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Spe salvi: prospettive medievali sul dopomorte

di Romolo Cegna (31 gennaio 2008)

Accanto alla paura della peste, percorreva la cristianità medievale d'Occidente del tardo Medioevo la paura delle pene del purgatorio, responsabile di un culto abusivo dal quale non erano immuni nemmeno i ricchi Valdesi delle zone alpine occidentali, notori negatori di quelle fiamme. In tanto disordine Chiesa e uomini di dottrina portarono avanti un discorso di correzione e di alta spiritualità, tra questi Nicola della Rosa Nera detto Dresdense (Praga, 1412-1416) e oggi Papa Benedetto XVI.

Policarpo, distinto e saggio signore, pregò Dio che potesse da vivo vedere la Morte così come era. Un giorno in Chiesa quando tutti erano usciti ecco gli si presenta una donna, il corpo nudo fasciato, magra, pallida, il volto giallastro; senza la punta del naso, gli occhi gocciolanti un umore sanguigno, la bocca storta senza labbra, gli occhi stravolti. A Policarpo terrorizzato la Morte dice, «Ma che fai lì a terra: il Signore Dio mi ha molto pregato che mi facessi vedere da te e ti spiegassi tutto il mio potere».

Così comincia il Dialogo di Policarpo con la Morte nel diffuso poemetto latino di più di cinquecento versetti del Trecento che ebbe a fine Quattrocento una versione polacca eccezionale per acquisizione di originalità e vigore artistico.1 I valori della vita sono del tutto futili e per la Morte tutti sono uguali: sia i Pievani, grandi bevitori di birra, sia gli osti che la birra te la danno cattiva, sia le ragazzine tue conoscenti belle come veline, sia le tue donne dal grasso cascante. La Morte si rivela Agente segreto dell'Inferno: deve raccogliere più anime che può per tenere ben attizzato quel fuoco eterno, ma qualcuna la deve pur lasciare salire in cielo. Non ci sono nella versione polacca altre destinazioni, ignorato del tutto il purgatorio. Eppure la comune credenza nell'esistenza del purgatorio è ormai diffusa, da almeno due secoli espressa in documenti autorevoli di Papi che si appoggiano a sottili disquisizioni di Padri e Dottori della Chiesa Cattolica.

Jacques Le Goff ci ha presentato a suo tempo una nascita del Purgatorio nel Duecento, ma meglio sarebbe indicare che allora si ha piuttosto la nascita nella Chiesa Romana di una formula di fede in questa materia nella Professione di fede dell'Imperatore d'Oriente Michele Paleologo, letta nella Sessione IV del Concilio di Lione il 6 luglio 1274 voluta da Papa Gregorio X: fu sancito allora il ritorno all'Unione con Roma della Chiesa d'Oriente, d'altronde presto disdetta dal figlio Imperatore Andronico; si riconosce tra l'altro a proposito della sorte dei defunti:

Se coloro che fanno sinceramente penitenza sono deceduti nella carità prima di aver pagato la pena con degni frutti di penitenza a seguito di cose fatte o di cose omesse: le loro anime sono purificate dopo la morte ... con pene che lavano e purificano; e a sollevarli da pene di tal genere giovano loro i suffragi dei fedeli viventi, vale a dire i sacrifici delle messe, le preghiere, le elemosine e gli altri esercizi di pietà che sono soliti farsi, secondo le indicazioni della chiesa, da dei fedeli a vantaggio di altri fedeli.2

Non si tratta di una particolare sentenza del Papa o del Concilio, ma di una esternazione di fede in formulazione di Lettera già sottoposta all'Imperatore da Clemente IV nel 1267 e successivamente dallo stesso Gregorio X nel 1272; la stessa formulazione sarà imposta da Urbano VI il 1º agosto 1385 ai Greci che tornassero alla Chiesa di Roma. Nel frattempo Papa Clemente VI in termini per così dire più realistici aveva indicato a Mekhitar Catholicon degli Armeni il 29 settembre 1351 una serie di domande, tra cui quella sul purgatorio, alle quali un fedele doveva dare risposta di assenso:

Credi che esiste il purgatorio nel quale discendono le anime di coloro che sono morti in grazia se non hanno ancora compiuto la soddisfazione dei loro peccati con una completa penitenza? Credi che queste sono tormentate dal fuoco per un certo tempo e che un volta purificate anche prima del giorno del giudizio pervengono alla vera ed eterna beatitudine che consiste nella visione faccia a faccia di Dio e nell'amore?3

Di questo fuoco si avevano tracce nell'immaginario di adolescenti d'un tempo che entravano nel Liceo; nel primo incontro con i Promessi Sposi di Alessandro Manzoni la fantasia si ravvivava nella descrizione della cappelletta al termine dei due viottoli a foggia di un ipsilon; in essa

erano dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, terminate in punta, che nella intenzione dell'artista e agli occhi degli abitanti del vicinato volevano dir fiamme; e alternate con le fiamme certe altre figure da non potersi descrivere, che volevano dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo grigiastro, con qualche scalcinatura qua e là.

Qui si lasciava Don Abbondio all'incontro inatteso dei Bravi.

Il buon conoscitore del Manzoni subito percepisce che il passo viene dal capitolo primo dell'edizione del 1832, prima della risciacquatura nell'Arno del 1840-1841 che farà della cappelletta, un tabernacolo, dei viottoli, le viottole, e del grigiastro di sfondo, un bigiognolo.

1. Verso la definizione dogmatica

Il fuoco tormentatore della Cappelletta di Don Abbondio riflette quello della Lettera agli Armeni del 1351 che già crepitava come fuoco transitorio punitore nella Lettera di Papa Innocenzo IV al Vescovo di Frascati del 6 marzo 1254 su Riti e dottrina che i Greci dovevano seguire, specificando tra l'altro che il luogo di tale purificazione deve essere chiamato purgatorio anche dai Greci;4 si parla di quel fuoco transitorio che tuttavia non riappare nella formulazione del Concilio di Firenze del Decreto per i Greci del 6 luglio 1439 dove precedenti contenuti di lettere papali diventano, per la prima volta nella storia della Chiesa, una precisa formula di fede, affermazione di un dogma, per il termine premesso Definimus mai prima usato in materia di sorte dei fedeli defunti:

Definiamo che le anime dei veri penitenti, morti nell'amore di Dio prima di aver soddisfatto con degni frutti di penitenza ciò che hanno commesso o omesso, sono purificate dopo la morte con le pene del purgatorio e che riceveranno un sollievo da queste pene mediante suffragi dei fedeli viventi come il sacrificio della messa, le preghiere, le elemosine e le altre pratiche di pietà che i fedeli sono soliti offrire per gli altri fedeli secondo le disposizioni della chiesa.5

La piena formula di fede nel purgatorio sancita dal Concilio di Firenze nel 1439 troverà conferma nel Concilio di Trento che, assai sinteticamente, nella sessione VI del 13 luglio 1547, nel canone 30 del Decreto sulla giustificazione pronuncia:

