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Una rinnovata decodificazione dei testi agiografici

di Réginald Grégoire (15 agosto 2010)

La situazione pastorale e culturale della letteratura agiografica suscita precisi interrogativi, desiderosi di raggiungerne la sostanza e la proposta interpretativa. Rintracciare le condizioni della comprensione e dell'intelligibilità di tali documenti sta alla base della loro rinnovata decodificazione. Le nuove ipotesi metodologiche ammettono la necessità di un orientamento pluridisciplinare, le conclusioni epistemologiche proclamano il rapporto di ogni testo con una situazione vissuta tanto a livello personale (individualità del santo) quanto su basi comunitarie (espressione di una collettività).

Uomo e società: questo è, precisamente, la prima chiave di lettura di un fenomeno analizzato nell'ambito di una tradizione. Essere santo e tradurlo in un messaggio letterario indica il limite di questa operazione agiologica, tesa non a risuscitare un passato, ma piuttosto ad enuclearne la valenza attuale e futura, la continuità della sua verità, nonché l'appartenenza sociale della sua creazione. Situazione, quindi, di incontro tra permanenza del passato e rinnovamento del presente: tra tradizione e progetto! Da tale premessa l'agiologia promuove pertanto una funzione di analisi così lontana dalla mentalità redazionale contemporanea. Oggi lo "scrittore" si caratterizza maggiormente con una accentuazione dell'introversione: analisi di stati d'animo e di sentimenti, descrizione di fenomenologie umane che esprimono una "mentalità collettiva" e una coscienza spesso condizionate da problematiche socio-economiche. Il documento agiografico esce invece dal silenzio di un passato spesso interpretato in modo contraddittorio, perché non si è indovinato il valore di segno, exemplum, παραδειγμα, che lo muove e l'eleva al livello di parabola, discorso incompiuto, tipologia deontologica. La stessa taumaturgia, che implica una esigenza di obbligatorietà; è espressa nello straordinario, cioè il prodigio, miracolo, θαυμα; nella mia funzione di Postulatore delle Cause dei santi affermo fermamente che una eventuale assenza letteraria dei miracoli costituirebbe, nella Chiesa cattolica, la negazione della santità. Conviene tuttavia evitare la riduzione del carattere episodico di ogni miracolo ad un fenomeno quasi magico; si comprende ovviamente il ruolo "politico" di un santo diventato patrono, protettore, auxiliator.


La discorsività del lavoro agiologico ricorre alla procedura semiologica, con una tecnica di indagine razionale destinata a raccogliere gli elementi significanti. I fatti riferiti sono dei "significati" (voce sostantiva) e "significanti", perché il loro realismo rinvia sempre ad una motivazione chiamata a diventare programma e giustificazione di un futuro. Il possesso di una "reliquia" non è soltanto un ritorno emotivo sul passato, ma costituisce in qualche modo un diritto d'intervento del santo "rappresentato" in essa. Una lettura semiologica del documento agiografico percepisce la valenza umana di un ruolo svolto in stati di emergenza e in casi di indigenza: il santo agisce oggi quando il suo aiuto è richiesto; all'aiutante viene imposta una presenza di disponibilità a favore dei poveri e dei deboli. Ruolo dunque indissociabile da una lettura sociale del documento, in cui la società e l'uomo sono rivelati nella loro veste di creatori di tipologie e ideatori di soluzioni favorevoli. Il passato di un santo (e ogni santo appartiene al passato) libera da un presente inquietante e conforta nell'affrontare un futuro angosciante. Tale è la catena di produzione del santo e della letteratura che ne afferma l'esistenza, il ruolo, il patrocinio. Quindi, la manifestazione del santo non appartiene solo al settore strettamente storico, ma esprime un movimento ideologico, un tentativo di capire un reale che si definisce al limite del possibile e dell'immaginato. Ogni impegno interpretativo determina queste situazioni pazientemente esumate al di là di un linguaggio concettuale alquanto sconcertante nella regolarità dei luoghi comuni, moduli stereotipati, τυποι. L'intelligibilità dell'elemento letterario ritrova la vivacità del nucleo storico; e la base storica, a sua volta, è trasmessa in categorie pensate secondo un procedimento genetico organizzato e finalizzato.

Questa architettura allora elabora un mito? In realtà, lo statuto del racconto agiografico contempla anche tale possibilità. L'esistenza di una finzione appartiene ai limiti di ogni riflessione sul passato, e la riflessione epistemologica, destinata a creare una conoscenza dell'irreversibile, ammette l'ambiguità di una figura che unisce in se stessa i caratteri e i ruoli di memoria e di progetto, di continuità e di utopia. Elemento fondamentale è la funzione didattica di personalità diventate -- nella maggioranza dei casi, in modo non voluto e ignorato -- emblematiche. Il loro essere, descritto con una articolazione concettuale definita dalla permanenza di una missione taumaturgica, trasmette una dottrina che è filosofia e teologia, etica e mistica, socialità e personalismo.


