La nozione del possibile in Spinoza

1. Possibilità e conoscenza

Sulla nozione del possibile, in Spinoza, si può sostenere che la possibilità, intesa come la contingenza delle cose, non sussiste, ovvero tutto avviene secondo cause.1 Tuttavia occorre approfondire. La possibilità si rivela un momento inadeguato di conoscenza: il possibile è ciò di cui non cogliamo l’effettività, esso sussiste a causa di un defectus nostræ cognitionis.2 Se, diversamente, concepiamo gli oggetti inscritti in concatenamenti necessari, necessari in quanto nelle condizioni di causa ed effetto, li comprendiamo secondo l’ottica della ratio. Se consideriamo tali assunti e le implicazioni ontologiche-gnoseologiche come inscindibili — atteggiamento filosofico imprescindibile in un contesto spinoziano — la possibilità, intesa dunque come forma di essere costituita da una conoscenza inadeguata, si configura quale imperfezione umana. Una conoscenza esaustiva esclude il possibile il quale può venir rievocato dalla finzione,3 venendo relegato pertanto all’ambito dell’immaginazione. Cifra per il nostro intervento è considerare la possibilità come problematica inerente primariamente a un approccio di tipo ontologico, più che etico; pur se è indiscutibile che in un autore come Spinoza l’etica — (e con essa la politica) — non si possa scindere dalla metafisica, cercheremo di ripercorrere la nozione del possibile per il tramite di considerazioni gnoseologiche che «svelano» l’ontologia.

Che secondo Spinoza le idee confuse debbano essere inscritte nell’immaginazione è ben evidente, inequivocabilmente questo viene espresso già a partire dal Tractatus de Intellectus Emendatione: gli uomini per mezzo della fantasia concepiscono enti inesistenti, che presentano caratteristiche reali, le quali vengono confuse agli individui immaginari, piuttosto che a quelli esistenti.4 Tuttavia è bene precisare che non solo l’impossibile si colloca nell’ambito del primo genere di conoscenza, ma anche il possibile appartiene a questa tipologia del conoscere, giacché, ribadiamo, presupponendo che il piano dell’essere coincida con quello della conoscenza e constatando che tale genere ha come oggetto le forme d’essere non attuate, non si dà in Natura alcuna probabilità, ovvero tutto avviene secondo cause; ed è possibile, per l’appunto, immaginarsi un reale diverso rispetto a quel che sussiste.

Ciononostante, l’immaginazione, non fornendo le cause efficienti del proprio oggetto, non lo coglie distintamente in quanto,5 ad esempio, nell’immaginare un evento possibile, isolato, scisso dai legami di causa ed effetto, restiamo ancorati all’ignoranza per ciò che gli è proprio: non conoscendo non soltanto se l’evento in questione si attualizzerà o meno, ma rimanendo all’oscuro in merito alle cause del suo attuarsi; altrimenti, concependo le cause in maniera esaustiva, potremmo chiaramente sapere se esso si attuerà, senza postularlo come possibile. Ovvero, il possibile è tale in quanto non ne comprendiamo le cause che lo portano ad attuarsi;6 diversamente, la contingenza si esplica come l’incapacità per il tramite dell’essenza di concepire l’attualizzarsi o meno dell’evento.7

Percorrendo la traccia della finzione, costituita da idee inadeguate, con l’ampliamento della conoscenza essa viene depotenziata8 rivelandosi generica in quanto di essa non v’è nella mente alcun concetto.9 Svolgendo la problematica: se nella mente esistesse tale concetto, con esso sussisterebbe anche il come e la causa del perché avvenga ciò che fingiamo, e di finzione non più si tratterebbe.10 Di qui la correttezza nel sostenere che il possibile si configura come astratto, ovvero come modalità di conoscenza inadeguata: ciò che riteniamo possibile non è solo di per sé confuso, ma non-reale. Già a partire dal Tractatus de Intellectus Emendatione Spinoza sottolinea la possibile inadeguatezza di un sapere astratto;11 come nel caso del sapere esplicato nell’ordine temporale.12 Di certo l’astratto è un modo di conoscere insufficiente,13 che non concepisce l’effettivo svolgersi degli eventi, determinato dalle esperienze individuali, nelle quali si cerca una certa familiarità linguistica14 e di ridurre il molteplice ad un’astratta unità. La semplice esposizione di questa «avversità» verso l’astratto giustifica il perché, nel Breve Trattato, il «generale», che si oppone ovviamente alle cose particolari, coincida col nulla.15

