Triangolo di pensieri: Girard, Freud, Lacan

1. Introduzione

L’opera di René Girard costituisce uno dei più singolari itinerari teorici dell’ultimo mezzo secolo. Nato ad Avignone nel 1923, è negli Usa, dove risiede stabilmente a partire dalla fine degli anni quaranta, che Girard completa la sua formazione e comincia il suo insegnamento.1 Docente di letteratura francese a partire dal 1957 alla Johns Hopkins University di Baltimora, Girard esordisce come autore nel 1961 con Mensonge romantique et vérité romanesque.2 Seguirà nel 1972 La Violence et le sacré che rimane, insieme a Des Choses cachées depuis la fondation du monde del 1978, il suo libro più celebre. Da allora fino alla pubblicazione del suo ultimo lavoro — Celui par qui le scandale arrive (2001) — questo «irregolare della cultura» si è impegnato senza posa nel tentativo di mostrare la centralità dell’imitazione, della rivalità, della violenza, della religione, come pietre angolari della cultura umana.

Prima ancora che per i suoi contenuti, il fascino di René Girard risiede nel suo stile.

Da Mensonge romantique a The Theater of Envy del 1991, dedicato all’opera di Shakespeare, Girard si è costantemente rivolto ai grandi scrittori per trovare la chiave d’accesso agli interrogativi delle scienze umane, rivendicando provocatoriamente la superiorità del sapere di Sofocle, Proust o del Libro di Giobbe rispetto a Freud o allo strutturalismo. Tutti i grandi testi di Girard sono anche dei «gialli»: ci sono le tracce dell’assassinio, evento fondatore della società, c’è la cultura come immensa opera di dissimulazione del cadavere, come piramide che occulta le origini violente.3 Le religioni e la mitologia riflettono e camuffano allo stesso tempo questo processo: «lungi dall’essere un’invenzione gratuita, il mito è un testo falsificato dalla credenza dei carnefici nella colpevolezza della loro vittima».4

René Girard non è solo lo smascheratore di questa straordinaria méconnaissance in cui si trovano immersi gli uomini, l’avvocato (parakletos per i Vangeli5) che si impegna a scagionare le vittime dalle false accuse che gli vengono rivolte (e la più celebre è certamente Edipo). Egli è al servizio di una Rivelazione più grande: non a caso, da Des choses cachées in avanti, una buona metà dei suoi libri hanno per titolo un versetto evangelico. La scrittura giudeo-cristiana è al lavoro nella storia, dice Girard, per rivelare l’innocenza della vittima espiatoria. Anche i grandi pensieri atei e razionalisti dei secoli XIX e XX sarebbero inconsapevolmente inscritti in questo progressivo e inesorabile trionfo del testo biblico, che solo possederebbe la chiave per rivelare pienamente il violento segreto delle origini.

Il cristianesimo di Girard non è la fede privata di un intellettuale che rimane avulsa dal suo orizzonte teorico: esso è piuttosto una gnosi — «Hegel del cristianesimo», è stato definito da Jean-Marie Domenach — che conduce ad una sorta di «cristianizzazione delle scienze umane».6 La scrittura giudeo-cristiana la sa più lunga in fatto di decostruzione delle nostre brillanti mitologie critiche: così, Girard spazza via il faticoso compromesso «liberale» attraverso cui nella modernità erano state neutralizzate le pretese conoscitive del testo biblico.

Girard iscrive esplicitamente la sua ricerca nel registro cristiano a partire da Des Choses cachées, e accentua sempre di più questo riferimento, fino a rivendicare una vera e propria volontà apologetica7 nelle sue ultime opere. Ma già nei suoi primi lavori si vede bene quanto peso abbia nel testo un cristianesimo di taglio agostiniano. «Gli uomini, ecco un testo in perfetto stile Girard, si lusingano di aver respinto le antiche superstizioni ma stanno sprofondando sottoterra, nel sottosuolo dove trionfano illusioni sempre più grossolane».8 In uno scenario teorico che rimarrà sempre duale, Girard contrappone, già nel suo primo lavoro, alla menzogna romantica la verità romanzesca cui lo scrittore giunge attraverso una sorta di conversione religiosa.

Potremmo dire di René Girard che è un guastafeste, un trickster del pensiero contemporaneo: il teorico dei meccanismi vittimari, ha giocato egli stesso a fare il capro espiatorio della cultura del suo tempo, scegliendo in modo provocatorio di pensare a partire da ciò che le scienze contemporanee espellono dal proprio paradigma. Ad un mondo intellettuale ammaliato dalle differenze, Girard ha fatto il dono avvelenato di un pensiero volto ossessivamente a rivelare l’unico meccanismo strutturante la pluralità dei testi e delle culture.9 In un certo senso la sua opera si può definire come un ostinato controcanto alle correnti che hanno attraversato quest’ultimo quarantennio: l’ermeneutica, lo strutturalismo, il decostruzionismo.

Per queste ragioni, la ricezione di René Girard si è divisa nettamente: da una parte il silenzio e l’ostracismo pressoché totale da parte delle discipline dominanti,10 dall’altra l’accoglienza entusiasta di una schiera di «discepoli» che, riuniti nell’associazione COV&R (Colloquium on Violence and Religion), ha tentato di sviluppare le maggiori intuizioni del pensiero girardiano.11

A trent’anni da La Violence et le sacré tuttavia, i risultati dell’influenza delle idee girardiane non paiono essersi dimostrati pari alle ambizioni di partenza. Fanno eccezione pochi tentativi felici di far funzionare in modo aperto alcune chiavi di lettura del pensiero di Girard, puntando ad una sorta di «indebolimento» teorico della sua cornice di ricerca.12

2. Mimesis. Il desiderio triangolare

A partire da Mensonge romantique et vérité romanesque, la teoria girardiana del desiderio si è costruita come una critica della presunta autonomia del Soggetto, la «menzogna romantica» di cui si fregerebbero i Moderni. Imitazione, mimesi, è infatti la chiave dell’antropologia girardiana: «non c’è nulla o quasi, nei comportamenti umani, che non sia appreso, e ogni apprendimento si riduce all’imitazione. Se gli uomini, a un tratto, cessassero di imitare, tutte le forme culturali svanirebbero. I neurologi ci ricordano di frequente che il cervello umano è un’enorme macchina per imitare».13

Delle grandi testimonianze «romanzesche», da Cervantes a Dostoevskij, Girard mette in luce l’unità profonda intorno ad un fulcro comune: la rivelazione del carattere mimetico del desiderio, della presenza sistematica di un Mediatore attraverso cui ci è possibile accedere all’oggetto. Il desiderio è un triangolo: ogni linea retta che congiunge l’uomo ai propri oggetti è una menzogna che occulta la presenza dell’Altro, del Mediatore che dà significato e valore a ciò verso cui gli uomini si rivolgono per desiderare.14

La grande letteratura romanzesca non ha per Girard altro oggetto che la storia delle manifestazioni del desiderio «secondo l’altro». Ora, questa storia rappresenta la temperatura profonda della società moderna: dal modello celeste e inaccessibile di Don Chisciotte, che proprio per la sua lontananza si definisce come Mediatore esterno, posto al riparo da ogni convergenza conflittuale col soggetto desiderante, si passa al proliferare di modelli sempre più interni alla sfera del soggetto, come nel dostoevskiano uomo del sottosuolo.

