Dolore innocente, libertà, caso: riflessioni di filosofia naturale

1. Introduzione

Trattando il problema di una filosofia naturale del dolore è stato messo in evidenza il rapporto tra l’esistenza della libertà nel creato e la connessa necessità del dolore nelle varie forme della sciagura.1 In un saggio recente in cui si parla di dolore innocente, e in particolare della nascita di bambini con handicap, si pone, con maggior peso, l’analoga drammatica questione:

Perché dunque nascono così? Perché ci sia la libertà, perché gli esseri umani possano essere liberi. Agli uomini, alcuni dei loro figli nascono così perché essi sono liberi; ma liberi vuol dire fragili, esposti al nulla.2

È impressionante e importante la coincidenza del concetto con quello espresso dal lavoro pubblicato sulla presente rivista e citato sopra:

In vista della libertà delle creature Dio ha dovuto lasciare al caso (al Niente) una parte della creazione: uno spazio lasciato a «cause indeterministiche» o, ciò che è lo stesso, parzialmente al di fuori del principio di ragione sufficiente, spazio di creatività lasciato alla creatura, e che è quindi anche non creazione (del male), mancanza di essere partecipato e cioè di bene, penetrazione del Niente nell’evoluzione.3

Sembra opportuno tentare di approfondire sul pur modesto piano della filosofia della natura qualcuno dei non pochi problemi che rimangono sullo sfondo di considerazioni di questo tipo.

Dal punto di vista di una filosofia naturale è possibile affermare la libertà? Cosa vuol dire fragilità della natura? La successione delle cause e degli eventi ammette nel creato degli errori casuali? L’associazione tra l’idea del caso e quella di libertà è antica almeno quanto la filosofia di Epicuro e pone questioni forse altrettanto ardue di quelle che intenderebbe risolvere.

2. Libertà: la condizione di un principio immateriale

In un’opera del 1967, parlando di scienza e fede, il teologo Karl Rahner così si esprimeva sul problema della comparsa dell’anima nel corso dell’evoluzione:

Se in effetti il divenire è realmente un’autotrascendenza che può, a seconda delle circostanze, pervenire a una nuova essenza […] e se materia e spirito non sono semplicemente dei dati disparati, ma se la materia è in qualche modo uno spirito refrigerato, il cui solo significato è rendere possibile lo spirito propriamente detto, e se infine la spiritualità creata resta sempre spiritualità nella materia fino alla sua realizzazione assoluta, allora una evoluzione della materia verso lo spirito non è un concetto irrealizzabile, a patto soltanto che il concetto di evoluzione sia inteso nel senso di questa autotrascendenza essenziale sottomessa al dinamismo dell’essere assoluto.4

Questa opinione, condivisa da altri, apre un vasto orizzonte nella filosofia naturale, che oggi affronta lo studio dei processi evolutivi, anche biologici e psicologici, con nuovi strumenti concettuali, quali le teorie dei sistemi complessi, dell’autoorganizzazione e delle proprietà emergenti. Senza entrare negli aspetti tecnici possiamo dire che i sistemi complessi presentano delle proprietà che non appartengono a nessuno dei loro singoli componenti, ma compaiono come interazioni di lungo raggio, come forme proprie del complesso. Nel Lexicon of Complexity di F. T. Arecchi e A. Farini si legge per esempio tra l’altro:

A complex system is one whose component parts interact with sufficient intricacy that they cannot be predicted by standard linear equations; so many variables are at work in the system that its overall behavior can only be understood as an emergent consequence of the olistic sum of all the myriad behaviors embedded within. Reductionism does not work with complex systems, and it is now clear that a purely reductionistic approach cannot be applied when studying life: in living systems, the whole is more than the sum of its parts.5

Le proprietà realmente emergenti (genuine emergence) sono dunque quelle che non possono essere spiegate, dedotte o calcolate dalle proprietà dei costituenti o da quelle di loro combinazioni parziali. Gli esseri animati si distinguono particolarmente in quanto capaci di attività autonoma (sé movere) e nel caso degli esseri umani per la coscienza, la conoscenza dell’universale, la libertà di scegliere e causare effetti non spiegabili unicamente sulla base del comportamento dei neuroni. Le proprietà emergenti nel corso dell’evoluzione cosmica, in particolare della vita e della coscienza, in quanto emergenti, sembrano venire dal nulla.

Quando Rahner parla di evoluzione della materia verso lo spirito e ne indica il modo, autotrascendenza, vuole significare che l’emergenza non viene dal nulla ma come produzione di forma contenuta in potenza nelle cose e messa in atto nelle adeguate condizioni causali; e che altre forme possono rappresentare quelli che filosoficamente sono noti come gradi dell’essere. Tra essi l’anima umana, unica piena emergenza ontologica dell’immagine e somiglianza, ultimo gradino di una scala nella quale gradualmente le potenzialità psichiche della natura si rivelano.

Ad un determinato grado di organizzazione, quella proprietà emergente che chiamiamo anima si innesca e, una volta così creata, vive di vita propria. Non è necessario pensare che essa sia qualcosa che si aggiunge dall’esterno. In tale prospettiva diviene anche più facile comprendere la visione antropologica tomistica nella quale spirito e materia non sono due sostanze ma due principi costitutivi di un unico ente, di un’unica sostanza. Si può allora ammettere che l’anima sia una proprietà emergente, cioè potenzialmente presente fin dall’inizio dell’evoluzione cosmica, ma

che si attua, si innesca, come dice Searle, solo in presenza di certe condizioni, cioè di un certo livello di organizzazione […]; cioè si verifica un vero salto di livello ontologico — ebbene, in questo caso è possibile che tale evento si verifichi più volte nel corso dell’evoluzione, a livelli differenti e con esiti pure differenti, con una crescita graduale dei propri poteri e della propria indipendenza dal sostrato materiale che l’ha prodotta: e perciò si apre la strada ad una spiegazione realmente non riduzionista della vita non cosciente, nonché di quei comportamenti intenzionali che eventualmente dovessimo riscontrare, sia pure in forma attenuata, in specie diverse dalla nostra, […].

