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Sul concetto di libertà e autorevolezza volitiva.
Raffronto tra Caterina da Siena e Tommaso d'Aquino

di Maria Francesca Carnea (15 febbraio 2011)

1. Le condizioni storiche

A voler considerare la vita della Santa Senese, sia nelle cose interiori, che di sicuro ne abbellirono l'anima, sia nell'attinenza che ebbe con il papato e con la società, è importante dare un fugace sguardo alle condizioni del tempo in cui visse.1 Nel corso dell'età medievale il mondo avvertiva il bisogno di una spiritualità che compensasse le tribolazioni con la speranza, alleviasse il lutto con il conforto, riscattasse la «prosa» della fatica con la «poesia» della fede, risolvesse la brevità della vita nella continuità ultraterrena.2

Centro della Toscana, Firenze, organizzatasi presto in Comune, ebbe durante il XIII- XV secolo il suo periodo d'oro: Dante, Giotto, Donatello, Leonardo, Savonarola, sono alcune espressioni del suo splendore. Al coro di questi grandi, in pieno Trecento, si aggiunge Caterina da Siena3 che, animata da una grande convinzione religiosa e da un alto amore per la sua terra, si avvede del mondo «senza pace e senza luce»; sente intorno a sé il fremito della ribellione, gli orrori della guerra, le grida d'empietà.4

Agli inizi del XIV secolo assistiamo a una gigantesca lotta per togliere a Roma la posizione di dominio spirituale. Filippo il Bello ebbe buon gioco quando il 5 giugno 1305, fu eletto papa Bertrando de Goth, arcivescovo di Bordeaux. La Cristianità, inizialmente, non sospettò nulla. Clemente V si diresse verso Avignone. Tuttavia, in seguito, la Cristianità comprese il grandissimo pericolo di spostamento della Curia pontificia oltralpe e cominciò a chiedere, con insistenza, il rientro dei pontefici a Roma.

La fama delle virtù straordinarie di Caterina, che chiese con vigore il ritorno del papa nella sua città, i suoi prolungati digiuni, le comunioni quotidiane, le estasi e le Lettere5 scritte a persone molto influenti, la sua parola ammonitrice a chi faceva il male e opprimeva le genti e teneva il papa lontano da Roma, «scandalizzando» la Cristianità, non erano cose da tollerarsi. Bisognava far tacere quella voce di donna, che avrebbe potuto trovare proseliti; dopo tutto cosa importava a lei del come governavano i riformatori o i rettori del Patrimonio?; rimanesse a pregare, ma in silenzio e ad assistere gli infermi: la politica, la riforma, la pace o la guerra erano cose da uomini, non da donne, per cui fu mandata a Firenze a ravvedersi. Qui, la sua popolarità divenne così grande da prepararle la chiamata del 1376 e l'onore di quell'ambasceria ad Avignone da cui dipese, in parte, il ritorno del pontefice a Roma. Non v'era persona che riuscisse a sottrarsi al suo ardore, alla testimonianza della sua carità, e anche ai suoi rimproveri quando erano meritati.6

Il suo insegnamento è proporzionato ai diversi stadi della vicenda umana che conosce e accetta quali sono in se stessi, sia che si tratti di una madre di famiglia, di un sacerdote, di un gentiluomo o di un povero artigiano; richiede soltanto che ognuno sia fedele ai doveri del proprio stato. Lo stato delle anime è più variato di quel che non siano le condizioni esteriori della vita7 e la Santa tiene conto di ciò. Proprio a questo riguardo ci dice che

La città dell'anima ha tre porte principali: la memoria, l'intelletto e la volontà. Il nostro creatore permette che queste porte siano assalite e qualche volta aperte di viva forza, una sola eccettuata, vale a dire la volontà. Spesso l'intelletto non vede che tenebre, la memoria è piena di cose frivole e passeggere, di pensieri confusi e disonesti, i sensi sono in preda a impressioni sregolate. La porta della volontà è così ferma che né le creature né i demoni possono aprirla, se colui che la custodisce non lo consente. Tenete fermo adunque e l'anima vostra sarà città sempre libera.8

Avendo come pochi altri viva coscienza della sua «libertà» e autonomia, Caterina si sentì, in ogni momento, parte dell'intero corpo della Cristianità, responsabile dei mali che affliggevano la Chiesa;9 si prodigò, quindi, intensamente per la riforma della stessa.

Che cosa intendeva la Senese per riforma e rinnovamento della Chiesa? Non certamente il sovvertimento delle sue strutture essenziali, la ribellione ai Pastori, la via libera ai carismi personali, le arbitrarie innovazioni nel culto e nella disciplina; al contrario, ella afferma ripetutamente che sarà resa la completa bellezza alla sposa di Cristo e si dovrà fare la riforma «non con la guerra, ma con pace e quiete; con umili e continue orazioni, sudore e sangue dei servi di Dio».10 Caterina ci insegna che è necessario saper essere fermi nei proponimenti e detterà la massima: «spesso la pietà è grandissima crudeltà». Si tratta, quindi, di una riforma anzitutto interiore e poi esterna, ma «sempre nella comunione e nell'obbedienza filiale verso i legittimi rappresentanti di Cristo».11

2. Magistero di libertà e politica

Ci si può domandare quale intervento possa avere avuto una donna semplice come la Senese e quali compiti possono esserle stati affidati; troviamo la risposta che ci indica, tra l'altro, come grande sia l'uomo di fede, nel passo del vangelo di Matteo: «Dio mentre tiene nascosti ai sapienti ed accorti i suoi disegni segreti, li rivela invece ai piccoli». (Mt 11, 25).12

Certo è che la Senese senza aver avuto nessun «maestro» umano, fu così riccamente riempita da Dio di «doni di sapienza e di scienza» (1Cor 12, 2), da diventare efficacissima maestra di vita. Non fu solo una grande contemplativa che visse le esperienze mistiche più elevate, ma contemporaneamente appare una donna d'azione volta a impegnare tutte le sue doti d'intelligenza, di cuore, di volontà, in molteplici attività sociali. Contemporaneamente si trovò ad essere donna di preghiera e d'azione, di un'azione certamente insolita per una popolana del Medio Evo; le sue infatti non erano solo opere assistenziali o caritative, ma interventi di pacificazione tra popoli, trattative diplomatiche tra Santa Sede e governi.

Il suo pensiero politico ebbe come base e punto di partenza, il riconoscimento del valore e della dignità della persona umana e della strumentalità della società rispetto al destino eterno della persona. Secondo Caterina, la società civile doveva essere in funzione e al servizio dell'uomo e perciò non poteva avere altra finalità che quella di favorire e di rendere possibile il completo sviluppo delle persone. Fine della società, per lei, non fu l'interesse di alcuni, di un gruppo, di una fazione, di un partito, ma il «bene universale e comune» che assicurava alla vita sociale un ordinato sviluppo. Primo requisito indispensabile richiesto ai governanti fu la capacità di governare se stessi. Virtù importanti, a questo fine, furono la carità e la giustizia.13

Pertanto, tra i tanti protagonisti della storia, certamente un posto di prima grandezza occupa la nostra domenicana, che fu «tutta intenta a svolgere un'opera non immediatamente di carattere religioso», ma addirittura politico, di riconciliazione e di pace.14 Ella abbatté tutte le convenzioni sociali del suo tempo, nonché le ristrettezze mentali, anche ecclesiastiche, riguardo alla donna, e si pose su tutti i fronti dove l'uomo combatte in favore della verità, della giustizia, della pace, senza giudicare nulla come impossibile, difficile, inadeguato, alla sua condizione di donna del popolo e, inoltre, analfabeta.15

La vergine senese attese a una vasta opera di pacificazione.16 S. Caterina da Siena, ha detto Giovanni Paolo II, conobbe proprio «la parola della riconciliazione» e la pronunciò in un tempo difficile per la Chiesa e il mondo. La sua opera conciliatrice e di pace ebbe come dimensione non solo Siena e l'Italia, ma si può dire l'Europa. Certo è che la domenicana si mosse in una visione ampia della sua missione e, potremmo dire, con la mentalità europea, che aveva assorbito fin da piccola nella sua stessa città natale.

