Jacques Maritain e il mistero d’Israele. I

La souffrance des innocents est insupportable au cœur.

—Jacques Maritain

1. Introduzione

Jacques Maritain è stato probabilmente il più importante filosofo e intellettuale cattolico del XX secolo: l’influenza esercitata dalla sua opera e dalla sua azione si estende tuttora ben al di là dei confini della Chiesa o del champ idéologique cattolico, ed è ben lungi dall’essersi esaurita nelle sue conseguenze a medio e lungo termine.

Nato il 14 novembre 1882 in una famiglia protestante e liberale francese, Maritain si convertì al cattolicesimo nel 1905 assieme alla moglie, Raïssa Oumançoff una giovane russa di origini ebraiche conosciuta alla Sorbona. Con lei intraprese un percorso intellettuale, filosofico e religioso unico nel suo genere, e che lo avrebbe portato a diventare uno dei pensatori cattolici in assoluto più noti, ammirati, discussi e controversi. Protagonista essenziale della reinassance neotomista, e puntigliosamente fedele al magistero ecclesiastico nel dogma e nella dottrina, fu anche un intellettuale capace di eccezionale indipendenza e autonomia. Su molte questioni cruciali non esitò a criticare e a contraddire la gerarchia ecclesiastica, e a volte la stessa Santa Sede. Filosofo cattolico tanto autorevole e rispettato, quanto guardato con diffidenza e preoccupazione da ambienti conservatori e reazionari, Maritain influenzò profondamente la formazione teologica e filosofica di un’intera generazione di intellettuali cattolici, molti dei quali divennero vescovi, cardinali e, nel caso di Paolo VI, pontefici. La sua influenza, su alcune delle decisioni del Concilio Vaticano II, in particolare sull’elaborazione delle dichiarazioni conciliari Ad Gentes e Nostra Aetate, fu per molti versi decisiva e determinante. Si tratta di un filosofo che nel corso della sua lunga e straordinariamente prolifica esistenza aprì strade e indicò vie sulle quali la riflessione della Chiesa cattolica sta ancora, a volte faticosamente e con incertezze, camminando.

Le ricerche e la scrittura di questo saggio scaturiscono da una serie di stimoli intellettuali concomitanti. Il primo è costituito da alcune conversazioni, alla University of Washington di Seattle, dove sono attualmente docente presso la Division of French and Italian Studies, con il professor Douglas Collins riguardo la storia del rapporto tra intellettualità cattolica e antisemitismo in Francia, con riferimento a quella straordinaria e irripetibile koiné culturale di cui Jacques Maritain, assieme a Jorge Bernanos, Francoise Mauriac, André Gide, Maurras e tanti altri, fu esponente di primo piano.

Il secondo è costituito dai dibattiti seguiti alla pubblicazione del libro, da me scritto con Barbara Raggi, La segregazione amichevole. La Civiltà Cattolica e la questione ebraica 1945-18501 e riaccesi dal libro di David I. Kertzer The Popes against the Jews sul rapporto tra Chiesa cattolica e antisemitismo. Nel difendere quest’ultimo libro, ebbi un vivace scambio di opinioni con lo scrittore responsabile della sezione di storia della Civiltà Cattolica, padre Giovanni Sale SJ, sulle pagine di Liberazione.2

Da questa polemica, altamente istruttiva, ritrassi, assieme all’accusa di voler “strumentalizzare ideologicamente i fatti storici”,3 l’impressione che su alcuni temi si stesse portando a compimento un processo di offuscamento e rimozione di elementi importanti della riflessione storica e filosofica cattolica, sul rapporto tra Chiesa ed ebraismo nel XIX e XX secolo.

Il terzo ordine d’eventi è collegato al secondo, ed è costituito dalla mia crescente preoccupazione, condivisa ormai da diversi storici, per l’emergere e il diffondersi di paradigmi interpretativi del rapporto tra Cristianesimo, Chiesa cattolica e antisemitismo moderno che non solo sono gravemente errati e mistificatori dal punto di vista storico, ma sono anche potenzialmente dannosi per la coscienza e la memoria storica sia della società civile sia della Chiesa.

Ad un estremo dello spettro si trovano studiosi che, come Daniel Jonas Goldhagen nel suo libro The Catholic Church and the Holocaust, forzano e distorcono i dati storici al fine di stabilire un rapporto di causa diretta materiale, formale ed efficiente tra l’antisemitismo teologico e politico ecclesiastico, e quello biologico e razziale nazista.4 All’estremo opposto si collocano coloro che, come padre Giovanni Sale SJ, ispirandosi ad alcune formulazioni del controverso documento Vaticano Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah del 1998, sostengono la tesi della completa, assoluta, totale mancanza di relazione, contiguità e connessione tra i due fenomeni. In testi che appartengono più al genere letterario dell’apologetica che della ricerca storica ben condotta, si è arrivati, in particolare in Italia a sostenere che il termine antisemitismo si debba applicare solo alla forma più pura ed estrema dell’antisemitismo biologico e razziale nazista, dovendosi invece esclusivamente usare il termine antigiudaismo per quanto detto, scritto e fatto nel corso di venti secoli di storia del cristianesimo e d’Europa nei confronti e spesso ai danni della popolazione di religione e cultura ebraiche.5

Non è questa la sede per analizzare e confutare direttamente e in dettaglio gli assunti di questi opposti estremismi. Lo scopo di questo saggio è più circoscritto, ed è quello di analizzare, nella sua interezza e complessità, la riflessione e l’azione di Jacques Maritain in merito a ciò che egli amava chiamare le mystère d’Israel. Nell’affrontare le sfaccettature e le implicazioni di quest’argomento, il filosofo non esitò a confrontarsi con alcuni dei temi più drammatici del suo tempo: razzismo, antisemitismo, Shoah, diritti umani, totalitarismo, democrazia, tolleranza, dialogo interreligioso.

Ripercorrere e riconsiderare il pensiero e l’azione di Maritain in questi ambiti significa poter meglio comprendere molti dei travagli e dei drammi del secolo scorso, e poter nuovamente riflettere attingendo alla sua opera, il cui élan civile, morale e intellettuale è ancora capace di scuotere, provocare, e ispirare. Nell’analizzare questo capitolo essenziale della storia della riflessione cattolica su ebraismo e antisemitsmo nel XX secolo, si intende quindi non solo attirare nuovamente l’attenzione sul decisivo contributo di Maritain e permetterne una migliore comprensione e apprezzamento, ma anche mostrare come la sua opera su questi temi costituisca un’eredità tuttora valida e vitale, e ben lungi dall’essere stata pienamente spesa e compresa. Enunciata così l’intentio auctoris, affido volentieri questo scritto all’intentio lectoris.

Étienne Gilson definì Jacques Maritain un grand aventurier de l’esprit. Se ciò e vero, è vero soprattutto nel senso in cui avventura rimanda all’espressione latina ad ventura, alle cose a venire. Questo filosofo cattolico non è stato solo uno straordinario pensatore e un coraggioso testimone del suo tempo, è stato anche un uomo capace di avventurarsi, appunto, in direzioni nuove e inesplorate, riuscendo a precorrere, anticipare, e attivamente plasmare ad maiora i tempi futuri. Fu, come detto da Papa Paolo VI a San Pietro all’indomani della sua scomparsa nel 1973, un “maestro nell’arte di pensare, di vivere e di pregare”.6

2. Les mendiants du Ciel. L’incontro con Léon Bloy e la conversione al cattolicesimo

Le circostanze della conversione al cattolicesimo di Jacques e Raïssa Maritain hanno particolare rilevanza per il tema affrontato in questo saggio. Maritain fu infatti letteralmente folgorato dall’incontro con uno degli scrittori cattolici francesi più controversi e carismatici del suo tempo, ovvero Léon Bloy. Nel 1905 Jacques e Raïssa ebbero modo di leggere uno dei suoi libri, La femme pauvre: ne rimasero vivamente impressionati e scrissero a Bloy una lettera in cui descrivevano in toni accorati i propri dubbi esistenziali e religiosi.