Per definire ulteriormente il concetto di possibilità, possiamo sostenere che il determinismo spinoziano non possiede un valore «ontologico», ma «gnoseologico», cioè non esplica il darsi di una necessità coatta e assoluta, scissa dagli eventi,16 ma l’effettività che ad ogni evento, ad ogni determinata esistenza, corrisponde una causa che lo determina ad esistere, e che la conoscenza, la conoscenza razionale, non è altro che la comprensione di tale ordine di cause ed effetti. Con quest’impostazione è possibile comprendere il rifiuto del contingente in Spinoza, giacché ogni cosa agisce per una data ragione. Il non avere una causa, il non possedere una determinata esistenza, viene definito nel Breve Trattato, non solo come l’impossibile, ma come il contingente: collocato agli antipodi del necessario, il quale è a sua volta definito come l’avere una causa e un’esistenza particolare.17 Nell’Ethica Spinoza si esprime in questi termini:

In rerum natura nullum datur contingens, sed omnia ex necessitate divinæ naturæ determinata sunt ad certo modo existendum, & operandum.18

L’esistenza dei nessi di causa ed effetto è ribadita perentoriamente dall’affermazione secondo cui non esiste nulla da cui non provenga un effetto: ogni cosa è causa di un effetto.19 Quest’ultime sono considerazioni generali che illuminano per contrapposizione la totale indipendenza dell’ordine delle cause dalle soggettive rappresentazioni, ovvero dal primo genere di conoscenza. Tuttavia non è nostra intenzione sviluppare queste interessanti problematiche; ma per una caratterizzazione maggiore della nozione di possibilità, ci preme sottolineare l’idea vera del possibile, nozione che sembra in contrasto con l’assunto che vede i concetti di possibile e contingente quali «difetti» del nostro intelletto.20

2. L’idea vera del possibile

Nel precedente paragrafo abbiamo accennato che il concetto del possibile, prima di essere un problema etico, un argomento di dibattito politico, consiste essenzialmente in una problematica ontologica. In un autore come Spinoza ontologia significa gnoseologia: si pensi allo stretto rapporto fra generi di conoscenza e forme di essere. Le tipologie di conoscenza possono essere categorizzate in base al rapporto che esse instaurano con l’essere; perciò si ha l’essere come apparenza — l’esistente conosciuto tramite il primo genere (inadeguato, contrapposto a una conoscenza del reale chiara e distinta); l’essere come necessità, compreso mediante un atto razionale nel quale grazie a una convinzione, persuasione intellettuale, gli oggetti vengono carpiti nel loro dover-essere così e non altrimenti,21 ivi si inscrive la seconda tipologia, identificabile come ratio; infine si ha l’essere com’è, nel suo essere reale, effettivo, in questo contesto si instaura il terzo genere, l’intuitivo. Nel nostro intervento più che accennare a queste forme di conoscenza, e ai modi del conoscere, li terremo come orizzonte della nostra indagine. Proseguendo nell’impostazione gnoseologica, la nozione di causa adeguata coincide con le condizioni di intelligibilità dell’effetto corrispettivo,22 inoltre essa è la condizione di un oggetto per il suo essere considerato attivo.23 Le realtà determinate, ossia gli oggetti esistenti, possono essere compresi adeguatamente se si conoscono le cause atte al loro agire. Se non vengono carpite le cause adeguate, si ha una visione parziale dell’esistente, astratta. Si deve «separare» ciò che è confuso, da ciò che non lo è; in caso contrario, l’idea vera, la certezza, viene mescolata con le idee non distinte,24 mentre, notoriamente, l’idea vera implica certezza.25 Certezza significa esclusione del possibile; nonostante ciò, qualcosa può essere pensato come vero, senza che esso sia reale.