Per noi uomini del XXI secolo, soggetti alla mentalità dei nazionalismi esasperati, dei confini politici divenuti barriere, non è semplice pensare a un'Europa nella quale tutti si consideravano, in qualche modo, concittadini di quello che era o era stato un medesimo Impero e si muovevano liberamente da un paese all'altro; Siena stessa era una delle tante città-stato di quel tempo ed era in relazione per i suoi commerci con i maggiori centri d'Europa; il latino era ancora la lingua ufficiale comune a tutto l'Occidente, nonostante l'affermarsi delle lingue volgari. La cultura europea era unitaria, malgrado le divisioni politiche e comunali. Pur serbando ognuno la propria nazionalità, che anzi comincia allora ad accentuarsi, gli uomini del secolo XIV non si consideravano ancora come forestieri l'uno con l'altro; si sentivano coinvolti in un destino piuttosto comune e non avevano difficoltà a vivere insieme.

Di fronte a Caterina vi era un'Europa divisa politicamente, ma unita dalla cultura umana e cristiana, che i secoli precedenti avevano elaborato,17 ed Ella seppe, in un secolo molto difficile e denso di vicende che lacerarono dall'interno anche la compagine ecclesiastica, indicare le vie per la conciliazione e l'ordine. La sua fu una dottrina, si può dire, in certo modo, una filosofia politica e oggi, più che mai, si avverte il bisogno di riscoprire la purezza dell'etica, della politica, della filosofia.

Caterina insegna ed esorta a vivere la politica con purezza di intenti, con grande forza morale, con orizzonti vastissimi, con un alto senso del bene comune.18 «Si direbbe che Dio la ispira a essere estremamente carica di dignità e di forza dialettica, perfino polemica, molto competitiva, talvolta esasperatamente contrattuale, nei confronti dei potenti della terra per ottenere risultati validi alla causa della Chiesa, della società, del mondo, del buon governo della collettività».19 Variando di lettera in lettera, ella esalta la memoria, l'intelletto, il cuore, quindi i sentimenti dell'uomo. Tutti questi fattori, componenti della personalità spirituale dell'uomo, finiscono per relativizzarsi di fronte alla costruzione di un altare esaltante per reggervi il fattore volitivo. Caterina è totalmente presa dalla sua profonda convinzione circa il libero arbitrio dell'uomo; finisce per diventare estremamente rigorosa sul piano del giudizio morale, perché non accettando altro che un uomo totalmente libero, poiché così voluto da Dio Creatore, la conseguenza non può che essere quella di addossargli le colpe per tutte le possibili sue deviazioni morali. In tal modo, indulgente fino allo spasimo di fronte al pentimento e alla conversione, diventa però estremamente rigorosa sul piano del giudizio morale. Sublimando tutto, la Senese sublima anche l'azione come proiezione attiva della volontà, figlia di questa e madre delle opere dell'azione.

Ciascuno possiede i talenti che riceve e di quelli risponde e non d'altro, con la conseguenza che non vi è un metro di perfezione uguale per tutti, ma, anzi, ciascuno ha il proprio massimo raggiungibile nel concreto della condizione umana specifica in cui si trova; qui insiste, in particolare, il suo pensiero: una realistica concezione dell'impegno dell'uomo verso il suo personale perfezionamento.

Caterina può sembrare a volte assolutista, integralista, perfino in qualche caso «supponente» e, ancora, non priva di qualche atteggiamento d'arroganza; in realtà è pervasa da una profondissima umiltà e da un grande senso della realtà della condizione umana. Può dare l'impressione di essere utopistica e, invero, esprime la sua infinita ambizione perché l'uomo, il singolo uomo, dia il meglio di sé, sotto la sferza della volontà.20 La sua voce insiste sull'«impegno». Ciascuno deve fare secondo le sue forze: è impegno della creatura umana giovarsi dei propri talenti. Torna il mito della volontà; non già la mera intenzione, ulteriore punto d'attenzione, ma l'intenzione, seguita dall'impegno comportamentale;21 non soltanto il comportamento esterno, pur importantissimo, ma anzitutto l'atteggiamento interiore profondo, della mente e del cuore ha una sua innegabile rilevanza.

Si vuole evidenziare come ciò che consente all'uomo la scelta, ossia l'uso della libertà o il libero arbitrio, sia la ragione unita alla fede; la ragione come lume dell'uomo, spiega la sua efficacia nell'ambito dell'empirico, del contingente e, in sintonia con il pensiero di Tommaso d'Aquino, punto su cui torneremo, Caterina non mortifica ma esalta il valore della ragione, cosicché, quando l'uomo trascende l'empirico ed il contingente, anche per lei, come già per l'Aquinate, è la fede che interviene per aiutarlo ad ascendere. Ella parlerà pertanto di libertà come «tesoro che Dio ha dato nell'anima»;22 nel suo operare ci indica come l'uomo sia dunque libero ed è perciò protagonista della sua storia. L'anima è libera nelle sue scelte: «L'anima ch'è fatta d'amore e creata per amore alla immagine e similitudine di Dio, non può vivere senza amore; né amerebbe senza il lume. Onde se vuole amare, si conviene che vegga».23

Caterina, dunque, «fanatica» del libero arbitrio, lo è anche della meritocrazia.24 È convinta dell'assoluta libertà personale e morale dell'uomo; nello stesso tempo, poiché in prima persona lo sperimenta, è convinta della tesi del libero arbitrio e, quindi, come tutti i pensatori di tal tipo, un'innamorata del tema della responsabilità morale dello stesso, del suo rendiconto esistenziale, dei suoi meriti come dei suoi demeriti.25 Per Caterina l'uomo è costruttore della propria vita, sia pure ovviamente con l'aiuto della grazia divina.

Nell'economia generale della costruzione della persona umana, la Senese pone l'accento sul momento volitivo.26 Ciò è tipico degli interventisti, dei cultori dell'azione, degli adoratori dell'intervento dell'uomo sul mondo: tutta la sua vita lo attesta, in particolare colpisce quella decisione di intraprendere il viaggio ad Avignone per andare a «rilevare» il papa.