Quanto più il mediatore è vicino al soggetto, tanto più cresce la convergenza conflittuale dei due desideri verso un medesimo oggetto. Lo stesso desiderio tende a divenire patologico: «la mediazione di Don Chisciotte è una monarchia feudale, talvolta più simbolica che reale. Quella dell’uomo del sottosuolo è un susseguirsi di dittature, tanto feroci quanto temporanee (… . .) esse sono propriamente totalitarie».

Oltre una certa soglia di rivalità, l’oggetto scompare, diviene pura astrazione. Soggetto e Modello ora sono divenuti doppi mimetici: la posta in gioco tra di loro è letteralmente il nulla. Anche l’elemento masochistico del desiderio si accentua sempre di più. Se nel desiderio normale era l’imitazione a produrre l’ostacolo, ora è l’ostacolo a produrre l’imitazione: visto che l’oggetto, una volta posseduto, perde il mediatore e con esso il valore, tanto vale allora cercare gli oggetti impossibili, quelli sempre ostacolati.

Ciò a cui Girard punta è la costruzione di quella che verrà definita in DCC «psicologia interdividuale».15 La presenza del Mediatore nella struttura del desiderio, l’altalena mimetica in cui sempre il soggetto è preso, il proliferare di rapporti tra doppi, danno vita ad una interpretazione dei fatti psichici fondata sul primato della relazione. Una psicologia cioè che non consideri, come tende a fare la psichiatria tradizionale, «il malato come una specie di monade»:16 dietro gli stessi deliri, dice Girard, bisogna mettersi alla ricerca del rivale nascosto e della mimesi conflittuale.17 Laddove le scienze umane tendono a vedere essenze, sintomi e caratteri distinti, nella psicologia interdividuale deve subentrare la visione dell’unità del processo mimetico che struttura la diversità e l’alternanza delle posizioni. Analogamente a quanto avverrà nell’interpretazione della mitologia, si tratta di decostruire le false essenze platoniche che tendono a differenziare ciò che in realtà appartiene ad un’unica struttura.

Il carattere potenzialmente esplosivo del desiderio è il ponte concettuale che permette a Girard di congiungere le due arcate della sua impresa intellettuale, passando dalla teoria mimetica alla prospettiva vittimaria che domina la sua antropologia. Se il desiderio è imitativo, la potenziale convergenza del soggetto e del modello sul medesimo oggetto è garantita, se non intervengono fattori differenzianti di tipo strutturale a incanalare diversamente la mimesi.[^18]

Ed è proprio una crisi mimetica a caratterizzare per Girard l’origine dei sistemi culturali.

3. La Violenza e il Sacro: la strategia girardiana

Rileggendo oggi La Violence et le Sacré, a trent’anni di distanza dalla sua uscita, si rimane colpiti dalla finalità strategica che governa il testo. Senza mezzi termini, quest’opera rappresenta un guanto di sfida alla roccaforte delle scienze umane del tempo. L’ambizione di Girard, ormai uscito dal recinto della critica letteraria, è ora quella di assumere la radicalità dei temi freudiani e strutturalisti per ricomprenderli in una sintesi differente ed alternativa ad essi.

In linguaggio girardiano, diremmo che Freud e Lévi-Strauss costituiscono il «modello mimetico» di Girard. Rivali ammirati e concorrenziali, il loro progetto intellettuale converge sul medesimo terreno su cui Girard intende erigere il suo edificio.

Freud è il pensatore più presente nel testo girardiano, ma anche quello che ha subìto i suoi attacchi più virulenti. Esemplare è un articolo del 1972 dedicato al commento de L’Anti-Oedipe di Deleuze e Guattari,18 in cui Girard critica i due autori perché rimangono in ultima analisi fedeli devoti del freudismo, incapaci di sbarazzarsene. Credono di liberarsi di Freud regalandogli però il monopolio su quell’insieme di fenomeni — desiderio, rivalità, triangoli — a cui ora Girard vorrebbe estendere il suo sigillo.19 Ma Girard non si tira indietro: «il terreno di Freud è Freud stesso ad averlo scelto e potentemente occupato; contendergliene il possesso significa, è chiaro, correre notevoli rischi e dar prova perfino di temerarietà».20

Si tratta insomma di sfidare Freud in casa sua, diversamente da Deleuze e Guattari, che si imbarcano in una «tattica da guerriglia».

Con una sorta di passo doppio, Girard vuole entrare nelle pieghe del testo freudiano, seguirne gli sviluppi, indicarne i punti morti e uscirne con la preda della teoria mimetica, finalmente liberata dal castello psicoanalitico.

Sono due le tesi dell’opera di Freud che la teoria mimetica punta a salvare: la mimesi che strutturerebbe il complesso di Edipo e l’assassinio collettivo. Per il resto, Girard vuole spogliare il freudismo di padri, incesti, infanzie e oggetti. Tenere il triangolo ma senza l’Edipo. Conservare l’assassinio fondatore ma senza parricidio.

3.1. Edipo mimetico

Riguardo al primo grande architrave freudiano, il complesso di Edipo, la tesi avanzata da Girard è che Freud, bene avviato sulla strada del desiderio mimetico e dei triangoli che lo strutturano, sarebbe ricaduto — «a prezzo di una certa incoerenza» — nella teoria del desiderio radicato nell’oggetto (quello materno). «Il complesso di Edipo, nella mia prospettiva, è ciò che Freud ha inventato per spiegare le rivalità triangolari, non avendo scoperto le straordinarie possibilità dell’imitazione in materia di desiderio e di rivalità.»21

Insomma, Freud avrebbe abortito la teoria mimetica, e sarebbe nata la psicoanalisi.

La mimesi è infatti sufficiente a spiegare le due tendenze dell’infanzia — attaccamento alla madre, ambivalenza verso il padre — che per Freud solo «in virtù della progressiva e incessante unificazione della vita psichica»22 tendono a riunirsi. Sul piano dell’economia freudiana «il padre come modello», «la madre come oggetto, per appoggio», rappresentano due forze originariamente a sé stanti, due movimenti che all’inizio funzionano in parallelo, autonomamente:23 «gleichzeitig», «contemporaneamente» è l’espressione usata da Freud.24

Per Girard invece, il movimento è unico: l’imitazione paterna genera il desiderio d’oggetto. Una sola e stessa forza, la volontà di sostituire il padre sotto ogni aspetto, alimenta l’identificazione con il modello e il desiderio verso la madre.

La critica mimetica di Girard tende insomma a sbarazzarsi della libido direttamente fissata sulla madre, di questo secondo lato del triangolo edipico, che per Freud è intrinseco e non copiato.

Molto meglio ricorrere al double bind di Bateson per spiegare «quell’elemento critico e potenzialmente catastrofico nei primi rapporti tra il bambino o i genitori o, più in generale, il desiderio-discepolo e il desiderio-modello».

