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La metafisica di Lanza del Vasto ne
La Montée des Âmes Vivantes

di Daniele Bertini (2 marzo 2009)

1. Considerazioni generali sul metodo esegetico lanziano

L'obiettivo esplicito del commento di Lanza del Vasto ai primi tre capitoli di Genesi è quello di conformare la meditazione spirituale suscitata dalla lettura del testo all'esperienza in esso espressa. Nel leggere la Sacra Scrittura non si tratta cioè di apprendere delle tesi dottrinali, di memorizzare e fare proprie delle affermazioni teologiche o filosofiche; quanto piuttosto, seguendo la guida rivelata dell'ispirazione divina agente nella pagina sacra, di giungere in presenza di Dio, dell'altro, delle cose, di sé stesso; ossia: trarre dalla natura evocativa del linguaggio biblico una lezione d'essere.1

Ora, al fine di comprendere il senso dell'opera esegetica lanziana è bene sottolineare che l'esperienza spirituale così innescata ha poco a che fare con l'ambito mistico dell'intuizione sensibile del divino o dell'unione trascendente della volontà con esso. Queste due determinazioni dell'attività dello spirito appartengono infatti alla dimensione della sensibilità (sensibilité) e della volontà (volonté);2 laddove il pensatore italiano caratterizza la meditazione e il commento della letteratura sacra al vertice della gerarchia delle operazioni intellettive; cioè in un orizzonte di senso alternativo a quello sensibile-interiore o pratico-relazionale in cui ineriscono le due forme dell'estasi.3

L'intelligenza costituisce il momento spirituale del riconoscimento ontologico dell'alterità esteriore. Essa è definita come inter-ligere, ossia come un legare (relier) assieme che è un riconoscimento (lire) dell'ordine sussistente (ce qui passe entre) fra due cose, distinte e separate solo in quanto momenti del vincolo relazionale stesso che le fa essere in un modo determinato (les lier entre elles après les avoir distinguées et choisies) .4 L'esteriorità in quanto tale sussiste come materialità opaca al lavoro dell'intelligenza, la cui attività consiste nel ridurre i termini oscuri e irrelati alla catena relazionale che fonda la totalità ontologica.5

Per Lanza del Vasto l'intelligenza afferra, comprende ed esprime quindi il modo d'essere della totalità essente, ossia il suo essere una successione di relazioni fra enti, determinando l'esperienza di essa totalità, che ognuno di noi prova immediatamente nell'interiorità dello spirito individuale. Una volta che tale esteriorità sia interiorizzata nelle sei forme ascendenti della sensibilità, l'intelligenza riproduce soggettivamente, secondo i sei gradi corrispondenti, la trama relazionale oggettiva che struttura l'esteriore; così che si dia un sestuplo rapporto pratico dell'interno e dell'esterno nella mediazione sintetica della volontà, ossia della prassi agente. Per questo l'intelligenza è caratterizzata come una osservazione (observation) che riflette (réflexion) l'orizzonte dell'oggettività, comprendendola attualmente nel suo darsi in relazioni (raisonnement) .6

L'esperienza d'essere peculiare alla meditazione della narrazione biblica non consiste quindi nel sentire mistico o nella instaurazione di una relazione immediata e unitiva a Dio, quanto piuttosto nel darsi assoluto del sussistere della totalità come illuminazione; vale a dire: come essere effettuale del tutto nell'accadere della contemplazione spirituale.

In quanto tale, per Lanza del Vasto, una simile meditazione esegetica è una rivelazione dell'essere strutturale della totalità sussistente che si offre nell'esperienza determinata del lettore-commentatore. Conseguentemente l'esplicitazione delle indicazioni implicite nella narrazione biblica della creazione (Gn 1. 1-2. 1), operata dall'attività dell'intelligenza, offre la delineazione metafisica compiuta dell'essere della realtà creata, cioè il suo strutturarsi in una successione di relazioni d'essere. Il pensatore italiano affronta cioè il commento a Genesi nell'intento di redigere la dottrina metafisica peculiare del cristianesimo; giustificando metodologicamente il proprio proposito con l'operare un'apprensione intellettiva dell'esperienza dell'attività creativa divina posta in essere nei versetti iniziali della Sacra Scrittura.7

2. La metafisica cristiana di Gn 3 e Gn 4

I capitoli tre e quattro della prima parte del commentario presentano in modo sintetico tale sistema, così da poter svolgere la funzione di visione generale del pensiero metafisico di Lanza del Vasto. Dopo aver presentato succintamente gli argomenti enunciati in queste pagine -- in esse si mostra il fondamento dell'attività creativa divina, il suo darsi ontologico ed effettuale, la struttura metafisica della realtà creata, il fine della creazione -, discuterò tale materiale, al fine di avanzare alcuni rilievi critici (paragrafo 3) .8

Il testo commentato recita, nella versione utilizzata da Lanza del Vasto:

Gn, 1. 3. Dio disse: «Che sia la Luce (Lumière)» e la luce fu.