Veramente la letteratura agiografica appartiene alla cultura di ogni società e di ogni settore di umanità. È lo specchio di un umanesimo presentato per il tramite di una narrazione dinamica che si innesta nella tradizione della biografia. Ogni testo agiografico è dunque una biografia differenziata secondo il messaggio dottrinale che la nutre e la convalida. Alla sua origine, il discorso rinvia ad un "morto", e questo defunto è trasportato, quasi come un oggetto qualsiasi, nel presente e nel futuro. Il passato è sempre distinto dal presente del narratore e dal presente-futuro del lettore o ascoltatore. Trasfigurando l'idealizzazione del passato, l'agiografo attualizza il significato di una epopea e lo confronta con una problematica in atto, non finita. L'enigma del futuro è abbozzato in questa realtà di una assenza apparente, che è presenza auspicata e benefica. È dunque il ritorno ad un inizio, le cui conseguenze costituiscono l'ossatura di una rappresentazione a uso dei vivi. La funzione del racconto agiografico facilita anche questo meccanismo rassicurante (nel caso di una taumaturgia implorata) e programmatico (nell'occorrenza di una tipologia). Anche questo è un modo di attestare la continuità di un gruppo, la sua identità, il suo destino.

I testi agiografici si interpretano non soltanto a livello della loro trasmissione codicologica, ma prevalentemente con un desiderio di capire il contesto letterario e religioso che li provoca e li suscita, in un ambiente delimitato. Ogni testo agiografico esprime e interpreta sempre una realtà culturale e religiosa, che è possibile rintracciare attraverso una paziente ricerca di indizi letterari (fonti dichiarate o no, reminiscenze, mutuazioni, punti di incontro tra documenti apparentemente indipendenti, simmetrie e parallelismi, annotazioni cronologiche e topografiche) e storici. Ne risulta una logica redazionale che prova la finalità "politica" del testo, le sue motivazioni redazionali, le sue preoccupazioni didattiche, le sue ambizioni pedagogiche, anzi la sua credibilità, e ne viene dimostrata la potenza d'impatto di precisi modelli culturali ormai entrati nella mentalità degli agiografi e del loro pubblico.


Ogni tipologia, a seguito di un uso prolungato nel tempo e poco appoggiato di un ripetuto aggiornamento dottrinale, finisce per assumere le proporzioni e le caratteristiche di una quasi mitologia. La presenza del santo, allora, è sfuggente; in altri casi -- si pensi ai celebri luoghi mediterranei di pellegrinaggio del tipo "Gennaro di Napoli", "Padre Pio da Petrelcina" o "Antonio di Padova", detto "Il santo", per non citare alcuni santuari mariani rimasti allergici all'attuale approfondimento teologico, anzi: ecclesiologico -- tale presenza è ossessionante nella sua forza ripetitiva o meccanica e nella sua inerzia immaginativa. Il suo significato individuale, eventualmente vissuto nell'ambito di un aggregarsi più o meno spontaneo, è pre-determinato da un previo e indiscusso assenso di massa. Ogni sforzo di ri-lettura provoca il pericolo di un affievolirsi della devozione popolare e della religiosità dei pellegrini, se non addirittura l'estinzione di un culto e l'abolizione di un folklore che, nella sua manifestazione paganeggiante si avvicina più all'atto ludico che al gesto di fede.

Ciò che la lingua francese qualifica arrière-pensée -- nel caso presente tale arrière-pensée è il motivo propellente dell'accettazione della tipologia -- sparisce dietro una successiva interpretazione riduttiva, prammatica, soggettiva. Ci si reca dal santo perché egli è efficace per risolvere un problema, suggerire un conforto, alleviare un'angoscia; e, quindi, la tipologia originale svanisce. Il prestigio dell'eremita Antonio († 356), araldo della cristologia nicena e prototipo dell'anacoresi, è impresso sulla personalità del vivace predicatore francescano Antonio di Padova († 1231), di modo che sia totalmente cancellata, a livello di una presentazione popolare, la base cristocentrica della tipologia dei due personaggi, per lasciare posto soltanto all'eco della loro generosità e della loro efficacia miracolosa.