Come ben noto, i due giovani e appassionati studenti della Sorbona, sposatisi con rito civile nel 1904, avevano stipulato già nel 1903 un patto secondo cui si sarebbero suicidati assieme, se assieme non avessero trovato una verità che riscattasse il mondo da una visione puramente scientifica e materialista per loro disperante. Sapendo dell’estrema pauvreté di Bloy, che in quel periodo non aveva neppure le risorse per rinnovare l’affitto della tomba del figlioletto per salvarne il corpo dalla fossa comune, accompagnarono la lettera con 25 franchi.

I due incontrarono Bloy il 25 luglio 1905 e subito dopo lessero quella che lo scrittore gli indicò come la sua opera più riuscita e importante scritta nel 1892, Le Salut par les Juifs. Quest’incontro, e la lettura del libro, sconvolsero la giovane coppia. Ancora nel 1968, nel rendere omaggio a Bloy, Maritain disse che senza di lui, né lui né Raïssa sarebbero mai diventati cristiani. L’impatto della persona e degli scritti di Bloy fu tale, che Jacques e Raïssa decisero in brevissimo tempo di farsi battezzare e di diventare cattolici. Presero poi l’iniziativa di ripubblicare, immediatamente e a loro spese, Le salut par les Juifs. Il libro, infatti non era più disponibile sul mercato e il suo piccolo editore era nel frattempo andato in bancarotta. Alla nuova edizione Bloy appose una breve prefazione e una dedica, significativamente scritta nel novembre 1905, ovvero prima del loro battesimo:

A Raïssa Maritain dedico queste pagine scritte per la gloria cattolica del Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe.7

La nuova edizione de Le salut par les Juifs fu pubblicata nel gennaio 1906. Alcuni mesi dopo, Jacques, Raïssa e sua sorella Vera furono battezzati, l’11 giugno 1906, nella chiesa di San Giovanni Evangelista a Mont-Martre. Léon Bloy era presente come loro padre spirituale e padrino per il loro battesimo. Queste singolari circostanze hanno fatto scorrere fiumi d’inchiostro. Quali sono esattamente, nell’opera e nella figura di Bloy gli elementi che indussero Jacques e Raïssa, rispettivamente provenienti da famiglie di fede protestante ed ebraica, a convertirsi al cattolicesimo, e quanto le sue idee hanno influenzato, a breve, medio e lungo termine il pensiero di Maritain sul punto cruciale del rapporto tra ebraismo e cristianesimo? la questione è di estrema importanza. Non solo perché, come rilevato da Doellinger, “la causa immediata della conversione di Maritain non furono le pacate argomentazioni degli apologeti, ma il fenomeno, razionalmente inesplicabile, di Léon Bloy”,8 ma anche perché l’opera di questo scrittore cattolico è stata più volte denunciata come portatrice di un antisemitismo teologico e politico estremamente pericoloso e virulento.

Pierre Birnbaum non ha esitato a definire Léon Bloy come un estremista, e uno dei più violenti autori antisemiti della Francia di fine secolo: un’accusa non da poco, trattandosi di uno scrittore appartenente per intero ad un periodo storico in cui l’affaire Dreyfus e molti autori e agitatori, tra cui Eduard Drumont, con il libro La France Juive e la rivista La Libre Parole, facevano della Francia uno degli epicentri dell’antisemitismo politico europeo. John Hellman, facendo suo questo duro giudizio, è giunto a considerare il giovane filosofo come sostanzialmente succube dall’apocalittica retorica di Bloy, e ha recentemente scritto che “vi sono buone ragioni per dire, semplicemente, che Jacques Maritain fu — almeno per la prima parte della sua carriera — un antisemita”.9

Il modo migliore di affrontare questo punto delicato, su cui esistono pareri discordi, consiste nel prendere le mosse da un’analisi de Le salut par les Juifs, che Bloy considerava invece come “la più forte e urgente testimonianza cristiana in favore della razza prediletta dai tempi del capitolo XI della lettera ai Romani”.10

3. Le Pèlerin de l’Absolu. Bloy, Le Salut par les Juifs e la sua influenza su Maritain

Il capolavoro di Bloy, nella nuova edizione del 1906 resa da possibile dall’intervento di Jacques e Raïssa, si presenta, più che come un libro, come un libretto di piccolo formato e di appena 121 pagine. Nella prefazione scritta per la nuova edizione, Bloy riassunse così l’idea centrale dell’opera:

il sangue di Cristo che fu versato sulla Croce per la redenzione del genere umano, così come quello che viene invisibilmente versato, ogni giorno, nel calice del sacramento dell’altare, è naturalmente e soprannaturalmente sangue ebreo […]. Ed è tutto. Non voglio sapere altro.11

È questa l’idea centrale del libro, il fuoco attorno al quale ruotano, descrivendo a volte orbite irregolari e bizzarramente ellittiche tutti i concetti presentati da Le salut par les Juifs.

Questa idea è un assioma che dal punto di vista cristiano, è dotato di indiscutibile autoevidenza: Salus ex Judæis est. Questa verità, per Bloy si dispiega e si manifesta storicamente attraverso una serie di paradossi in cui l’abiezione e la miseria fisica e morale più estreme degli ebrei sono un tutt’uno indissolubile con la loro divina, e irrevocabile, missione ed elezione. Cristo stesso rimarrà, non solo simbolicamente ma letteralmente, crocefisso sino a che gli ebrei non crederanno in Lui e si convertiranno. Solo coloro che hanno materialmente crocefisso il Figlio di Dio — e in lui Dio medesimo — nota Bloy — possono togliere il Figlio di Dio dalla Croce dove è stato inchiodato: la Croce cui Cristo rimarrà inchiodato sino alla fine dei tempi altro non è altro che il popolo ebraico. “Gli ebrei non si convertiranno sino a che Gesù non scenderà dalla croce, e precisamente, Gesù non ne può scendere sino a che non si saranno convertiti”.12 Quest’idea, è stata letta da molti come una forma particolarmente odiosa di antisemitismo religioso allo stato puro, ipostatizzazione sul piano mistico della tradizionale accusa di deicidio. Inutile nascondere o minimizzare la violenza di alcune pagine de Le salut par les juifs. Bloy, a questo proposito, scrive: “la loro volontà, precisamente, è infernale. Questi maledetti si sanno potenti, e la loro gioia detestabile consiste nel ritardare indefinitamente questo Regno glorioso atteso dai prigionieri, en éternisant la Victime”.13

Le pagine in cui l’autore esprime la sua violenta revulsione fisica e morale nel corso di un incontro con tre mercanti ebrei ad Amburgo sono tristemente famose, e trovano il loro culmine nel seguente passo:

strettamente parlando, so che gli israeliti sono nostri fratelli, ma amarli per quello che sono è una proposizione che ripugna alla natura. È o l’eccesso della più trascendente santità o l’illusione di una religiosità imbecille.14

È quindi comprensibile la perplessità di molti studiosi nel tentare di comprendere il fascino decisivo esercitato da uno scrittore e da un’opera del genere su Jacques e Raïssa. Come spiegare, in particolare, l’ansia di Raïssa di ripubblicare un libro del genere? Jacques era di famiglia protestante, ma Raïssa proveniva da una famiglia ebrea russa. Suo nonno era un Hassidim e Raïssa era arrivata in Francia appena dieci anni prima, con tutti i problemi di adattamento e inserimento in una realtà totalmente nuova. Studentessa di scienze, aveva conosciuto Jacques in occasione di una raccolta di firme contro lo Zar Nicola II.