Se […] sono le stesse leggi naturali a costringerci ad ammettere l’esistenza di fenomeni che esse non possono spiegare, e di conseguenza a postulare a loro fondamento un diverso tipo di realtà non materiale, sarebbe poi semplicemente contraddittorio sostenere che ad essa non si devono attribuire i relativi poteri causali per la ragione — o meglio, per la tautologia — che essi non possono essere spiegati in termini materiali.6

Sull’importanza di queste considerazioni sullo psichismo torneremo anche più avanti; ma intanto ci chiediamo: perché per alcune nostre attività mentali invochiamo un’anima? Perché la libera scelta consapevole di cui è capace il nostro Io non potrebbe essere effettuata da un ente esclusivamente materiale, sia esso parte di un sistema deterministico, o anche indeterministico? Nel primo caso non si vede come la catena delle cause dei processi fisici potrebbe lasciare spazio alla libertà, e infatti coloro che identificano gli stati mentali con stati cerebrali, come Francis Crick per esempio,7 tendono a considerare la pur immediata evidenza interiore di libertà come un’illusione. Nel secondo caso le nostre scelte non potrebbero essere che il risultato di quegli eventi quantistici che si realizzano nell’arbitrarietà casuale, perché l’indeterminazione implica che una particella non può che essere soggetta a costanti fluttuazioni anche quando non ha luogo alcuna operazione di misura. Un autogoverno (autodeterminazione) di tali processi è impossibile nell’ipotesi materialistica.8

Neppure attraverso le dinamiche di sistemi non lineari (caos), notoriamente presenti nel cervello,9 questo potrebbe fare delle scelte e attenervisi, a causa della tipica instabilità delle dinamiche caotiche. Se deve aver luogo una libera scelta tra due diversi stati sinaptici (cerebrali) corrispondenti per esempio a due diversi desideri, dal punto di vista termodinamico è necessario, riducendosi da due a uno il numero degli stati possibili, abbassare il grado di disordine che i fisici denotano con il nome di entropia. Si tratta di una variazione di energia che le leggi fisiche non permettono se non simultaneamente ad una compensazione (un sistema materiale non può mai operare riduzioni nette di entropia). Occorre quindi che il sistema che attua la scelta operi una spesa di energia.10

Dunque: se il sistema è materiale, esso deve spendere qualche energia per attuare la riduzione di entropia che sostanzia la scelta: cioè il sistema dovrebbe voler spendere energia, con un atto di scelta precedente, che a sua volta richiede una propria spesa di energia, quindi un ricorso all’infinito di operazioni simili. Si può evitarlo se si dispone di un sistema che non richieda mezzi fisici nell’avviare l’atto di scegliere: occorre una causalità non causata, quindi non fisica, per realizzare una libera scelta.11

Sulla base di considerazioni di filosofia naturale, anche senza l’apporto di una riflessione filosofica più ampia, sembra doversi concludere che l’azione libera deve avere un principio immateriale e può esplicarsi se nell’attività della mente, il cui referente materiale è il cervello, c’è qualcosa che va al di là della mera causalità deterministica (meccanica, razionale, computazionale, algoritmica). La mente umana è molto più che un calcolatore. Kurt Gödel ha definitivamente provato che per qualunque sistema logico vi sono infinite verità che non sono dimostrabili; ma l’intelletto umano vede che sono verità.12 La verità è più forte della dimostrazione. Come diceva S. Agostino

noi giudichiamo la nostra conoscenza mediante la verità, ma non possiamo sottoporre a giudizio la stessa verità. […] Non uscire da te, ritorna in te stesso, nell’interno dell’uomo abita la verità.13

Così nel nostro mondo interiore noi troviamo anche la bellezza e il bene, l’arte e la morale; e vediamo che il bene è verità, che ci fa liberi. Secondo J. Maritain

l’intelletto umano, benché sia una ragione che amministra i suoi concetti, ligia alla più stretta logica (e questo le proviene dalla sua condizione carnale), è anche un intelletto, cioè una potenza capace di vedere nell’ordine intelligibile come vede l’occhio, e con incomparabilmente maggiore sicurezza di quanto veda l’occhio nell’ordine sensibile. Non conosce forse l’intelletto i principi primi di qualsiasi dimostrazione proprio attraverso una tale intuizione?14

A questo proposito G.F. Basti cita opportunamente un passo di Tommaso d’Aquino dove molto lucidamente si distingue una differenza qualitativa tra le operazioni conoscitive, nonostante sembrino tutte allo stesso modo proprie del composto anima-corpo,15 ma che viceversa non lo sono (come per esempio per la spiritualità dell’operazione intellettiva che porta dall’immagine ai concetti astratti assolutamente privi di modelli fisici). È fondamentale a questo punto considerare la conseguenza del fatto che il principio immateriale (capace di operare per sé e avere il dominio delle proprie azioni, cioè la libertà) coinvolge comunque l’agire del composto. Questo dovrà quindi come tale essere disposto per la libertà, compresa dunque la materia, il corpo come strumento e come referente delle operazioni dell’anima. È quanto si dovrà considerare nel seguito.

3. Libertà: la condizione dell’indeterminazione nella materia

Una stretta relazione causa-effetto tra gli eventi, e una proporzione tra l’entità dell’una e dell’altro, caratterizza la visione deterministica nella quale non si riconosce alcun grado di libertà nella storia evolutiva del mondo. Questa indiscutibilmente è governata da leggi fisse, almeno a grandi linee; ma il classico determinismo laplaciano è difficilmente sostenibile dopo il fallimento del tentativo di assiomatizzazione totale della matematica (Programma di Hilbert) che dal punto di vista filosofico conduceva a una concezione del mondo caratterizzata da un implacabile meccanicismo.16 Solo nell’ambito di una relativa indeterminazione causale si può parlare di creatività dell’evoluzione, di contingenza, di casualità, e anche di libertà dell’uomo e di gradi di libertà di sistemi ed eventi naturali. Sembra caratteristica dell’universo la coesistenza di determinismo e di indeterminismo (l’ambito del quale è controllato).

Mentre nella fisica classica una particella si muove lungo una traiettoria ben definita e un oggetto può essere in una sola posizione e in un solo orientamento ad un dato tempo, nel micromondo quantistico la posizione di un atomo o di un elettrone, per esempio, può avere parecchi differenti valori nello stesso tempo, con una sovrapposizione di stati potenziali che persiste finché il sistema non viene disturbato, nel quale istante collassa in una sola delle diverse possibilità. È il concetto di correlazione (entanglement) di Schrödinger tra gli stati delle particelle che rende comprensibile la dualità onda-particella e le stranezze della quantomeccanica, e questo è totalmente diverso dall’abituale spiegazione, data dai libri di testo, della dualità come effetto del disturbo apportato al sistema dall’atto di misura, spiegato nei termini dell’incertezza di Heisenberg.17

L’impredicibilità del comportamento del sistema può corrispondere a descrizioni probabilistiche, il che richiede una nozione di causalità probabilistica che può essere formulata per esprimere la comparsa di un insieme di condizioni conseguenti (effetto) all’azione di un antecedente insieme di condizioni necessarie e sufficienti (causa).18 Il carattere intrinsecamente statistico degli eventi atomici assicura che il futuro rimane aperto e non determinato dal presente: l’indeterminismo garantisce alla successione degli eventi e all’evoluzione cosmica e biologica uno spazio di libertà e creatività. Su questi punti tuttavia dovremo tornare con qualche riflessione (par. 4).