Gn, 1. 4. Dio vide che la luce era buona e separò (il sépara) la luce dalle tenebre.

Gn, 1. 5. E chiamò (appela) la Luce Giorno e le Tenebre Notte. E ci fu una sera e ci fu un mattino.

Gn, 1. 6. Dio disse: «Che ci sia un firmamento fra le acque, e che questo separi (qu'il sépare) le acque dalle acque».

Gn, 1. 7. E Dio fece il firmamento e separò (il sépara) le acque di sopra dalle acque di sotto. E così fu.

Gn, 1. 8. Dio chiamò (appela) il firmamento Cielo. E ci fu una sera e ci fu un mattino e questo fu il secondo giorno.

L'insieme di questi cinque versetti esprime il vero e proprio cominciamento dell'attività creativa. I primi due versetti di Genesi hanno infatti semplicemente posto il lettore innanzi alla situazione ontologica che precede la creazione. All'Inizio: Dio e «una terra che non è la terra, che è il contrario della terra e nella quale niente è formato, nè pieno, nè visibile, nè tangibile, nè chiuso, nè finito. Un abisso senza fondo. Ecco il niente (et le voilà le néant), detto in modo assai più appropriato (bien mieux dit) che per mezzo della parola niente (néant)».9

Questa assenza radicale di positività ontologica caratterizza l'altro da Dio. Il nulla è reificato nell'immagine di una voragine priva di confini, che è il luogo della mancanza. Dio fronteggia tale mancanza, e in essa chiama all'essere l'ente. La creazione è un parlare divino il cui effetto è il produrre l'essere attuale della sussistenza nominata.

Lanza del Vasto intende questa narrazione esperienziale dello stare originario dell'Inizio come il darsi di una relazione d'essere fra le persone divine. Al Padre corrisponde un dire creativo, che è identificato con il Verbo della tradizione giovannea. Così infatti si legge nel testo: «Come Dio ha allora creato? Dicendo. E come ha detto se non per mezzo del suo Verbo? Ecco allora il Verbo, posto al cominciamento dopo Dio, il Verbo che era Dio (Gv I, 1), al tempo della creazione della prima creatura, e ancor prima».10 Dio crea parlando, perchè nel semplice nominare conferisce sostanzialità d'essere. Data l'assoluta inconsistenza ontologica dell'alterità, le parole divine colonizzano il niente: emesse al di fuori dell'essenza divina, acquisiscono lo statuto della sussistenza. Ma se così stanno le cose, il parlare si mostra sostanzialmente identico a Dio, perchè il suo effetto, il ciò che viene detto, assume una forma analogica della positività ontologica dell'essere divino. Il Verbo è dunque il medesimo essere del Padre, è la sua espressione: immagine sostanziale di Dio, uguaglianza del fuori, ossia rivolgimento verso l'esteriorità dell'espressione, al dentro, ossia la sostanza da cui procede l'espressione; cioè perfetta aderenza dell'uno all'altro.

In questo rapporto espressivo, Padre e Verbo pongono la sussistenza della prima realtà creata. Tale relazione originaria è un processo interiore di autodeterminazione in cui la sostanza e il pensiero della sostanza si rispecchiano reciprocamente e illuminano l'alterità. La creazione della luce si giustifica perciò come primo atto del processo creativo. «Così appare la prima delle creature (créatures) visibili, senza la quale niente di altro potrebbe apparire. La prima è, propriamente, la più vicina al Principio, la più affine (semblable) a Lui. È una creatura immensa, inesauribilmente (inépuisablement) distesa (épanouie) in tutti i sensi. Non è scritto del Verbo stesso che era la vita e che la vita era la luce, ... che era la Luce vera? La Luce creata è dunque il riflesso di questa Luce di Luce».11