La libertà data da Dio all'uomo, si presenta alla mente di Caterina come un atto di smisurata bontà e d'estrema responsabilizzazione. Ella puntualizza che nessuno e niente, e soprattutto neppure il demonio, può costringere una creatura al peccato mortale se la creatura non vuole; con saggezza estrema fa dire idealmente a Dio l'indicazione morale: «io ti ho creato senza di te; ma non ti salverò senza di te».27

3. Raffronto tra Caterina da Siena e Tommaso d'Aquino

Nelle Lettere di Caterina emerge in qual misura la dignità personale dell'uomo sia il fondamento, la sicurezza e il valore della sua abilità politica. La società, ciò si evince con chiarezza, non è un ente per sé stante, ma è costituita dalla unione -- Unitas Ordinis, direbbe S. Tommaso d'Aquino (Politicorum I, 1) -- degli individui, di creature che precedono la società e la formano.

La libertà per S. Caterina è attributo essenziale della persona: «Questo dolce padre, avendo creata l'anima, egli le dona il tesoro del tempo e il libero arbitrio della volontà, perché arricchisca»;28 è condizione della sua vita morale; è intesa non come assenza d'obbligazioni e di limiti, ma come liberazione dell'uomo dalla «servitudine del peccato», che gli dà la capacità di attuare positivamente il bene.

Negli scritti cateriniani è frequente l'invito a «salire sopra di sé», ad assidersi sulla «sedia della coscienza» e «tenersi ragione», quasi giudice in tribunale. L'uomo è il primo giudice di se stesso perché la luce della ragione, confortata dalla luce della fede, gli fa distinguere il bene e il male; è responsabile verso la società perché il suo contributo al bene comune varierà dal negativo al positivo secondo l'uso che egli avrà fatto della libertà.

Questo principio è dichiarato all'inizio stesso del Dialogo: «L'anima non può fare vera utilità... al prossimo, se prima non fa utilità a sé, vale a dire d'avere e acquistare la virtù in sé».29 Il cammino dell'uomo verso la sua pienezza, non ha bisogno per costruirsi d'impalcature esteriori, ma deve elevarsi sul fondamento suo proprio, di creatura d'amore, intelligente e libera. «Dio ha fatto l'uomo libero e potente sopra di sé».30

S. Tommaso, per passare al suo pensiero cui più di una volta la santa senese sembra rifarsi per vie misteriose, che lo studioso neppure lontanamente può indagare e che si presenta, nello stesso tempo, toccante per le riflessioni di un uomo di fede, non ha scritto un'opera nella quale si possano trovare organicamente, tutti insieme, riuniti, gli argomenti riguardanti la sua dottrina sociale, perché egli non è stato un politico in senso stretto.31 L'Aquinate non ha lasciato nessun trattato di dottrina politica né di scienza della società in senso moderno. Tuttavia, da almeno quattro opere fondamentali, vale a dire i Commenti all'Etica e alla Politica di Aristotele, l'opuscolo De Regimine Principum e la Summa Theologiae, si può desumere un quadro abbastanza chiaro del pensiero politico tommasiano.32

Nella concezione tomista, la politica appare come scientia civilis.33 Essa appartiene al dominio della filosofia pratica, in altre parole al «settore delle scienze morali, ossia delle scienze dell'agire». S. Tommaso d'Aquino, d'accordo con una lunga tradizione proveniente da Aristotele, concepisce l'uomo come essere politico e sociale per natura;34 questo principio della naturale socialità e politicità dell'uomo, significa che gli esseri umani si associano per esigenza della loro stessa natura:35 socialità e politicità sono connaturati all'essere umano.

In altre parole, le forme essenziali della vita associata sono necessarie all'uomo per perfezionare la sua natura umana su tutti i livelli: fisico, morale, spirituale. Gli esseri umani, essendo per natura «animali sociali e politici», si associano per attuare il bene comune, cioè il fine della loro società. Questa naturale socievolezza degli uomini non diminuisce in nessun modo la loro razionalità, ma al contrario opera in suo favore. Grazie ad essa ogni persona può uscire dalla chiusura del proprio egoismo, superare il gioco degli istinti e rivolgersi verso un bene comune di tutta la comunità in cui vive. Questo naturale stimolo all'apertura, al fine comune della società, garantisce a ogni individuo la piena realizzazione della propria vocazione come persona.36

Elemento di grande importanza nel pensiero politico di S. Tommaso è che il vero bene individuale può essere attuato solamente nella società.37 Non esiste il bene individuale se non inserito nel bene comune. In tal modo il bene comune per essere attuato da tutta la comunità deve diventare il bene nostro, il bene di ciascuno di noi. Solamente così esso può essere desiderato e amato da ciascuno come il mio bene e, di conseguenza, attuato in modo vero e pieno come bene comune di tutti.38

Nella persona di Caterina si evince la sua continua attenzione ai fatti e agli avvenimenti del giorno, nella Chiesa, negli Stati italiani, in Europa, e nel Mediterraneo, allora esposto alla pirateria e alle incursioni dei turchi; in lei è vivissimo il senso del «dover essere» e ha fede nelle possibilità di tradurre in azione, per il bene dei cittadini, la conservazione dello stato e la stessa «riformazione della Chiesa», con l'aiuto della grazia.39

Caterina, nel giudizio sulla politica ci dice: «niuno stato si può conservare nella legge civile e nella legge divina in stato di grazia senza la santa giustizia».40 Quest'affermazione della fragilità d'ogni costruzione umana che prescinda dalla grazia è la radice di un giudizio negativo anche su ogni politica che sia priva di «santa giustizia», mentre la suddetta giustizia può essere il principio informatore, risanatore e perfettivo dell'attività umana in tutti i campi, anche in quello politico, secondo l'economia dei rapporti tra natura e grazia, che S. Tommaso d'Aquino fissò nella famosa formula della «Grazia che suppone e perfeziona la natura»,41 formula che egli stesso ha poi applicato e sviluppato in tutta la sua antropologia che possiamo riassumere in tre punti:

  1. vi è un rapporto positivo tra virtù acquisite e virtù infuse, tra etica e carità, tra prudenza e sapienza e in particolare, tra le due leggi -- naturale e soprannaturale -- e tra le due città o civiltà, quella politica e quella religiosa soprannaturale;42
  2. vi è una necessità morale della grazia divina per compiere in tutti i campi, anche in quelli della cultura, della vita associata, della politica, il bene umano integrale, vale a dire correlazionato e convergente al vero fine dell'uomo;43
  3. in ordine a questo fine tutte le virtù umane -- e quindi tutta la loro attività, anche nel campo politico -- hanno un valore reale, ma imperfetto e perfettibile, che è attuato pienamente dalla carità.44

La caritas, fiore della grazia, è la forza animatrice della polis, il soffio vivificante dello ius, la virtù trasumanante -- ma non disumanizzante -- tutta la vita.45

Per S. Tommaso, la politica non è che l'esercizio della «prudenza», ossia della virtù che indaga e predispone i mezzi in una giusta economia di rapporti col fine.46 È la cosiddetta prudenza «politica» che devono praticare i governanti (prudenza «regnativa»), ma che deve essere anche in tutti i cittadini giacché contribuiscono e collaborano, come attori consapevoli e responsabili, alla condotta della cosa pubblica.47

Rinveniamo, altresì, in S. Paolo il riferimento alla prudenza: «Abbiate dunque, o fratelli, riguardo alla vostra condotta, che non sia da stolti, ma da prudenti» (Ef 5, 15); nel contempo, vi leggiamo anche l'ispirazione dei doveri verso il corpo sociale:

Per la grazia che mi è stata data, io dico a ognuno di voi di non stimarsi più di quanto si deve, ma d'ispirarsi a sentimenti di giusta moderazione, ciascuno secondo la misura della fede che Dio gli ha dispensato. Come infatti abbiamo in un sol corpo più membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così noi, benché in molti, formiamo un sol corpo in Cristo e siamo membra scambievoli gli uni degli altri. Or, avendo noi dei doni differenti, secondo la grazia che ci è stata data: se si tratta del dono di profezia, si usi secondo la regola della fede; se del dono di ministero, si eserciti secondo le esigenze della rispettiva funzione; chi ha il dono di insegnare insegni; chi quello di esortare, esorti; chi dona, dia con liberalità; chi presiede, si dimostri premuroso; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia (Rm 12, 3. 8).