Se ci si ferma ad una lettura frammentaria e decontestualizzante di singoli passi di questo libro, le attestazioni di filiale devozione ed entusiasmo della giovane coppia per Bloy risultano incomprensibili. Le Salut par les Juifs, libro molto citato ma raramente letto analiticamente nella sua interezza, si presenta come un vespaio di paradossi giustapposti tra loro in modo estremamente violento: diversi studiosi, tra cui Birnbaum ed Hellman, non hanno considerato nella sua giusta importanza il fatto che ne Le Salut par le Juifs, il popolo ebraico è presentato da Bloy utilizzando una precisa tecnica retorica e letteraria, che ricalca le sue convinzioni della coincidentia oppositorum tra abiezione, colpa, sofferenza, miseria da una parte e salvezza, predilezione divina e santità dall’altra. Giovanni Dotoli, nel suo eccellente studio su Bloy, Autobiographie de la douleur: Léon Bloy écrivain et critique, pone in debito risalto e analizza questo aspetto cruciale del pensiero dello scrittore osservando che “tutta la scrittura di Bloy si organizza sull’ossimoro”.15

Nella prosa de Le Salut par les Juifs, denigrazione ed esaltazione sono congiunte e sovrapposte, al punto di diventare indistinguibili. Nel passo relativo ai tre mercanti ebrei di Amburgo descritti con nausea e orrore, e che ad una lettura poco attenta appare come una tipica tirade antisemita, non sono semplicemente rappresentati ma anche materialmente incarnati Abramo, Isacco e Giacobbe.16

Questo continuo alternarsi e rovesciarsi di toni e contenuti va poi inquadrato all’interno delle attese apocalittiche di Bloy, che quando scrisse Le Salut par les Juifs attendeva con impazienza la fine del mondo, e trovava conforto nelle rivelazioni della Vergine, apparsa alla Salette nello stesso anno della sua nascita. Mera coincidenza che per Bloy, era carica di misteriosi e trascendenti significati. È anche questa drammatica prospettiva escatologica che permette di meglio intendere il senso di una frase scritte da Bloy ne Le Sang des Pauvres:

gli ebrei sono gli eredi di tutto, e quando le cose saranno al loro posto, i loro più fieri padroni si stimeranno onorati di leccare i piedi dei vagabondi. Perché a loro tutto è promesso, e nell’attesa fanno penitenza per la terra. Il diritto d’eredità non può essere annullato da un castigo, per quanto rigoroso sia, e la parola d’onore di Dio è immodificabile, perché i suoi doni e la sua vocazione sono senza ripensamento. È il più grande degli ebrei convertiti (l’apostolo Paolo) che lo ha detto, e i cristiani implacabili che pretendono di rendere eterne le rappresaglie del Crucifigatur dovranno ricordarselo.17

La distanza di Bloy dall’antisemitismo francese di questi anni è attestata anche dallo sconcertante Je m’accuse scritto nel 1900 a proposito dell’Affaire Dreyfus. Dreyfus è proclamato un innocente, che “espia all’île du Diable la colpa di un altro”, e a questa considerazione Bloy aggiunge che l’innocenza o colpevolezza del condannato è questione irrilevante: la sola cosa importante è cosa la vittima innocente stia espiando. In Dreyfus, Bloy vede la vittima sacrificale che espia per la Francia intera l’abominevole colpa e le malheur d’essere ricca e prospera. Dreyfus è innocente ma la sua condanna, che lo costituisce come vittima espiatoria e innocente per i peccati della Francia, è stata voluta da Dio medesimo, e siccome Dio è infallible, la condanna è giusta e necessaria.18

Ragionamenti simili risultano incomprensibili, se non li si legge nel contesto delle ardite idee di Bloy. Raïssa Maritain, nel suo libro di memorie Les grandes amitiés, rileva con precisione questo modo di procedere dello scrittore:

l’esegesi di Léon Bloy è una fornace ardente di similitudini e di simboli che prolungano all’infinito il senso delle realtà divine. Il popolo ebraico è, per Bloy, tanto abbassato al livello della più ripugnante abiezione, tanto esaltato nella somiglianza e rappresentazione del Paraclito.19

Bloy, in forma provocatoria, non solo paragona de facto “l’ebreo” e “traditore” Dreyfus a Cristo, ma dice anche che quest’uomo innocente condannato ad una pena atroce, sconta i peccati di tutti i francesi per la salvezza della Francia stessa. Non è sorprendente che questo sistema d’implacabile logica paradossale, peraltro affidata ad un linguaggio visionario ed estremo, abbia disorientato e continui e disorientare gli studiosi.

Il passo de Le Salut par les Juifs che impressionò più di ogni altro Jacques e Raïssa è anch’esso carico di ambiguità e torsioni nascoste: Hellman lo legge semplicisticamente come un insulto sprezzante contro gli ebrei. I Maritain, au contraire, lo lessero come una riaffermazione ed esaltazione del ruolo unico e provvidenziale del popolo ebraico all’interno della storia umana:

La storia degli ebrei sbarra la storia del genere umano come una diga sbarra un fiume, per elevarne il livello (pour en élever le niveau). Essi sono immobili per sempre, e tutto ciò che si può fare è superarli saltando oltre, con più o meno danno per se stessi, ma senza alcuna speranza di demolirli.20

Bloy non era dunque un antisemita. Lo si può definire tale solo a patto di forzare e imprimere un’indebita torsione a questo concetto. Malgrado certamente condividesse appieno quello che chiamava il sacro orrore della Chiesa medievale per gli ebrei, Bloy non era un antisemita in senso proprio e tecnico, come poteva esserlo un Éduard Drumont, contro il quale lo scrittore non risparmiò, in diversi suoi testi, né insulti né invettive:

L’antisemitismo agitato da Drumont e i suoi compari è innanzitutto e soprattutto un basso stratagemma. Al tempo stesso è un’impostura, nel senso che in esso una cosa viene sostituita perfidamente ad un’altra, ovvero, cose accessorie vengono proposte al pubblico al posto di ciò che è essenziale […]. La radice della questione ebraica è altrove, ed è profonda in un senso interamente diverso.21

Vi sono dunque differenze sostanziali e decisive tra quanto Bloy scriveva e quanto veniva in questo periodo scritto da tanti autori cattolici sugli ebrei. L’approccio di Bloy differisce radicalmente da quello adottato in questo periodo da tanta stampa e pubblicistica antisemita cattolica, incluse le campagne sistematiche condotte da La Croix prendendo spunto da quanto pubblicava la Civiltà Cattolica con l’assenso e l’incoraggiamento di Leone XIII.22 Il punto decisivo è che lo scrittore si rifiuta esplicitamente di considerare la “questione ebraica” come un “problema” cui cercare una “soluzione” attraverso l’adozione di politiche discriminatorie, segregative e persecutorie. Come annotato da Raïssa, “Léon Bloy avrebbe avuto orrore d’essere rangé tra gli antisemiti”.23

Politiche e legislazioni antisemite erano all’epoca della scrittura del Salut par les Juifs, apertamente richieste in Austria dai cristiano-sociali di Karl Lueger, e in altri paesi europei come Ungheria, Germania e Francia, e venivano pubblicizzate e proposte da varie leghe antisemite spesso strettamente legate alla gerarchia cattolica.24 Nulla del genere si trova né nel Salut par les Juifs, né in altre opere o interventi di Léon Bloy. Non si trovano accuse, contro l’ebraismo, di cospirazione per il dominio del mondo, né accuse di omicidio rituale, né altre accuse che all’epoca costituivano i cavalli di battaglia della polemica antiebraica di gran parte del mondo cattolico. Per lo scrittore, Israele non è una questione sociale o politica da affrontare, ma un mistero iscritto nel cuore stesso della Grazia divina. A ulteriore riprova, basti citare il seguente passo di Bloy, tratto dal suo libro Le Vieux de la Montagne pubblicato nel 1910: “l’antisemitismo, cosa tutta moderna, è la ferita più orribile che Nostro Signore abbia ricevuto nella sua Passione che dura tuttora, (ed) è la più sanguinosa e la più imperdonabile perché la riceve su Volto di sua Madre e dalle mani dei cristiani”.25

Vi è certo un’apparente contiguità e somiglianza di lessico e di toni in molte delle affermazioni di Bloy, se isolatamente considerate, e i luoghi comuni del più volgare e aggressivo antisemitismo francese fin de siécle. Tuttavia, ad un’analisi attenta, risulta chiaramente che Le Salut par les Juifs non può essere liquidato sic et simpliciter come un libro antisemita, né si può indicare in Bloy, come proposto da Hellmann, il fattore causale diretto e decisivo di un preteso antisemitismo nel giovane Maritain.