Lanza del Vasto descrive il venire all'essere della produzione della prima creatura. Non si tratta di un processo fisico, naturale o cosmologico,12 piuttosto di un avvenimento spirituale interiore, a cui Dio assegna autonomia ontica, a cui garantisce gratuitamente la possibilità di sussistere distanziandosene. La creazione è la replicazione della vita divina, è la determinazione nell'alterità della pienezza fontale dell'essere di Dio. In quanto tale la creazione è un fatto di ordine esistenziale.13 Per il pensatore italiano la situazione sembra essere la seguente: esprimendo la propria natura il Padre genera eternamente il Verbo. «Il Pensiero e il Verbo nell'interiorità (à l'intérieur) di Dio si riverberano (se réverbènt), e questa è la luce dello Spirito Santo».14 La vita divina è cioè un parlare espressivo del Padre il cui brillare, il cui irradiarsi, il cui significare è la santità dello Spirito. Ora, all'Inizio della creazione la Trinità nomina la propria natura: la luce, sebbene solo per analogia, essendo una realtà creata, è l'immagine mondana dell'essere divino; possiede infatti effusività, infinità, affermatività ontologica, penetrazione rischiarante dell'assenza. Lo Spirito, allora, riverberando l'espressività della parola detta nel Verbo dal Padre, emette la vita divina nell'alterità del niente. Tale emissione è un innescare l'irradiazione del significare assoluto, che produce la vibrazione originaria creatrice della luce come forma della forma.15

Lanza del Vasto enuncia in questo modo il presupposto dell'attività creativa, cioè l'esclusività esistenziale della relazione trinitaria divina, proponendo una determinazione esperienziale del suo darsi ontologico ed effettuale come un processo di espressione; il cui effetto è l'acquisizione di una propria sussistenza da parte di ciò che viene affermativamente espresso. Data la natura della Trinità, l'espressione non si limita ad affermare: l'affermare è infatti posto in essere come una modalità del vibrare, dell'irradiare, del diffondersi. «La vibrazione è l'interferenza della retta e del cerchio. È il cerchio che non potendo contenere il suo raggio, si infrange e si oltrepassa. È il cerchio che, a metà traiettoria, reincontra la retta in avanzamento: questa ne spezza il cammino di ritorno e proietta in avanti l'altra metà, formando una S. La linea ondulata o vibrazione, è senza dubbio la figura fondamentale (figure fondamentale) del mondo (monde)».16

A questo punto credo sia possibile individuare e fissare l'aspetto caratteristico della dottrina metafisica lanziana emergente dal commento. Nel determinare la natura dell'attività creativa, il pensatore italiano sembra incline a intenderla come una forma di emanazione dalla volontà divina. Lo testimoniano vari elementi. In primo luogo la relazione espressiva fra le prime due persone della Trinità, la cui principale specificazione non è quella di Padre e Figlio, bensì quella di Dio e Verbo; in secondo luogo l'essenza irradiante dello Spirito, il suo essere cioè una forma di espressione secondaria, di espressione dell'espressione, ossia espressione determinata come espressione della relazione originaria di Dio e del Verbo; in terzo luogo l'evidente indulgenza verso immagini tipicamente emanativiste, come la valorizzazione fondativa della luce, la sua esplicazione in quanto vibrazione o suono,17 la determinazione del creare come aleggiare divino sulle acque (segno del niente), producente una serie di onde concentriche.18 Se ne deduce la tesi seguente: la creazione divina proviene da un atto volontario della Relazione Assoluta fra le Persone Assolute, così che tale atto di volontà instauri una trascendenza radicale fra Dio e creazione; e tuttavia genera una realtà che pare fuoriuscire dalla fonte, presupponente cioè una relazione di continuità fra fondamento e fondato. La struttura della creazione sembrerebbe cioè una metafisica partecipativa dell'emanazione.

Guidato da questa considerazione procedo a leggere le successive indicazioni offerte dal commento. La luce è per Lanza del Vasto il trascendentale di ogni realtà creata, perchè si identifica con la forma pura. «La forma immette le sue radici nelle intime profondità (au plus secret) di ciascuna cellula. Consegue (résulte) dalle disposizioni e dalle qualità segrete di questo essere, e le esprime (exprime); ... è dunque evidentemente uno dei fili per mezzo dei quali la stoffa del reale è tessuta, un elemento della natura (un élément de la nature) ».19 In quanto tale determina l'essere metafisico di ogni sostanza, coordinando gli elementi costitutivi della stessa nei reciproci rapporti caratteristici. La forma è l'essere attuale della sostanza. «Sostanza (substance) e forma (forme) possono e devono essere distinte (distinguées). Ma non possono in alcun modo essere separate (séparées). Una forma senza sostanza non è possibile che come sogno o idea, una evanescenza fumosa, un errore: non un essere (non un être). Una sostanza senza forma è impossibile»».20