Un’altra fonte questa volta macroscopica di imprevedibilità è rappresentata dalle dinamiche non lineari alle quali rispondono molti sistemi fisici anche di comune osservazione ma soprattutto, tra i sistemi complessi, quelli biologici. Quando l’equazione differenziale di un sistema deterministico è non lineare (cioè contiene termini che non sono direttamente proporzionali alla variabile o a una delle sue derivate) il sistema può avere comportamento caotico. La principale caratteristica è data dal fatto che tali sistemi possono arrivare a fasi in cui piccole variazioni di parametri conducono a imprevedibili e ampie variazioni delle traiettorie, fasi denominate biforcazioni o multiforcazioni cioè momenti di (imprevedibile) scelta della traiettoria futura: momenti di indeterminismo. Si parla di caos deterministico, ciononostante, ma per la semplice ragione che l’indeterminismo compare nella soluzione di equazioni differenziali non lineari deterministiche, al variare del parametro o dei parametri di controllo.19 Anche Karl Popper ha sostenuto che l’indeterminismo è condizione necessaria (e non sufficiente) per la libertà umana.20

Gli aspetti indeterministici della materia, presenti anche nei neuroni, sono quelli che giustificano la possibilità di un’azione causale della mente sul cervello (senza violazioni di leggi fisiche). Una tale azione presuppone che essa sia una genuina emergenza, che comporta quella che nella visione antiriduzionista della teoria dei sistemi è definita top down- o downward-causation. La quale è giusto l’inverso del riduzionismo, dato che significa che il comportamento delle parti sia determinato dal comportamento delle proprietà dell’intero (proprietà irriducibili).21 Al di là delle definizioni di cui sopra, l’approfondimento della contrastata questione del rapporto mente-cervello, la discussione delle sue possibili modalità, e le implicazioni metafisiche del problema, ci porterebbero decisamente fuori dal tema che ci limitiamo a seguire. Qui ci basta aver indicato i momenti di indeterminismo (quantistico e del caos) che possono essere considerati come importanti proprietà che rendono la materia adatto strumento e referente delle operazioni dell’anima nel composto uomo.

4. L’indeterminazione materiale, nonché essere condizione per l’esistenza di soggetti liberi, è anzitutto necessaria perché vi siano esseri viventi e senzienti

Qualcuno ha detto che basta vedere una formica che sale lungo un muro, andando così in senso contrario alla legge fisica di gravità, per capire che gli esseri viventi hanno una loro specifica «libertà» nei confronti del mondo fisico. Ma questo è ancora più evidente negli atteggiamenti psichici degli animali superiori. Tuttavia le reazioni vitali implicano anzitutto un certo grado di libertà dei loro costituenti chimici e fisici elementari. Se un vivente venisse paragonato a una macchina, la peculiarità dei suoi strumenti funzionali sarebbe evidente nella monomolecolarità. Tali strumenti-molecole sono tipicamente e necessariamente instabili perché se il loro assetto fosse decisamente stabile, ovviamente non sarebbe funzionale. Ad esempio vi sono macromolecole che agiscono nella cellula come interruttori accendendo o spegnendo processi che dipendono da discrete variazioni conformazionali reversibili della macromolecola regolatrice.

Se la vita implica una certa libertà di azione e di reazione, anche nelle forme viventi più elementari, tutto ciò è predisposto nei materiali costituenti. L’instabilità, che può modificare la conformazione e la funzione delle macromolecole biologiche, è già una caratteristica atomica e molecolare della materia prima.

La tenuità della parte esterna dell’atomo dimostra la debolezza del controllo che esercita il nucleo centrale sugli elettroni che lo circondano. Questa debolezza è alla base della ricchezza della vita. […] Data la debolezza dei legami, le strutture non sono congelate in schemi immutabili ma possono rispondere alle sollecitazioni dell’ambiente.22

Le leggi del mondo subatomico, atomico e molecolare che sottostanno alla fenomenologia di cui sopra sono quelle quantomeccaniche, che nel mondo biologico conservano tutta la loro validità (senza che ciò significhi riduzionismo). I viventi hanno funzioni legate a strumenti monomacromolecolari, ed effetti macroscopici possono dipendere da variazioni della funzione di un numero ridotto di tali strumenti, o anche di uno solo di essi, con possibili risultati fuori della norma, imprevedibili, quando appunto l’effetto macroscopico non è il risultato collettivo, regolare, di una media di un gran numero di eventi quantistici, come si è soliti osservare nei sistemi meno complessi del mondo inorganico.

Secondo R. Penrose, le nostre qualità sono radicate in qualche strano e meraviglioso aspetto di quelle leggi fisiche che effettivamente governano il mondo in cui siamo lasciando spazi di non algoritmicità e indeterminismo (instabilità) e cioè noi, in qualità di esseri senzienti, dobbiamo vivere in un mondo quantistico23 perché solo così possiamo relazionarci con il resto della natura, sentire e rispondere agli stimoli, pagare anche la tariffa di questo rapporto non sempre semplice e facile con l’ambiente e con la nostra stessa instabile interiorità, un rapporto cui consegue anche dolore.

5. Esseri senzienti e liberi sono necessariamente esposti alla sciagura

Il dolore di cui vogliamo parlare è, come s’è detto nell’introduzione, quello della sciagura, della calamità naturale, del bambino che è nato col peso di un handicap. Come fa notare M. Ruse, tutto in questo mondo dovrebbe essere diverso se il dolore non doveva far parte del creato. Il fuoco non dovrebbe più bruciare, «… ma come potrei scaldarmi nel corso dell’inverno Canadese e come cucinerei il mio cibo…» e così via.24

In particular, […] insofar as humans are natural, sentient beings, constructed of the same substance as Nature and interacting with it, they will be affected in any natural system by lawful natural events. These events will sometimes be propitious and sometimes not. And insofar as man is essentially a conscious being, he will be aware of those events which are not propitious and which for him constitute evils. Therefore, to prevent natural evils from affecting man, man himself would be significantly changed such that he would be no longer a sentient creature of nature.25

Se vogliamo cercare di studiare più approfonditamente questi problemi dobbiamo rifarci a quanto abbiamo già detto: la possibilità di esplicare scelte e azioni libere è legata a spazi di indeterminismo, perché in un mondo laplaciano dove «tutto è predeterminato fin dall’inizio» la libertà non troverebbe posto.26 Nel nostro mondo, apparentemente vicino alla descrizione di de Laplace, esistono invece degli eventi che sfuggono al comportamento deterministico, tanto al livello delle componenti elementari della materia (nella quantomeccanica infatti da tempo la descrizione probabilistica degli effetti ha costretto a distinguere la nozione di causalità da quella di determinismo) quanto al livello dei sistemi complessi (le cui dinamiche — non lineari — presentano punti di biforcazione dove la scelta della futura traiettoria si prospetta nella equiprobabilità).