L'imperfezione della lettura popolare non infirma la natura storica del santo, ma provoca una doppia interpretazione della sua tipologia: una lettura sapiente e dotta (preoccupata di certezze storiche e dottrinali) e una lettura devozionale e pietistica (centrata sull'aspetto utilitarista della taumaturgia). Le due letture garantiscono l'autenticità di una tradizione vissuta a diversi livelli, nella realtà provata dalla storiografia scientifica e nella vivacità (talvolta ambigua) di una "recezione" popolare. Può inoltre accadere che l'oscurità storica sia compensata da una fiorente devozione che, a sua volta, sta all'origine di una tipologia efficace: gli esempi che vengono subito in mente sono Caterina, Cecilia, Cristoforo, Giorgio, Uberto... Tra le due letture di un santo diventato quasi crittogrammatico, esiste un itinerario individuabile con il ricorso ad apposite tecniche che si concentrano nell'ambito dell'analisi letterarie e filologica, dell'introspezione filosofica (psicologica, psicanalista, epistemologica), della giustificazione teologica e della finalità politica (specialmente nel caso del patrocinio del santo su precise collettività o enti). Dal fantastico e dal favoloso attestato nella rappresentazione popolare, si aggiunge il nucleo storico autentico e primitivo, tentando di individuare e di giustificare le metamorfosi di un personaggio diventato mitico (per un eccesso di tipologia) e conosciuto, eventualmente, in una veste letteraria elaborata con interpolazioni, mutazioni, semplificazioni, schematismi. Tale situazione, inoltre, è veicolata palesemente nell'iconografia, che costringe la fede originale con il ricorso ad elementi simbolici non sempre leggibili.

Il messaggio originale, trasmesso dall'immagine e coinvolto nell'interpretazioni popolare, risulta spesso incompatibile con le successive manipolazioni e stranezze che affliggono tante tradizioni agiografiche; quindi le numerose oscillazioni interpretative, frutto del genio e dell'immaginazione, che si estendono fino alla deformazione più evidente, sono ancora la prova del significato vitale e attuale del santo.

La polivalenza degli emblemi provoca la crescita del loro potere evocativo e della loro successiva valenza programmatica. A quel punto si torna necessariamente alle dimensioni più vere del documento agiografico che sono le letture "interlineari" e le decodificazioni essenziali. Emerge una struttura organizzata in vista di una applicazione concreta: messaggio teologico, insegnamento filosofico, proposta morale, sfruttamento politico, deformazione magica del personaggio e del suo ruolo ecc. Sciogliere questo enigma e ridurlo ad un meccanismo elementare è il compito di una agiologia aperta, rispettosa della storia e della sua tradizione. Il testo agiografico non è mai muto, chiuso nel suo involucro culturale di parole e di immagini; ma esso è spettacolo, tumulto interiore, parvenza di soluzioni rapide (e invece è parabola assoluta), affollamento di temi e di motivazioni, schermo espressivo che evidenzia il soggetto e lo limita, potenzialità di incantesimo fantastico. Forse questa insolita ricchezza, finora non avvertita dalla maggioranza dei lettori e degli studiosi, spiega la considerazione così ridotta di cui è beneficiaria l'agiografia. Il prodigio di tante trasformazioni -- di cui sono validi testimoni i cicli agiografici, assai frequenti nell'agiografia dei martiri romani, per limitarsi ad un fenomeno emblematico -- consiste anche nel nascondere efficacemente un autentico nucleo storico e un genuino tema concettuale (teologico, filosofico, etico, sociale...). Non è assurda mitologia, non è imperiosa metamorfosi, non è sottile transfert, ma è comunicazione programmatica dell'epopea di un uomo eroico o, secondo l'interessante espressione di Peter Brown, di un "morto eccezionale".

È un progetto e una ipotesi di conquista del reale, proposta attraverso uno strumento letterario originale e talvolta geniale. Ma l'agiografia cristiana presuppone un suo ben definito orientamento dottrinale: è una finestra aperta sull'invisibile Provvidenza, metodologia didattica e apologetica. Attraverso un linguaggio eventualmente fantastico, seppure plausibile, si incontra un desiderio di orientare verso realtà finora ignote o poco note al lettore, all'ascoltatore, allo spettatore incuriosito del linguaggio iconografico. Le immagini, sempre approssimative (e quindi bisognose di una attenta lettura e decodificazione), i segnali e i simboli traducono il testo che è colloquio, messaggio, programma, tradizione. È il principio dell'anagogia, che introduce ad una realtà superiore inesprimibile e ne presenta analiticamente i primi elementi interpretativi. Procedimento iniziatico, dunque, percorso di un labirinto di vocaboli e di funzioni, dedalo articolato di strutture collegate, punti d'incontro e passaggi di riferimento (come nel già citato caso dei cicli agiografici). Insomma: è una letteratura sconcertante, paradossale, per non dire pericolosa e capace di catturare l'intelligenza, alla pari di tante altre opere pittoriche, musicali e scultoree. Messaggio decifrabile da chi si mette in sintonia con il suo emittente, come lo percepiva la capacità di lettura dell'uomo medievale e come invece non lo avvertiva l'intelligenza sofisticata rinascimentale, illuminista e moderna.

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