Poichè la luce penetra la sostanzialità e la conforma a essere così e così, essa agisce ponendo relazioni che generano i vari stati metafisici dell'essere. Per questo Lanza del Vasto afferma che essa è Energia in opposizione alla Materia. Nella sua forma pura, come prima realtà creata, la luce è la totalità assoluta della forma, ossia energia libera da vincoli. Il determinarsi di tale energia in una relazione oppure in un'altra la converte allora in sostanzialità materiale, il cui limite estremo è la materia pura intesa come tenebra, opaca e inaccessibile al lavoro formativo della luce.21 La separazione divina di Gn 1. 4 definisce l'orizzonte della processione creativa, stabilendo l'ampiezza del decorso delle varie degradazioni della prima luce sino al limite estremo del niente.22 È questa progressiva degradazione della forma a costituire la scala dei gradi discendenti della realtà naturale.23 È come se Dio, dopo aver emesso la vibrazione che crea la prima luce come forma sostanziale della realtà, la tendesse, la espandesse sino a generare l'occupazione di un luogo; o meglio sino a generare il luogo stesso: luce, etere, forma, estensione, sono infatti la medesima sussistenza relativa, termine mediano fra l'interiorità dell'essere assoluto divino e l'esteriorità priva di essere del nulla.24 Le acque che vengono separate dalla posizione del Firmamento sono infatti simboli della mancanza ontologica e delle sue determinazioni come oscurità. Il gesto divino occorrente nel secondo giorno consiste dunque nell'allocazione della luce nel piano d'essere che forma l'orizzonte nel quale sussiste la creazione. «Lo spazio (espace) ha per luogo (se tient) il limite fra l'essere e il niente».25

Il metodo di produzione di questa tensione degradante è l'attività della separazione. Dio crea separando in ogni data sussistenza i termini di cui essa è relazione, in modo tale da contrapporli.26 La struttura metafisica della realtà creata è dunque l'opposizione binaria degli enti, ordinata secondo una gerarchia di relazioni. Ogni termine relazionale è simultanemente termine e relazione, poichè nel piano in cui è termine di una relazione di ordine superiore è a sua volta relazione di due termini che si danno in un piano inferiore. Conseguentemente Lanza del Vasto intende la creazione identica a una piramide, il cui vertice è la relazione assoluta sotto cui sono sussunte tutte le relazioni e tutti i termini sussistenti, conciliazione di ogni opposizione.27

Questa immensa catena relazionale di opposizioni non contiene in sé il dolore della dispersione nel molteplice. La moltiplicazione degli atti separanti e la polverizzazione dell'unità e della connessione nelle varie pieghe delle determinazioni oppositive è una affermazione ontologica divina; e in quanto tale è una benedizione, perchè nella divisione bipartita della creazione manifesta l'eccellenza della distinzione. L'allocazione spaziale della luce nel Firmamento, luogo del sussistere fra, ossia dell'essere separato che è dominato dalla logica della separazione, si mostra quindi come il criterio di lettura del reale: «il Firmamento è il gesto di Dio e il suo proposito (intention). È l'interezza del significato (toute la signification) del quale il cielo visibile è segno (signe) ».28

Ecco la rivelazione del fine della creazione. Nel cielo divino si dispongono per separazione i costituenti opposti del reale, determinazioni degradanti della luce.29 L'opposizione è il ritmo della vita: vivere è duplicarsi nell'alterità.30 Dio crea perchè è vivo; e in quanto tale è superamento del proprio vivere nella vita della creazione: unità che si fa doppia alterità. Ma tale alterità non si disperde nella tessitura eterogenea di una successione indeterminata di enti che non abbiano connessioni. Tutto il reale sta ben legato nella affermazione ontologica della relazione. La relazione è amore. La dualità ne è la condizione.31 La creazione è l'espressione di un vitalistico superamento della sovrabbondanza della fonte nella determinazione oppositiva, secondo l'intima correlazione del tutto al tutto: la creazione è vita che si ama.

