Recensione a Marisa Scherini, Le determinazioni del finito in Edith Stein

Marisa Scherini, Le determinazioni del finito in Edith Stein. La natura, il vivente, l’uomo, OCD, Roma 2008, 399 pp., € 12,00.

Il soggetto che si pone scevro da informazioni pregiudiziali ad osservare ciò che si porge quale oggetto alla sua conoscenza, non può non avvertire, ma anche razionalmente constatare, in tutto ciò che nel mondo è, la traccia lasciata da un’unica matrice.

In tutto quel che è più o meno percepibile sensibilmente, in virtù dell’analogia proportionalitatis, traluce la presenza dell’Essere Eterno, l’Atto Puro, in cui non esiste tensione tra l’essere e l’ente, tra la potenza e l’atto, tra ciò che rincorre nella caducità di una condizione attuale reale, in una tensione mai chetata, la pienezza dell’essere, la determinazione essenziale.

Dal finito, che così si determina, si snoda l’analisi di Marisa Scherini che intende, attraverso un dettagliato sondaggio del complesso delle opere di Edith Stein, guidare alla comprensione del cammino percorso dalla Filosofa tedesca. Un itinerario ideale che muove dalla tesi sull’Einfühlung per giungere, dopo un travagliato percorso di vita, di studio, di ricerca della verità, sorretto e guidato dalla speculazione filosofica, ad abbandonarsi tra le braccia della fede con «la dolce, beata sicurezza del bambino sorretto da un braccio robusto».1 Non quindi lo sfociare in alcunché di fideisticamente inteso, ma la conquista dell’essenza di quella sete di infinito, di quell’anelito di eternità, impresso intimamente nell’essere dell’uomo. Ma l’essere umano non è un’entità chiusa in se stessa, ma un essere costituito da una componente materiale ed una spirituale, non un Korper, ma un Leib, un corpo vivente, aperto alla relazionalità, all’incontro e al confronto con la molteplicità degli enti presenti nel mondo reale.

L’avvicinarsi alla realtà, al mondo naturale, può essere inteso come l’approccio a un qualcosa che si delinea come altro da sé o come creazione particolare della coscienza che la rappresenta secondo una visione intima e particolarissima: un mondo che esiste indipendentemente dal soggetto o che dipende totalmente dalle rappresentazioni elaborate dal soggetto stesso e che quindi è la chiave di lettura di questa realtà. Quale la visione su cui la Stein fonda la sua ricerca tesa alla conquista dell’essenza della natura, del vivente, dell’uomo come essere posto nell’essere e mantenuto in questo, da un Ente privo delle contraddizioni e delle limitazioni determinanti tutti gli esseri offerti e colti nella conoscenza sensibile, attività peculiare di un ente caratterizzato dalla capacità di dirigersi intenzionalmente verso se stesso e verso gli altri enti?

La Scherini rileva nella Stein un equilibrio fra la posizione realista e idealista, un’armonia che non prevede la prevalenza di uno dei due termini perché l’uno non esclude l’altro: la realtà oggettuale ha un’esistenza autonoma rispetto al soggetto che la coglie, al quale però non è possibile interdire una visione che, se pur conforme alla realtà, non è priva di sfaccettature e riflessi visibili e rilevabili diversamente dalle varie coscienze individuali.

Tale concezione della Filosofa tedesca è inoltre suscitata, riflette la Scherini, da una visione vitalista, il ritenere quindi che ogni fenomeno vitale non sia riducibile a leggi fisico-chimiche, ma sia teleologicamente diretto da entità immanenti o trascendenti come del resto, aveva sostenuto la Conrad-Martius.2

La Stein individua nell’anima il principio vivificatore e, come Aristotele prima e Tommaso poi, non lo riferisce esclusivamente all’individuo umano, ma ne riconosce e dimostra la presenza, anche se con logiche e sostanziali differenze, in tutti i viventi del mondo vegetale e animale.

In tale contesto si inserisce la contrapposizione rilevabile nelle posizioni della Stein rispetto a quelle di Martin Heidegger che non riconosce nell’essere gettato nell’esserci alcun principio che non sia assolutamente identificabile con il vivente stesso e con il suo organismo, da qui la Scherini rileva la conseguente incapacità del filosofo stesso a concepire l’essere come anello di una catena «in cui ciascun anello è l’anticipazione del successivo e il successivo lo sviluppo del precedente». Logica conseguenza è l’incapacità ad accettare la convinzione della Stein, che supportata e testimoniata dalla speculazioni di Tommaso, concepisce l’organizzazione gerarchica degli enti, riconducendo giocoforza all’Essere non coinvolto nei processi temporali, in cui quindi non è rilevabile alcuna alternanza tra potenza ed atto, tra essere e non essere.