Anche il ragionamento estremo, secondo cui Cristo rimarrà sulla croce sino a che gli ebrei non si convertiranno, può essere letto in altro modo, nel suo significato e implicazioni: come rilevato da William Bush, ponendo in così stretta e assoluta correlazione gli ebrei e la Croce, Bloy stabilisce un rapporto positivo ed eterno tra il popolo ebraico e Cristo, perché la Croce è parte integrante del piano della salvezza. Così facendo Bloy apre teologicamente la via per una potenziale riconsiderazione radicale, dal punto di vista cristiano, del rapporto intercorrente tra ebraismo e cristianesimo.26

Raïssa e Jacques ascrissero a Bloy essenzialmente due meriti: quello di aver effettivamente toccato ed espresso, per speculum ac aenigma, il cuore del mistero della salvezza, e quello di aver affrontato la “questione ebraica” da un punto di vista esclusivamente, e rigorosamente, religioso e teologico.

Jacques e Raïssa non erano peraltro ciechi agli aspetti più discutibili dell’opera del loro padrino spirituale:

nella sua violenza si deve vedere, prima di tutto, l’effetto di uno specialissimo tipo di astrazione, non filosofica, certamente, ma artistica, o se si vuole, un astrazione tipologica; ogni evento, ogni gesto, ogni individuo dato hic et nunc, erano istantaneamente trasposti, sradicati dalla loro contingenza, dalle concrete condizioni dell’ambiente umano che li spiegano e li rendono plausibili, e trasformati, dal terribile visionario, in un puro simbolo di una divorante realtà spirituale.27

Sino a qualche mese prima della sua repentina e drammatica conversione, Maritain era una persona agnostica in materia di fede, di formazione scientifica e positivista e con forti convinzioni liberali e socialiste. Con la sua conversione, maturata in tempo oggettivamente brevissimo, compiva un drammatico gesto esistenziale, un vero e proprio salto nel buio. Gli anni successivi sarebbero stati cruciali per la sua formazione religiosa e intellettuale.

4. Gli anni dell’Action Française: À propos de la Question Juive

Dopo aver superato la sua agrégation de philosophie, Jacques, con Raïssa, si trasferì ad Heidelberg per studiare biologia sotto la guida di Hans Driesch, dove rimase sino al 1908. In questo periodo si mantenne in stretto contatto epistolare con Bloy, un rapporto che si attenuò sensibilmente quando, tornato in Francia, iniziò a collaborare con l’editore Hachette per la pubblicazione del Dictionnaire de la vie pratique. Erano questi gli anni dell’enciclica Pascendi di Pio X in cui veniva condannato, senza appello e con una durezza senza precedenti, il Modernismo. Gli effetti sul cattolicesimo in Francia furono enormi. Non solo vennero messi all’Indice i libri di grandi intellettuali cattolici liberali quali, ad esempio, Laberthonnière, Le Roy, Blondel, Loisy, ma fu anche avviata una drastica epurazione nelle università e istituti cattolici.

In questi primi anni successivi alla sua conversione Maritain trovò in padre Humbert Clérissac il suo direttore spirituale. Molto è stato scritto sull’influenza esercitata da questo sacerdote dalla forte personalità intellettuale, ma anche rigidamente e fanaticamente tradizionalista, sull’evoluzione del pensiero del giovane filosofo. Fu in obbedienza alle esortazioni e ingiunzioni di Clérissac che

Maritain, nel 1911, si abbonò ad Action Française e cominciò a leggere gli infuocati articoli di Maurras.28

Nel corso di una lunga conversazione con Henri Massis, Maritain ebbe a dire di questo periodo:

accettai questo, e tutto il resto, con completa docilità, in obbedienza, in sottomissione al mio direttore; e mi convinsi che questa decisione era parte integrante di ciò che avevo accettato entrando nella Chiesa […]. La restaurazione della monarchia sembrava a padre Clérissac indispensabile alla restaurazione della Chiesa nella nostra società; ai suoi occhi, solo la monarchia poteva ristabilire la Chiesa nella pienezza dei suoi diritti. Vedeva con orrore tutto quello che la Chiesa era stata costretta ad abbandonare o a lasciare in confisca dai tempi della Rivoluzione […]; detestava la democrazia come un male […] fu dunque padre Clérissac a convincermi che solo l’Action Française era in grado, nell’ordine della politica, di preparare le condizioni necessarie per il ristabilimento di un ordine integrale.29

Questa testimonianza illustra in modo molto chiaro la situazione in cui il filosofo si venne a trovare all’indomani della sua conversione. Maurras colse la palla al balzo, e riuscì, dopo diversi tentativi, a convincerlo a collaborare con la rivista che, de facto, era l’organo ufficiale dell’Action Française, ovvero La Revue Universelle. Maritain si adoperò per mantenere la sua associazione con l’Action Française entro i limiti della collaborazione intellettuale, e non divenne mai formalmente membro del movimento, ma a partire dal 1920, e sino a quando l’Action Française non incorse nell’ira di Pio XI che la condannò solennemente nel 1927, scrisse molti articoli; essendo la firma più prestigiosa che La Revue potesse vantare finì presto con l’essere da tutti considerato come il filosofo ufficioso del movimento.

Facendo sua l’ostilità per i sistemi democratico-parlamentari di Maurras e Clérissac, e unendosi al loro progetto di un’impossibile restaurazione assolutistica cattolica e monarchica in Francia, Maritain scrisse, già nel 1920, il celebre Antimoderne, un libro chiaramente al servizio della causa reazionaria, integralista e antidemocratica dell’Action Française.30

Era praticamente inevitabile che questo nuovo ordine d’idee, e l’adesione di Maritain al champ ideologique del cattolicesimo tradizionalista, che in questo periodo in Francia ancora brandiva il Syllabus di Pio IX come una mazza ferrata, avesse immediate, gravissime conseguenze sul modo di guardare all’ebraismo. I suoi effetti sono particolarmente visibili nel primo intervento pubblico di Maritain esplicitamente dedicato all’ebraismo, nel discorso pronunziato nel 1921 nel corso della Settimana degli Scrittori Cattolici. Il testo del discorso À propos de la “question juive”, fu poi simultaneamente pubblicato sia su La Documentation Catholique e su La Vie spirituelle (II, n. 4) tra il luglio e l’agosto 1921.

Già nell’apertura del discorso il parziale distacco dalle idee fondamentali di Bloy è evidente. La “questione ebraica” lungi dall’essere inquadrata unicamente in un ordine del discorso teologico, viene presentata come comprendente “due aspetti: un aspetto politico e sociale, e un aspetto spirituale o teologico”.31 Non solo: pur notando che questi due aspetti della problematica sono collegati, Maritain afferma che devono essere analizzati separatamente, e inizia subito ad esporre l’aspetto politico e sociale.

La radice di tutti i problemi è indicata nella “dispersione della nazione ebraica”.32 Già la scelta del termine nazione applicato all’ebraismo è rivelatorio, perché l’accusa di costituire una nazione nel senso politico del termine, con identità e agende proprie, separate e in contraddizione con quelle delle altre nazioni era uno dei punti essenziali dell’antisemitismo cattolico tra fine ’800 e inizi ’900.

Siamo negli anni immediatamente successivi al primo conflitto mondiale, e Maritain ammette che gli ebrei, “al prezzo del loro sangue versato nella guerra, sono veramente assimilati alla patria da loro scelta”,33 ma quest’assimilazione, rimane nonostante tutto, anche nel migliore dei casi, un’assimilazione imperfetta e destinata a rimanere tale.