È nel passaggio da Psicologia delle masse a L’Io e l’Es, sostiene Girard, che Freud cancella ulteriormente le tracce di mimetismo. «Freud, insomma, ha dapprima tentato di sviluppare il complesso di Edipo sulla base di un desiderio per metà oggettuale e per metà mimetico […] È il fallimento di tale compromesso a spingere Freud a fondare l’Edipo su un desiderio puramente oggettuale e a riservare gli effetti mimetici per un’altra formazione psichica, il Super-Io».25

3.2. Narcisismo e potere

Se il compito della psicologia interdividuale è dissolvere le false essenze platoniche dei caratteri distinti per mostrare l’unità del processo mimetico, se è il desiderio «l’autentico soggetto della struttura»26 che comanda i rapporti tra le caselle del gioco mimetico, sotto la sua lente cadrà certamente il tema del narcisismo, precipitato di ogni desiderio che si vuole bastevole di sé, autonomo e originario, non mimetico cioè.

Se la rete del mimetismo, come dice Girard, rappresenta una «veste priva di cuciture»,27 nella grande narrazione freudiana ci sono due grandi figure narcisistiche che per la loro autonomia paiono esserne fuori, rappresentando uno strappo in piena regola.

Stiamo parlando (a) del «tipo femminile più puro e autentico»,28 la perfetta narcisista di Introduzione al narcisismo, la quale a rigore ama solo se stessa, e (b) del padre dell’orda primordiale, reincarnato nel capo della massa, «il superuomo che per Nietzsche possiamo aspettarci solo dal futuro» e che invece ritroviamo bell’e pronto «agli inizi della storia umana».29

Entrambi sono avvolti da un alone di «quell’ultimo riflesso del sacro» che è qui la Differenza per eccellenza, dice Girard, la totale autonomia in un mondo di esseri ingaggiati in quella che Kojève avrebbe definito «lotta mortale per il riconoscimento».30 Ciò costituisce il segreto libidico del loro fascino, l’attrazione, erotica e politica, che esercitano sugli altri uomini.

Proponendoci addirittura una sorta di doppio registro psicologico, il narcisista e l’oggettuale, l’individuale e il collettivo, Freud non avrebbe colto per Girard il carattere strategico del narcisismo. La felice autosufficienza del modello sarebbe l’illusione di cui è vittima il soggetto affascinato o il suddito obbediente: essa è «il fantasma per eccellenza del desiderio».31

Insomma, conclude Girard, «la civetta la sa più lunga di Freud sul desiderio»:32 il «perfetto narcisista» non ha sostanza, se non quella che accumula carpendola dai devoti che gli si gettano attorno. Freud insomma reificherebbe e immobilizzerebbe delle posizioni che esistono solo in funzione le une delle altre all’interno dell’altalena mimetica.33

Questo stesso mito governa l’economia di Massenpsychologie.

Qui Freud fa l’affermazione sorprendente secondo la quale la scienza che studia gli uomini in massa o i fratelli dell’orda, non è la stessa scienza che studia il capo: «poiché fin dall’inizio esistettero due tipi di psicologia, la psicologia degli individui appartenenti alla massa e quella del padre, capo supremo, guida».34

Il padre dell’orda primigenia possiede una differenza specifica, la stessa del perfetto narcisista: non ha bisogno degli altri. «I singoli componenti la massa erano soggetti a legami, allora come lo sono oggi, ma il padre dell’orda primigenia era libero. Pur essendo egli isolato, i suoi atti intellettuali erano liberi e autonomi, la sua volontà non aveva bisogno di esser rafforzata da quella degli altri».35 Credere all’autosufficienza del capo, al perfetto narcisista, direbbe Girard, è un po’ come credere alla colpevolezza di Edipo, in altre parole significa non essere avanzati a sufficienza sulla via della demistificazione del mito. Si ignora cioè l’aleatorietà del processo e ci si ferma alla presunta differenza di carattere tra i personaggi, senza cogliere che tutti potrebbero occupare qualsiasi casella.

Ciò che rende propriamente funzionante il mito, è proprio il fatto che tra i molti e l’uno vi è una differenza sostanziale, che in Sofocle giustificava l’esilio [poiché tra tutti i tebani uno solo è colpevole], e qui invece fonda una psicologia naturale del potere. Lì il parricida incestuoso, qui il perfetto narcisista.

Nei termini sistemici di J.P. Dupuy,36 il padre dell’orda o il capo della folla è, nel testo freudiano, un punto fisso esogeno, cioè produttore e ordinatore della folla. Al contrario, nell’ottica girardiana, egli è un elemento endogeno, «prodotto dalla folla, mentre questa immagina di essere prodotta da lui».37

«Considerare il capo come un punto fisso endogeno, significa affermare che non sono le sue qualità intrinseche [il suo preteso narcisismo o carisma] che gli valgono la sua posizione centrale. Il narcisismo non è che un’illusione, non c’è mai altro che “pseudo-narcisismo”.»38

Applicata al padre primigenio di Totem e Tabù, questo approccio, secondo Girard, porta dritti alla tesi della vittima espiatoria, a spese del parricidio.

3.3. Totem e tabù: Il fascino delle origini

In una recente rassegna etnologica francese, Girard è stato catalogato, suo malgrado, come «freudiano».39 Il debito che Girard riconosce verso Totem e Tabù è relativo alla tesi dell’omicidio collettivo, «la più grande scoperta di tutta la vecchia etnologia».40

Di questa scoperta, Girard condivide l’ambizione di volgersi ad una sorta di anno zero della cultura umana. Freud con il parricidio, Girard con la vittima espiatoria pensano il procedere della cultura nei termini dell’occultamento del cadavere fondatore. Freud usa il termine illuminante Entstellung per descrivere il rapporto tra cultura e omicidio fondatore, e Girard radicalizza questa prospettiva.41

È nota la freddezza con cui è stato generalmente accolto Totem e Tabù. Lévi-Strauss ha bocciato come radicalmente illusoria questa linea di ricostruzione delle origini. Paul Ricœur, nel suo classico studio su Freud De l’interpretation, ha sottolineato la contraddizione nella quale Freud cade adottando, per la spiegazione degli eventi religiosi, un meccanismo — un trauma reale — che invece nell’eziologia delle nevrosi individuali è stato ben presto abbandonato in nome di una costruzione più complessa.42

Girard rompe con questa prospettiva di neutralizzazione di Totem e Tabù, facendo sua la goethiana conclusione di Freud: «in principio era l’Azione», il fatto cioè o anche il misfatto dell’uccisione primordiale.

«Nelle forme, nelle idee e nelle istituzioni religiose in genere bisogna vedere il riflesso alterato di violenze che, eccezionalmente, hanno ‘avuto successo’ in rapporto alle loro ripercussioni collettive e vedere altresì nella mitologia, in particolare, un ricordo di queste stesse violenze (. .)Le religioni e le culture dissimulano questa violenza per fondarsi e perpetuarsi. Portare allo scoperto il loro segreto equivale a dare una soluzione che deve essere definita scientifica al più grande enigma di tutte le scienze dell’uomo, quello della natura e dell’origine del religioso.»43

Girard non vuole privarsi né della sincronia strutturalista, né dell’assassinio di Freud, ma «leggere l’assassinio di Freud nella prospettiva logica di Lévi-Strauss», per giungere all’ipotesi di una vittima espiatoria a fondamento di tutti i sistemi culturali.