Se qualcuno afferma che qualsiasi peccatore pentito dopo che ha ricevuto la grazia della giustificazione viene rimessa la colpa e cancellato il debito della pena eterna in modo tale che non gli rimane alcun debito di pena temporale da scontare o in questa vita o in quella futura in purgatorio prima che gli siano aperte le porte del regno dei cieli sia anatema.6

Occorre aggiungere che alla fine del novembre 1563 i Padri Conciliari di Trento ripresero la tematica del purgatorio e in gran fretta formularono il Decreto sul purgatorio del 3 dicembre 1563, per terminare il più presto possibile il Concilio:

Poiché la Chiesa Cattolica, istruita dallo Spirito Santo, in conformità alle sacre Scritture e all'antica tradizione nei sacri Concili e più di recente in questo Concilio Ecumenico, ha insegnato che il purgatorio esiste e che le anime ivi trattenute possono essere aiutate dai suffragi dei fedeli e soprattutto col santo sacrificio dell'altare, il Santo Sinodo prescrive ai Vescovi di vigilare con zelo perché la sacra dottrina trasmessa dai santi padri e dai sacri Concili, sia creduta, conservata, insegnata e predicata ovunque.

Il concilio esorta quindi di evitare nella predicazione al popolo le questioni più difficili e più sottili, la discussione su punti incerti, questioni che soddisfano solo curiosità e superstizione. Per meglio rendersi conto del grande salto di qualità avutosi nella Chiesa Cattolica Romana e del cammino nel chiarimento nella presentazione del dogma del purgatorio, sostiamo presso San Tommaso d'Aquino; dopo alcuni suoi accenni al purgatorio nel Supplemento della Terza parte della Summa teologica, la morte lo colse il 6 luglio 1274 appena cinquantenne prima che potesse portare a termine la grande opera punto di riferimento di ogni dottrina dogmatica; alcuni Dottori costituirono allora un'Appendice sul Purgatorio con testi presi dal giovanile Commento di Tommaso ai libri delle Sentenze di Pietro Lombardo, teologo e filosofo autore nel secolo XII di una somma di teologia scolastica, guida per tutto il Medio Evo e oggetto di studio e di esposizione nelle Università fino alle soglie del Rinascimento. Ora Tommaso d'Aquino non ci dà molto, indugiando a parlare del valore espiatorio del fuoco nel purgatorio, del luogo condominiale purgatorio-inferno, dei diavoli che in purgatorio non possono agire, e così via. Di queste inutili curiosità non si trova più traccia nel Catechismo della Chiesa Cattolica7 dove leggiamo sotto il titolo La purificazione finale o Purgatorio:

1030. Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio ma sono imperfettamente purificati sebbene siano certi della loro salvezza eterna vengono però sottoposti dopo la loro morte ad una purificazione al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo.

1031. La Chiesa chiama purgatorio questa purificazione finale degli eletti che è tutta altra cosa dal castigo dei dannati. La Chiesa ha formulato la dottrina della fede relativa al purgatorio soprattutto nei Concili di Firenze e di Trento.

Il purgatorio è dunque una situazione, uno stato di purificazione. Solo la Tradizione ci parla del fuoco purificatore, del sacrificio espiatorio per i morti, della Chiesa che fin dall'inizio onora la memoria dei defunti, dell'opportunità di elemosine, indulgenze, opere di penitenza a favore dei defunti.

2. Movimenti riformatori medievali: Wyclif e Hus

Dobbiamo cercare un qualche grande movimento culturale e religioso alla fine del Medio Evo che abbia potuto scuotere la Cristianità creando quei necessari canali ideologici idonei a purificare la Chiesa dal quel groviglio incomposto di superstizioni e di impropria religiosità che aveva oscurato e deformato la vita quotidiana dell'Homo Christianus. Un tale movimento ci fu e nonostante i suoi insuccessi e la sua apparente eliminazione lasciò una sicura eredità di volontà di Riforma espressa nell'azione e nelle opere tra gli altri di due personaggi: Giovanni Wyclif (†1384), del tutto condannato dai Concili, con le sue opere eliminate in patria, con le sue ossa disperse dopo un primo riposo in una tranquilla tomba; Giovanni Hus (†1415) professore all'Università di Praga, esaltato dalla popolazione boema, al Concilio di Costanza condannato al rogo e le sue ossa disperse. Non parlerò di loro di cui le pagine della storia sono piene; di Wyclif che credeva nell'esistenza del purgatorio ricordo appena una sentenza:

Non ho intenzione (a proposito del purgatorio) di trattare più particolarmente del fuoco, del luogo (in cui le anime sono dopo morte), della pena (alla quale sono sottoposte);... poiché Dio vuole che ignoriamo tali specifiche cose, mi sembra cieca presunzione sognare una informazione su di esse senza alcuna evidenza.8

Di Hus abbiamo una Questione delle indulgenze che egli disputò pubblicamente nel 1412 il giorno dopo San Vito ossia della Crociata di Papa Giovanni XXIII contro re Ladislao di Napoli, sostenitore di Papa Gregorio XII (era il tempo di tre Papi eliminati poi tra il 1415 e il 1417 dal Concilio di Costanza che l'11 novembre 1417 elesse papa Martino V). Hus e tutto l'ambiente direttamente o indirettamente legato a lui credeva nel Purgatorio la cui esistenza ad esempio era stata solennemente difesa dal sacerdote inglese wyclifita, rifugiatosi a Praga nel 1414, Peter Payne che in una solenne discussione tra Maestri di Praga e Taboriti davanti all'Imperatore nel 1436 affermava:9

Dichiaro solennemente che dobbiamo ammettere che la purificazione (purgatio) delle anime uscite dai corpi nel tempo della legge della grazia è da porre anche secondo quanto scrive il Maestro Giovanni Wyclif; per queste anime occorre pregare ed esercitare tutte le altre opere di pietà purché si escluda ogni simonia, la vendita di messe e tutte le altre ingannevoli finzioni, come insegna il Maestro Giovanni Hus. Questi da parte sua, pur con piena fede nel purgatorio, aveva con sommo sarcasmo ipotizzato che se sono valide tutte le indulgenze che il papa concede, soprattutto per interesse illecito personale, egli «può per indulgenza assolvere da pena e colpa chiunque in guerra sia contrito e confessato e tale grazia può darla in futuro a chiunque e allora più nessuno andrà in purgatorio» che sarà considerato distrutto.10

Non dobbiamo vedere in Hus alcuna irriverenza e sulla possibilità della distruzione del purgatorio da parte del papa per l'uso improprio delle indulgenze. Già ne discuteva un onestissimo professore di teologia dell'Università, Enrico di Bitterfeld,11 morto a Praga nel 1404, comunque fuori dagli intrighi di polemiche tra le diverse fazioni religiose e politiche; egli scriveva:

Non risulta ben chiaro se il papa possa semplicemente concedere a un peccatore contrito la piena remissione, senza che ci sia la propria soddisfazione della pena, altrimenti con quella remissione egli potrebbe eliminare la pena del purgatorio e liberare tutti quelli che vi si trovano.