Nonostante tutti i processi di emancipazione, anche in Francia, la patria dei Droits de l’homme, e primum mobile del processo di emancipazione a partire dal 1789, “la massa del popolo ebraico resta nondimeno separata, riservata, in virtù stessa del decreto provvidenziale che fa di esso, lungo tutta la storia, il testimone del Golgota”.34

Gli ebrei rimangono quindi distinti e separati dalle nazioni in cui vivono, e questo fatto, come la loro diaspora, è la diretta conseguenza e manifestazione di un decreto divino, che vuole e rende gli ebrei, loro malgrado, dei perenni testes veritatis Christianae. Questo stato d’imperfetta assimilazione, che appena vela e maschera una separazione essenziale, che si manifesta nel fatto che dagli ebrei ci si deve attendere “tutt’altra cosa che un attaccamento reale al bene comune della civiltà occidentale e cristiana”.35

Si tratta di un’affermazione grave, che nulla a che vedere con le idee di Bloy, e che esprime in modo esemplare alcuni dei punti essenziali dell’antisemitismo cattolico della seconda metà dell’Ottocento. Secondo un altro luogo comune di questa propaganda antiebraica fin de siécle il popolo ebraico, nel momento in cui aveva respinto il vero Messia, l’aveva sostituito con se stesso. Secondo questa pubblicistica, avallata dalla Santa Sede stessa e diffusa a tutti i livelli, il popolo ebraico aveva adottato un’escatologia immanentizzata e perversa: non attendeva più veramente un Messia, essendo diventato il Messia di se stesso.36

Maritain è qui chiaramente succube di quest’ordine d’idee. Scrive infatti che un popolo

essenzialmente messianico come il popolo ebraico, nell’istante in cui rifiuta il vero Messia, giocherà fatalmente nel mondo un ruolo di sovversione, non dico in ragione di un piano preconcetto, dico in ragione di una necessità metafisica, che fa della Speranza messianica, e della passione della giustizia assoluta […] il più attivo fermento della rivoluzione.37

A riprova di quanto asserito, viene citato poi con approvazione Bernard Lazare, e si rileva come Juifs ed esprit juif si trovino indubitabilmente “all’origine della maggior parte dei movimenti rivoluzionari dell’epoca moderna”,38 dichiarando di non voler insistere più di quanto sia necessario su di un altro fatto per lui evidente ed eclatante, ovvero “sul ruolo enorme giocato dai finanzieri ebrei e dai sionisti nell’evoluzione politica del mondo durante la guerra e nell’elaborazione di quella che si chiama pace”.39

La question Juive, sul piano politico e sociale consiste dunque nel fatto che emancipazione e assimilazione del Juif nel seno delle nazioni cristiane non sono l’una condizione dell’altra. La piena emancipazione è possibile, ma la piena e vera assimilazione no, e la contraddizione insanabile che ne deriva fa sì che gli ebrei non potranno che usare i diritti da loro conquistati ai danni delle società in cui vivono.

Non stupisce che subito dopo questa diagnosi venga proclamata “la necessità evidente di una lotta di salute pubblica contro le società segrete giudeo-massoniche e contro la finanza cosmopolita” e la “necessità di un certo numero di misure generali di difesa (mesures générales de préservation)”.40 Queste misure non devono però essere elaborate e decise cedendo a passioni irrazionali, ma cautamente e “senza odio” e devono essere d’esclusiva competenza dell “autorité gouvernementale”, il cui compito è quello di non cedere a pulsioni istintive e viscerali, perché “le passioni popolari e i pogrom non hanno mai risolto alcuna questione, piuttosto il contrario”.41

In quest’intervento vengono quindi ripoposti, senza particolare originalità, ma in forma condensata ed efficace, tutti i luoghi comuni del più classico antisemitismo politico di ispirazione cattolica di fine ’800. Come rilevato da Vidal-Nacquet, “incontestabilmente, questo è un articolo dai temi antisemiti, dell’antisemitismo cristiano più tradizionale”.42 Non era necessario essere simpatizzanti dell’Action Française, per trovarsi esposti a queste idee e per esserne influenzati. A questo punto però Maritain sente il bisogno di introdurre un correttivo a quanto detto, un’osservazione che salda con la prima parte la seconda metà del discorso. Nota infatti che occorre evitare che Juif si trasformi in astrazione, e che venga proposto “in una sorta di mitologia semplicistica, come l’unica causa dei mali di cui soffriamo”.43 Questa mitologia non deve essere usata per offuscare o nascondere il fatto che sono soprattutto “le infedeltà e le colpe dei cristiani” ad essere le cause primarie e più importanti “del disordine universale”.44 Quanto appena detto sugli aspetti politici e sociali della questione ebraica, non deve indurre gli scrittori cattolici, per quanta ostilità essi possano nutrire nei confronti degli ebrei e della loro azione disgregatrice, a nutrire odio e disprezzo verso l’ebraismo in quanto tale: “più la questione ebraica diventa politicamente acuta, più è necessario che il modo in cui trattiamo questa questione sia propozionata al dramma divino che essa evoca; è incomprensibile che degli scrittori cattolici parlino con lo stesso tono di Voltaire della race juive e dell’Antico Testamento, di Abramo e Mosè”.45

È in questo passo che troviamo la sicura e forte eco de Le Salut par les Juifs; ma le intuizioni di Bloy sono adesso isolate dal loro contesto, ovvero dal rifiuto di considerare politicamente la questione ebraica, e inserite in un nuovo e violento ordine d’idee, e risultano impotenti ad attenuare la durezza di questo testo. Maritain, conclude poi il suo intervento in modo molto convenzionale, dedicando l’ultima parte del suo discorso ad esaltare le sincere conversioni di israeliti al cattolicesimo, e l’allora recente iniziativa (1918) per la celebrazione di Sante Messe per postulare e impetrare la conversione di Israele, un’iniziativa ufficialmente approvata l’anno prima da Benedetto XV.

Maritain indica a modello, per gli scrittori cattolici cui si rivolge, la Chiesa, che malgrado si rifiuti di genuflettersi il Venerdì santo per l’horreur sacrée provato verso “la perfidia della Sinagoga”,46 nondimeno continua ad implorare per gli ebrei il Pater dimitte illis e si adopera fattivamente per la loro conversione e salvezza. Gli scrittori cattolici, quindi, devono sì denunciare e combattere “gli ebrei depravati che portano avanti, con i cristiani apostati, la Rivoluzione Anticristiana”, ma devono allo stesso tempo saper fermare il loro zelo “alle anime di buona volontà” e davanti ai “veri israeliti”. Il cattolico è chiamato quindi ad un compito difficile e delicato, “unire nell’integrità della vita cristiana due virtù in apparenza contrarie: unire alla giusta difesa della polis (cité) l’amore soprannaturale per tutti gli uomini”.47

Questo intervento mostra quanto pervasiva fosse stata l’influenza di padre Clérissac, e quanto gravemente Maritain fosse intossicato dalla propaganda che negli ambienti dell’Action Française aveva libero corso. L’influenza di Bloy certamente appare, ma il pensiero dell’amato padrino spirituale è utilizzato da Maritain non come fonte dei suoi ragionamenti, ma come un correttivo per prevenire e mettere in guardia i lettori contro le loro potenziali derive.

L’idea che in questo testo sull’ebraismo il filosofo semplicemente ricalchi le idee di Bloy ha condotto studiosi anche molto attenti e scrupolosi a conclusioni affrettate. Bernard Doering, ad esempio, non considerando Bloy un antisemita nel senso vero e proprio del termine, stenta a rilevare nella sua piena gravità il contenuto politico del testo, mentre John Hellman pensa che À propos de la “question juive” sia un testo antisemita, in cui però le idee di Bloy trovano un’espressione più pacata e “meno infiammatoria”.48

Risulta però chiaro che le idee e le suggestioni antisemite espresse in queste pagine non sono la conseguenza delle idee trovate ne Le Salut par les Juifs, ma il risultato del rigetto di una delle sue idee fondamentali, quella secondo cui la questione ebraica non è una questione politica e sociale, e che non ha quindi senso cercarvi una “soluzione”. Charles Journet, in un suo libro acuto e stimolante, Destinées d’Israel del 1945, aveva già posto questo punto decisivo in debito risalto: Bloy non aveva mai proposto soluzioni mondane alla questione ebraica, perché dal suo punto di vista teologico e radicale, il problema non poteva essere neppure posto.