Caterina pone come chiave di volta di tutta la sua dottrina etica e ascetica la «discrezione», che è l'essenza, se non l'equivalente della prudenza.48 Per lei, come per S. Tommaso, si tratta di una facoltà di giudizio e di dettame interiore, da cui gli uomini sono regolati nella via della «giustizia».49

Ella invita: «... però vi dissi ch'io desiderava vedervi in perfettissima carità... e col lume di discrezione sapere dare ad ognuno... ».50 E, a maestro Andrea di Vanni: «... Siccome la carità perfetta di Dio genera la perfetta carità del prossimo; così con quella perfezione che l'uomo regge sé, regge i sudditi suoi... io desideravo di vedervi giusto e vero governatore».51 Ma la prudenza, la discrezione, evidenzia la Santa, tocca il «dolce e vero cognoscimento», cioè la coscienza; dunque, non si dà una buona politica -- «cristiana» o «laica» che sia --, se non secondo una coscienza retta e giusta: il che significa formalmente e sostanzialmente discepola della verità.52

4. Pensiero reale e attuale

Possiamo dunque trarre, dalle opere di Caterina, i punti o le tesi fondamentali di una filosofia sociale:

In questa vita mortale, mentre che siete viandanti, io v'ho legati con legame della carità: voglia l'uomo o no, egli ci è legato. Se si scioglie dall'affetto della carità verso il prossimo, ci resta legato dalla necessità. Io volli che voi usaste la carità, o nell'affetto del cuore, o almeno negli atti esterni, cosicché se la perdete nell'affetto, per causa delle vostre iniquità, almeno siate costretti per vostro bisogno ad esercitarne gli atti. A questo io provvidi col non dare a ciascuno il saper fare tutto quello che gli bisogna in vita; ma a chi una parte, a chi un'altra, affinché l'uno abbia materia, per i suoi bisogni, di ricorrere all'altro. Così l'artefice ricorre al lavoratore, e il lavoratore all'artefice; l'uno ha bisogno dell'altro, perché non sa fare quello che fa l'altro. E così d'ogni altra cosa.53

Ogni creatura che è dotata di ragione, ha la vigna in se stessa, cioè la vigna dell'anima sua, della quale il lavoratore è la volontà, mediante il libero arbitrio, durante il tempo di questa vita. Passato questo tempo, non può più fare lavoro alcuno, né buono né cattivo; invece, finché vive, può lavorare la sua vigna, nella quale io l'ho messa.54

Le Signorie sono prestate a tempo... secondo i modi e i costumi del paese, onde o per morte o per vita elle trapassano.55

Pertanto, chi è responsabile della Signoria «prestata», insiste Caterina, deve porre se stesso interamente a servizio dei sudditi56 e ispirare la propria azione, «a giustizia santa, con vera e propria umiltà».57 Più che considerare un potere il comandare è ritenuto un privilegio il servire. Per questo l'obbedienza all'autorità legittima è un atto di giustizia.

Ella ispirata, con altre lettere, ancora, esorta: «Amatevi, amatevi insieme: che se fra voi fate male, niuni sarà che vi faccia bene»;58 «L'anima non può fare vera utilità al prossimo, se prima non fa utilità a sé, con l'avere e con l'acquistare le virtù».59 «Se l'uomo non si corregge mentre ch'egli ha il tempo, spegne la margarita lucida della Santa giustizia, e perde il caldo della vera carità e obbedienza».60

Caterina non fa che richiamare uomini di Stato e pastori della Chiesa alla loro responsabilità di governo, impegnati a far trionfare la giustizia.61 Lei rivolge a tutti questi insegnamenti o richiami, a cominciare da Papa Gregorio XI, al quale non esita a ricordare che se ha »preso l'autorità» deve usarla: «ho lungo tempo desiderato di vedervi uomo virile e senza verun timore».62 La giustizia come virtù è una cosa interiore, da attuare nell'anima come ordine interno di tutto l'uomo, prima che esterno: «conviensi che l'uomo che ha a signoreggiare altrui e governare, signoreggi e governi prima sé. Come potrebbe il cieco vedere e guidare altrui?».63

Nella Lett. n. 268, Ella mette in risalto una critica netta e rigorosa della politica dominata dall'«amore di sé», radice dell'«ingiustizia»; una critica condotta fino in fondo, cioè fino alle esigenze della verità che è la base della giustizia e la chiave del bene comune. Per giungere al dominio di sé nell'amore di Dio, bisogna attuare l'ordine interiore delle tre potenze: memoria, intelletto, volontà; quando quest'ordine sia raggiunto, l'uomo può governare gli altri. È il principio e criterio da applicare all'azione politica, pur tenendo conto della complessità delle varie situazioni in cui bisogna agire; anche la pace, come ragion d'essere dello Stato rientra nel nuovo equilibrio delle virtù, prodotto dalla carità.64

Caterina condivide la concezione tomista della pace come fine e insieme condizione della convivenza, che lo Stato deve ottenere e tutelare; proprio per questo non ammette nessuna debolezza e ripete gli inviti alla fortezza, quando si tratta di difendere le popolazioni dall'ingiustizia o la Chiesa dalla divisione, se è necessario anche con la «crociata».

Noi siamo in questa vita posti come in un campo di battaglia, e dobbiamo combattere virilmente e non schivare i colpi, né volgere il capo addietro, ma riguardare il nostro capitano, Cristo Crocifisso.65

Anche oggi, senza «confessionalismo» ma col vigore di una coscienza cristiana illuminata e intemerata, la Senese insegna a tutti, anche ai politici, la carità che non solo è il valore centrale dell'etica cristiana, ma anche la fonte inesausta di una vera civiltà.66 Ella, che come abbiamo visto, è di formazione tomista, parte dal concetto fondamentale di dottrina sociale della dignità della persona umana. Se l'uomo è segno altissimo dell'immagine divina, se questo segno è dato dalla sua libertà soprattutto, ecco allora che la società degli uomini non può avere altro tessuto connettivo che quello della carità, una carità ovviamente che va ben oltre una solidarietà esistenzialmente necessitata. Per nulla priva di realismo, Caterina stigmatizza l'uomo, come figura che essa sa essere esistente, fornito d'idee deboli, come quella della mera conservazione.67

Il bene comune trascende la prospettiva dei beni esclusivamente terreni e materiali, la loro gestione e il loro utilizzo nell'interesse della società; investe, invece, tutti i fini dell'uomo ed il fine complessivo stesso della sua esistenza. Appare, dunque, molto importante come Caterina individui nella giustizia la matrice del bene comune.