3. Nicola della Rosa Nera

In quei frangenti visse e operò a Praga un sacerdote perfetto conoscitore di Diritto Canonico e Teologia che in una delle sue grandi Repetitiones affrontò il tema del purgatorio in tutti i suoi aspetti e ci lasciò un Dialogo che costituisce per quel tempo l'unico Trattato indipendente su questo tema. Si tratta del professore e predicatore Nicola il Teutonico, detto dal popolo «della Rosa Nera» perché ospite tra il 1412-1416 della Natio bohemica presso la Casa della Rosa Nera Na příkopě (Sul fossato, allora esistente tra Praga Città Vecchia e Praga Città Nuova, in via di riempimento, ora nr. 12). Premettiamo che a Praga il movimento riformista verso il 1419 sboccò nella lotta rivoluzionaria armata con centro ispiratore Tábor12 con istanze di rinnovamento che portarono quella parte minore a un pieno distacco dalla Chiesa tradizionale fino alla sua definitiva sconfitta a Lipany nel 1434. Il capo ideale del Taborismo, Nicola Biskupec di Pehlrimov, lasciò una Confessio Taboritarum13 che utilizzò testi di Nicola e di Hus dando loro un indirizzo di negazione radicale della tradizione ecclesiastica romana, negando tra l'altro del tutto il purgatorio. Alla fine del Quattrocento su questi testi e su altri sempre boemici perduti i Valdesi composero un loro complesso Catechismo o Compendio dottrinale Il Tesoro della fede14 il cui Nono Capitolo è dedicato al Purgatorio.

Certi della fede di Wyclif e di Hus nella esistenza del Purgatorio cerchiamo ora di capire come l'eccezionale canonista predicatore Maestro baccelliere in diritto Nicola motiva la sua particolare fede in un suo Purgatorio. Di lui non abbiamo notizie biografiche salvo i riferimenti a sue opere in Praga nel periodo già indicato: Un suo contemporaneo, un certo Canonico Simone di Litovel lo dice austero, dedito tutto alla penitenza, forse martire di Cristo; egli in prediche a Professori e Studenti accenna alla sua persona:

Non sono prestante, sono uomo debole, fragile, non buon parlatore, non raffinato nel comportamento; sono inviluppato nei peccati, nell'inesperienza e nei difetti miseramente dentro e fuori.15

Di particolare importanza è lo sviluppo della teologia di Nicola della Rosa Nera sul purgatorio alla quale egli ci invita da sacerdote integerrimo che solennemente dichiara in un Sermone a tutto il clero riunito nell'ottobre del 1414 nella Chiesa (non più esistente) di San Michele della Città Vecchia di Praga:

Tutto quello che ora o in futuro i miei impegni mi faranno omettere o quanto la mia imperfezione mi farà esprimere meno bene, non lo intendo affatto giustificare e lo voglia correggere la vostra carità di fratelli alla quale mi sottometto; fin d'ora intendo immediatamente revocare ciò che mi capitasse di dire che sappia di contrario alla verità della Legge di Dio e di quelle canonica e civile fondate sulla stessa Legge di Dio ed espressamente dichiaro di ritenerlo ora e sempre come non detto.16

Nicola ha qui utilizzato la formula introduttiva del Commento alle Decretali Gregoriane del grande canonista di Lione del Trecento Enrico Bohic17 dopo le quali con sue parole dichiara:

A parte tutto questo proclamo che, se a causa dell'uso o per inesperienza a riguardo del senso esteriore delle parole o per altri motivi dovessi deviare dalla rettitudine della fede ortodossa, quanto ho detto sia come non detto poiché per nulla intendo staccarmi dalla Chiesa Romana nelle cui viscere sono stato nutrito.18

Con queste premesse egli tuttavia in un ambiente per lo più contrario alla comunione anche col vino esorta i confratelli sacerdoti:

Dio vuole che ormai pratichiamo questo sacramento (dell'Eucaristia) anche in modo perfetto e completo: non resistiamo ma obbediamo e cominciamo.

Parte importante dell'insegnamento del diritto canonico nelle Università era la cosiddetta Ripetizione (Repetitio). Un certo Eberardo di Schonord attorno al 1390 presenta il programma di una Repetitio che svolgerà con riferimento a una certa Decretale del Libro Sesto di Papa Bonifacio VIII.

Inizio la Ripetizione del seguente capitolo del Titolo della Decretale ... e osserverò il solito vetusto e lodevole ordine. Per primo darò il sommario e l'indicazione di alcuni casi. In secondo luogo esporrò il testo e da esso trarrò alcuni temi. In terzo luogo porrò delle questioni e volentieri risponderò a quelle che mi saranno poste, e così rispetterò l'ordine ternario congruo con la Santissima Trinità.19

Nicola della Rosa Nera tra l'altro compose una grande Repetitio su una Decretale di Papa Gregorio IX: Libro III, titolo 45 De reliquiis et veneratione sanctorum (Su reliquie e venerazione dei santi), capitolo 1 Senza licenza del Papa non è lecito venerare alcuno per santo20 delle cui tre parti ci rimasta parzialmente la prima, appunto sul purgatorio e la terza sul culto delle immagini. In riferimento a un frammento perduto de signis et miraculis (su prodigi e miracoli) Nicola si è impegnato in un discorso sul purgatorio collegato alle presunte apparizioni di anime e di fantasmi suscitati dai demoni. Il testo che ci è rimasto è un rimaneggiamento dello stesso Nicola che ha trasformato le lezioni originarie in un efficace e colorito dialogo21 tra due personaggi: M. (Mendacium, menzogna) sostenitore di un purgatorio tradizionale, e V. (Veritas). Premessa fondamentale è che la Passione di Cristo sana tutti i nostri difetti e supplisce alle nostre insufficienze, e che la misericordia onnipotente di Dio dona in piena libertà la sua grazia a chi voglia, senza incorrere in ingiustizia. Tommaso d'Aquino fondava da parte sua il purgatorio nell'esigenza del rispetto della giustizia divina:

La giustizia esige che il peccato abbia la sua pena e pertanto chi dopo la contrizione per il peccato e l'assoluzione muore prima di aver fatto la dovuta soddisfazione, deve essere punito dopo questa vita. Coloro che negano il purgatorio parlano quindi contro la divina giustizia.22

Nicola nel corso del suo Dialogo puntualmente fa cadere tutte le cosiddette tradizionali prove dell'esistenza del purgatorio con presunto fondamento sulla Scrittura o su affermazioni di Padri e Dottori della Chiesa. Ma resta il problema del dovuto debito per giustizia per la soddisfazione della pena: anche per lui la giustizia deve essere soddisfatta. E qui Nicola ci introduce in un tema che non offende il principio della giustizia e d'altra parte salva l'esigenza della purificazione finale altrimenti detta purgatorio. Leggiamo uno dei momenti del Dialogo sul purgatorio, tenendo presente l'attenzione che Nicola presta alla situazione del momento della morte, vale a dire nel passaggio dall'esistenza terrena alla comparizione davanti a Cristo Giudice.