Orbene, se questo indeterminismo rende compatibile la materia con la libertà dello spirito, il cervello con l’attività dell’intelletto, si deve considerare che in base allo stesso principio — l’evasione dalla stabilità e dalle regole fisse delle leggi fisiche deterministiche — è possibile che nella materia (organismi viventi e biosfera) si producano deviazioni ed errori che si traducono nei termini della sciagura, della calamità naturale, del dolore. Libertà e dolore sono entrambi permessi dal fatto che il soggetto biologico è un macrosistema, come abbiamo detto connesso a, quindi espressione di, singoli microstati per i quali vige l’indeterminazione.

Per la patologia e il dolore si può dire che essi divengono inevitabili, in presenza dell’indeterminazione, per esempio attraverso le mutazioni: mutazioni puntiformi possono aver luogo ad esempio per sostituzione di una forma rara di una base (nell’ambito dell’isomeria chetoenolica) nella sintesi del DNA e in generale perché l’energia dei legami chimici in una macromolecola può variare con le fluttuazioni dell’energia vibrazionale responsabili di un certo ambito d’incertezza, che consente appunto alle mutazioni di aver luogo imprevedibilmente. Questi errori significano malattia e dolore. I sistemi viventi possono essere tecnicamente definiti come strutture dissipative quasi-stabili, lontane dall’equilibrio: questa relativa instabilità, che significa creatività e libertà per tutto il sistema biologico e per ogni singolo soggetto, significa però anche rischio costante, com’è intuitivo; rischio che la funzione di dissipazione sia compromessa avendosi così la degradazione (malattia) o la fine (morte).

Se l’uomo esiste con la sua libertà, esiste dunque necessariamente anche con il suo dolore, perché entrambi sono fondati sull’assenza di una rigida necessità causale che governi, nell’ambito dello hardware di cui siamo strutturati, i processi elementari possibili. Adamo venne creato libero (e fu anche peccatore) ma a prezzo di dolore, malattia e morte; e non soltanto per lui ma per tutto l’Universo del quale è parte. Libertà e dolore hanno questo denominatore comune: l’indeterminismo. Così il dolore è il terribile prezzo della nostra libertà. La domanda di Dostoevsky, se la felicità eterna meriti davvero la tragedia del dolore innocente, va posta in altro modo: ci si chiederà se la nostra stessa esistenza di soggetti senzienti e liberi valga tutto il dolore dell’umanità, anche senza tener conto di quello provocato dal cattivo uso della nostra libertà. E sarà tuttavia sempre arduo trovare una risposta.

Il male metafisico leibniziano, ossia il limite della perfezione delle creature finite, è una privazione (di bene) costitutiva della creatura, ma non è per sè stesso corruzione di ciò che alla creatura è dovuto. Il passaggio dal male metafisico alla corruzione delle perfezioni dovute significa l’affermarsi del male come incomprensibile sciagura; ma questo si deve all’introduzione nella materia di quella proprietà fondamentale di cui abbiamo parlato, l’indeterminazione, che non è altro che un certo grado di libertà cosmica entro il cui pur limitato ambito i processi naturali possono divergere imprevedibilmente, e addirittura oltrepassare il bacino d’attrazione proprio. Essendo tale indeterminazione una necessaria (anche se non sufficiente) condizione per la libertà umana, è insieme alla possibile sciagura che si stabilisce per l’uomo la possibilità del peccato. Se l’atto creativo ha voluto che le creature si facciano da sè stesse nella loro libertà, esso accompagna tutta l’evoluzione cosmica nel rispetto del suo farsi, e nel caso dell’uomo «… al cuore dell’atto creatore sta l’assoluto rispetto di una creatura che deve crearsi da sé e non può farlo senza sofferenza…»27

La creazione della libertà dell’uomo presuppone il dolore cosmico. Ma Dio stesso entra in questa sofferenza.28

6. La libertà nell’evoluzione e nell’autopoiesi

È ben noto che il darwinismo fa appello al caso (e alla selezione) per giustificare l’intera serie evolutiva: biologica, prebiologica, cosmologica. Il caso sarebbe così l’artefice della complessificazione degli organismi e, prima, delle cellule e protocellule, delle molecole e addirittura della possibilità di selezione, tra gli infiniti universi di cui si pretende l’esistenza nello spazio e nel tempo, di quello adatto alla comparsa di tutto ciò.29

Negli anni recenti si è imposta un’integrazione del darwinismo, con la scoperta degli stati auto-organizzati della materia permessi dalla fisica del non equilibrio.30Il passaggio verso la complessità è collegato alla biforcazione di nuovi rami di soluzioni matematiche che nascono dall’instabilità di dinamiche caotiche. Queste instabilità di moti associati al caos «… permettono al sistema di esplorare continuamente il suo spazio delle fasi creando così informazione e complessità.»31 Accanto alla selezione, di cui peraltro sono stati descritti i limiti,32 occorre dunque che operi un ordine interno ai sistemi per cui tra essa e l’auto-organizzazione è essenziale la complementarietà: «Soltanto i sistemi che sono in grado di organizzarsi spontaneamente sono capaci di ulteriore evoluzione.»33 L’evoluzione procede dunque per tentativi, ha capacità creative, ma è sostenuta nel suo percorso da una serie di emergenze di forme (attrattori) che hanno indotto taluni a ipotizzare un campo delle forme: «campo morfoforetico», o «morfogenetico», o «campo evoluzionario».34

Le mutazioni rendono i fenotipi abbastanza fluidi per cambiare, la selezione implementa preferenzialmente particolari cambiamenti, ma il risultato complessivo, la direzione del flusso evolutivo, è da attribuire come per un corso d’acqua al paesaggio che lo condiziona, pur essendo in questo caso invisibile, paesaggio composto dai potenziali fenotipi più prossimi e condizionato dal contesto, lo spazio degli stati matematico che include non solo ciò che si realizza ma anche quello che sarebbe potuto accadere in alternativa. Ma appunto l’indeterminismo fondamentale, rappresentato dalle fluttuazioni quantistiche, amplificate dall’instabilità delle dinamiche caotiche, garantisce che il sistema può trovare anche ciò che sarebbe potuto accadere in alternativa.