3. Difficoltà speculative della metafisica biblica di Lanza del Vasto

Questo grande affresco metafisico, che si presenta da un punto di vista speculativo compatto e coerente, è fondato sul ricorso alla rivelazione biblica come garanzia della propria verità. Conseguentemente esso si pone come una esplicitazione delle strutture metafisiche del reale che resta interna a una esperienza cristiana del mondo. Ciò significa che per il credente appartenente alla religione cristiana tale costruzione intellettuale può mostrare una pretesa di validità a partire dalla conformazione della dottrina alla propria esistenza di fede: se la dottrina è valida essa dovrebbe mostrare una capacità euristica di leggere il testo sacro, di chiarificare il vissuto personale, di illuminare la ricerca radicale di autenticità spirituale, di rispondere alle ansie speculative della coscienza credente, nel senso in cui un cristiano ritiene che dovrebbe essere fatto da una dottrina cristiana. Ma nella misura in cui tale dottrina metafisica ambisca a divenire confessione di una verità che salva, e non solo una particolare opinione cristiana fra le altre sulla struttura metafisica dell'ambiente ontologico del sussistere spirituale dell'esistenza, essa deve essere interpellata alla luce della sua capacità di imporsi per la propria autoevidenza nell'interiorità esperienziale dell'esistenzialità umana.

A questo riguardo, così credo, possono essere identificate alcune difficoltà della dottrina lanziana. In primo luogo appare problematico coniugare il rigido schematismo trinitario del pensatore italiano con la narrazione creativa biblica. La posizione del reale come ordinamento gerarchico piramidale di relazioni, culminante in Dio, non è deducibile in modo univoco dal testo di Genesi. La creazione procede infatti per mezzo dell'erogazione d'essere a sussistenze di ordine formale-sostanziale -- Luce-etere-spazio; Terra; Acqua; Vita Vegetale; Luminari; Forme di Vita Animali; Uomo -, il cui nesso relazionale non è individuabile in modo univoco e rigoroso secondo il metodo della separazione oppositiva. Ossia: l'architettura di opposizioni binarie correlate gerarchicamente si mostra uno strumento logico di evidente fascino intellettuale, ma non rende ragione dell'effettivo darsi della totalità ontologica, almeno così come essa è determinata a essere secondo la rivelazione. Il problema è tuttavia di maggiore ampiezza: va oltre il possibile accordo o meno della dottrina metafisica emergente dal commento di Lanza del Vasto con l'orizzonte teologico-speculativo della fonte sacerdotale che conduce alla fissazione tradizionalizzante del materiale creativo di Gn 1. 1. -2. 1.32 La totalità ontologica si presenta infatti, alla luce di una considerazione fenomenologica dell'esistenza, esperienzialmente dotata di maggiore complessità, irrisoluzione, irredenzione e fecondità spirituale rispetto all'immagine emergente dall'imposizione intellettualistica di uno schema interpretativo omogeneizzante quale quello trinitario-relazionale.

In secondo luogo è necessario soffermarsi sulla questione della interpretazione emanativista del creare divino. Con parole nette Lanza del Vasto scrive: «Se la luce è la materia limite (matière limite), la frontiera fra il mondo esteriore e il mondo interiore, è la Vita (Vie) la prima cosa che si reincontra al di là, la più umile delle cose invisibili (choses invisibles). Discende (descend) nella natura per mezzo di canali e involucri (enveloppes) diversi, fino agli oscuri fondali sottomarini, e la medesima esperienza quotidiana (l'expérience quotidienne) che noi ne abbiamo (que nous en avons), nel nostro proprio involucro (enveloppe), non impedisce che la vita sia un profondo mistero la cui chiave è nascosta in (cachée dans) Dio, che solo può dire di sé stesso Io sono il Vivente (Vivant), Io sono la Vita (Vie)».33 Il pensatore italiano afferma in questo passo la medesima struttura metafisica del reale che soggiace costantemente al commento: l'origine della creazione, la Relazione Assoluta fra le Persone Assolute, emette all'esterno del proprio esistere una forma di sussistenza intermediaria fra l'essere assoluto da cui è essenzialmente qualificata e l'alterità nulla di essere. Questa forma intermediaria non è tuttavia considerata da Lanza del Vasto come differenza ontologica, ma manifestata nella sua sostanziale continuità con la fonte. Il ciò che da Esso proviene, la cui connessione con il fondamento è bene attestata dall'uso del verbo descendre, resta in effettiva identità con il da dove della provenienza, Dio; visto che si afferma una giustificazione di tipo identitario di ogni essere vita, peculiare all'ente mondano, nell'essere la Vita caratterizzante la Trinità. Tanto l'immagine della piramide relazionale al cui vertice è posto Dio, quanto la doppia determinazione della luce e della vita, procedenti nella creazione come un effluvio, una diffusione, un dispiegarsi, implicano dunque l'appartenenza del Fondamento alla totalità fondata: la narrazione biblica sembra parlare, per Lanza del Vasto, in modo esclusivo la lingua dell'immanenza.