Mendacium: Dimmi un po': cosa pensi di quelli ai quali è rimesso tutto il peccato come colpa ma solo in parte per la congrua pena?

Veritas: So che la remissione della colpa o è nulla o si ha tutta assieme ma la remissione della pena avviene parzialmente e di solito non tutta nello stesso momento, anche se qualche volta si ha tutta assieme per il fervore del penitente ed anche per la pura generosità di Dio come fu nella donna peccatrice che tu hai ricordato (Lc 7, 48): ti sono rimessi i tuoi peccati non solo quanto alla colpa ma anche quanto alla pena per il tuo veemente amore di Dio e per l'orrore che hai per il peccato passato.23

Qui è citato il commento Nicola da Lira, il Francescano francese più influente glossatore medievale della Bibbia, conoscitore della Bibbia ebraica e dei Maestri Rabbini che utilizza e ai quali Nicola della Rosa Nera fa riferimento in Sermoni al Clero proprio in quella Città Vecchia di Praga in cui a pochi passi fioriva allora la grande Scuola rabbinica nella più antica colonia ebraica in Europa. Egli continua:

Da ciò risulta che il merito della passione di Gesù Cristo 'il cui sangue aprì per misericordia la porta dei cieli ai fedeli', secondo il Canone Majores (Decret. Greg. 3, 42, 3), unito alla nostra opera informata nella carità, e l'orrore del peccato passato e futuro bastano nell'uomo che vive nella buona volontà alla cancellazione della colpa e di tutta la pena e all'infusione della grazia. Infatti Giovanni dice (Io 1, 29): 'Ecco l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo', lui solo, non alcun altro. Dice il canone Nemo (Decretum Gratiani, De cons. Di. 4, c. 141): 'Nessuno toglie i peccati del mondo se non il solo Cristo che è l'Agnello che toglie i peccati del mondo; li toglie col condonare i peccati fatti tra cui c'è l'originale, e con l'aiutare a non commetterne più e con il condurre alla vita (eterna) dove non se ne faranno più del tutto'. Concorda Ambrogio nel Decreto (De pen. Di 1, c. 51): 'La parola di Dio condona i peccati'vale a dire il Figlio di Dio che si dice Parola perché come con la parola si manifesta la volontà di qualcuno così attraverso il Figlio si manifesta la volontà del Padre; o anche: la parola è la predicazione che a volte provoca la contrizione e di conseguenza il condono del peccato'. Da quanto è detto si prova che l'uomo penitente se all'inizio non ha tanta contrizione quanto si glorificò nel piacere peccaminoso, in parte gli manca il condono della colpa e ha l'obbligo di dolersi sempre perché (Qohelet 9, 1) 'l'uomo non sa se sia degno di amore o di odio'. Non puoi quindi provare che la detta pena per la parte non condonata sia riservata per qualcuno che deve essere salvato al Dopomorte poiché ciò non lo si trova né nella Scrittura Sacra né negli scritti fondati sulla Legge di Dio e nemmeno lo si prova con gli esempi dei santi come Davide, Pietro e tutti gli altri perché a nessuno di essi fu riservato un tipo siffatto di pena ma tutta la pena fu condonato in questa vita.

E di nuovo Mendacium controbatte: Ma cosa dici allora quando il pentimento in vita è stato insufficiente e nell'istante della morte è incompleto?

Le quattro pagine24 con la risposta di Nicola ci danno il pieno contenuto di cosa Nicola intenda per purgatorio o purificazione nell'istante della morte: egli omette i soliti sillogismi per collocarci crudamente nel mistero della Sacra Scrittura. In questa prospettiva ci lascia col nostro purgatorio.

Veritas. Ti risponde Paolo che noi in noi stessi siamo insufficienti a pentirci ma 'abbiamo tale fiducia per Cristo Dio, non perché siamo in grado di pensare a qualcosa con il nostro potere ma perché la nostra sufficienza viene da Dio (2 Cor 3, 4-5). E scrive Pietro Lombardo nelle sue Sentenze25: 'Se la penitenza interiore fu con qualcuno così intensa da essere sufficiente vendetta del peccato, Dio che lo vede da lui non esige più alcuna penitenza; ma se la penitenza interiore non è sufficiente vendetta del peccato e la penitenza esteriore non viene compiuta, Dio che conosce modi e misure dei peccati e delle pene, aggiunge la pena sufficiente'. Comunque, come dice Giovanni Crisostomo parlando del fuoco della tribolazione: 'Dio sempre è potente, anche nell'ora della morte è in grado di aiutare chi gli piace aiutare'. E leggiamo in Agostino: 'La penitenza fruttuosa non è opera dell'uomo ma di Dio; egli può quindi inspirarla ogni volta che voglia per sua misericordia e per la stessa sua misericordia può ricompensare coloro che per giustizia può condannare'. Sta nei meriti di Cristo e in Dio misericordioso e potente il supplire a tutto ciò che ci manca. La passione di Cristo e il suo sangue sparso per noi e la sua parola sana tutte le nostre manchevolezze e supplisce a tutte le nostre insufficienze; purché siamo di buona volontà sulla fine della vita avremo pace e saremo liberati da ogni male di colpa e di pena come egli stesso dice col Profeta Zaccaria, 'perché li ho redenti, con la mia passione' (Zac 10, 8). Non potrebbe dunque Dio misericordioso con la sua divina virtù infinita che opera in un istante all'uomo in fin di vita che con tutte le sue forze si duole e desidera il perdono, concedere prima della morte la perfetta salute in quanto a condono di colpa e di pena? Dio infatti è sempre pronto a concedere i benefici più grandi e più numerosi di quanto l'uomo possa desiderare poiché secondo la comune opinione dei Dottori 'chi sanò, col corpo sanò anche lo spirito'e tutto l'uomo fece salvo (Io 5, 9; 7, 23), come fa notare Lira, e 'non conobbe opera imperfetta', come dice il canone Majores (Decret. Greg. 3, 42, 3).

4. Predestinazione e/o preghiera?

Non sorprende chi conosce la genialità di Nicola della Rosa Nera di trovarsi ora qui proposto improvvisamente, apparentemente senza chiara motivazione del passaggio, uno dei più splendidi, tormentosi e tormentati capitoli di Paolo Apostolo, «celeste studente», il nono della Lettera ai Romani (Rm 9, 13-16. 17-18. 20-21), ma Nicola stesso ce ne presenta le ragioni, richiamando la nostra attenzione sul mistero della predestinazione, misura di ogni prospettiva ultraterrena.