Il progresso della conoscenza ha compreso, sia pure attraverso errori, che la natura esprime dei temi, perché vi ha trovato delle forme che «sono là»: quando Keplero analizzava le orbite dei pianeti del sistema copernicano, vi ritrovava le curve che Apollonio di Perga aveva studiato secoli prima per la loro bellezza matematica, alla stessa maniera che Einstein trovava nello spazio della relatività generale le forme della geometria di Riemann.35 Il progresso dell’evoluzione ha trovato anch’esso, attraverso tentativi ed errori, il campo delle forme, gli archetipi attrattori.36 Questo «trovare» le forme può essere definito veramente creativo perché «l’inventare non è altro che un vero trovare».37

Da un punto di vista metafisico un processo evolutivo deterministico potrebbe sembrare a prima vista un atto creativo più adeguato ad ottenere con sicurezza il suo fine. Ma se il fine era la comparsa di esseri senzienti e di un Ego38, allora le dinamiche del processo destinate a sostanziarli dovevano corrispondere ad un’informazione non tassativa. È per questo che la creazione si presenta sotto l’aspetto di un’evoluzione che è un’avventura; ed è per questo che dovevano esserci le galassie. Infatti, in questo universo, l’entropia cosmica viene diluita più rapidamente di quanto sia prodotta, per effetto dell’espansione; e grazie ai disequilibri a questa connessi, mentre una certa quantità di energia viene prodotta, la differenza con la massima entropia producibile si esprime come informazione. La quale, come campo delle forme (condizioni iniziali, forze, leggi, archetipi), esiste fin dall’origine e via via si svela, è creazione che si svolge: il processo evolutivo cerca le forme nella progressione della complessità, ma non essendo deterministico, i suoi tentativi hanno una qualche probabilità, non una necessità, di trovarle ed esaurirle; per questo le occasioni devono essere certamente numerose, come le stelle del cielo.

7. Il caso

Quando ci si domanda da dove viene il caso, la risposta più facile è quella che invoca la nostra incapacità di fare previsioni esatte a causa della nostra ignoranza e insufficienza del livello delle osservazioni sulle condizioni iniziali (molti sistemi deterministici presentano estrema sensibilità alle condizioni iniziali). C’è però chi dà una seconda risposta, osserva Ivor Ekeland,

la quale consiste nel dire che il caso risulta dall’incontro di serie causali indipendenti. Questa risposta mi sembrava idiota già quand’ero bambino, e mi sembra ancora più idiota adesso in quanto nell’universo non ci sono serie causali indipendenti.39

Infatti, nell’unico sistema isolato che è l’Universo, se lo si considera deterministico l’incontro delle serie causali nell’ambito delle leggi naturali non può mai essere un caso fortuito, anche se ne avesse l’apparenza, per definizione. Alla radice di qualunque vera contingenza fisica, della creatività dell’evoluzione, dell’esistenza di soggetti senzienti e liberi, deve esservi un certo ambito di assenza di costrizioni causali necessitanti: non vi sarebbe nulla di realmente fortuito, o di nuovo, se questa radice di intrinseca indeterminatezza mancasse. Essa esiste almeno nel mondo quantistico submicroscopico, e anche nei punti di biforcazione dei sistemi caotici, i quali sono degli amplificatori di variazioni accidentali anche minime. Il caos è detto deterministico ma può apportare impredicibilità e indeterminazione perché nelle biforcazioni vi sono momenti di indeterminismo che azioni esterne veramente accidentali possono orientare casualmente (ma sono tali solo se esiste in qualche luogo una radice di indeterminazione intrinseca alla materia). Se così non fosse il mondo sarebbe nonostante tutto laplaciano, perché la catena delle cause, non ammettendo niente di indeterministico quindi niente che sia realmente accidentale, darebbe luogo ad un’evoluzione unica e necessaria per quanto multiforme e complicata. In questo quadro qualunque disturbo esterno potrebbe sbilanciare una biforcazione forzando il percorso e superandone il teorico in determinismo.

Ovviamente sarebbe illusorio parlare di contingenza delle cause in un universo laplaciano dove il caso è apparenza ma non esiste, e tutto il processo è necessario e univoco. Nonostante il concorso di varie cause possa sembrare accidentale, se ogni causa singola è necessaria anche il risultato lo sarà. Se invece vale l’ipotesi che esistano momenti, eventi e forme in cui vige una causalità non deterministica, si apre lo spazio anche per l’esercizio della libertà umana e della responsabilità. Nei capitoli precedenti è questo che abbiamo infatti supposto; ma è alla fine necessario tentare una migliore precisazione del concetto di causalità non deterministica, almeno per verificare se e in che modo esso corrisponda realmente alla sola radice ontologica che potrebbe rappresentare la giustificazione della libertà e del rapporto tra dolore e libertà.

Alcuni affermano l’acausalità (caso assoluto) di eventi del mondo quantistico submicroscopico. È abbastanza ovvio che si tratti di una minoranza, che deve considerare accettabile l’ipotesi di eventi che escano dal nulla. Ma hanno dalla loro alcune ragioni. Per esempio, dovrebbe esservi una perfetta simmetria nell’unità dell’universo se esso non fosse esistito con una componente indeterminata, acausale. Altri propongono la considerazione che le interazioni (forze) tra particelle sono trasferite da altre particelle: se i moti possono esserci soltanto per azioni di forze esterne sulle particelle, una di queste non potrebbe muoversi senza l’azione (causa) di una forza, ma d’altro canto la forza non può esistere se non vi sono particelle in movimento per trasferire la forza: o tutto è immoto o esistono moti non causati, spontanei. La letteratura sul problema è vastissima e comprende l’ipotesi del panpsichismo, degli eventi acausali sincronistici, e pluridecennali dibattiti e studi sulla causalità probabilistica che, pur non avendo raggiunto una formalizzazione sufficiente,40 anche per la difficoltà di combinare i «processi probabilistici» con i processi fisici, appare come una prospettiva per fare spazio al concetto di caso quale discende dall’esperienza oggettiva. Si può anche interpretare la causazione probabilistica come causazione deterministica di probabilità.41 Quando la causa efficiente non determina univocamente il suo effetto, la causa formale può esserne distinta e, nel caso specifico, si potrebbe quindi non parlare di una acausalità assoluta.42

Tuttavia è sempre difficile giustificare il concetto ambiguo di causalità non deterministica, come anche ammettere in generale l’esistenza di cause veramente contingenti, senza arrivare coerentemente ad accettare un qualche ambito di acausalità fisica oggettiva nella natura governata dalle leggi. Tant’è vero che la maggior parte degli esempi sul caso, da Aristotele in poi, sono sempre relativi ad atti umani, implicando una causa psichica all’origine della serie causale contingente cui si deva un evento fortuito. Secondo A.N. Whitehead qualche qualità psichica pervade l’intera natura, anche se qualità psichiche di alto livello si esplicitano solo in complessi di condizioni favorevoli, prodotti dall’evoluzione:

Le capacità [di origine psichica] di attualizzare delle potenzialità modificando le dinamiche lineari della quantomeccanica possono essere diffuse in natura, ma si appalesano soltanto nei sistemi con psichicità di alto livello.43

Potrebbe essere suggestivo l’accostamento della imprevedibilità macroscopica dovuta a serie causali di origine psichica, come negli abituali esempi del tipo ricordato sopra, con quella del mondo submicroscopico dove anche si potrebbe ipotizzare una causa psichica, in luogo di una mancanza di cause, a giustificazione degli eventi fortuiti. Si è infatti affermato che

proprio come le altre proprietà della materia quali massa, carica, ecc, lo psichismo è una proprietà fondamentale, che in certa misura può anche essere descritta matematicamente, fornendo così una base quantistica per il panpsichismo.44

L’Autore qui citato spiega in un precedente lavoro che la base logica dell’indeterminismo è data dalla dimostrazione che il moto delle particelle elementari è discontinuo, casuale e spontaneo.45 Come abbiamo ricordato nel par. 2, il sé movere è tipica proprietà immanente degli esseri animati. E riandando a quanto s’è detto nello stesso capitolo a proposito dei poteri dell’anima e della sua graduale emergenza (poteri causali diversi da quello fisico) è utile richiamare la chiara affermazione di P. Musso, riferita all’anima umana ma di valore generale:

Se infatti sono le stesse leggi naturali a costringerci ad ammettere l’esistenza di fenomeni che esse non possono spiegare, e di conseguenza a postulare a loro fondamento un diverso «tipo di realtà» non materiale, sarebbe poi semplicemente contraddittorio sostenere che ad essa non si devono attribuire i relativi poteri causali per la ragione — o meglio per la tautologia — che essi non possono essere spiegati in termini materiali.46

Questo, al di là della particolare questione trattata dall’Autore, potrebbe valere anche per la radice intrinseca dell’indeterminismo, che diventa poi quella della libertà; e potrebbe ricordare la grande intuizione di Teilhard de Chardin:

Siamo logicamente condotti a congetturare in ogni corpuscolo l’esistenza rudimentale […] di qualche psiche…47

Su un piano più tecnico andrebbe ricordata la teoria di D. Bohm, la quale invocando «variabili nascoste» ipotizza che la funzione d’onda venga intesa come un campo obiettivamente reale, in uno stato di rapida fluttuazione casuale che deriva da un più profondo livello subquantico, un po’ come le fluttuazioni del moto browniano di una gocciolina di liquido derivano dal sottostante livello atomico. Il comportamento del campo appare indeterminato, ma la dinamica precisa delle fluttuazioni è causata da un ipotetico «ordine implicato», il quale potrebbe essere inteso anche come realtà primaria della sostanza della coscienza.48

L’esistenza del caso come l’abbiamo delineato si può in conclusione riportare a una intrinseca indeterminazione della materia per la quale si possono avanzare due ipotesi:

  1. che al livello elementare le relazioni corrispondano a una causalità fisica indeterministica, come sostennero per primi Sommerfeld, de Broglie e Born,49 il che richiede di separare la nozione di causalità da quella di determinismo, e di usare il concetto di causalità probabilistica. In realtà non ci si libera in tal modo di un momento causale determinato che risulta soltanto spostato alle opzioni tra gli effetti possibili, le quali infatti richiedono pure una causa, a sua volta problematica.
  2. Che al livello elementare agisca un potere causale psichico, già presente sia pure senza pretesa di consapevolezza nel mondo subatomico; capace di alterare in modo cieco le probabilità degli eventi quantistici inducendo effetti casuali.

In conclusione, il caso della fisica e del senso comune dev’essere riferito comunque ad un fondamentale anche se molto limitato ambito di acausalità fisica. È ad ogni modo importante segnalare che la stocasticità inerente nella quantomeccanica, condizione di casualità totale — l’equità del gioco del dado quantistico — è essa stessa una legge di natura piuttosto restrittiva.50 Quanto all’accusa di vitalismo che potrebbe venire portata ad alcune delle possibilità descritte, sarebbe utile vedere l’articolo dal titolo «Quantum Vitalism» di S. Hameroff51 di cui citiamo qualche frase:

le descrizioni funzionali non riescono a captare una essenziale unicità unitaria (unitary oneness) presente negli organismi viventi. Per i biologi del diciannovesimo secolo questa qualità fu ascritta a qualche «forza vitale», «elan vital», o campo d’energia. Poi, via via che la biologia cellulare e molecolare iniziava a rivelare i processi fisici e biochimici implicati nelle attività cellulari, l’apparente necessità di una forza vitale svaniva, e i «vitalisti» (o «animisti») furono vilipesi. Nella moderna scienza riduzionista la nozione di una forza vitale o campo d’energia o informazione è rimasta quasi un tabù. Tuttavia, una nuova idea è comparsa recentemente. Mentre il vitalismo del secolo diciannovesimo era basato sull’elettromagnetismo o su forze al di fuori della scienza, è emersa una prospettiva «vitalistica» nella quale la vita deriva per diretta estensione dai più fondamentali livelli della realtà. Nel «vitalismo quantistico» essa è intimamente legata ai processi auto-organizzativi nel più basale livello dell’universo.

La comparsa della vita è dunque programmata nelle particelle elementari dell’universo, e questo implica un insieme di leggi che usano il caso52 e lo pongono in atto nell’unico modo possibile: comprendendo un campo immateriale, psichico. Il quale nel corso dell’evoluzione agisce anche costruendo se stesso nella complessità e nella libertà; e qui ritorna alla mente, perfettamente in sintonia, il discorso di Rahner53 che abbiamo citato all’inizio del secondo capitolo: «si la matière est en quelque sorte un esprit “frigorifié”…».