Del progetto strutturalista Girard conserva l’idea dei miti come vere e proprie «macchine per significare»: il punto è di non vanificare l’intuizione di Freud, ma di aggiungere una terza dimensione, quella storica, all’analisi strutturale, concentrata unicamente sul carattere sincronico del testo. Per Girard, interpretare la mitologia solo nella sua dimensione sincronica impedisce di vedere all’opera la genesi dei testi mitici, il loro essere radicati in persecuzioni collettive reali.44

In un certo senso potremmo dire che i miti per Girard sono un po’ come i sogni per Freud: «lupi travestiti da agnelli».45

4. «Umwendung» — le radici della socialità

Senza dubbio un testo freudiano si avvicina più di ogni altro all’ispirazione interdividuale di Girard: Psicologia delle masse e analisi dell’io, «una traccia che dall’analisi dell’individuo porta alla comprensione della società»46 come lo definì lo stesso Freud.

Diversamente da molti altri testi di Freud, in Massenpsychologie la presenza dell’Altro «nella vita psichica del singolo» è particolarmente enfatizzata: «l’altro è regolarmente presente come modello, come oggetto, come soccorritore, come nemico, e pertanto, in quest’accezione più ampia ma indiscutibilmente legittima, la psicologia individuale è al tempo stesso, fin dall’inizio, psicologia sociale».47

In un’ottica girardiana, colpisce nel testo di Freud la funzione della Masse: essa funge da enorme contenitore delle pulsioni rivalitarie, che soggiacciono alla formazione del gruppo. «Fuori dalla massa primitiva, l’individuo aveva infatti la propria continuità, […] inoltre si teneva a distanza da coloro che gli erano rivali».48 Nell’economia del testo, la Masse sembra finalizzata alla prevenzione delle potenzialità catastrofiche insite nella dissoluzione del legame sociale: dietro di essa, lo spettro del panico spunta ripetutamente fuori come un’ombra; quando la massa si dissolve, si riapre lo spazio alla crisi mimetica contro cui essa si era eretta. Dopo lo sgretolarsi della massa religiosa, dice Freud, ciò che viene alla luce «sono impulsi spietati e ostili».49

Anche il fondamentale concetto di identificazione, Freud lo dice in maniera netta, sorge come reazione e finisce per occultare la condizione di rivalità originaria. Descrivendo un tipico fenomeno di folla basato sulla fascinazione mimetica, Freud dice: «Pensiamo allo stuolo di donne e ragazze entusiasticamente innamorate che fanno ressa intorno al cantante o al pianista dopo ogni esecuzione […]: originariamente rivali, hanno potuto in forza del medesimo amore per lo stesso oggetto, identificarsi l’un l’altra».50 Le radici della socialità sono in questa magia che capovolge l’ostilità in accordo: il sentimento collettivo nasce come formazione reattiva all’odio. «Ciò che in seguito troviamo operante nella società come spirito comunitario, spirito di corpo (esprit de corps) eccetera non smentisce la propria provenienza dall’invidia originaria».51

Freud usa un termine particolare per descrivere questo capovolgimento repentino delle relazioni interdividuali, il modo travolgente in cui si passa dalla discordia alla concordia: Umwendung (rovesciamento o «volgersi» nella traduzione OSF)- termine in cui si può riconoscere quello che Girard mezzo secolo dopo chiamerà il Sacro. «Il senso sociale, scrive Freud, poggia quindi sul volgersi (Umwendung) di un sentimento inizialmente ostile in un attaccamento caratterizzato in senso positivo, la cui natura è quella dell’identificazione. […] Tale Umwendung appare compiersi sotto l’influsso di un comune legame di tenerezza istituito con una persona estranea alla massa».52 Qui i due sguardi coincidono come non mai: la risoluzione violenta contro la vittima espiatoria fonda la società girardiana, compiendo il passaggio sbalorditivo dal disordine mimetico all’ordine sacrificale. Analogamente in Freud, le relazioni orizzontali di tenerezza, che sono già il prodotto dell’inversione dell’ostilità originaria, si cementificano in legame sociale mediante l’identificazione con l’Altro estraneo alla folla, con quel capo della massa, che è il succedaneo del padre dell’orda, ucciso. Non è una forzatura dire che anche il capo della massa sorge nello stesso luogo della vittima espiatoria.53 Delle ragazze intorno al pianista, Freud ci dice che ora hanno rinunciato a strapparsi i capelli l’un l’altra: attraverso un vero e proprio rito sacrificale «rendono omaggio al festeggiato con gli stessi gesti», «lietissime di spartirsi magari una ciocca dei suoi capelli».54 Gesto questo di suprema ambivalenza, ai confini con un pasto totemico.

Ma, oltre una certa soglia di prossimità, ricompare la distanza tra i due paradigmi: la società per Freud ripete le rivalità intrafamiliari, mentre per Girard la famiglia è un cristallo di società.

Forse, l’autore-ponte tra questi due paradigmi — colui che ai suoi inizi ha introdotto la gelosia, la rivalità, l’altalena del desiderio, nel cuore della psicoanalisi — è Jacques Lacan.

5. Tra Lacan e Girard

Chi sorvoli ad una certa distanza da terra il pensiero francese del secondo dopoguerra, stenterà a riconoscere analogie di qualche sorta tra Jacques Lacan e René Girard. Sulle ordinate carte geografiche del nostro pensiero, i due bastioni sono a rigorosa distanza di sicurezza.

Mikkel Borch-Jacobsen ha richiamato alcuni interessanti punti di convergenza tra la costellazione lacaniana e la ricerca di Girard,55 sottolineando la comune provenienza da Kojève, che però ci appare dubbiosa.

Quale che sia l’origine di questo travaso di tematiche, è evidente che sia Lacan che Girard gravitano intorno ad un centro comune, muovono da preoccupazioni simili, sono affascinati dagli stessi ritornelli: il carattere costituente dell’altro nella struttura del desiderio, il ruolo di gelosia e rivalità nella costruzione del legame sociale, il proliferare di triangoli dentro le relazioni apparentemente duali [come Lacan mostra egregiamente nel quarto libro del Seminario su La Relation d’objet], i doppi e gli specchi, l’imitazione e l’immaginario, la crisi della società moderna dentro cui si installa il «rito di Edipo».

Prendiamo ad esempio il tema centrale della tesi di dottorato di Lacan, De la psychose paranoiaque dans ses rapports avec la personalité del 1932. Dalla sua analisi del «caso Aimée», emerge con evidenza quello che sarà trent’anni dopo il tema centrale dell’esplorazione girardiana: la rivalità potenzialmente catastrofica che esiste tra Modello e Soggetto, il repentino capovolgersi dell’ammirazione in omicidio, come sottolinea acutamente Borch-Jacobsen.

L’Altro, che svolge la funzione di Modello-Rivale in questa psicosi, assume per il soggetto paranoico le stesse caratteristiche fantastiche di pienezza e autosufficienza che Girard ha analizzato a proposito degli incubi del sottosuolo dostoevskiano o del mondo proustiano.