Ci illumina su quanto ho detto anche la pura generosità di Dio secondo il capitolo nono della Lettera ai Romani su cui Lira: 'a qualcuno la grazia viene data per puro dono; quando dice: Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù, non c'è ingiustizia se la grazia non viene data a uno dei due, poiché senza ingiustizia viene data all'uno e non all'altro e in modo chiaro questo dice il Salvatore in Matteo 20 (Mt 20, 13) a proposito dei vignaioli: Amico, io non ti faccio torto, prendi il tuo denaro che hai pattuito e vai. E questa sentenza la chiarisce qui l'Apostolo che dice: Che diremo dunque? C'è forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente! Egli infatti dice a Mosè: Userò misericordia, glossa: dando la grazia nel tempo, con chi vorrò, glossa: con la predestinazione eterna; e avrò pietà, glossa: dando effettivamente la gloria, di chi vorrò averla, glossa: concedendo ora la grazia finale. Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, glossa: vale a dire dall'uomo quanto all'affetto e all'effetto fare opera meritoria che oltrepassa la capacità dell'uomo, ma da Dio che usa misericordi, glossa: perché con la sua pura generosità elegge nell'eterno alla gloria e nel tempo agli eletti dà la grazia'. E segue in conclusione: 'Dio quindi usa misericordia con chi vuole, glossa: dando la grazia finale e la gloria, e ciò gli spetta per se stesso, e indurisce chi vuole, glossa: e ciò gli compete solo accidentalmente. 'Il fatto che i non eletti da Dio precipitino nel peccato non è per una mancanza di Dio poiché loro non manca l'istinto divino al bene, ma per mancanza del libero arbitrio che non recepisce quell'istinto e così ad essi viene negata la grazia e ulteriormente si induriscono nei peccati a causa della loro malvagità, e accidentalmente per l'intervento di Dio che rimuove la grazia posta per ammorbidire il cuore umano: la ritrae giustamente e così induriti gli uomini sono organizzati per la pena.

E Lira osserva:

ma tu qui potresti dire che se l'indurimento del peccatore e la chiamata del giusto dipendono dalla volontà di Dio, allora giustizia e peccato non sono imputabili all'uomo. Questo ragionamento che fai è irrazionale da parte dell'uomo che così ragiona. Occorre infatti che chi fa un ragionamento su un certo fatto capisca bene quel fatto. Ma l'uomo non riesce a capire nemmeno la più piccola opera di Dio, nemmeno il perché una foglia d'albero abbia quel peso, quella forma e le altre caratteristiche, tanto meno può l'uomo capire le massime opere di Dio tra cui abbiamo l'elezione e la riprovazione.

Nicola completa il quadro di questo mistero di vocazione e riprovazione ricordando ancora di Paolo dalla lettera ai Romani (Rm 9,19-22):

O uomo chi tu sei per disputare con Dio? Oserà forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: «perché mi hai fatto così?» Forse il vasaio non è padrone dell'argilla per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare?

E si conclude dopo un certo percorso predestinazionista (Rm 11, 33): »Quanto sono imperscrutabili i giudizi di Dio e investigabili le sue vie!»

Ora Nicola torna al suo messaggio di esortazione alla penitenza e inserisce quanto ha detto nel programma della discussione sul purgatorio a nostra illuminazione.

Consiglio pertanto di rifletter bene su quanto ho detto a colui che voglia o condannare delle persone o consentire alla loro condanna fatta da altri e che intenda dare definizioni sulla pena del purgatorio e su come possa bastare la penitenza in questa vita o al momento della morte.26

E seguono citazioni più che opportune del Siracide:

3, 21-23: «Non cercare le cose troppo difficili per te, non indagare le cose per tre troppo grandi. Bada a quello che è stato comandato poiché tu non devi occuparti delle cose misteriose. Non sforzarti in ciò che trascende le tue capacità poiché ti è stato mostrato più di quanto comprende un'intelligenza umana».

5, 27: "Un cuore ostinato alla fine cadrà nel male; chi ama il pericolo in esso si perderà.

L'ammonimento generale contro la presunzione di una impossibile scienza e conoscenza umana del purgatorio ora insiste sul vero problema: la penitenza, la conversione, la misericordia e la giustizia di Dio:

5, 5-9: «Non essere troppo sicuro del perdono tanto da aggiungere peccato a peccato. Non dire: "La sua misericordia è grande; mi perdonerà molti peccati", perché presso di lui ci sono misericordia e ira, il suo sdegno si riverserà sui peccatori. Non aspettare a convertirti al Signore e non rimandare di giorno in giorno, poiché improvvisa scoppierà l'ira del Signore e al tempo del castigo sarai annientato».

Nicola chiude con la citazione, confortante in tanta pesante dottrina, di Gregorio Magno dal Libro dei Dialoghi:27

Non si può ottenere ciò che non sia stato predestinato ma si ottengono quelle cose che divengono predestinate con la preghiera poiché anche l'eterna predestinazione del Regno è stata disposta da Dio in modo che ad essa gli eletti pervengano dalla loro fatiche se con la preghiera meritino di ricevere ciò che l'Onnipotente Dio ha disposto prima di ogni tempo di donare.

Onde evitare inopportune scelte in campi di teologia del Dopomorte, dominata dalla vicendevole compenetrazione di Grazia e Giustizia, Nicola (ora espositore di una rigorosa predestinazione, ora affermante lo stretto valido rapporto tra ricompensa divina e opera di buona volontà dell'uomo) poco più avanti offre spaziosi riferimenti alla grazia, alla predestinazione, alla giustizia e anche al libero arbitrio in frammenti28 della Visione III dell'Apocalisse di Esdra, 22 versetti presi dal Libro IV29 che già Girolamo considerò apocrifo pur collocandolo nell'Appendice della sua Bibbia Volgata dove rimase nella tradizione editoriale (solo nella Chiesa Etiope l'Apocalisse di Esdra è tra i Libri Canonici). In esso Esdra ha sette visioni: conversando con Dio o con l'Arcangelo Uriel riceve una serie di rivelazioni relative alla sorte dei giusti e degli empi, al giudizio divino, al senso della storia. Chiara è la responsabilità dell'uomo di fronte alla Legge: soltanto Israele l'ha accolta ma anche la trasgredisce. Nessun uomo è senza peccato: Adamo oltre al dono della libera scelta ha ricevuto anche un cuore maligno, forza malvagia che spinge al male l'uomo senza diminuirne la responsabilità. Il pessimismo è radicale sulle sorti dell'umanità che Esdra vede destinata alla perdizione. Nicola coglie una ventina di versetti in cui si accentua l'obbligo dell'impegno della buona volontà anche se (4 Esdra 9, 16) «sono di più quelli che periranno di quelli che si salveranno, come nel rapporto tra una goccia di mare e le sue onde». Ora il senso del monito di Esdra-Nicola è questo (7, 6-9): «Una città viene costruita in aperta campagna, piena di ogni bene, ma il sentiero che porta in essa è strettissimo, posto tra precipizi invasi a destra dal fuoco e a sinistra da acqua profonda, e solo l'uomo a piedi può passarvi. Ora se questa città viene data in eredità all'uomo come egli potrà averla se non la cerca e se non sa superare i pericoli del passaggio ad essa?»