Maritain nel suo intervento, non attinge poi solo all’opera di Bloy, ma anche e soprattutto ad altre fonti, che peraltro cita esplicitamente: Bernard Lazare, Simon Deploige, M. de la Tour du Pin, M. Muret. È utilizzando questi autori, non le idee di Léon Bloy che il giovane filosofo afferma che gli ebrei costituiscono non religiosamente, ma politicamente un popolo e una nazione a parte, che ad essi è impossibile integrarsi socialmente nella vita dei paesi tra i quali si trovano dispersi e che la loro azione, sempre “misteriosamente” coordinata a livello planetario, è diretta contro il benessere degli altri popoli provocando guerre, disastri finanziari, rivoluzioni, instabilità politica.

Negli anni successivi, poco sembra cambiare nella posizione su quest’argomento, nel pensiero di Maritain. Anche se non scrisse più nulla di direttamente riferito all’ebraismo sino al 1937, si può trovare una breve, ma preziosa e chiara indicazione in materia nella Réponse à Jean Cocteau del 1926, dove il problema politico rappresentato dagli ebrei nelle società cristiane è posto in termini di brutale aut-aut:

Io non considero affatto come trascurabili i problemi d’ordine politico creati dalla diaspora. Sono gravi. Non penso che prima della sua reintegrazione in Cristo, Israele cesserà di portare i segni della collera divina, e che possa vivere tra le nazioni senza esserne oppresso o opprimerle, esserne asservito o asservirle.49

A questo genere di dichiarazioni fa, prevedibilmente, da contrappunto l’immancabile monito a non dimenticare mai l’aspetto propriamente teologico e religioso del mistero d’Israele, e la sua irrevocabile vocazione sacerdotale:

Israele è il popolo sacerdotale. I suoi vizi sono i vizi dei sacerdoti malvagi, le sue virtù, le virtù dei sacerdoti santi. Ho conosciuto ebrei orgogliosi, corrotti. Ne ho conosciuti soprattutto di magnanimi, dal cuore semplice e grande, nati poveri e morti ancora più poveri, che non avevano né il senso del lucro né dell’economia, più ansiosi di donare che di ricevere.50

Nella prefazione scritta per la raccolta epistolare di Léon Bloy Lettres à ses filleuls Jacques Maritain et Pierre van Meer de Walcheren del 1928, invece, il filosofo sarebbe tornato a rendere omaggio al suo padre spirituale, nuovamente esaltando Le Salut par les Juifs e giustificando molti degli eccessi e della violenza del linguaggio di Bloy come risultato del suo uso sistematico della figura retorica dell’iperbole, peraltro spesso presente nella stessa Bibbia.

Nel periodo successivo alla condanna dell’Action Française da parte di Pio XI nel 1927, Maritain, che aveva accettato il pronunciamento Vaticano in spirito d’obbedienza, s’impegnò attivamente a spiegare e giustificare il suo ripensamento. Si trovò quindi impegnato in violente polemiche, in particolare con Maurras e i suoi fedelissimi, che non gli perdonavano il tradimento, e con Jorge Bernanos. L’immensa mole di lavoro intellettuale spesa poi nella reinassance tomistica assorbì quasi totalmente Maritain negli anni successivi. La penosa conclusione della sua avventura con Maurras, lo indusse ad una maggiore prudenza, per quanto riguardava l’impegno con gruppi e movimenti. Com’ebbe dichiarare a questo proposito, “in ciò che mi riguarda personalmente, desideroso di mantenere la mia libertà di filosofo (ma liberté de philosophe) non ho mai voluto aderire ad alcun gruppo politico, e, senza disconoscere il dovere di ciascuno ad interessarsi alla cosa pubblica, intendo restare assolutamente separato da tutte le attività di parte”.51

Se si eccettua la recensione ad un libro di teologia della storia scritto da Erik Peterson, Le Mystère des Juifs et des Gentiles dans l’Église, pubblicata nel 1935,52 Maritain non scrisse più nulla di direttamente e specificamente riferito all’argomento di Israele o degli ebrei, fino al 1937.

Eccede gli scopi e la materia di questo saggio presentare una ricostruzione analitica del lavoro intellettuale e della vita di Maritain in questo decennio. Ai fini della trattazione tuttavia, vi sono alcuni punti che è opportuno porre in debito rilievo. Negli anni successivi alla consumazione della crisi con l’Action Française, Maritain scrisse e pubblicò alcuni dei suoi lavori filosofici più tecnici e speculativi,53 ma questo non significa che il suo interesse per le questioni di ordine etico e politico si fosse sopito. È in questi anni infatti che il filosofo ripensò e trasformò radicalmente la propria filosofia politica. La sua complessa riflessione su questi temi, articolata prima nel libro Du regime temporel et de la liberté del 1933 e poi nella Lettre sur l’indépendance avrebbe trovato la sua più compiuta espressione in uno dei suoi massimi capolavori, ovvero Humanisme intégral : problemes temporels et spirituals d’une nouvelle chrétienté.54 L’aggressione coloniale italiana contro l’Etiopia del 1935 impressionò profondamente Maritain, spingendolo a intervenire pubblicamente e ad esporsi in prima persona. Maurras e la destra francese erano infatti insorte contro le sanzioni internazionali contro l’Italia, pubblicando il Manifeste des intellectuels français pour la défense de l’Occident. Sgomento di fronte al tentativo di giustificare la guerra coloniale fascista, una tendenza allora corrente in molti ambienti del mondo cattolico che invocanvano una pretesa superiorità etnica e di civiltà, Maritain reagì non solo firmando Pour le bien commun, un appello che invocava la cessazione delle ostilità, ma scrivendo e pubblicando l’articolo Pour la justice et pour la Paix, che pubblicato il 18 ottobre in simultanea su La Vie Catholique, Sept, Le Petit Dèmocrate e un mese dopo anche su Esprit produsse una forte impressione sull’opinione pubblica. Nell’articolo si trovava scritto:

la questione non è più sapere se i bisogni d’espansione di un popolo giovane e attivo siano stati rispettati sino al momento presente. È quella di sapere se questi bisogni giustifichino la guerra. Né il bisogno d’espansione né l’opera di civilizzazione da compiere hanno mai dato il diritto d’impadronirsi di territori altrui e di portarvi la morte. È ben vero che i popoli pervenuti ad un livello più alto di cultura hanno la missione d’aiutarne altri, ma è una presa in giro invocare questa missione d’assistenza per abbandonarsi ad una guerra d’espansione e di prestigio.55

Nel 1936, a coronamento di questo periodo di gestazione apparve infine Humanisme intégral, vero e proprio manifesto della nuova filosofia politica di Maritain. In questo testo, celeberrimo e controverso, il filosofo delineava un nuovo modo di intendere il rapporto tra Cristianesimo, Chiesa e mondo contemporaneo, indicando nella difesa delle società democratiche e pluraliste e nella partecipazione ai loro processi sociali, economici e politici da parte dei cristiani la via da seguire per risolvere le tensioni e le problematiche apertesi con la dissoluzione dei sistemi medievali, barocchi e dell’Ancien Régime. Portando a termine e compimento la propria riflessione seguita alla rottura con l’Action Française, Maritain liquidava l’ideale teocratico, definendolo antievangelico e come “l’angelo tentatore della Cristianità medievale”.56 Al tempo stesso denunciava anche l’estrema pericolosità, sia per le nazioni democratiche sia per il cristianesimo stesso, non solo del totalitarismo comunista, ma anche di quello fascista sotto qualunque forma. Il principio totalitario, nel suo articolare il proprio rapporto con la religione e con la Chiesa, secondo il filosofo, assume nel comunismo e nel fascismo due aspetti apparentemente antitetici: il primo nega Dio a livello ideologico e in URSS con l’ateismo di Stato, il secondo, soprattutto nella forma mussoliniano sembra affermarlo dichiarando di voler proteggere la religione dall’aggressione comunista. Quest’ antitesi maschera una parentela profonda tra i due sistemi.