Anche in questo caso la questione non è semplicemente se la lettura lanziana colga effettivamente il significato della Rivelazione. È la nostra esistenza che in qualche modo si ribella alle tesi de La montée des ames vivantes; almeno relativamente all'unilateralità con la quale la relazione emanativista di Dio e creazione è sostenuta. Il nostro sussistere sembra cioè determinato da una duplice relazione costitutiva all'Assoluto.34 Da un lato la pienezza di senso dell'esperienza mostra inequivocabilmente la presenza effettuale del sacro nel piano fenomenico di presentazione degli enti e degli eventi.35 Dall'altro il convergere focale di ogni determinato essere qui e ora sembra rimandare a un piano alternativo a quello della presenza, ossia: il fondamento pare posto in modo trascendente all'esperienza.36

Alla luce di questa considerazione il sistema metafisico di Lanza del Vasto, per quanto riconosca e argomenti correttamente l'immanenza del divino nella totalità ontologica, si mostra evidentemente incapace di cogliere con adeguata profondità speculativa il momento alternativo della trascendenza: sebbene il reale sia inteso in modo gerarchico e verticale, questo resta compreso in modo omogeneo e continuo; perchè l'ordinamento si presenta come una semplice disposizione logica delle relazioni occorrenti in un medesimo piano d'essere.

È proprio al riguardo di questo aspetto che si definisce con evidenza la questione di più difficile accettabilità della metafisica emanativista sostenuta dal pensatore italiano. Al vertice della piramide relazionale è posto il culmine costituito dalla relazione assoluta, ossia l'essere trinitario di Dio. Commentando Gn 1. 2, Lanza del Vasto definisce Dio ontologicamente come essere in opposizione al niente di essere dell'alterità. La scalata verso la fonte si arresta dunque non in un punto di fuga unitario, secondo l'immagine della piramide, bensì nella rivendicazione di una esistenza di carattere personale, che si mostra ordinata secondo la logica orizzontale del piano: l'eguaglianza di Essere, Verbo e Spirito non riceve alcuna fondazione esperienziale. L'ascesa all'Assoluto non conosce invece un ulteriore superamento nella trascendenza originaria dell'unità fontale della processione? Ossia: la nostra esperienza spirituale non testimonia una possibilità mistica di oltrepassamento pre-ontologico della presenza nell'indeterminazione in cui l'apice è sovrabbondanza, pienezza della fonte, che esprime solo a un inferiore livello ontologico la determinazione essente nell'essere tutto di tutto?

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Note

  1. Cf G.Lanza del Vasto, La Montée des Ames Vivantes. Commentaire de la Genèse, Éditions Danoël, Paris 1968, p. 26 (da ora in poi citato MAV): «Detto meglio, meglio che detto: mostrato. E' come tutto quello che è in questo libro, è posto davanti a noi per essere toccato con mano, interiorizzato, penetrato, gustato, compreso»; «Ma le Sante Lettere sono una intensa scuola di concentrazione mentale, insegnano la presenza a Dio, ad altri, alle cose e a sé stessi; e la prima lezione da ricavare da questo linguaggio è una lezione d'essere». Testo

  2. Cf Id., La Trinité Spirituelle, Éditions du Rocher, Paris 1994, p. 33 (d'ora in poi citato TS). Riporto qui la tabella lanziana delle attività spirituali che compare nel testo sistematico, così da rendere agevola la lettura delle tesi seguenti:

    SensibilitàIntelligenzaVolontà
    6Passione misticaIlluminazioneUnione
    5Senso religiosoSaggezzaPadronanza
    4CoscienzaPensieroVirtù
    3SentimentoSapereVolere
    2EmozioneImmagineDesiderio
    1ImpressionePercezioneReazione-Espressione