E conclusivo sta qui Siracide 15, 12-18: «Non dire: egli mi ha spianato, cioè ha rimosso da me tutti i beni, perché egli non ha bisogno di un peccatore. Il Signore odia ogni abominio: esso non è voluto da chi teme Dio. Egli da principio creò l'uomo e lo lasciò in balia del suo proprio volere», vale a dire (commenta Nicola) in potere del libero arbitrio così da poter peccare o non peccare, infatti aggiunse (15, 15): «Se vuoi, osserverai i comandamenti; l'essere fedele dipenderà dal tuo buon volere», glossa: «con le opere perché (Gc 2, 26) la fede senza le opere non vale».

5. Purgatorio o suffragio?

Meglio qui riproporre l'inizio de cuore della controversia quando Mendacium, credendo di porre a Nicola un inconfutabile argomento gli dice: «Ma negare il purgatorio equivale a cadere in tre errori».30 Si tratta della usuale argomentazione che Nicola può riprendere ad esempio dal Professore di Praga Giovanni di Marienwerder che la colloca nella sua nota, diffusa Expositio in symbolum:31 «Chiaro è l'errore di coloro che negano il purgatorio che include tre altri errori: nessun peccato rimane veniale dopo questa vita; quando si condona la colpa si condona anche tutta la pena; i suffragi della Chiesa non giovano ai defunti». Non seguiamo Nicola che punto per punto invalida i ragionamenti dell'avversario ma osserviamo alcuni aspetti della discussione. Nicola non intende negare il purgatorio ma solo esprimere come sia contro la Scrittura una concezione «sul Purgatorio, come comunemente si suole ritenere», «secondo il comune linguaggio degli uomini» che per questa «credulità» «condannano gli increduli al fuoco» senza alcun appoggio alla Sacra Scrittura o a «infallibili ragioni», legati come sono alle loro «tradizioni».32 In Nicola è riconosciuta la necessità della purificazione finale e il noto fuoco purificatore di cui parla la Scrittura, soprattutto I Cor 3, 11-14, lo occupa molto:33 «Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova che è Gesù Cristo. E se sopra questo fondamento si costruisce... l'opera di ciascuno sarà ben visibile: lo farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco e il fuoco proverà la qualità dell'opera di ciascuno. ... Se l'opera finirà bruciata, sarà punito, tuttavia egli si salverà come attraverso il fuoco».

Per Nicola il fuoco è tutto ciò che nella vita è tribolazione, tormento, «persecuzione dell'Anticristo» per cui il cristiano, «sarà salvo ma come attraverso il fuoco»; e momento di questa purificazione si ha nella morte, come dice Agostino,34 «nella Città di Dio, capitolo 21 alla fine: a questa tribolazione può appartenere anche la morte stessa della carne», con l'intervento dell'onnipotente misericordioso Dio che35 «può premiare alla fine della vita, in un istante, prima della morte»; e in fine della vita «si ha il passaggio alla vita eterna con il fuoco»;36 «alla misericordia di Dio infatti appartiene che egli, già peccatore, dopo questa vita in un momento ascenda al cielo perché la misericordia "è sopra a tutte le sue opere" (Ps. 144, 9)».37

6. Prospettive ecumeniche attuali: l'Enciclica Spe salvi

L'intuizione di Nicola su un purgatorio purificatore di un istante nel momento della morte, che è del 1415, trova illustrazione in una sentenza di Papa Benedetto XVI nella Enciclica Spe salvi sumus del 30 novembre 2007:

Alcuni teologi recenti sono di avviso che il fuoco che brucia e insieme salva sia Cristo stesso, il Giudice e Salvatore. L'Incontro con lui è l'atto decisivo del giudizio ... È l'incontro con Lui che bruciando ci trasforma e ci libera per farci diventare veramente noi stessi... Nel dolore di questo incontro in cui l'impuro e il malsano del nostro essere si svelano a noi evidenti, sta la salvezza... Il suo sguardo, il tocco del suo cuore ci risana mediante una trasformazione certamente dolorosa 'come attraverso il fuoco'... Così si rende anche evidente la compenetrazione di Giustizia e Grazia: il nostro modo di vedere non è irrilevante, ma la nostra sporcizia non ci macchia eternamente ... questa sporcizia è già stata bruciata nella Passione di Cristo. Nel momento del giudizio sperimentiamo ed accogliamo questo prevalere del suo amore su tutto il male del mondo ed in noi ... È chiaro che la durata di questo bruciare che trasforma non lo possiamo calcolare con la nostra misura cronometrica di questo mondo. Il momento trasformatore di questo incontro sfugge al cronometraggio terreno; è tempo del cuore, tempo del passaggio alla comunione con Dio nel Corpo di Cristo.

Con Nicola, assolutamente attuale, non cerchiamo il purgatorio nella Scrittura Sacra e seguiamo l'Enciclica Spe salvi:

La Chiesa primitiva ha ripreso tali concezioni [da idee vetero-giudaiche] dalle quali nella Chiesa occidentale si è sviluppata man mano la dottrina del purgatorio. Non abbiamo bisogno di prendere qui in esame le vie storiche complicate di questo sviluppo; chiediamoci soltanto di che cosa realmente si tratti. ... San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi ci dà un'idea del differente impatto del giudizio di Dio sull'uomo a seconda della sua condizione. Lo fa con immagini che vogliono in qualche modo esprimere l'invisibile senza che noi possiamo trasformare queste immagini in concetti semplicemente perché non possiamo gettare lo sguardo nel mondo dell'aldilà della morte né abbiamo alcuna esperienza di esso. Paolo dice dell'esistenza cristiana che essa è costruita su un fondamento comune: Gesù Cristo.

Nicola propone di evitare comunque l'errore di voler «affermare come verità ciò di cui espressamente, direttamente o anche solo implicitamente non si conosce il sicuro fondamento. Si sbaglia molto di più con una simile fede che non col pio dubbio sulla dottrina in questione, in attesa di essere informati nel modo dovuto, in modo sicuro e diretto sulla legge di Dio».38 E ancora precisa che esiste una differenza tra l'inefficace operare umano e quello di Dio poiché «la virtù divina è infinita e opera in un istante»;39 e «Cristo conosce le misure e i modi per sanare anche nella morte e nell'ultimo termine della vita, come spesso si è detto», infatti «la mano del Signore non è troppo corta per salvare (Is 59,1)». Ed ecco una parola sui suffragi: si tratta di interventi sulla coscienza dei cristiani per risvegliare dal sonno del peccato, incutendo terrore del giudizio di Dio e delle pene possibili, infliggendo disastri e danneggiamenti e ansie.40 Qui Nicola richiama quanto ha scritto sui suffragi in un certo prezioso testo che però è perduto: «Di questi suffragi vedi dove ho parlato sulla Fraternità di Cristo e sulla Comunione dei Santi». Affinché teniamo ben presente l'oggetto di quei discorsi cita immediatamente, senza commento, 2 Cor. 1, 9-11 con evidente allusione alla salvezza in Cristo dell'anima nel momento della morte del corpo, grazie anche alla preghiera comunitaria: «Abbiamo ricevuto su di noi la sentenza di morte per imparare a non riporre fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti. Da quella morte però egli ci ha liberato e ci libererà, per la speranza che abbiano riposto in lui, che ci libererà ancora, grazie alla vostra cooperazione nella preghiera per noi, affinché, per il favore divino ottenutoci da molte persone, siano rese grazie per noi da parte di molti». Nicola dà un respiro alla trattazione richiamando Mt. 15, 13: «Le piante che il Padre mio non avrà piantato saranno sradicate», tra cui le indulgenze generali in occasione dei giubilei, che, se avessero valore, così come sono organizzate, porterebbero alla distruzione del purgatorio. Il punto di questa distruzione è già stato proposto in Enrico di Bitterfeld e in Giovanni Hus. Ma ha molto più importanza il chiarimento del nesso tra indulgenze e Comunione dei Santi esposto da Nicola nel frammento perduto. Tuttavia dato che nella letteratura boema del tempo troviamo brevi trattati anonimi cariche del pensiero di Nicola, ricchi anche di prestiti da opere sicuramente sue, posso qui riportare alcuni pensieri, certamente a lui ispirati dall'Anonimo De fraternitate Christi, del ms. 108 della Biblioteca Universitaria di Brno41 dove leggiamo:

Risulta che chiunque vive senza peccato mortale, in buona coscienza, sobriamente, piamente e in giustizia, dando elemosine ai bisognosi in base alle sue possibilità, senza tenere nel cuore un odio cattivo e disordinato contro il prossimo, punendo nel prossimo per solo zelo del divino amore la malvagità e l'ingiuria contro Dio, senza comperare le messe, senza iscriversi o collegarsi a quelle sette che sono le false confraternite, è in grado di usufruire e di partecipare di tutti i beni e di tutto quello che è fatto nel mondo da tutti coloro che temono Dio e osservano i suoi comandamenti...

Ogni fedele è figlio Dio e fratello di Gesù Cristo come uomo e partecipe di tutti i beni che si compiono nella Chiesa di Dio nella congregazione dei giusti secondo il Salmo 68, 63: «Io sono partecipe di tutto quello che fanno coloro che ti temono, o Dio, e osservano i tuoi comandamenti». Non si fa riferimento alle indulgenze, divenute per certi aspetti presso i radicali ussiti inutili, in quanto già il fedele cristiano in grazia ha la garanzia della fruizione di tutti i meriti dei fratelli e dei santi per quanto noi crediamo, secondo l'antico Credo della Chiesa nella Comunione dei Santi. Ma questo pensiero è chiarissimo in un commento all'Apocalisse scritto da un lollardo o frate francescano nel carcere di un Convento londinese negli anni Ottanta del Trecento dove leggiamo42 a proposito delle indulgenze concesse agli esecutori e procuratori della Crociata in riferimento alla Crociata inglese nelle Fiandre:43

Onde contro siffatte indulgenze del Papa e degli altri prelati faccio tre brevi ragionamenti che né il papa romano cioè l'Anticristo né alcuno dei suoi discepoli può contestare per tutto il tempo della sua vita. Dapprima argomento in questo modo: o chiunque esista in carità è in modo uguale partecipe dei suffragi della Chiesa senza che ci sia bisogno che papa o altro prelato lo conceda con le sue indulgenze oppure non lo è; se lo è, tutte queste Bolle delle indulgenze sono false poiché chiunque viva nella carità ogni giorno e ogni ora è ugualmente partecipe dei suffragi della Chiesa; se non lo è, va perduto questo articolo di fede, non importa se il papa dorma o sia defunto 'Credo nello Spirito Santo, la Santa Chiesa Cattolica, la Comunione dei Santi'per cui secondo tutti i cattolici si intende che ciascuno che viva nella carità è sempre partecipe ugualmente dei suffragi della Chiesa a seconda dei meriti e delle opere buone.

Nella Enciclica Spe salvi di Benedetto XVI il dogma della Comunione dei Santi è ben presente:

Le nostre esistenze sono in profonda comunione tra loro; alle anime dei defunti tuttavia può essere dato ristoro e refrigerio mediante l'Eucaristia, la preghiera, l'elemosina; che sia possibile un vicendevole dare e ricevere nel quale rimaniamo legato gli uni agli altri oltre il confine della morte; questa è stata una convinzione fondamentale della cristianità attraverso tutti i secoli e resta anche oggi una confortante esperienza.

Non risuona il termine, «indulgenze», di cui, dicono, i Padri Conciliari del Vaticano II non vollero o non poterono discutere. Non possiamo comunque approfondire l'argomento su queste indulgenze seguendo le proposte teologiche del canonista Nicola che, come ho detto, sono in un testo perduto al quale egli fa un ulteriore riferimento44 citando Agostino e concorde il canonista Guglielmo di Montlezun (de Monte Lauduno) o una risposta di papa Innocenzo III all'Arcivescovo di Lione del 1202 Quum Marthae.45 In un piuttosto indiretto richiamo al mistero del Dopomorte leggiamo in Agostino:46

Io, sebbene mi mi sia dato da fare fino ad oggi sull'argomento, non sono potuto giungere a formulare una conclusione.

Papa Innocenzo III termina la sua risposta: «Su questo lascio alla tua discrezione investigare».

Vedi come tutti costoro parlano nel dubbio e con incertezza: uno dice che è così, l'altro dice che in quest'altro modo. Io, lasciando le cose incerte e stando a ciò che è certo, intendo e voglio parlare della Chiesa Dormiente come si può sapere dalla Sacra Scrittura.

D'altra parte Nicola scompare verso il 1418 e il Definimus sul purgatorio del Concilio di Firenze è del 6 luglio 1439.

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Note

  1. Cf. W. Wydra -- W. R. Rzepka, Chrestomatia Staropolska-texty do roku 1543, Warszawa 1984, 267-277; E. Siatkowska, Mitrz Polikarp w krajach słowiańskich, «Studia z Filologii Polskiej i Słowiansiej», 40 (2005), 431-438. Testo

  2. H. Denzinger, Enchiridion symbolorum definitionum et declarationuim de rebus fidei et morum, a cura di P. Hünermann, 4ª ed. sulla 38ª ed. Bologna 2001, nr. 856. Testo

  3. Op. cit. nr. 1066. Testo

  4. Op. cit. nr. 838. Testo

  5. Op. cit. nr. 1304. Testo

  6. Op. cit. nr. 1580. Testo

  7. Catechismo della Chiesa cattolica, Vaticano 1992, 273. Testo

  8. Iohannes Wyckliff, De civili Dominio, ed. J. Loserth, London 1904; ripr. anast. New York 1936, IV, 637. Testo

  9. C. Hoefler, Geschichtschreiber der Husistischen Bewegung in Böhmen, II, Wien 1865, 706. Testo

  10. Johannes Hus, Quaestio de indulgenciis, in Flacius Illiricus, Historia et monumenta Magistri Iohannis Hus..., 2 ed. Norimberga, 1715, 229. Testo