È un esempio, fra mille, della convergenza tra Girard e il primo Lacan. Tra Lacan che afferma che «l’oggetto del desiderio umano è l’oggetto del desiderio dell’altro» e Girard che nell’apertura di Ménsonge romantique scrive forse il miglior commento implicito alla tesi di dottorato di Lacan: «Soltanto l’essere che ci impedisce di esaudire un desiderio da lui stesso suggeritoci è veramente oggetto di odio. Colui che odia, odia innanzitutto se stesso, a causa della segreta ammirazione che il suo odio dissimula».56

6. Dalla rivalità alla cura

Il tema della rivalità e i suoi legami con l’imitazione, l’invidia nei confronti dell’oggetto di ammirazione, il Modello in senso girardiano, confluiranno in seguito in quella parte dell’elaborazione lacaniana nota come «aggressività immaginaria».57

È quanto afferma esplicitamente Lacan nel Seminario I, dove la rivalità è posta a fondamento della relazione con l’oggetto: «l’oggetto umano è originariamente mediato attraverso la strada della rivalità».58

Anche nelle sue forme embrionali di rapporto speculare con la propria immagine, o di gioco, quando il bambino vede manifestarsi nell’altro «un’attività in anticipo sulla sua», la rivalità è la cifra nascosta di quella costituzione duale che è l’immaginario nella terminologia lacaniana. Imago ed imitare hanno d’altronde la stessa radice. La mimesi girardiana, potremmo dire, corrisponde al campo duale dell’immaginario lacaniano.

Per Lacan la via d’uscita è costituita dalla buona medicina dell’ordine simbolico che guida fuori dall’immaginario, laddove il Terzo sopraggiunge con la sua legge e rompe la cattiva fascinazione dei Due. «Questa base rivalitaria e concorrenziale a fondamento dell’oggetto, è precisamente ciò che è superato nella parola in quanto essa interessa il terzo. La parola è sempre patto, accordo, ci si intende, si è d’accordo — questo è tuo, questo è mio, questo è questo, questo è quello».[^60]

Proprio Borch-Jacobsen, a commento di questo passo del Seminario, ha sottolineato con forza la preoccupazione eminentemente politica, di farmacologia del legame sociale, che anima la psicoanalisi di Lacan: «egli concepisce l’analisi proprio come una terapia del socius, o come una “medicina della civiltà”, come si afferra assai bene dall’articolo Situazione della psicoanalisi nel 1956, in cui la tesi è applicata all’esempio della comunità psicoanalitica, che può resistere alle “forze di dissociazione” immaginarie soltanto grazie alla “Parola” del “Maestro” e “Padre” morto».59 In termini girardiani si potrebbe dire che la psicoanalisi serve qui a combattere la crisi mimetica incipiente di cui la modernità è portatrice. Essa è il Rito moderno, che si impegna a realizzare il passaggio dall’immaginario al simbolico.

7. Il rito analitico

Questa definizione della psicoanalisi come «rito»60 è particolarmente suggestiva nell’ottica girardiana. Nulla è così decisivo come i riti, direbbe Girard, nel funzionamento degli ordini culturali: loro compito è maneggiare con cura la violenza, per evitarne una fuoriuscita mortale, collocarla in uno spazio separato — e tuttavia in rapporto di metonimia col resto del corpo sociale, affinché i membri della società possano riconoscervisi.

Il rito analitico non è diverso. Esso nasce, non a caso, in una certa fase della storia occidentale: è ad un certo livello di indifferenziazione tra modello e soggetto che può venire alla luce qualcosa come il complesso di Edipo. Quando figli e padri gravitano troppo vicini, quando l’indifferenziazione culturale avanza oltre una certa soglia, sorge l’Edipo. Per Girard lo stesso desiderio è un prodotto storico dell’indifferenziazione, è «crisi mimetica demoltiplicata», «ciò che accade ai rapporti umani quando non c’è più risoluzione vittimaria».61

Freud viene alla luce assieme a I Fratelli Karamazov: è il risultato della stessa crisi, che espone ad una rivalità inedita padri e figli. Lo stesso sapere critico è il risultato del degradarsi delle differenze tradizionali, della crisi mimetica.

Questo, nel suo linguaggio, lo sosteneva anche Lacan, collocando la nascita delle nevrosi in una certa anomìa della famiglia, con il declino del patriarcato e la mancata capacità di regolazione sessuale da parte dell’Ideale dell’Io.

In Les Complexes familiaux dans la formation de l’individu, del 1938, analizzando «la forma degradata dell’Edipo» tipica delle nostre società, «anomia che ha favorito la scoperta del complesso», Lacan esplicita questa collocazione: «Forse è a questa crisi che bisogna ricondurre l’apparizione della psicoanalisi stessa. Non è forse solo per un caso fortuito e sublime che proprio a Vienna — allora centro di uno Stato che era il melting pot delle più diverse forme familiari, dalle più arcaiche alle più evolute — un rampollo del patriarcato ebraico è riuscito a immaginare il complesso di Edipo».62

Solo nel disfacimento della mediazione esterna — in termini lacaniani: col «declino sociale de l’imago paterna» e la «rimozione incompleta del desiderio per la madre» — nasce la psicoanalisi e qualcosa come l’Edipo.

Il pharmakon di cui Freud è portatore si inserisce in questa lunga storia di crisi sacrificale e rimedio rituale. Non è un caso che tra le primissime parole del vocabolario freudiano ci siano, tra le altre, termini eminentemente rituali e sacrificali quali abreazione e catarsi.

Una volta assunta quest’ottica rituale, diviene particolarmente rivelatore il modo in cui Freud spiega il funzionamento della terapia analitica. L’analista deve maneggiare la traslazione, questo è l’aspetto decisivo della farmacia freudiana: «la parte decisiva del lavoro consiste nel ricreare, all’interno del rapporto con il medico, cioè della “traslazione”, nuove edizioni di quei vecchi conflitti […] La traslazione diventa dunque il campo di battaglia nel quale sono destinate a incontrarsi tutte le forze in lotta tra loro».63

Come i riti mimano la violenza originaria, così, tra le quattro mura del gabinetto analitico, nella relazione analista-paziente si celebra una seconda volta quella «guerra senza memorie né memoriali» per dirla con Althusser,64 che si è svolta nell’infanzia. Riattivata in forme maneggiabili, ora potrà forse risolversi. È il principio di ogni meccanismo immunitario: assumere un po’ del veleno del pharmakon per godere di tutti i suoi rimedi.65 Per ritrovare la pace, bisogna, con molta cura, riportare un po’ di guerra in vita. La psicoterapia analitica si inscrive dunque nella storia lunga delle virtù sociali del sacrificio. Ne è una sua versione sublimata. Gli ordini culturali sono tanto più efficaci — si pensi al grande rito dello sport nelle nostre società secolarizzate — quando riproducono questo funzionamento.

8. Libido o mimesi: Verso un bilancio

«Affermare la natura mimetica del desiderio, dice Girard, significa negargli qualunque oggetto privilegiato: si tratti di un oggetto unico e ben determinato — quale la madre nel complesso d’Edipo — o, al contrario, di una classe di oggetti, per quanto ristretta o vasta la si supponga. Bisogna inoltre rinunciare a tutti i radicamenti psichici o biologici, ivi compreso, ovviamente il pansessualismo della psicoanalisi.»