È la giustizia, Ella lo insegnò, che assicura il bene individuale e il bene comune. Anzi, dove v'è ingiustizia non può esservi che disordine sociale ma anche grave danno per lo stesso individuo, perfino di colui che crede di raggiungere la felicità attraverso una disordinata ricerca di un bene particolare esaltato.

Io Caterina ... scrivo a voi... con desiderio di vedere che sempre riluce ne' petti vostri la margarita della santa giustizia, levandovi da ogni amor proprio, attendendo al bene universale della vostra città e non propriamente al bene particolare di voi medesimi.68

Anche la giustizia individuale deve essere coordinata con la giustizia universale, perché la virtù è unica e unitaria così come la carità;69 se subisce un'ingiustizia il singolo, la subisce tutta la società, per non dire poi di quando il bene comune universale è gabellato per tale ma, in realtà, copre un interesse personale del detentore del potere, il quale così si sottrae al dovere di servizio e privatizza egoisticamente la funzione che la società gli attribuisce unicamente nell'interesse collettivo. «Vi sono altri che tengono il capo alto per il potere di signoreggiare, e in questo potere portano le insigne dell'ingiustizia, commettendo ingiustizia verso Dio, verso il prossimo, e verso se stessi».70

Tutta l'attività pubblica di Caterina è protesa, e qui stanno la sua universalità e, marcatamente, la sua attualità, a richiamare gli uomini a un mutamento, anzi a una trasformazione radicale intima della persona. Ella mostra di non credere molto alle modifiche di struttura di un sistema o di un ordinamento e tenta di fare breccia nelle menti e nei cuori: l'uomo prima di tutto. La politica, secondo la concezione cateriniana, trova la sua ragione e, allo stesso tempo, i rispettivi limiti, nella direzione della persona umana, rilevando che è la società al servizio dell'uomo e non già l'uomo al servizio della società, secondo anche una chiara tomistica concezione della sussidiarietà del pubblico rispetto al privato.71

È in gioco il destino dell'uomo, impegnarsi nella politica è, per lui, un dovere; anzi, la dimensione sociale è all'uomo naturale tanto quanto la dimensione individuale.

Certo la politica è un mezzo e non un fine; è una parte e non è il tutto. La città terrena non è un possesso personale privato di chi la governa; è in realtà una «città prestata» secondo quanto Caterina ci dice anche nelle sue lettere: «Colui che signoreggia sé, la (signoria) possederà con timore santo, con amore ordinato e non disordinato; come cosa prestata e non come cosa sua».72 Ecco il senso del mandato, da cui nasce il senso del servizio. Chi più può, più deve, e chi ha più autorità ha più doveri. «Tre sono i peccati fondamentali dell'uomo politico e del pubblico amministratore: evitare la contesa, rimandare la decisione e tollerare il male».73 Peccati che essa riassume nel: «sonno della negligenza». Il pensiero espresso nelle Lettere continua: «chi non sa governare se stesso, non può governare gli altri».74

È in questo quadro che s'inserisce per Caterina, con tomistica lucidità, il rapporto tra individuo e società, nella chiave della libertà e dell'autorità attraverso lo strumento del potere. È chiaro che l'autorità non deve prevaricare sulla libertà; di contro, il cittadino non può sottrarsi all'osservanza delle leggi e all'obbedienza al governante se l'autorità è bene esercitata e il potere correttamente gestito, anche quando una parte della sua libertà è sacrificata in qualità e in misura proporzionate alla necessità di realizzare il bene comune. Tale «sottomissione» è intesa come un atto di giustizia individuale e sociale, senza la quale l'autorità si vanifica e regna il caos.

Il senso del potere come «servizio»: la politica, in quanto gestione complessa di tutto il relazionale umano nella prospettiva del governo civile della società, si presenta come condizione indispensabile nell'esaltare la dignità dell'uomo, nel fornirgli gli strumenti per una vita migliore possibile, nel tutelare la sua libertà, nel garantirgli la giustizia nei contatti umani, in definitiva nel rendere questo mondo il migliore possibile.75

Caterina non esclude la disparità d'opinioni, il pluralismo culturale e ideologico, quello che oggi diremmo partitismo; predica la tolleranza, la sostanziale unità, la capacità di superamento delle divisioni per realizzare i denominatori comuni. Sembra di poter immaginare la Santa come un personaggio forte e altissimo che punta l'indice contro i governanti,76 ma non tanto per accusarli, bensì per esortarli a capire e a ricordarsi un'idea essenziale: la «città», in altre parole il potere civico, non è data a loro per loro stessi; essa è invece data loro «in prestito» perché ne facciano buon governo, in pratica esercitino correttamente il potere, per il servizio in favore dei governati. Non quindi un fatto arricchente, ma un fatto responsabilizzante. L'uomo non è nulla di per sé e non possiede nulla, così tutto ciò che è lo è perché lo può diventare, e lo può diventare realizzando se stesso.77

Dall'ideazione, pertanto, il passaggio è verso l'azione: non è l'azione in sé che costituisce un valore, ma l'azione in quanto elemento terminale ed insieme operante di un processo in cui mente, anima, cuore, si fondono per incidere sul mondo esterno, attraverso la chiave della volontà.78

5. Una filosofia sociale

L'uomo è l'essere dei bisogni e dei desideri, Caterina aveva compreso tutto questo profondamente; non è solamente l'essere economico, né può essere soltanto quello politico. L'uomo è, piuttosto, un essere unico ed esclusivo, con la sua dignità, la sua ragione e la sua libertà essenziale. Ha bisogno di ragioni esistenziali, d'orientamento della libertà, di valori per i quali possa trascendere se stesso.79

Proprio perché libero, l'uomo è chiamato ad assumersi le responsabilità che da un lato gli vengono dal suo essere inserito nella vita civile e dal fatto di essere un soggetto morale, capace di distinguere il positivo dal negativo, dall'altro gli derivano dagli impegni professionali. Il significato della vita umana e la sua dignità sono strettamente connessi a un agire responsabile ed è quello a cui Caterina fa continuo riferimento.

Approfondendo il quadro introduttivo, l'analisi si sofferma ora, volgendo lo sguardo in modo critico alla realtà del nostro tempo, sul come s'intenda connotata la giustizia. Con la perdita, a livello sociale e politico, di una comune visione del bene, ciò che resta è un insieme d'individui con interessi particolari e fra loro discordanti, la cui convivenza è garantita da un sistema di regole pratiche. In concreto, la giustizia non avendo più alcun riferimento con il bene, ha perso il suo ruolo di virtù, è identificata con il sistema di leggi intersoggettive, destinate ad assicurare la convivenza civile. Essere giusto non significa dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno per realizzare il suo telos sostanziale come cittadino, bensì significa limitarsi a un rispetto formale e giuridico delle regole comuni di vita. Ne consegue che, da una parte, il bene non compreso più come un'istanza complessiva e oggettiva di senso, esce dalla scena morale divenendo fulcro d'interesse soggettivo e di felicità individuale. D'altra parte la giustizia, come valore culturale della vita sociale e della cooperazione umana, è diventata il luogo dell'imparzialità e della morale legalitaria.80

È in questo senso che si spiega la concentrazione dell'etica moderna e contemporanea. La domanda morale fondamentale si concentra su cosa ho il dovere di fare in rapporto agli altri, e trascura completamente il problema eudemonistico della libera e responsabile formazione morale di sé, considerandolo legato a fattori empirici e soggettivi.