In questa ipotesi è notevole che tutto il male sarebbe dovuto direttamente o indirettamente a cause psichiche, tanto al livello della cieca sciagura prodotta nell’azione della psiche più o meno «rudimentale», quanto al superiore livello dell’azione libera della coscienza. Sia come sia, dobbiamo renderci conto che quando ci si appella al caso nella natura non si può evitare di identificarlo con un ambito di acausalità fisica, all’interno del quale soltanto si può trovare il fondamento della creatività, della novità, della libertà. E, insieme, della sciagura. E del caso non possiamo fare a meno. Diceva J. Maritain:

Ogni cosa esistente ha la sua natura o essenza, ma la posizione esistenziale delle cose non è implicata nella loro natura […]. La realtà esistente è così composta di natura e d’imprevisto (caso); per questa ragione essa ha un senso nel tempo e perciò durando costituisce una storia (irreversibile). La storia ha bisogno di questi due elementi: un mondo di pure nature non si muoverebbe nel tempo: non v’è storia per gli archetipi platonici; un mondo di puro imprevisto non avrebbe orientamento: non v’è storia per un equilibrio termodinamico.54


  1. M. Zatti, «Evolution, beauty and pain», Riv. Biol. -Biology Forum 1992, 85, p. 225-31; —, «Anthropic Biology», in: The Anthropic Principle, Bertola and Curi Eds., Cambridge Univ. Press, Cambridge 1993, p. 129-42; — Il dolore nel creato, Dehoniane, Bologna 1994; — «Libertà e dolore alla luce del Principio Antropico», Medicina e Morale 1994/3, p. 469-74; — «Filosofia naturale del dolore», Dialegesthai 2002, 4, <https://mondodomani.org/&gt; (25 febbraio 2003).. ↩︎

  2. V. Mancuso, Il dolore innocente, Mondadori, Milano 2002. ↩︎

  3. M Zatti, «Filosofia naturale del dolore», cit. alla nt. 1. ↩︎

  4. K. Rahner, Science, Évolution et Pensé chrétienne, Desclée De Brouwer, Paris 1967. ↩︎

  5. F. T. Arecchi, A. Farini, Lexicon of Complexity, Studio Editoriale Fiorentino, Firenze 1996, p. 79. ↩︎

  6. P. Musso, Filosofia del Caos, Franco Angeli, Milano 1997, p. 174-75. ↩︎

  7. F. Crick, The Astonishing Hypothesis: The Scientific Search for the Soul, Simon & Schuster, London 1994. ↩︎

  8. S. H. Hameroff and R. Penrose, «Orchestrated Reduction of Quantum Coherence in Brain Microtubules: A Model of Consciousness», in: Toward a Science of Consciousness, Eds. S. H. Hameroff, A. W. Kaszniak and A. C. Scott, MIT Press, Cambridge Mass. 1996, p. 507-40 Nell’elaborata ipotesi degli Autori secondo cui il collasso della funzione d’onda, per l’influenza della coscienza, potrebbe non sortire effetti casuali, non viene spiegata alcuna proprietà della coscienza ma soltanto una sua possibile modalità di esplicare un ruolo fisico, di influenzare operazioni cerebrali: vedi D. J. Chalmers, «Facing up to the Problem of Consciousness», ibidem, p. 6-28. L’indeterminazione, in quanto tale, non può costituire l’origine dell’atto libero; tuttavia può essere necessaria come mezzo. Per un approfondimento, qui impossibile, si veda la discussione sugli aspetti problematici del rapporto tra libertà e determinismo/indeterminismo in: H. Hatmanspacher and R. Bishop Eds., Between Chance and Choice, Imprint Acad., Thorverton 2002, e in particolare il contributo di M. Dorato, «Determinism, Chance and Freedom», ibidem, p. 379-70 nell’ipotesi, diversa dalla nostra, che il cervello umano sia la causa esclusiva delle capacità mentali. ↩︎

  9. K. Mainzer, Thinking in Complexity, Springer-Verlag, Berlin 1994. ↩︎

  10. L’energia minima necessaria, trattandosi di un bit, è calcolabile ed è il logaritmo in base e di 2 moltiplicato per la costante di Boltzmann e per la temperatura assoluta. Per produrre una tale energia occorre dare avvio ad opportune reazioni biochimiche esoergoniche. ↩︎

  11. Potrebbe essere utile schematizzare per maggiore chiarezza i concetti espressi, nel modo seguente. Tesi: causo una scelta, e l’operarla significa provocare nelle strutture cerebrali effetti fisici. Ipotesi 1: causo (decido) è un’operazione fisica (cui conseguono le variazioni sinaptiche e relative variazioni d’energia). Questo causare (giudicare e decidere) dev’essere a sua volta una scelta anch’essa necessariamente provocata attraverso una spesa d’energia, che ancora causo (decido) con una spesa d’energia precedente e così all’infinito: l’ipotesi conduce all’assurdo. Ipotesi 2: causo (decido) non è atto fisico, ma immateriale. Esso rappresenta l’atto acausato con cui si provoca l’operazione di scelta e la relativa spesa d’energia. Non si effettua alcuna violazione delle leggi fisiche se l’azione ha luogo nell’ambito dell’indeterminazione quantistica, come capacità della coscienza (anima) di esplicarvi un ruolo con effetti fisici. ↩︎

  12. K. Gödel, Collected Works, S. Feferman Ed., Oxford Univ. Press, New York 1986, p. 145-95. ↩︎

  13. St. Agostino, De Libero Arbitrio, II, 12, 34. ↩︎

  14. J. Maritain, Il contadino della Garonna, Morcelliana, Brescia 1973, p. 166. ↩︎

  15. G. F. Basti, Filosofia dell’uomo, ESD, Bologna 1995, p. 351. ↩︎

  16. F. Bertelè, A. Olmi, A. Salucci, A. Strumia, Scienza, analogia, astrazione, Il Poligrafo, Padova 1999, p. 251-65. ↩︎

  17. P. Knight, «Where the weirdness comes from», Nature 1998, 395, p. 12-13; S. Dürr, T. Nonn, G. Rempe, «Origin of quantum-mechanical complementarity probed by a which-way experiment in an atom interferometer», ibidem 1998, 395, p. 33-37. ↩︎

  18. F. Weinert, «Quantum Mechanics: The Physicist turns Philosopher», Conference Proceedings of 100 Years of Quantum Theory, Madrid 22-25 Nov. 2000 (in stampa). ↩︎

  19. G. Nicolis, I. Prigogine, La Complessità, Einaudi, Torino 1991; F. Cramer, Chaos and Order, VCH, Weinheim 1993; G. P. Williams, Chaos Theory Tamed, Taylor & Francis, London 1997; P. Bellavite, G. C. Andrighetto e M. Zatti, Omeostasi, Complessità e Caos, Franco Angeli, Milano 1995. ↩︎