Sarà questa anche la via di Nietzsche, sostiene Girard, «il primo a staccare il desiderio da qualunque oggetto» attraverso l’elaborazione del concetto di «volontà di potenza», inteso come un desiderio causa sui.

Conviene votarsi per intero alla prospettiva mimetica? Così facendo non si trasforma la teoria del desiderio in una sorta di scatola vuota, dove non intervengono mai elementi radicati nella vita istintuale o animale, quali appunto il desiderio sessuale? Non rimangono alla fin fine che un processo, il mimetismo, e delle caselle prese in un gioco di altalene? A che prezzo si compie la sostituzione della libido freudiana con la mimesi girardiana?

In Girard spariscono gli oggetti. In fin dei conti per Girard tutto è potenzialmente desiderabile, purché un mediatore sia lì a designarlo: è «il mimetismo a determinare la sessualità e non il contrario». «La sessualità infatti è subordinata alla rivalità (. .), il soggetto umano non sa, al limite, che cosa desiderare».66

Se il padre-modello desiderasse non la madre ma, per esempio, una gita a Hollywood, il bambino — a rigor di mimesi — non perderebbe tempo a catapultarsi in un’agenzia di viaggi. Esageriamo per mostrare che, nella misura in cui pretende di essere la chiave di volta della natura del desiderio, la teoria mimetica non si rivela più soddisfacente di tante altre chiavi di lettura.

In Girard sparisce l’inconscio, quel «secondo palcoscenico» come dice Freud commentando il caso Dostoevskij, dove «il rapporto tra il soggetto e il suo oggetto paterno si è trasformato, conservando il proprio contenuto, in un rapporto tra Io e Super-Io, in una nuova messa in scena di tale rapporto».67 J.D. Nasio ha mostrato la distanza esistente tra il concetto di imitazione e quello psicoanalitico di identificazione: quest’ultimo rappresenterebbe una «sovversione» rispetto al primo, concetto tradizionale della psicosociologia legato alla relazione duale tra due persone distinte A/B. Con il concetto freudiano, secondo Nasio, usciamo dallo spazio interdividuale ed entriamo nella testa di uno solo di essi. L’identificazione è dunque un concetto assolutamente non riducibile a quello tradizionale di imitazione psicologica o di mimetismo animale. Esso rimane fondamentalmente inconscio: «il padre che il bambino imita è una persona; l’altro padre, morto, con il quale l’io si identifica, è una rappresentazione psichica inconscia».

In Girard sparisce la specificità delle relazione genitoriale. «Il parricidio e l’incesto non hanno un’origine famigliare: l’idea è un’idea da adulti e da comunità in crisi, che non ha alcun rapporto con la prima infanzia…» Ma, come si vede, l’obiezione può essere ribaltata. Se girardianamente l’Edipo è un cristallo di desiderio mimetico in azione, si potrebbe anche rovesciare il tema e dire che quelle forme pervasive di mimetismo che Girard assume come fondamento del meccanismo sociale, quel proliferare di rivali e ostacoli, sono interpretabili come riedizione nella vita adulta del triangolo intrafamigliare. Lo stesso paradigma mimetico è ricostruibile pienamente nella grammatica della traslazione, con le sue costituenti ambivalenze.

Sparisce analogamente la sessualità infantile. È la totale inesperienza e vulnerabilità del bambino a farlo avanzare senza malizie su una strada minata, dice Girard, riproponendoci un’immagine angelicata dell’infanzia. È l’adulto a reinterpretare nel senso della minaccia, all’interno cioè del suo sistema culturale: è sua, non del piccolo, l’idea dell’incesto e del parricidio.

Spariscono soprattutto le differenze, ricondotte tutte alla figura neutra dei doppi, e la possibilità stessa di pensare una fuoriuscita dall’andirivieni mimetico, un desiderio differente ma non reattivo nel senso di Nietzsche-Deleuze. L’Uomo girardiano può affermarsi attraverso una reale differenza, o tutt’al più esimersi dallo sprofondare nella cattiva reciprocità mimetica?[^70]

Come suggerisce S. Kofman nel suo The Narcissistic Woman: Freud and Girard,68 «Girard, come Jung o almeno in maniera altrettanto speculativa — dice la Kofman — non fa che ribadire una posizione monistica».69

9. Sullo stile… per concludere

Ciò che accomuna maggiormente il linguaggio di Freud e quello di Girard è un certo modo di interrogare i testi e i comportamenti umani, e dunque anche un certo stile filosofico. I loro linguaggi cioè si tengono a distanza dalla riduzione organicista dell’essere umano inteso «come contenitore di geni», come avviene in certe scienze dure contemporanee70 ma anche, all’inverso, dalla roboante filosofia intesa come veggente discorso sull’Essere, come pensiero che si compiace di non aver nulla a che fare con un discorso scientifico sull’uomo e la società. Ma malgrado i loro stili comuni, le differenze tra Freud e Girard risaltano con nettezza.

Lo stile Freud è quello di considerare la teoria come un procedere zoppicando71 verso qualcosa. Lo stesso uso dei testi letterari ci pare più che altro allusivo e metaforico in Freud (vale pure per Edipo), non ontologico come in Girard. A Girard capita invece talvolta di non vedere altro, nei documenti che interroga, che sviamenti o rivelazioni di ciò che cerca: la mimesi e il meccanismo espiatorio.

L. Scubla ha sostenuto che il modo totalizzante di procedere di Girard sacrifica sull’altare di una teoria perfetta la faticosa realtà che non torna e le sue differenze. Pur assumendo alcuni capisaldi della ricerca girardiana, Scubla evidenzia bene come ci siano culture senza sacrificio, mimesi di imitazione che non sfociano in mimesi d’appropriazione, desideri triangolari che non necessariamente divengono mimetici.72 Inoltre la nascita e la procreazione in molte società giocano quel ruolo di «matrice» che Girard vorrebbe attribuire al solo meccanismo vittimario. «In numerosi luoghi di La Violence et le Sacré — afferma Scubla — noi lo sorprendiamo a negare non solamente l’importanza ma anche l’esistenza di questa differenze. Trascinato dalla logica radicale della sua ipotesi, si abbandona lui stesso alla violenza indifferenziata di cui ci ha descritto il meccanismo, cancellando nei testi che commenta tutte le differenze e soprattutto tutte le disuguaglianze che potrebbero impedire lo scatenamento della crisi mimetica».73

Ci sono passaggi in cui Girard dà l’impressione di entrare nella coscienza dell’autore e mimarne le mosse. L’Altro diviene talvolta un Girard in embrione: come nel caso di Freud, ha visto la luce della teoria mimetica, o ne ha subodorato il profumo, ma non ha avuto la forza, o gli occhi, per sorreggere tanta rivelazione e non rimanerne folgorato.

Il fascino dello stile di Girard in taluni passaggi prevale sulla fragilità delle costruzioni freudiane. Ma questo fascino è simile a quello degli oggetti troppo perfetti per essere veri. È anche il fascino dell’illusione che scaccia con fastidio la fragilità e la finitezza della ricerca, e in ultima analisi della morte. Cristo ha vinto la morte. La verità ci è stata rivelata e ora per intero arriverà ad affermarsi. «La ricerca è destinata a concludersi, dice Girard, questo vagare non durerà per sempre».74 Questa cornice rigida entro cui si è inscritta la ricerca girardiana, più che le intuizioni che la alimentano, ci sembra alla fine la pietra d’inciampo75 su cui cadono molti dei suoi lettori.