Di contro, della virtù della giustizia è proprio riconoscere la pari legittimità delle pretese mie ed altrui volte al conseguimento della vita buona. Ne segue che non può esserci vita buona per me se non c'è vita buona anche per gli altri: la giustizia è inserita nell'universo del bene.81 Ecco come in questa analisi il modello cateriniano di governante, si rende attuale: è quello di un uomo interventista, pur con riflessione e con prudenza, determinato, fermo e coerente. Un uomo che non indugia, che non proroga, che non procrastina, pulito moralmente, generoso nell'offrire le proprie energie alla causa; fidente solo nel bene comune. L'agire, l'essere fermi e determinati, sono sorretti da verità, giustizia, spirito del bene, annullamento d'ogni proprio tornaconto personale come di un interesse privato illecito ed inquinante che non conosce timori e non nutre speranza di vantaggi personali. Siate umili dice la Santa ai governanti. «Governate prima voi stessi, perché se non imparate a reggere correttamente la vostra vita, non potete pretendere di ordinare quella degli altri».82

Fate ogni cosa secondo ragione, alla luce della fede e nello spirito della carità, talché la stessa regola di giustizia «a ciascuno il suo», suoni come sommo proposito di rispetto e di riconoscimento di ciascuno; non temete il dissenso di alcuno una volta che la vostra coscienza retta ed informata è tranquilla, perché è meglio essere giusti apparendo ingiusti che essere ingiusti apparendo giusti, e non disdegnate le tribolazioni che possono venire a causa del vostro retto comportamento. Vivete nello spirito della verità, essa è il lievito con cui si condisce qualunque virtù che non si appanna se vi è la luce della verità.83

Non è distante, pertanto, da Lei e dal suo pensiero, ora riassunto, lo sforzo di ritrovare le radici comuni del patrimonio morale occidentale, non privo di senso, né di fascino, sempre in nome di una libertà e di un agire politico pieno. Esiste uno spazio interessante tra «narrazione» e «normazione», strettamente legati a tradizioni particolari, che apre la via ad una nuova universalità; uno spazio che proprio categorie come quella dei Diritti dell'Uomo o di natura, o di virtù, possono gestire con creatività.84

Il senso del concreto, del vero, del reale, del contingente, è presente nell'animo e nella mente di Caterina. Proprio per questo essa soffre terribilmente, come qualunque idealista che verifica un eccesso di distacco tra il reale e l'ideale e, quindi, si rende conto dell'enorme fatica che si deve fare per portare il reale all'ideale.

Il carattere di una personalità politica si misura dalla grandezza del disegno e dalla complessità della sua azione; questa caratteristica assume nella Senese aspetti singolarmente marcati, tanto più nella prospettiva disarmonica e complicata del vasto scenario della politica europea di quel tempo. Proprio qui viene a incidere decisamente come elemento d'armonizzazione e d'equilibrio.

Attraverso tutta la sua esperienza di vita, Ella ci dona una penetrante dottrina teologica, un'affascinante ontologia e, nel contempo, una profetica dottrina sociale e politica. Pone la nostra attenzione e quella delle personalità del suo tempo, sul vero discernimento; ci coinvolge con la sua antropologia e con la sua pedagogia sull'uomo, sul suo essere «valore», sui suoi diritti.

Vuole trascinarci con il suo insegnamento e la sua testimonianza verso la verità che nella persona è operatività e dunque verso la libertà che ne è espressione esplicita. Ha ben chiaro come il fine della società è «il bene universale comune» cui il «bene particolare» deve essere subordinato; il bene comune, a garanzia del bene di ciascuna persona, dipende, Ella dice, dalla «santa e vera giustizia»: la sua «margarita deve rilucere» nei reggitori della cosa pubblica, affinché «a ciascuno sia reso il debito suo»;85 evidenzia, così, come tre siano le cose necessarie per ben governare:86

Ci ricorda inoltre che: «il reggere gli altri», esige innanzi tutto la capacità di «reggere se stessi», poiché, «chi non sa governare se stesso non può governare gli altri»; tiene presente il fatto che c'è, per l'uomo di governo, il dovere di esercitare e consentire a tutti l'esercizio del dono della libertà. Tesoro e fondamento, è il «libero arbitrio» che guida le tre «potenze dell'anima»- memoria, volontà, intelletto -- verso ciò che si ama.89 L'uomo, quindi, diviene davvero libero, anche politicamente, quando queste tre potenze possono esprimersi pienamente.

L'ispirazione filosofica, immersa necessariamente nella visione storica, suscita, nel contempo, una visione teleologica volta a recuperare un orientamento morale e un'identità politica. Si evidenzia quindi, una rifondazione dell'etica, che trova base e insegnamento nell'opera stessa di Caterina da Siena, a sua volta ispirata dall'insegnamento dell'illustre teologo e filosofo domenicano S. Tommaso d'Aquino, capace di incidere precipuamente, con la sua dottrina, nel sociale. Ciò porta, necessariamente verso una visione antropologica atta a riscattare, rivalutandolo, «l'animale sociale» aristotelico, la sua libertà e il suo essere innanzi tutto Persona: «sostanza individua di natura razionale»90 che, attraverso la volontà e l'intelletto, si manifesta in autentica e originale umanità.

Riconoscere l'enorme importanza che un'analisi della natura razionale e politica dell'uomo riveste per l'etica, porta a potenziare il concetto non solo della coerenza logica dell'intelligibilità delle singole azioni, ma anche il profilo propriamente morale, relativo a una visione dell'uomo com'esecutore libero e responsabile del fine sostanziale della sua natura, continuamente impegnato nel perfezionamento umano e morale di sé. È l'insegnamento precipuo che Caterina e Tommaso hanno voluto lasciarci.

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Note

  1. Cfr. A. Capecelatro, Storia di S. Caterina..., cit., p. 8. Testo

  2. Cfr. W. Durant, da: Storia della Civiltà. Il mondo Medievale, vol. I, L'epoca della fede, tomo III, Araba Fenice, Cuneo 1995, p. 384. Testo

  3. In relazione a tale periodo storico, si rinvia alle seguenti opere: A. Capecelatro, Storia di Santa Caterina da Siena e del Papato nel suo tempo (V), Tip. Liturgica di S. Giovanni Deseleé, Le Febbre e Cia, Roma 1886; E. Dupré-Theseider, I Papi di Avignone e la questione romana, F. le Monnier, Firenze 1939; E. Dupré-Theseider, Il Medioevo come periodo storico, Patron, Bologna 1968; E. Dupré-Theseider, Roma dal Comune di popolo alla Signoria pontificia (1252-1377), in Storia di Roma, vol. XI, a cura dell'Istituto di Studi Romani, Cappelli, Bologna 1952; L. Gatto, La Roma di Caterina, in La Roma di Santa Caterina da Siena, a cura di M. G. Bianco, Quad. L.U.M.S.A., Studium, Roma 2001; L. Gatto, Viaggio intorno al concetto di Medioevo, Bulzoni, Roma 1995; L. Gatto, Storia di Roma nel Medioevo, Roma 1999; I. Taurisano, L'ambiente storico cateriniano -- Siena, Firenze, Roma -- Amatrice (Rieti), Scuola Tip. Dell'orf. Masch., 1934; I. Taurisano, S. Caterina da Siena, Patrona primaria d'Italia -- la sua eroica pazienza, le sue preghiere per la Chiesa e per il Pontefice, Libreria Ferrari, Roma 1956; I. Taurisano, S.Caterina e il ritorno del Papa a Roma. Ottavario di Meditazioni in onore di S. Caterina da Siena, Vergine dell'Ordine di S. Domenico, presso la direzione del Rosario Memorie Domenicane, Roma 1898. Testo