  20. K. Popper, L’universo aperto, Il Saggiatore, Milano 1984. ↩︎

  21. A. Stephan, «Emergentism, Irreducibility and Downward Causation», Grazer Phisophische Studien 2002, 65, p. 77-93. ↩︎

  22. P. W. Atkins, La Creazione, Zanichelli, Bologna 1985, p. 23-25. Nel libro di J. D. Watson, Molecular Biology of the Gene, Benjamin, New York 1965, p. 102-140, sono esposte sinteticamente le proprietà dei legami deboli tra molecole dei sistemi biologici. Tra questi legami (forze di van der Waals, legami a idrogeno, legami ionici) i più deboli sono quelli di van der Waals (da 1 a 2 kcal/mola) appena leggermente più forti dell’energia cinetica dei moti termici. Le energie dei legami a idrogeno e ionici vanno da 3 a 7 kcal/mola. Ne viene che l’energia dei più forti legami deboli è soltanto circa dieci volte maggiore dell’energia cinetica media da calore a 25°C (0,6 kcal/mola), la quale però ha valori molto dispersi, per cui sempre esistono a temperature fisiologiche molte molecole con energia cinetica sufficiente a rompere anche i più forti tra i legami deboli, i quali tutti pertanto sono costantemente soggetti a rompersi e rifarsi. ↩︎

  23. R. Penrose, The Emperor’s New Mind, Oxford University Press, New York 1989, p. 226. ↩︎

  24. M. Ruse, Can a Darwinian Be a Christian? Cambridge University Press, Cambridge 2001, p. 134-38. ↩︎

  25. B. R. Reichenbach, cit. da M. Ruse, ibidem↩︎

  26. G. F. Basti, cit. alla nt. 14, p. 264-65. L Autore specifica che il determinismo causale sarebbe armonizzabile con la libertà perché «per giustificare la possibilità della libertà è sufficiente, come ha evidenziato Tommaso, che le cause (seconde) per sé necessarie alla produzione di un certo effetto, siano in sé contingenti…». Se è vero che per le cause «contingenza indica, a rigore, […] la possibilità di operare in modo difettoso» (M. Artigas, J. J. Sanguineti, Filosofia della natura, Le Mounier, Firenze 1989, p. 242), allora non possiamo più dire di essere nel determinismo. Esso generalmente è concepito come la «dottrina secondo cui lo stato di un sistema fisico ad un dato istante […] fissa univocamente ogni altro stato temporale del sistema, passato o futuro.» Nella quale ipotesi «… il futuro non contiene alcun evento che sia contingente…» (M. Dorato, «Determinism…» cit. alla nt. 7). Enumerando i dogmi dello scientismo F. T. Arecchi cita il determinismo come predicibilità nel tempo («… la conoscenza delle condizioni iniziali determina il futuro…»), sostenuta, come dogma, con l’obiettivo di «… bloccare qualunque spazio per la libertà umana…» (F. T. Arecchi, I. Arecchi, I simboli e la realtà, Jaka Book, Milano 1990, p. 28). ↩︎

  27. F. Varillon, Gioia di credere gioia di vivere, EDB, Bologna 2000, p. 159. ↩︎

  28. V. Mancuso, Il dolore innocente, cit. alla nt. 2. ↩︎

  29. D. C. Dennett, «Darwin’s Dangerous Idea», The Sciences 1995, 35, p. 34-40. ↩︎

  30. G. Nicolis, I. Prigogine, La Complessità, cit. alla nt. 18; S. A. Kauffman, The Origins of Order, Oxford University Press, New York 1993. ↩︎

  31. G. Nicolis, I. Prigogine, ibidem, p. 222. ↩︎

  32. S. A. Kauffman, At Home in the Universe, Oxford University Press, New York 1995, p. 183-89. ↩︎

  33. S. A. Kauffman, ibidem, p. 185. ↩︎

  34. E. Laszlo, L’ipotesi del campo Ps, Lubrina, Bergamo 1987; F. Cramer, Chaos and Order, cit. alla nt. 18; G. C. Webster e B. C. Goodwin, Il problema della forma in biologia, Armando, Roma 1988; L. V. Beloussov, «Morphogenetic Fields: Outlining the Alternatives and Enlarging the Context», Riv. Biol. -Biology Forum 2001, 94, p. 219-236. ↩︎

  35. S. Chandrasekhar, Truth and Beauty, The University of Chicago Press, Chicago 1987. ↩︎

  36. R. Thom, Stabilità strutturale e morfogenesi, Einaudi, Torino 1980. ↩︎

  37. A. Manzoni, citato da U. Colombo, «Manzoni dalla poetica alla metafisica», Per la filosofia, 1992, IX, 39-51. ↩︎

  38. C. Borghi, Se volessimo vederci chiaro, Jaca Book, Milano 1976. ↩︎

  39. I. Ekelard, «La matematizzazione del caso», in: Aggiornamenti sull’idea di caso, a cura di Émil Noël, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 171. ↩︎

  40. W. C. Salmon, «Probabilistic Causality», Pacific Philosophical Quarterly 1980, 61, p. 50-74; — «Causality without Counterfactuals», Philosophy of Science 1994, 61, p. 297-312. ↩︎

  41. L. de Broglie, citato da F. Weinert, «Quantum Mechanics» alla nt. 17. ↩︎

  42. M. Zatti, «Filosofia naturale del dolore», cit. alla nt. 1. ↩︎

  43. A. N. Whitehead, citato da A. Shimony, «On Mentality, Quantum Mechanics and the Actualization of Potentialities», in: R. Penrose e Altri, The Large, the Small and the Human Mind, M. Longair Ed., Cambridge University Press, Cambridge 1997, p. 158. ↩︎

  44. S. Gao, «A possible quantum basis of panpsichism», Neuroquantology 2003, 1, p. 4-9. ↩︎

  45. S. Gao, «The basis of indeterminism», Phil. Sci. Archive 2001, <http://philsci-archive.pitt.edu/archive/00000453/> (27 febbraio 2002). ↩︎

  46. P. Musso, Filosofia del Caos, cit. alla nt. 5, p. 175. ↩︎

  47. P. Teilhard de Chardin, citato da O. A. Rabut, Incontro con Teilhard de Chardin, Borla, Milano 1958, p. 28. ↩︎

  48. D. Bohm, Universo, mente, materia, red edizioni, Como 1996. Bohm cercava di ritrovare nei parametri nascosti le ragioni del determinismo al di sotto dell’indeterminazione giudicata apparente; noi cerchiamo la causalità, non il determinismo. E non possiamo seguirlo nella filosofia sul carattere indiviso della realtà. ↩︎

  49. M. Born, Filosofia naturale della causalità e del caso, Boringhieri, Torino 1962. ↩︎

  50. P. Davies, The Mind of God, Simon & Schuster, London 1992, p. 193. ↩︎

  51. S. Hameroff, «Quantum Vitalism», Advances 1997, 13, p. 13-22. ↩︎

  52. Come dice Aristotele: «Hysteron ara to automaton physeos» (Phys. II, 6, 198a 5). ↩︎

  53. K. Rahner, Science…, cit. alla nt. 4. ↩︎

  54. J. Maritain, Les degrés du savoir, Desclée de Bouwer, Paris 1932, p. 48-49. ↩︎