    Testo

  3. Cf Id., MAV, cit., pp. 103-104: «Così dunque al di sopra della Percezione o Scienza, il Pensiero o Filosofia; al di sopra della Filosofia, la Coscienza o Conoscenza di Sé. Al di sopra della Coscienza, la Saggezza. Al di sopra della Saggezza, la Contemplazione, l'Ispirazione soprannaturale o profetica. E' a questa altezza, di quattro gradini al di sopra della Scienza, che bisogna collocare il racconto biblico. E confrontare i loro enunciati senza tener conto di questo scarto [di altezza] è sciocco. Se il racconto biblico coincidesse in tutti i punti con una sintesi scolastica di cosmologia, non servirebbe a niente. Meditarlo, comunicalo sarebbe una perdita di tempo». Questa progressione delle attività dell'intelligenza non corrisponde in modo preciso a quella sistematicamente posta nella TS, che elenca: percezione, immagine, sapere, pensiero, saggezza, illuminazione. Ulteriore elemento problematico per un raccordo dottrinale fra i due testi è costituito dalla differente determinazione delle scienze e della filosofia: a) come forme del sapere, ossia come effetti di una attività dello spirito gerarchicamente al di sotto del pensiero nella TS (Cf, Id., TS, cit., p. 67: «L'intelletto rivolto verso il mondo esteriore edifica la scienza...Ne distingueremo tre, secondo le dimensioni dle sapere: Scienze Astratte - MATEMATICHE; Scienze Concrete - FISICA; Scienza Completa - FILOSOFIA»); b) come forme della percezione, scienze, o del pensiero, filosofia nella MAV (Cf Id., MAV, testo sopra citato). Ne risulta una incongruenza tanto dal punto di vista tassonomico dell'ordinamento degli atti spirituali, sia da quello ontico degli effetti di tali atti. Questo mancato raccordo presenta evidentemente un problema per la ricostruzione critica della dottrina lanziana dello spirito. Tuttavia tale aspetto concerne il dettaglio dell'estrinsecazione determinata dell'attività spirituale, non la struttura metafisica che sostiene il duplice elenco di forme o gradi dello spirito: questa è infatti costantemente affermata come triplice modalità di relazione intra- e inter-spirituale; ossia come sensibilità, intelletto, volontà (Cf Id., MAV, cit., pp. 186-190). Che la gerarchia di atti spirituali procedente dalla percezione alla ispirazione soprannaturale sia da intendersi come determinazione dei modi dell'intelligenza è desumibile dalla trattazione antropologica relativa a Gn 2.7 (Cf Id., MAV, cit., p. 190: «Il triangolo della Conoscenza, Scienza e Filosofia si colloca punto per punto sotto la l'intelligenza, di cui essa [la Filosofia] è nello stesso tempo l'opera, lo strumento e il possesso»). Testo

  4. Cf Id., TS, cit., p. 64. Testo

  5. Cf Id., TS, cit., pp. 64, 66-67; Id., MAV, cit., p. 86. Testo

  6. Cf Id., MAV, cit., p. 189. Testo

  7. Cf Id., MAV, cit., p. 156: «Il compimento della Creazione e il Riposo del Signore appoggiano il mondo su fondamenti immutabili e lo dotano di una struttura definitiva. E' sul Riposo del Signore che si appoggiano la coerenza e la costanza del Reale, la fedeltà dell'astro alla sua orbita, dell'uomo al suo carattere e al suo destino. E il Riposo del Signore che attribuisce ad ogni creatura la sua parte di essere e lo spazio della sua libertà». Testo

  8. Osservo che la necessaria sintesi dell'esposizione presuppone la lettura del testo lanziano. Testo

  9. Cf Id., MAV, cit., p. 25. Testo

  10. Cf Id., MAV, cit., p. 61. Testo

  11. Cf Id., MAV, cit., p. 63. Testo

  12. Cf Id., MAV, cit., p. 99: «...nessuna scoperta nell'ordine naturale può contraddire una rivelazione religiosa, perché esse non si incontrano, non essendo sullo stesso piano. Certamente tra uin pèiano e l'altro ci sono relazioni e corrispondenze. E' l'ufficio della buona filosofia stabilirle con esattezza e discrezione». Testo

  13. Cf Id., MAV, cit., p. 59: «Dio non è una grandezza vuota e morta come lo spazio; non è come l'essere di Parmenide, un nocciolo densissimo al centro dell'Universo. É un vivente. E' la Vita, è la pienezza della Vita. E la vita è dappertutto e sempre superamento... Dio non potendo superarsi per l'alto, si è superato per il basso. Da qui la creazione». Testo