  4. Cfr. I. Taurisano, L'ambiente..., cit., pp. 57-67. Testo

  5. Cfr. L. Ferretti, Lettere di S. Caterina da Siena, Vergine Domenicana, tip. S. Caterina da Siena, 1918, voll. 5; da ora indicheremo con la sigla Lett. Testo

  6. Cfr. I. Taurisano, S. Caterina e il ritorno..., cit., pp. 30-31. Testo

  7. Cfr. I. Taurisano, S. Caterina e il ritorno..., cit., pp. 31; 66; 105-106. Testo

  8. Lett. n. 313, al Conte di Fondi, vol. IV, pp. 399-409. Testo

  9. Cfr. Adriana Cartotti Oddasso, La Santa di Fontebranda e l'obbedienza, Oss. Romano, 30 aprile 1971. Testo

  10. Cfr. Angiolo Puccetti, S. Caterina da Siena: Il Dialogo della Divina Provvidenza, Cantagalli, Siena 1992; da ora indicheremo con la sigla Dial., cap.15, p. 57-59; cap.86, p. 173-175. Testo

  11. Cfr. A. Samorè, S. Caterina, la Chiesa e il Papa, Quad. Cateriniani, n. 4, Cantagalli, Siena 1971, p. 10. Testo

  12. Cfr. B. Mondin, Cultura cristiana e missione storica dell'Europa, in B. Mondin (a cura di), Filosofia e Cultura nell'Europa di Domani, Città Nuova, Roma 1993, p. 38. Cfr. G. Cottier, I valori che hanno fatto l'Europa, in: Il nuovo areopago, n. 35, 1990, p. 26. Testo

  13. Cfr. M. Liana Mattei, Pensiero Politico di Caterina: un'eredità per oggi, «Ave Maria», Bollettino Bim. della Congr. delle Suore Domenicane di S. Caterina da Siena, ottobre 1995, pp. 111-113. Testo

  14. Cfr. M. Castellano, S. Caterina da Siena e l'Europa, Quad. Cateriniani, n. 30, Cantagalli, Siena 1985, p. 3. Testo

  15. Cfr. G. Anodal (a cura di), S. Caterina da Siena, Patrona d'Italia, una sfida per la donna di oggi, Studio Domenicano 1990, pp. 86-87. Testo

  16. Se il tempo della prima giovinezza di lei era stato quello dei dolci colloqui nell'intimo, entro la cella della sua casa, con lo sposo divino, ma anche quello delle grandi tentazioni, in cui Caterina aveva imparato che la virtù si acquista e si perfeziona nel crogiolo della prova, nel tempo della giovinezza più matura, invece, Gesù l'invita a ritornare in mezzo agli uomini, a scendere direttamente e personalmente in quel «campo di battaglia» che è il mondo. A lei Gesù ricorda che «con due piedi» bisogna camminare e «con due ali» volare verso Dio. Cfr. G. Anodal (a cura di), S. Caterina..., cit., p. 157. Testo

  17. Cfr. M. Castellano, S. Caterina..., cit., pp. 4-7. Testo

  18. Lett. n. 37, a Stefano Meconi: «La margarita della giustizia sempre riluca nei petti vostri, lavandovi da ogni amor proprio, attenendo al bene universale della vostra città e non propriamente al bene particolare di voi medesimi»; vol. V, pp. 279-284. Testo

  19. Cfr. P. Pajardi, Caterina la Santa della Politica, Martello, Milano 1993, pp. 9; 11; 13; 62. Testo

  20. Cfr. P. Pajardi, Caterina..., cit., pp. 83-84. Testo

  21. Lett. n. 69, a Sano di Maco in Siena: «Qui manifesta la smisurata bontà di Dio il tesoro che egli ha dato nell'anima, del proprio e libero arbitrio, che né dimonio né creatura il può costringere a uno peccato mortale, se egli non vuole», vol. I, p. 394-395. Testo

  22. Nessuna cosa è più propria a noi del libero arbitrio, che la nostra Santa chiama tesoro, e Dante: «lo maggior don che Dio per sua larghezza fesse creando, ed alla sua bontate più conformato, e quel ch'ei più apprezza fu della volontà la libertate di che le creature intelligenti e tutte e sole furon e son dotate». Parad. c. V, v.19-25. Testo

  23. Lett. n.113, alla Contessa Benedetta figlia di Giovanni d'Agnolino Salimbeni, vol. II, pp. 279-307. Testo

  24. Cfr. P. Pajardi, Caterina..., cit., p. 85. Testo

  25. Cfr. P. Pajardi, Caterina..., cit., p. 250. Testo

  26. Dial., parte I, § 2, cap. 14, p. 57: «Allora l'anima, come un bel vaso, è disposta a ricevere e aumentare in sé la grazia, poco o molto, secondo che le piacerà di ben disporsi... Quando sarà giunta al tempo della discrezione, potrà darsi al bene o al male, secondo che piacerà alla sua volontà, a cagione del suo libero arbitrio». Testo

  27. Lett. n. 148, a Pietro Marchese del Monte: « O carissimo figliuolo, noi vediamo che Dio ha armato l'uomo d'un arma ch'è di tanta fortezza, che né dimonio né creatura il può offendere; e questa è la libera volontà dell'uomo»; vol. II, p. 410. Testo

  28. Lett. n. 131, a Niccolò Soderini, vol.II, pp. 343-348. Testo

  29. Dial., Proemio, cap.1, pp. 25-26. Testo

  30. Lett. n. 177, a Pietro Cardinale Portuense, vol. III, pp. 117-125. Testo

  31. La stessa idea la troviamo in E. Flori, Il trattato «De regime principum » e le dottrine politiche di S. Tommaso, Bologna 1927, p. 51; cfr. G. Invitto, La città dell'uomo. Il pensiero politico di S. Tommaso, Cavallino di Lecce 1991, p. 13. Testo

  32. Cfr. R. Rybka, L'attuazione del bene comune nel pensiero politico di S. Tommaso d'Aquino, in Angelicum, LXXVII 2000, pp. 477-478. Testo

  33. Tommaso d'Aquino, In Libros Politicorum Aristotelis Expositio, Prooemium, 5: «Omnium enim quae ratione cognosci possunt, necesse est aliquam doctrinam tradi ad perfectionem humanae sapientiae quae philosophia vocatur. Cum igitur hoc totum quod est civitas, sit cuidam rationis iudicio subiectum, necesse fuit ad complementum philosophiae de civitate doctrinam tradere quae politica nominatur, idest civilis scientia», p. 1. Testo

  34. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 96, a.4: «Primo quidem, quia homo naturaliter est animal sociale: unde homines in statu innocentiae socialiter vixissent», p. 384. Testo