  11. Henricus Bitterfeld de Brega OP, De largitione et virtute indulgenciarum anni iubilaei, ed. P. de Vooght, L'Hérésie de Jean Hus, Louvain 1975, pp. 859-871; cf. Henricus Bitterfeld de Brega OP, Tractatus de vita contemplativa et activa, ed. B. Mazur -- W. Seńko -- R. Tatarzyński, Warszawa 2003. Testo

  12. Cf. Brevi lineamenti di storia del movimento riformatore boemo in R. Cegna, Fede ed etica valdese nel Quattrocento, Torino Claudiana 1982, Appendice I. Testo

  13. Cf. Confessio Taboritarum, ed. A. Molnár -- R. Cegna, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 1983. Testo

  14. Cf. R. Cegna, Fede ed etica valdese nel Quattrocento (traduzione in italiano dei testi originali in valdese: 1. I sette articoli di fede, 2. I sacramenti, 3. I comandamenti); R. Cegna, Medioevo cristiano e penitenza valdese, Torino Claudiana, 1994, (traduzione in italiano dei testi originali in valdese: 4. La penitenza, 2. La preghiera, 6. Il digiuno spirituale, 7. Il digiuno corporale, 8. L'elemosina, 9. Il purgatorio, 10. L'invocazione dei santi, 11. L'autorità pastorale, 12. La chiave degli Apostoli, 13. L'assoluzione o indulgenza). Testo

  15. Cf. da Sermoni di Nicola a Professori e Studenti dell'Università di Praga, passim, in Nicolaus De Rosa Nigra dictus Dresdensis, Quaerite primum regnum Dei, ed. J. Nechutová, Brno 1967; cf. R. Cegna, Medioevo cristiano e penitenza valdese, Appendice: Nicola della Rosa Nera detto da Dresda, questo sconosciuto, pp. 255-269; cf. R. Cegna, Introduzione a Nicolaus de Rosa Nigra, Tractatus de iuramento, ms. C 116, ed. R. Cegna, «Aevum» (Università Cattolica di Milano) nr. 2 (2008). Testo

  16. Nicolaus de Rosa Nigra, Sermo ad clerum de materia sanguinis Nisi manducaveritis, (in Puncta), ed. R. Cegna, «Mediaevalia Philosophica Polonorum» 33 (1996), pp. 158-158. Testo

  17. Cf. Cf. Henricus Bohic (†1350), Distinctiomnum libri quinque ad Decretales Gregorianas. Commentaria, Lugduni 1557, I, f. 2rab. Testo

  18. Ibidem. Testo

  19. Cf. J. Tříška, Starší pražská univerzitní literatura a karlovská tradice, Praha 1978, p. 14. Testo

  20. Corpus iuris canonici, ed. Friedeberg, Leipzig 1879, rist. anast. Graz 1959: Decretales Gregorii Pape IX, II, 650; 977). Testo

  21. Nicolaus de Rosa Nigra dictus Dresdensis, De reliquiis et veneratione sanctorum: de purgatorio, ed. R. Cegna, "Mediaevalia Philosophica Polonorum" 23 (1977) [cf. Per Retractationes, corrigenda et addenda: R. Cegna, Rosarium parvum, (per ora solo in Internet)]; Introduzione, 5-51; Testi critico 53-123; Note di commenti, 123-153; Indici e Bibliografia 155-171. Testo

  22. Thomas Aquinas, Scriptum super Sententiis, lib. 4, d. 21, quaestio 1, art. 1, quaestiuncola 1, conclusio. Testo

  23. Cf. De purgatorio, 92-93. Testo

  24. Cf. De purgatorio, 93-98. Testo

  25. Patrologia Latina, ed. Migne, 192, 893. Testo

  26. De purgatorio, 97-98 Testo

  27. Gregorius Magnus, Dialogorum liber I, PL 77, 188. Il testo acquista particolare validità dottrinale in quanto costituisce un canone del Decretum Gratiani, da metà del secolo XII oggetto di studio nelle Scuole di Diritto Canonico del Medioevo e manuale di comportamento per la Chiesa e le Istituzioni ad essa ispirate: Ca. 22, q. 4, c. 21; Friedberg I, 906. Testo

  28. De purgatorio, 104-105. Testo

  29. Esdra IV, 7, 6-9.12-14. 68-69; 8, 1-3. 40-41. 59-61; 9, 10-12. 15.16. Testo

  30. De purgatorio, 84. Testo

  31. Iohannes de Marienwerder, Expositio in symbolum, ms. Biblioteca pubblica di Praga VIII B 11, f. 61rv. Testo

  32. De purgatorio, 84-86, passim. Testo

  33. De purgatorio, 74, 88-92, 100-103. Testo

  34. De purgatorio, 90. Testo

  35. De purgatorio, 95. Testo

  36. De purgatorio, 103. Testo

  37. De purgatorio, 98. Testo

  38. De purgatorio, 85-86. Testo

  39. De purgatorio, 107. Testo

  40. De purgatorio, 116-117. Testo

  41. De fraternitate Christi, ed. R. Cegna, in In memoriam Josefa Macka, Praha 1996, 87-101. Testo

  42. Commentarius in Apocalypsim Opus arduum valde, ms. V E 3 della Biblioteca pubblica di Praga, a commento di Ap. 6,8: «Data est illi potestas super quattuor partes terrae interficere gladio et fame et morte et bestiis terrae», f. 58v; il testo dell'Opus arduum valde fu portato a Praga in copia verso il 1408 e in Boemia trovò salvezza di conservazione, mentre nelle terre inglesi fu del tutto eliminato assieme alle opere di Wyclif. Testo

  43. Cf. I. Wyclif, Cruciata, Polemical Works in latin, ed. R. Buddensieg, London 1883, rist. anast. Frankfurt a/M. 1966, II, 588-632; la Crociata inglese fu condotta dal Vescovo Spenser di Norwich che si imbarcò per le Fiandre nel maggio 1383 ma fu costretto a tornarsene in Inghilterra nell'ottobre dello stesso anno, cf. Workman, Wyclif, I, 64-73; in Cruciata non troviamo alcun riferimento alla Communio sanctorum; la Crociata, condotta per l'eliminazione nelle Fiandre dei fautori di Clemente VII a sostegno dell'autorità di Papa Urbano VI, è condannata da Wyclif perché offesa al Cristo umile e povero, violazione delle virtù cardinali fede, speranza e carità, adesione alla violenza dell'Anticristo di cui il Papa è «precipuus Vicarius» (cf. I. Wyclif, De Cristo et suo adversario Antichristo, Polemical Works, II, 681-682; De quatuor sectis novellis, Polemical Works, I, 525,581). Testo

  44. De purgatorio, 112-113. Testo

  45. Decret. Greg. 3,41,6 & 1; Friedberg II, 639. Testo

  46. Augustinus, De Civitate Dei, XXI-27, PL 41, 750. Testo