Il testo di riferimento usato dalla Scherini per la disamina di queste problematiche è prevalentemente Potenza ed Atto, ma anche La Struttura della Persona umana costituisce sostanziale fonte di riflessioni al suo lavoro, motivato dall’intento di dimostrare come sia costantemente il soggetto umano il cuore dell’indagine steiniana.

Ad Essere Finito e Essere Eterno è dedicata la parte conclusiva del testo della Scherini, in esso, le considerazioni effettuate precedentemente sulla componente spirituale dell’uomo, sull’anima, sull’Io, trovano giustificazione — attraverso la disamina compiuta dalla Stein dei termini e delle considerazioni del pensiero platonico, aristotelico e scolastico e la loro adeguazione alla fenomenologia — nell’idea pura presente nella mente del Logos, di cui sono la rappresentazione più eccellente, anche se non l’esclusiva, in quanto ogni ente finito trova in Lui, anche se secondo gradazioni diverse, consistenza e connessione. Ogni essere finito ha impresso nella sua costituzione ontologica una dimensione trinitaria, il segno della volontà creatrice che agisce nelle Persone del Padre del Figlio e dello Spirito Santo; anche in ciò che appare «rigidamente» materiale è presente una componente spirituale, un riflesso della bellezza dell’Artefice, l’essere umano è però l’unico, tra gli enti finiti, a essere creato ad immagine e somiglianza del Creatore, a poter dunque essere definito «persona» analogamente alle Persone trinitarie poiché aperto ad una relazionalità matura, motivata da libertà e volontà, facoltà in grado di muovere il soggetto verso un oggetto della conoscenza, quindi del desiderio, per realizzarne l’apprensione (amore).

La persona umana è però, e principalmente, anche l’anello di congiunzione tra il finito e l’infinito, l’essere nel quale la realtà materiale coinvolta dalla sua colpa nella caduta, può recuperare la perduta armonia in virtù dell’incarnazione del Logos in Cristo, la forma perfetta, il senso e il fine dell’uomo.

Ogni essere finito si determina in virtù del fine impresso come senso in se medesimo come «forza e potenza di essere quel che deve essere» per realizzare cioè, la sua determinazione essenziale, per attuare, in una tensione mai perfettamente soddisfatta, la conformazione all’eidos custodito nella mente del Logos; ma solo l’essere dell’uomo ha il compito di determinarsi nell’incontro con il divino nelle profondità della sua anima, nell’individualità della sua persona non per giacere chiuso in sé, ma per donare alla realtà, al tutto che lo circonda, l’armonia che intercorre perfetta tra le Persone triadiche.

Tale in sintesi il lavoro della Scherini, un’analisi del pensiero della Stein, ampiamente argomentato e commentato avvalendosi del supporto di numerosi riflessioni, studi fondati sia su intenti filosofici che teologici. La ricerca risulta però, pur nella ricchezza dei suoi contenuti, alquanto carente di considerazioni personali, raramente infatti, ella espone apertamente il suo punto di vista che sembra concordare con quello steiniano, solo dal complesso del lavoro di ricerca. Dichiara più volte per contro, che il suo approfondimento è motivato dalla volontà di dimostrare che l’opera steiniana è, nel suo insieme, fondamentalmente un’antropologia, affermazione indubitabile, ma non particolarmente originale.

L’anelito al superamento della caducità del temporale, il desiderio di eternità presente anche in temi, apparentemente più «asettici», come quello della riproduzione in Aristotele, considerato come slancio dell’essere finito verso un disperato protrarsi nel tempo, vengono solo sfiorati, se non trascurati; il cosiddetto privilegio ontologico concesso al genere umano (l’incarnazione del Verbo), cuore e fulcro dell’opera steiniana, non sembrano ricevere analoga rilevanza.

Ne risulta un testo scientificamente ineccepibile, ma non in grado di trasmettere «di seconda mano», per usare un’espressione cara alla fenomenologa, la carica di coinvolgimento emotivo, che anima buona parte della sua opera filosofica e che, in Essere Finito ed Essere Eterno, nonostante la complessità e la rigorosità dei temi trattati, coinvolge il lettore in un dialogo intenso con lo spirito stesso dell’Autrice, in un’incontro ideale che travalica il tempo e lo spazio.


  1. Edith Stein, Essere finito ed Essere Eterno, p. 96, ed. Città Nuova, Roma. ↩︎

  2. Edwige Conrad-Martius, filosofa della scuola fenomenologica, condiscepola con la Stein di Husserl e grande amica della stessa. ↩︎