henriette-Anne d'Angleterre, cit., p. 87). La già precaria salute della principessa ne risentì notevolmente. Nella serata del 29 giugno 1670, chiese un bicchiere d'acqua di cicoria ghiacciata che le provocò dei dolori atroci che nella notte la portarono alla morte. L'autopsia fugò subito i dubbi su un possibile avvelenamento. Bossuet, presente all'agonia e alla morte, rivive nel sermone quei momenti con la più viva emozione. Testo

  6. Bossuet, Oraison funèbre de Henriette-Anne d'Angleterre, cit., p. 84. Testo

  7. "Nella traduzione leggiamo che qui si tratta del 'senso dell'eterno'. Ma non è che una approssimazione al testo biblico: l'ebraico 'olam mal si adatta al significato che noi moderni diamo di solito alla parola 'eterno'. In realtà molti sono i significati che si intrecciano nella lunga storia della parola" (Melchiorre, Qoelet o della serenità del vivere, cit., pp. 11-15). Testo

  8. Ibidem. Testo

  9. Bossuet, Oraison funèbre de Henriette-Anne d'Angleterre, cit., p. 85. Testo

  10. Ivi, p. 90. Testo

  11. Ivi, p. 91. Testo

  12. Ivi, p. 94. Testo

  13. Ivi,pp. 94-95. Testo

  14. Ivi, p. 95. Testo

  15. Ivi, p. 96. Testo

  16. Claudine Nédelec, De Dieu à l'homme. Mutation des savoirs et des valeurs: de Dieu à l'homme, in Jean-Charles Darmond -- Michel Delon, Histoire de la France littéraire, tome II, Classicismes. XVIIe-XVIIIe siècle, Paris, Presses Universitaires de France, 2006, pp. 180 - 198, in part. pp. 184-188. Testo

  17. Sulla retorica del XVII secolo si veda: Gilles Declerq, Éloquence et rhéthorique. Éloquence et rhétorique au XVIIe siècle en France, in Jean-Charles Darmond -- Michel Delon, Histoire de la France littéraire, cit., pp. 453-474, in part. p. 471. Testo

  18. Ivi, p. 105 Testo

  19. http://rene.pommier.free.fr/Henriette.html. Testo

  20. Si veda http://www.aissca.it/aissca/sanctorum/soci/majorana.html. Testo

  21. E ancora le parole di Pommier: "Le rythme précipité de la séquence laisse brusquement la place à la lenteur accablé avec la quelle sont égrenées les deux annonces si célèbres: « Madame se meurt! Madame est morte! ». L'utilisitation de deux formes différentes du verbe 'mourir', la première, la forme pronominale, évoquant l'action en train de se faire, et la seconde, le passé composé, évoquant l'action accomplie, employées sans aucun mot, aucun formule de qualification, esprime de manière saisissante la soudaineté, la brutalità de l mort de Madame : à peine a-t-on eu le temps d'apprendre non pas que Madame était malate, non pas qu'elle était très malade, mais qu'elle était mourante, et l'on a appris qu'elle était morte. Les cadences rappellent celles de la première séquence, à ceci près que, alors que les deux élèments en étaient rigoureusement égaux (5 + 5), cette fois-ci le second est un peu plus court que le premier (5 + 4). Mais si les cadences rappellent la séquence initiale, la dynamique est différente : tout à l'heure, la voix s'enflait, la voix montait pour attirer l'attention de l'auditoire et annoncer la nuit tragique, maintenant la voix s'abaisse, la voix s'assourdit en un decrescendo qui s'oppose au crescendo initial". (Ibidem). Testo

  22. François de Salignac de la Mothe-Fénelon, Dialoghi sull'eloquenza, Milano, Glossa, 2003, in particolare si veda il Dialogo III, pp. 201-285. Testo

  23. Bossuet, Œuvres, cit., p. XIV. Testo

  24. Ivi, p. 237. Testo

  25. Ivi, pp. 25-26; p. 221. Testo

  26. Bossuet, Panégyrique de l'Apôtre Saint Paul, in Bossuet, Œuvres, cit., pp. 349-369, p. 357. Testo

  27. Ivi, p. 358. Testo