  35. Tommaso d'Aquino, De Regimine Principum, liber I, cap. 1: «Naturale autem est homini ut sit animal sociale et politicum in multitudine vivens, magis etiam quam omnia alia animalia, quod quidam naturalis necessitas declarat», p. 1. Testo

  36. Cfr. J. Maritain, I diritti dell'uomo e la legge naturale, Milano 1977, p. 9: «Il bene comune [...] è la buona vita umana della moltitudine, di una moltitudine di persone, ossia delle totalità carnali e spirituali insieme, e principalmente spirituali, benché accada loro di vivere più sovente nella carne che nello spirito». Testo

  37. Tommaso d'Aquino, Summa contra Gentiles, liber III, cap. 117, num. 2894-2900. Testo

  38. Cfr. R. Rybka, L'attuazione del bene..., cit., p. 491. Testo

  39. Cfr. R. Spiazzi, Il Magistero Politico di S. Caterina da Siena nel quadro della tradizione cristiana in confronto con la dottrina di S. Tommaso d'Aquino, Cantagalli, Siena 1972, pp. 3; 6. Testo

  40. Dial., cap. 119, p. 243. Testo

  41. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae..., I, q. 1, a. 8, ad 2, p. 3. Testo

  42. Cfr. In quatuor Libros Sententiarum Magistri Petri Lombardi, l. III, dist. 33, q. 1, a.4; Summa Theologiae..., I, q. 98, a. 1, ad 3. Testo

  43. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae..., II, q. 109, spec. aa. 2, 4, 8. Testo

  44. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae..., I, q. 65, a. 2. Testo

  45. Cfr. R. Spiazzi, Il Magistero..., cit., p. 7. Testo

  46. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae..., I, q. 47, aa. 1-2. Testo

  47. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae..., II, q. 50, a. 2. Testo

  48. Dial., cap. 9: «...Discrezione non è altro che una vera conoscenza che l'anima deve avere di sé e di me. In questa conoscenza la discrezione tiene fisse le sue radici. Ella è come un rampollo, innestato e unito con la carità», pp. 43-44. Testo

  49. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae..., I, q. 79, a. 13; I, q. 14, aa. 3, 5; I, q. 47,aa. 2, 6, 7. Testo

  50. Lett. n. 33, all'Abate maggiore dell'Ordine di Monte Oliveto, nel Contado di Siena, vol. I, pp. 183-189. Testo

  51. Lett. n. 358, a Maestro Andrea di Vanni Capitano del popolo di Siena, vol. V, pp. 232-237. Testo

  52. Cfr. R. Spiazzi, Il Magistero..., cit., p. 8. Testo

  53. Dial., cap. 148, pp. 330-331. Si nota la consonanza di questa pericope con quanto scrive S. Tommaso in II-II, q. 40, a. 2. Testo

  54. Dial., cap. 23, pp. 65-66. Testo

  55. Lett. n. 123, ai Signori difensori della città di Siena, vol. II, p. 303. Testo

  56. Lett. n. 96, a Pietro Canigiani in Firenze, vol. I, pp. 142-150; n. 357, al Re d'Ungaria, vol. V, pp. 222-232. Testo

  57. Lett. n. 149, a Messer Pietro Gambacorti in Pisa, vol. II, pp. 415-419; n. 372, a Messer Carlo della Pace, il quale poi fu Re di Puglia, ovvero di Napoli, vol. V, pp. 303-311. Testo

  58. Lett. n. 377, a' Signori Priori dell'Arti e al Gonfaloniere della Giustizia della città di Firenze, vol. V, pp. 336-341. Testo

  59. Dial., Proemio, cap. I, p. 26. Testo

  60. Lett. n. 268, agli Anziani e Consoli e Gonfalonieri di Bologna, vol. IV, pp. 160-166. Testo

  61. Cfr. R. Spiazzi, Il Magistero..., cit., p. 16. Testo

  62. Lett. n. 270, a Gregorio XI, vol. IV, p. 168. Testo

  63. Lett. n. 121, a' Signori Difensori, e Capitano del Popolo della città di Siena, essendo essa a Sant'Antimo, vol. II, p. 279. Testo

  64. Cfr. R. Spiazzi, Il Magistero..., cit., pp. 19-22. Testo

  65. Lett. n. 159, a Frate Ranieri, in Cristo, di Santa Catarina de' Frati Predicatori in Pisa, vol. III, p. 27. Testo

  66. Cfr. R. Spiazzi, Il Magistero..., cit., p. 25. Testo

  67. Cfr. P. Pajardi, Caterina..., cit., pp. 111-112. Testo

  68. Lett. n. 367, a' Magnifici Signori Difensori del Popolo, e Comune di Siena, vol. V, p. 279. Testo

  69. Cfr. P. Pajardi, Caterina..., cit., pp. 13-14. Testo

  70. Dial., cap. 34, p. 84. Testo

  71. Cfr. P. Pajardi, Caterina..., cit., pp. 117-118. Testo

  72. Lett. n. 123, ai Signori difensori della città di Siena, vol. II, p. 304 e ss. Testo

  73. Lett. n. 123, ai Signori difensori della città di Siena, vol. II, p. 304 e ss. Testo

  74. Lett. n.121, a' Signori Difensori, e Capitano del Popolo della città di Siena, essendo essa a Sant'Antimo, vol. II, p. 279. Testo

  75. Cfr. P. Pajardi, Caterina..., cit., pp. 125-126. Testo

  76. Cfr. P. Pajardi, Caterina..., cit., pp. 148. Testo

  77. Lett. n. 68, vol. I, p. 381; n. 116, vol. II, p. 257; n. 123, vol. II, p. 297; n. 171, vol. III, p. 85. Testo

  78. Cfr. P. Pajardi, Caterina..., cit., p. 158. Testo

  79. Cfr. A. Lobato, Europa unita, utopia o realtà? La Filosofia risponde, in B. Mondin (a cura di), Filosofia e cultura nell'Europa di domani, Città Nuova , Roma 1993, pp. 124-125. Testo

  80. Cfr. M. Matteini, Macintyre e la rifondazione dell'etica, Città Nuova , Roma 1995, p. 97. Testo

  81. Cfr. M. Matteini, Macintyre..., cit., p. 96. Testo

  82. Lett. n. 121, a' Signori Difensori, e Capitano del Popolo della città di Siena, essendo essa a Sant'Antimo, vol. II, p. 279. Testo

  83. Cfr. P. Pajardi, Caterina..., cit., pp. 206-207. Testo

  84. Cfr. Teodora Rossi, Natura, Ratio, Ordo. Rilettura all'interno del discorso morale attuale, in Angelicum LXXII 1995, p. 384. Testo

  85. Lett. n. 311, a' Signori Difensori del Popolo e Comune di Siena, vol. IV, pp. 382-389. Testo

  86. Lett. n. 235, al Re di Francia, vol. III, pp. 421-428. Testo

  87. Lett. n. 123, ai Signori difensori della città di Siena, vol. II, pp. 297-307. Testo

  88. Lett. n. 350, al Re di Francia, vol.V, pp. 172-181; n. 24, a Biringhieri degli Arzocchi Pievano d'Asciano, vol. I, pp. 120-126. Testo

  89. Lett. n. 313, al Conte di Fondi, vol. IV, pp. 399-409. Testo

  90. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae..., I, q. 29, a. 1. Testo