C’è un ateismo che dichiara che Dio non esiste e che fa del proprio idolo Dio; e c’è un ateismo che dichiara che Dio esiste, ma che fa di Dio stesso un idolo, perché nega con i suoi atti, se non con le sue parole, la natura e gli attributi di Dio e la sua gloria; invoca Dio, ma come un genio protettore legato alla gloria d’un popolo d’uno Stato contro tutti gli altri, o come un demone della razza.57

Questo tipo di totalitarismo, apparentemente meno pericoloso abreve termine, è nondimeno molto insidioso e certamente pericolosissimo a medio e lungo termine. Il complesso, teso e contraddittorio rapporto tra regime fascista e Chiesa Cattolica, secondo Maritain, ha dato vita in Italia ad un bizzarro “totalitarismo refoulé dal cattolicesimo”,58 ma il futuro di questa sintesi altamente instabile è incerto, come dimostrato dallo scontro tra Mussolini e Pio XI sull’Azione Cattolica consumatosi nel 1931. Il pericolo rappresentato dai fascismi per la Chiesa, qualora dovesse cedere alla tentazione di eleggerli come alleati nella lotta contro il comunismo, è deunciato con la massima chiarezza:

da questa analisi segue che laddove le forze religiose, e innanzitutto la Chiesa Cattolica, non riusciranno a tenere in scacco le forme di totalitarismo che pretendono di proteggere Dio, l’empietà reale di questo totalitarismo si svilupperà come una forza dissolvente, preparando […] un ritorno offensivo dell’anticristianesimo e dell’ateismo aperti.59

Humanisme intégral, che fu accolto da violenti attacchi e polemiche dagli ambienti tradizionalisti cattolici e dalla destra in Francia e all’estero, segnava la decisiva e definitiva traformazione di Maritain non solo in un filosofo cattolico liberale progressista ma anche in un intellettuale critico e militante, della sinistra europea. Questa trasformazione si sarebbe presto ripercossa sul suo modo d’intendere, nel periodo dei totalitarismi, la questione ebraica e antisemitismo.

[I. Continua]


  1. V.G. Martina SJ, La Civiltà Cattolica e la questione ebraica, “Civiltà Cattolica”, 2000, vol. II, pp. 263-268; G Belardelli, Antisemitismo, quando il peccatore è gesuita, Il Corriere della Sera, 26 gennaio 2000; M. Politi, Civiltà Cattolica, un secolo di razzismo, La Repubblica, 28 aprile 2000. ↩︎

  2. V. Ruggero Taradel, L’antisemitismo ci fu, perché negarlo?, in Liberazione, 17 marzo 2002; e Giovanni Sale SJ, Mea culpa con molti però, in Liberazione, 3 aprile 2002. Entrambe le interviste furono condotte da Fulvio Fania. ↩︎

  3. Giovanni Sale SJ, Antigiudaismo sì, antisemitismo mai, in “Jesus”, Giugno 2002. ↩︎

  4. D.J. Goldhagen, A Moral Reckoning. The Role of the Catholic Church in the Holocaust and Its Unfulfilled Duty to Repair. Alfred A. Knopf, New York 2002. ↩︎

  5. Questa idea risulta suggerita in modo chiaro nel documento della Santa Sede Noi ricordiamo, una riflessione sulla Shoah del 1998. Per un’analisi da parte cattolica, ebraica e protestante del documento v. Randolph L. Braham, The Vatican and the Holocaust. The Catholic Church and the Jews During the Nazi Era, Columbia University Press, New York 2000. Giovanni Sale SJ ha dedicato alla questione diversi scritti: Giovanni Sale SJ, Antisemitismo o Antigiudaismo? Le accuse contro la Chiesa e La Civiltà Cattolica, in “La Civiltà Cattolica”, 2002, vol. II, pp. 419-431. ↩︎

  6. Paolo VI, Allocuzione Regina Coeli, 29 aprile 1973:“Maritain, davvero un grande pensatore dei nostri giorni, maestro nell’arte di pensare, di vivere e di pregare. Muore solo e povero, associato ai ”Petits Frères“ di Padre Foucauld. La sua voce, la sua figura resteranno nella tradizione del pensiero filosofico, e della meditazione cattolica. Non dimentichiamo la sua apparizione, su questa piazza, alla chiusura del Concilio, per salutare gli uomini della cultura nel nome di Cristo maestro”. ↩︎

  7. L. Bloy, Le Salut par les Juifs, Bibliothéque Rhombus, Vienne 1916, p. 7. ↩︎

  8. B.E. Doering, Jacques Maritain and the French Intellectuals. Notre Dame, University of Notre Dame Press, London 1982, p. 9. Sulla conversione della coppia v. le analisi di Robert Rouquette, Filleuls de Léon Bloy : le cheminement spirituel de Raïssa et de Jacques Maritain, in “Études”, 260 (gennaio-marzo 1949) e di Jeanne Ancelet- Hustache, Deux Âmes Cherchaient la Vérité: Jacques et Raïssa Maritain. Brussels, Foyer Notre Dame, 1952; Jean-Luc Barré, Jacques et Raïssa Maritain. Les Mendiants du Ciel, Stock, Paris 1995. Per una testimoniana vedi Pierre van der Meer de Walcheren, Rencontres : Léon Bloy, Raissa Maritain Christine et Pieterke, Desclée de Brouwer, Paris 1961. V. Anche Nora Possenti Ghiglia, I Tre Maritain: La Presenza di Vera nel Mondo di Jacques e Raïssa, Ancora, Milano 2000. ↩︎

  9. J. Hellman, The Jews in the “New Middle Ages”: Jacques Maritain’s Anti-Semitim in Its Time, in R. Royal (a cura di), Jacques Maritain and the Jews, University of Notre Dame Press, London 1994, p. 89. ↩︎

  10. L. Bloy, Le Salut par les Juifs, cit., p. 5. ↩︎

  11. Ivi, p. 6. ↩︎

  12. Ivi, p. 70. ↩︎

  13. Ivi, p. 63. ↩︎

  14. Ivi, p. 30. ↩︎

  15. G. Dotoli, Autobiographie de la douleur : Léon Bloy écrivain et critique, Klincksieck, Abbeville 1998, p. 125. ↩︎

  16. Cfr. Ivi, pp. 20-23. ↩︎

  17. L. Bloy, Le Sang du Pauvre. Vedi su questo punto l’analisi e la riflessione di Jacques Maritain in Les dernières années de Léon Bloy, in: Jacques et Raïssa Maritain, Œuvres Complètes, Éditions Saint-Paul, Paris 2007, vol. XIV, pp. 1052-1061. ↩︎

  18. L. Bloy, Je m’accuse, Éditions de la Maison de l’Art, §Paris 1900, pp. 40-47; 70-73. Cfr. P. Vidal-Nacquet, Jacques Maritain et les Juifs. Réflexions sur un parcours, in J. Maritain, L’impossible antisémitisme, Desclée de Brouwer, Paris 1994, pp. 23-25. ↩︎

  19. R. Maritain, Les grandes amitiés, in Jacques et Raïssa Maritain, Œuvres Complètes, op. cit. vol. XIV, p. 733. ↩︎

  20. L. Bloy, Le Salut par les Juifs, cit., p. 27. ↩︎

  21. Pages de Léon Bloy, choisies par Raïssa Maritain et présentées par Jacques Maritain, Mercure de France, Paris 1951, p. 299. ↩︎