10. Bibliografia

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  • —-, Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921)
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  • —-, Shakespeare. Il teatro dell’invidia (TE), Adelphi, Milano, 1998; ed. orig.: A Theater of Envy: William Shakespeare, New York, Oxford University Press, 1991
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  • —-, Vedo satana cadere come la folgore (JVS), Adelphi, Milano, 2001; ed. orig.: Je vois Satan tomber comme l’éclair, Grasset, Paris, 1999, 22.
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    • Libro I. Gli scritti tecnici di Freud, Einaudi, Torino, 1978 (1953-54); ed. orig: Les Ecrits techniques de Freud, Seuil, Paris, 1975
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    • Libro VII. L’etica della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 1994 (1959-60); ed. orig.: L’Ethique de la psychanalyse, Seuil, Paris, 1986
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  1. Come, in un certo senso, avviene nell’economia industriale con la produzione seriale di oggetti. Come il mondo moderno assuma dosi sempre più massicce di rivalità mimetica mettendole al lavoro nella costruzione del sociale ed evitando continuamente la propria implosione è la grande questione che spingerebbe a leggere in un’ottica nuova la genesi dell’economico e dell’antropologia liberale come contenimento — katechon nel senso di Schmitt — di una crisi di indifferenziazione che è ormai priva di risoluzione sacrificale.

    Sul rapporto tra teoria mimetica ed economia, si veda, l’interessante tentativo di J.P. Dupuy e P. Dumouchel, L’enfer des choses.

  2. SII, pp. 47-48. Testo commentato in Borch-Jacobsen, p. 144

    Analogamente Lacan aggiunge (213, SI): «Ma, grazie a Dio, il soggetto è nel mondo del simbolo, cioè in un mondo di altri che parlano. Per questo il suo desiderio è suscettibile della mediazione del riconoscimento. Altrimenti ogni funzione umana non potrebbe far altro che consumarsi nella voglia indefinita della distruzione dell’altro in quanto tale».

  3. Qui si potrebbe porre compiutamente la questione del rapporto Girard-Nietzsche. Genealogia della morale, paragrafo 11: «Tutto il contrario di quello che accade per gli aristocratici, che concepiscono il concetto di base <buono> prima e spontaneamente (corsivo nostro), partendo cioè da se stessi, e solo dopo si creano una immagine di cattivo». <Cattivo> non esce cioè «dal crogiolo dell’odio insaziabile» come invece <malvagio>. Non esce dal gioco mimetico potremmo dire (il risentimento in Nietzsche). Tutto lo sforzo di Nietzsche è in direzione della scoperta delle forze attive che rompano finalmente la rete di quelle reattive, di valori che non siano cioè presi nell’andirivieni mimetico, che invece costituisce in un certo senso tutto l’orizzonte girardiano.

    La questione posta da Deleuze, colpisce al cuore di un confronto possibile Nietzsche-Girard: «avoir du ressentiment, ne pas en avoir: il n’y a pas de plus grande différence, au-delà de la psychologie, au-delà de l’histoire, au-delà de la métaphysique» (Deleuze, 1962: 40). Stessa questione che Deleuze ripropone in Différence et Répétition: l’affermazione positiva di una differenza rompe con l’orizzonte mimetico o dialettico? O è, anche qui, la strategia narcisistica della civetta, nietzschianamente trasformata in aristocratico?


  1. Su questi aspetti vedi «L’ultimo dei porcospini». Intervista a René Girard a cura di Pierpaolo Antonello e João Cezar de Castro Rocha. ↩︎

  2. Da qui in avanti, le opere di Girard nel testo sono citate con gli acronimi dei loro originali. MR. Mensonge romantique; VS La Violence et le Sacré. TE Theater of Envy. Vedi bibliografia alla fine. ↩︎

  3. Naturalmente, ciò costituisce in parte un approfondimento dell’ispirazione freudiana di Totem e Tabù e L’uomo Mosé e la religione monoteistica come vedremo più avanti. ↩︎

  4. DCC, 198. ↩︎

  5. In greco parakletos, nome dello Spirito Santo nel vangelo di Giovanni, equivale al latino ad-vocatus↩︎

  6. F. Lagrange, René Girard ou la christianisation des sciences humaines,. ↩︎

  7. JVS, 22. Nelle ultime opere Girard ha riabilitato anche il valore del sacrificio nel cristianesimo. ↩︎

  8. MR, 56. ↩︎

  9. Ripercorrendo la sua autobiografia intellettuale, Girard dice: «In particolare ci fu il momento decisivo in cui lessi L’eterno marito, e mi resi conto che era la stessa storia [corsivo nostro] de El curioso impertinente di Cervantes. Quella fu la vera prima intuizione». Vedi «L’ultimo dei porcospini», op. cit. ↩︎

  10. Lévi-Strauss in particolare è oggetto di una protesta risentita da parte di Girard in Celui par qui le scandale arrive↩︎

  11. Si veda anche Contagion: Journal of Violence, Mimesis and Culture, pubblicato a partire dal 1994. ↩︎

  12. Cfr. Jean-Pierre Dupuy (1979, 1991, 1992) e Lucien Scubla (1982, 1998). Puntare ad una teoria girardiana «indebolita» è l’obiettivo dichiarato di Scubla. ↩︎

  13. DCC, 22. In Des choses cachées Girard apre la sua Antropologia fondamentale (pagina 16) sotto l’egida dell’Aristotele della Poetica: «l’uomo si differenzia dagli altri animali in quanto è il più adatto all’imitazione» (Poetica, 4). La caratteristica peculiare dell’ominizzazione starebbe per Girard proprio in una capacità inedita di maneggiare mediante le istituzioni della Cultura (riti e divieti, in primis) un fuoco, quello della rivalità mimetica, che tende sempre più ad accendersi e divampare. È sufficiente pensare alla sessualità umana, al ruolo infinitamente maggiore che giocano gli «incitamenti mimetici» (eccitazione, voyeurismo) rispetto a quanto non avvenga nella sessualità periodica degli animali, per comprendere come il processo di ominizzazione sia in ultima analisi pensabile come un crescente innestarsi di intensificazioni mimetiche su meccanismi istintuali. (DCC, 123). ↩︎

  14. «Ecco perché affermiamo che il desiderio mimetico non è radicato né nel soggetto né nell’oggetto, ma in un terzo che desidera a sua volta e di cui il soggetto imita il desiderio» (VS, 224). ↩︎

  15. Si veda su questo l’opera di J.M. Oughourlian, Hystérie, Transe, Possession: un mime nommé desir↩︎

  16. DCC, 377. ↩︎

  17. Un buon esempio di questa metodologia lo si trova nell’articolo dedicato al «caso Nietzsche»: Le surhomme dans le souterrain, Esprit, Paris, Juin 1995, n. 212, pp. 5-30. Una critica simile Girard la fa alla nozione freudiana di «pulsione di morte». ↩︎

  18. Système du délire, pubblicato per la prima volta in Critique, 306, : 957-96. Ristampato in Il Risentimento, p. 92. ↩︎