  14. Cf Id., TS, cit., p. 30. Testo

  15. Cf Id., MAV, cit., pp. 63-65. Testo

  16. Cf Id., MAV, cit., p. 64. Testo

  17. Cf Id., MAV, cit., p. 65: «Gli Indù... dicono che Shi creò il mondo battendo il suo tamburino di asceta, mediante due bastoni d'osso, che ne colpiscono alternativamente l'una e l'altra faccia. Questo è il Suono o Ritmo creatore. Ed essi definiscono il Sono: Vibrazione dell'Etere». Testo

  18. Cf Id., MAV, cit., p. 27: «... lo spirito di Dio si muoveva sulle acque, e queste acque prima della creazione del mondo sono un'immagine del niente, una fuga, una confuzione, un annegamento di ogni imagine nel nero e nel freddo - e tuttavia questo niente si anima di possibilità occulte sotto la spinta del suo onnipotente contrario». Testo

  19. Cf Id., MAV, cit., p. 66. Considerazioni analoghe in Id., Les Étymologies Imaginaires, Éditions Danoël, Paris 1985, p. 149 (d'ora in poi citato ÉI): «Per questo è legittimo considerare la forma come uno degli «elementi» della Natura, cosa che hanno fatto gli Indù, che, ai Quattro Elementi dei presocratici, agggiungono l'Akash o Etere. Ora l'etere è il luogo delle figure geometriche, delle forme pure ed è anche lo spazio invisibile dove si dispiegano le forme musicali; perché oil suono è una vibrazione dell'aria, ma nell'etere la musica ne è la risonanza». Testo

  20. Cf Id., ÉI, cit., p. 148; Id., TS, cit., p. 184 (forma e sostanza sono termini relazionati nella verità). Testo

  21. Cf D.Vigne, «Lanza del Vasto, penseur de la Lumière», in Nouvelles de l'Arche, 53 (2004) 28-30. Testo

  22. Cf Id., MAV, cit., p. 67: «Dunque Dio fa la l'Energia, energia e materia, e la Luce, la fa luce e tenebre. 1.4. E separò la luce dalle tenebre, senza della qual cosa la luce non potrebbe brillare, né l'energia esercitare alcuna potenza». Testo

  23. Cf Id., MAV, cit., pp. 67-68: «Se la luce fu fatta prima degli astri, è per dire che essa è di una specie superiore... Allora essi non sono sorgenti di luce, ma ne sono i ricettacoli... Con essi la luce si degrada in materia». Testo

  24. Cf Id., MAV, cit., pp. 76-77. Testo

  25. Cf Id., MAV, cit., p. 77. Testo

  26. Cf Id., MAV, cit., p. 75: «Mai altrove appare più chiaramente il legame tra creare e separare. Egli crea un essere separandolo da ogni altro e singolarmente dal suo contrario. E nello stesso tempo lui stessi si speara dagli esseri mutuamente separatie, perché Egli resta l'Uno»; Id., Les Quatre Piliers de la Paix, Éditions du Rocher, Monaco 1992, p. 89 (d'ora in poi citato QPP). Testo

  27. Cf Id., TS, cit., p. 65; Id., MAV, cit., p. 78. Testo

  28. Cf Id., MAV, cit., p. 79. Testo

  29. Cf Id., MAV, cit., p. 80: «Là si distribuiscono ordinatamente i numeri i nomi i pesi e le misure secondo le quali il Signore fece tutte le cose». La menzione del numero, peso e misura delle cose è un riferimento a Sap., 11.21. Testo

  30. Cf Id., QPP, cit., p. 89. Testo

  31. Cf Id., MAV, cit., p. 79; Id., QPP, cit., pp. 90-91. Testo

  32. Cf W.Brueggemann, An Introduction to the Old Testament. The Canon and Christian Imagination, Westminster John Know Press, Louisville 2003; tr.it. a cura di C.Malerba, Introduzione all'Antico Testamento, Claudiana s.r.l., Torino 2005, pp. 44, 48-50, 111-116. Testo

  33. Cf Id., MAV, cit., p. 69. Testo

  34. Cf D.Bertini, Sentire Dio. L'immaterialismo come via per una interpretazione mistica dell'esperienza, Cittadella Editrice, Assisi 2007, pp. 214-218. Testo

  35. Cf D.Bertini, Sentire Dio, cit., pp. 164-165. Testo

  36. Cf D.Bertini, Sentire Dio, cit., pp. 158-159. Testo