  22. Per un analisi di queste campagne e il loro impatto in Francia v. In particolare P. Sorlin, La Croix et les Juifs, Grasset, Paris 1967; M. Winok, Nationalisme antisémitisme et fascisme en France, Éditions du Seuil, Paris 1982; R. Taradel, B. Raggi, La segregazione amichevole. La Civiltà Cattolica e la questione ebraica 1850-1945. Editori Riuniti, Roma 2000, pp. 16-35. ↩︎

  23. Ivi, p. 738. ↩︎

  24. V. in proposito P. Pulzer, The Rise of Political Anti-semitism in Germany and Austria, Harvard University Press, Cambridge 1988. ↩︎

  25. L. Bloy, Le Vieux de la Montagne, cit. in R. Maritain, Les grandes amitiés, in Jacques et Raïssa Maritain, Œuvres Complètes, cit. vol. XIV, p. 739. ↩︎

  26. V. in proposito W. Bush, Bloy, Maritain and Salvation by the Jews, in: R. Royal (a cura di), Jacques Maritain and the Jews, cit., pp. 179-193. ↩︎

  27. J. Maritain, Quelques pages sur Léon Bloy, Françoise Bernouard, Paris 1947, p. 14. ↩︎

  28. Su questo periodo vedi l’eccellente analisi di B. E. Doering, Jacques Maritain and the French Intellectuals, cit., pp. 6-36. È in questo periodo che Jacques e Raïssa radicalizzarono i termini della propria vocazione religiosa. Nel 1912, assieme a Vera, si fecero oblati benedettini e fecero voto di castità presso l’abbazia di Oosterhout in Olanda. Vedi R. Mougel, À propos du marriage des Maritain : leur vœu de 1912 et leurs témoignages, in “Cahiers Jacques Maritain”, 22 (giugno 1991) e R. McInerney, The Very Rich Hours of Jacques Maritain. A Spiritual Life, University of Notre Dame Press, London 2003, pp. 51-52. ↩︎

  29. H. Massis, Maurras et notre temps, La Palatine, Paris 1951, pp. 168 e ss. Quando nel 1926 Maurras fu arrestato e processato per aver minacciato di far “uccidere come un cane” il ministro degli Interni Abraham Schramek, Maritain comparve nell’aula del tribunale cercando di giustificare le minacce come un eccesso retorico dettato dal giusto principio di resistenza contro leggi ingiuste. ↩︎

  30. V. in particolare: B. Doering, Action Française : Bernanos, Massis et Maritain, in “Notes et Documents”, 15 (aprile-giugno 1979). Cfr. J. Maritain, Antimoderne, Éditions de la Revue des Jeunes, Paris 1922. Al termine di un percorso storico apertosi con la Riforma, e conclusosi con la fine del potere temporale dei papi nel 1870, il filosofo vedeva l’umanità intera costretta a vivere in un “mondo naturalista, dedicato da una scienza materiale al servizio dell’orgoglio e della lusso umani, perfettamente configurato, nella sua vita economica e politica, alla volontà carica d’odio di un Maître che non è più DIO”. Per quanto riguarda il mondo scaturito dalla Rivoluzione francese, vengono spese solo parole di assoluto disprezzo: “il mondo creato dai rivoluzionari borghesi, l’ordine sociale e politico attuale, è edificato sulla Disobbedienza, sul rifiuto dell’autorità della Chiesa, sul rifiuto dell’autorità di Cristo, sul rifiuto dell’autorità di DIO”. Ivi, pp. 174-175. ↩︎

  31. J. Maritain, À propos de la “question juive”, originalmente pubblicato in La Vie Spirituelle (II, n. 4), luglio 1921, in J. Maritain, L’impossible antisémitisme cit., p. 61. ↩︎

  32. Ibidem↩︎

  33. Ibidem↩︎

  34. Ibidem↩︎

  35. Ivi, pp. 61-62. ↩︎

  36. Questa idea fu sviluppata in particolare dalla pubblicistica cattolica durante il pontificato di Leone XIII. V. in proposito G. Miccoli, Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo, in Annali della Storia d’Italia, vol. XI, tomo II, Einaudi, Torino 1999; R. Taradel, B. Raggi, La segregazione amichevole. La Civiltà Cattolica e la questione ebraica 1850-1945, cit., pp. 16 e ss. ↩︎

  37. J. Maritain, À propos de la question juive, cit., p. 62. ↩︎

  38. Ibidem↩︎

  39. Ivi, pp. 62-63. ↩︎

  40. Ivi, p. 63. ↩︎

  41. Ibidem↩︎

  42. P. Vidal-Nacquet, Jacques Maritain et les Juifs. Réflexions sur un parcours, in J. Maritain, L’impossible antisémitisme, cit., pp. 30-31. ↩︎

  43. J. Maritain, À propos de la “question juive”, cit., p. 64. ↩︎

  44. Ibidem↩︎

  45. Ivi, p. 65. ↩︎

  46. Ivi, p. 67. ↩︎

  47. Ivi, p. 68. ↩︎

  48. J. Hellman, The Jews in the “New Middle Ages”: Jacques Maritain’s Anti-Semitim in Its Time, in R. Royal (a cura di), Jacques Maritain and the Jews, op. cit., pp. 89-98. ↩︎

  49. J. Maritain, Réponse à Jean Cocteau, in J. Cocteau — J. Maritain, Lettres, Stock, Paris 1964, p. 119-120. ↩︎

  50. Ivi, p. 121. ↩︎

  51. Per un’analisi esauriente del rapporto di Jacques Maritain con l’Action Française e della sua burrascosa conclusione, v. B. E. Doering, Jacques Maritain and the French Catholic Intellectuals, cit., pp. 6-59. Un testo interessante della polemica è il testo di Paul Courcoural, Le “Danger” de l’Action Française: en réponse à Monsieur Maritain, Éditions Rupella, La Rochelle 1928. ↩︎

  52. J. Maritain, Preface, in E. Peterson, Le Mystère des Juifs et des Gentils dans l’Église, Desclée de Brouwer, Paris 1935, pp. V-XI. ↩︎

  53. V in particolare: J. Maritain, Le Docteur angelique, Desclée de Brouwer, Paris 1930; Religion et culture. Édition originale: premier numéro de la collection des questions disputées, Desclée de Brouwer, Paris 1930; Distinguer pour unir : ou, les degrès du savoir, Desclée de Brouwer, Paris 1932; Le songe de Descartes, Correa, Paris 1932; Sept leçons sur l’être et les premiers principes de la raison spéculative. Téqui, Paris 1934; Science et sagesse, suivi d’éclaircissements sur ses frontières et son objet, Téqui, Paris 1935; La philosophie de la nature, essai critique sur ses frontières et son objet, Téqui, Paris 1935. ↩︎

  54. Du regime temporel et de la liberté, Paris, Desclée de Brouwer, 1933; Lettre sur l’indépendance, Desclée de Brouwer, Paris 1933. Humanisme intégral : problemes temporels et spirituals d’une nouvelle chrétienté, Fernand Aubier, Paris 1936. ↩︎

  55. J. Maritain, Pour la justice et pour la Paix, Sept, 18 ottobre 1935, in Jacques et Raïssa Maritain, Œuvres Complètes, cit., vol. VI, pp. 1040-1041. ↩︎

  56. Humanisme intégral : problemes temporels et spirituals d’une nouvelle chrétienté, cit., Jacques et Raïssa Maritain, Œuvres Complètes, cit., vol. VI, p. 413. In questa sezione Maritain indicava tre errori storici nel modo d’ intendere il rapporto tra Dio e il Mondo: quello satanocratique, considerante il mondo come dominio soprattutto del diavolo (tipico di certo protestantesimo), quello théocratique (costante tentazione dell’ Ortodossia e del cattolicesimo e che chiede alla cité di realizzare l’utopia del Regno di Dio sulla terra), e quello, Rinascimentale e Comtiano che vede la storia e la polis come ambiti dove si spiega unicamente la pura humanité. Cfr. Infra, pp. 411-415. ↩︎

  57. Ivi, p. 605 ↩︎

  58. Ivi, p. 609. ↩︎

  59. Ibidem↩︎