  19. Girard non ha fatto mistero del proprio mimetismo in CSA: «Sono molto mimetico. Spesso è il desiderio di vendetta che mi spinge a scrivere» (191). ↩︎

  20. Il risentimento, p. 86. ↩︎

  21. DCC, 428. ↩︎

  22. Opere Sigmund Freud (d’ora in avanti OSF), vol. 9, p. 293. ↩︎

  23. Qui Freud parla di «due legami psicologicamente diversi: un investimento oggettuale nettamente sessuale verso la madre, un’identificazione con il padre inteso come modello». ↩︎

  24. «Contemporaneamente a tale identificazione con il padre, forse anche prima, il maschietto ha cominciato a sviluppare un vero e proprio investimento oggettuale nei confronti di sua madre, del tipo “per appoggio”». OSF, vol. 9, p. 293. ↩︎

  25. VS, 182. ↩︎

  26. DCC 374. ↩︎

  27. TE, 88. ↩︎

  28. Introduzione al narcisismo, OSF, vol. VII, pp. 458-459. ↩︎

  29. OSF, vol. IX, p. 311. ↩︎

  30. Nel suo commento alla Fenomenologia dello spirito di Hegel, Kojève ha messo in risalto l’aspetto intersoggettivo del desiderio umano e la centralità del riconoscimento da parte di un Altro. È propriamente questo il carattere umano del Desiderio: «è umano desiderare ciò che gli altri desiderano, perché lo desiderano». Vedi più avanti sul legame Kojève-Lacan-Girard avanzato da Mikkel Borch-Jacobsen. ↩︎

  31. DCC, 454. ↩︎

  32. DCC, 370. ↩︎

  33. Questa lettura girardiana è oggetto della critica di Sarah Kofman, come vedremo a proposito del rapporto tra libido e mimesi. ↩︎

  34. OSF, vol. 9, p. 311 . Sottolineatura nostra. ↩︎

  35. OSF, vol. 9, p. 311 . Sottolineatura nostra. ↩︎

  36. Si veda, tra le sue opere, L’enfer des choses, La panique, Introduction aux sciences sociales, Introduction aux sciences cognitives↩︎

  37. Introduction aux sciences sociales, 37. ↩︎

  38. Ibidem. ↩︎

  39. Maurice Bloch, «Divine violence», Le monde de l’éducation, n. 258, avril 1998. Vedi CSA, 167. ↩︎

  40. CSA, 164. ↩︎

  41. «Nella deformazione di un testo vi è qualcosa di simile a quanto avviene nel caso di un delitto: la difficoltà non è nell’esecuzione del misfatto ma nell’occultamento delle tracce. Si potrebbe dare alla parola Enstellung (deformazione) il doppio senso che le spetta, anche se oggi non ne fa uso. Non dovrebbe solo significare: modificare nella forma, ma anche: portare in un altro luogo, spostare altrove.» OSF, vol. XI, p. 369. ↩︎

  42. P. Ricœur, 560-561. ↩︎

  43. CE, 153. ↩︎

  44. «Prigioniero del sincronico», «Lévi-Strauss intende sempre la produzione del senso come un problema puramente logico, una mediazione simbolica. Il giuoco della violenza resta dissimulato» (VS, 318). ↩︎

  45. Si vedano anche su Totem e tabù le osservazioni di un girardiano italiano, Giuseppe Fornari, 2000: p. 16 e p. 40. ↩︎

  46. Lettera a R. Rolland (4 marzo 1923, Lettere 1873-1939). ↩︎

  47. OSF, vol. IX, p. 261. ↩︎

  48. OSF, vol. IX, p. 277. ↩︎

  49. OSF, vol. IX, p. 288. ↩︎

  50. OSF, vol. IX, p. 308. ↩︎

  51. OSF, vol. IX, p. 308. ↩︎

  52. OSF, vol. IX, p. 309. ↩︎

  53. Come i capi possano sempre diventare vittime e le vittime capi è il grande tema etnologico della sovranità, che Girard ha più volte analizzato sia attraverso una rilettura di Frazer, sia nel suo L’Antica via degli empi, dedicato al libro di Giobbe. È il carattere aleatorio dei fenomeni di folla il protagonista segreto di queste inversioni repentine, di cui continuiamo a rimanere spettatori solo in certi fenomeni marginali delle nostre società istituzionalizzate. ↩︎

  54. OSF, vol. IX, p. 308. ↩︎

  55. Girard ha sempre negato significative influenze filosofiche nei suoi inizi. La sua ispirazione come noto è essenzialmente letteraria. ↩︎

  56. MR, 14. ↩︎

  57. In L’agressivité en psychanalyse, del 1948, per dimostrare il carattere costituente della gelosia nella fondazione dell’io, Lacan commenta Sant’Agostino, qui arruolato come anticipatore della psicoanalisi, quando dice: «ho visto con i miei occhi e ho ben conosciuto un bambino piccolo in preda alla gelosia. Non parlava ancora e già contemplava, pallido e con uno sguardo torvo, il fratello di latte» (Scritti, 108, 109). ↩︎

  58. J. Lacan, Il Seminario, Libro I, Gli scritti tecnici di Freud, 219. ↩︎

  59. Borch-Jacobsen, 145. ↩︎

  60. Il Risentimento, 128-129. ↩︎

  61. DCC, 356-57. ↩︎

  62. Les complexes familiaux, 73. ↩︎

  63. OSF, vol. 8, p. 603. ↩︎

  64. Althusser, 26. ↩︎

  65. Si veda su questi aspetti in chiave politologica, il recente Immunitas, di R. Esposito. ↩︎

  66. DCC, 417. ↩︎

  67. OSF, vol. X, p. 530. ↩︎

  68. Nota giustamente la Kofman: nella galleria freudiana esiste già la figura della civetta e delle sue strategie: Freud lo fa entrare in gioco a proposito dell’invidia del pene, del pudore, ecc. . Avrebbe potuto farlo anche qui, dice Kofman, se Freud non avesse voluto rimarcare qualcos’altro e cioè una reale, irriducibile, differenza della donna. Cosa che Girard non perdonerebbe a Freud.

    Su Girard e temi psicoanalitici si veda anche in Italia, alcuni commenti di Davide Lopez sulla rivista Gli Argonauti↩︎

  69. Kofman, 16. ↩︎

  70. Si veda sul tema il recente e appassionato libro di E. Roudinesco, Pourquoi la psychanalyse?, Flammarion, Paris, 2001. ↩︎

  71. «Zoppicare, dice la scrittura, non è peccato». È la conclusione di Al di là del principio del piacere. OSF, vol. IX, p. 249. ↩︎

  72. Scubla, 148 e segg. ↩︎

  73. Scubla, 150. Scubla cita la scelta di Girard di tradurre l’inglese degree e il latino gradus con différence, e non con il più accessibile, ma meno girardiano, degré, come tipico esempio di scarsa disponibilità alle ipotesi spiacevoli da parte dell’Autore. ↩︎

  74. VS, 313. ↩︎

  75. Nei Vangeli la pietra d’inciampo è lo skandalon, uno dei temi ricorrenti delle analisi di Girard, in particolare nelle sue ultime pubblicazioni. ↩︎