In merito alla dichiarata «incompatibilità» fra il possibile e l’esistere, un problema resta comunque aperto: l’idea di ciò che non esiste, ma che può esistere, di per sé, è vera; ovvero, il pensiero vero rimane lo stesso indipendentemente dall’attualizzarsi o meno del proprio contenuto. Perciò la sua verità si riduce all’essere concepito correttamente, come nel caso di un progetto.26 Le idee vere sono tali al di là dell’essere pensate.27 Per svolgere adeguatamente tale problematica introduciamo il concetto di causa adeguata. Vogliamo precisare che seppur ogni ente si collochi nell’infinita catena di eventi28 e, in questi infiniti nessi, trovi le ragioni della propria esistenza, per la sua comprensione è sufficiente, invece, la causa adeguata, la causa più prossima.29 L’infinita concatenazione di oggetti, nella comprensione di un singolo ente, non è necessaria: la catena di nessi infinita, senza quella causa adeguata accennata non è sufficiente alla comprensione del singolo oggetto preso in esame. Perciò è impreciso sostenere che per spiegare un’azione sia necessario un regresso infinito delle cause.30 Nella considerazione della causa più prossima, il possibile può sussistere; mentre se si considera l’ordine dei contentamenti infiniti, esso non può sussistere.31 La possibilità è un modo di intendere le cose e la sua validità trae origine dalla considerazione della causa adeguata, diversamente essa è inadeguata se concepita per il tramite dell’immaginazione.

Percorrendo la nozione di causa adeguata, si consideri che se essa è sufficiente alla comprensione dell’effetto, indipendentemente da altre cause, in quanto è vera,32 è indipendente anche la comprensione del rapporto che si instaura tra esso e gli altri oggetti (nella causa adeguata, ciò che non è necessario all’intellezione dell’oggetto, non ne fa parte), dacché auto-evidente,33 perciò l’idea della causa adeguata non presenta alcuna relazione col proprio ideato ed è vera, pertanto, senza essere necessariamente reale. Possiamo dunque sintetizzare dicendo che una causa adeguata di un effetto è vera in quanto è grazie ad essa che questi viene compreso, senza la considerazione del suo darsi o meno. Queste impostazioni parrebbero aprire una «voragine» tra il pensiero e l’estensione, ma si deve tener presente che l’essenza di una cosa che può accadere, cioè un’idea adeguata, non accade non a causa della sua essenza, alla quale non si possono imputare i fenomeni fisici, ma in quanto si danno forze diverse.

Ponendo delle diversità linguistiche: l’essere adeguato di un’idea significa concepirla per sé, l’essere vero, invece, l’accordo col proprio ideato.34 L’assolutismo gnoseologico che caratterizza Spinoza non è dunque l’incontrovertibilità degli oggetti dati, che garantirebbe la verità dell’idee, ma la certezza stessa delle idee, di per sé considerate, indipendentemente dal loro rapporto con l’estensione, dacché i due attributi della Sostanza sono indipendenti e non si influenzano.35 Il vero è incontrovertibile.36 si può parlare di autosufficienza dimostrativa. Perciò la verità deve essere intesa come index sui.37 Precisiamo che nel sostenere che la verità delle essenze è eterna non si propone una forma di platonismo in cui queste coincidono con degli archetipi,38 ma si sottolinea che la coerenza della verità è tale che, non essendo contraddittoria, può esistere; per questo è anche vero che le singole cose, di per sé prese quali singole, non svelano alcuna necessità. Ovvero, le essenze delle cose non possiedono la necessità della loro esistenza.39 Siamo giunti ad uno dei punti più particolari dell’assetto spinoziano: da un lato, ogni cosa si colloca nell’infinita catena di eventi più volte accennata, concatenamento in cui trova la propria esistenza, dall’altro l’esistenza stessa di una cosa singola è imputabile a quelle cause che rendono la sua essenza, di per sé vera, possibile, come reale, infine dall’essenza della singola cosa presa in esame provengono le azioni che solo essa medesima può compiere. Su quest’ultimo punto torneremo successivamente, trattando brevemente della libertà.

Possiamo così svolgere il plesso problematico; se per l’esistenza di una determinata cosa si abbisogna di infiniti nessi che la determinano ad essere, alla comprensione dei suoi effetti è sufficiente la propria essenza, che di per sé considerata è vera; indipendentemente dal realizzarsi o meno di questi effetti, essi sarebbero deducibili, comprensibili, solo alla propria causa adeguata.40 L’oscillazione della nozione del possibile, che può considerarsi sia come ciò che è confuso, come abbiamo mostrato, ciò di cui non ne comprendiamo totalmente la portata, sia come ciò che, in quanto correttamente concepito, è vero, non mostra una contraddizione in Spinoza, ma una differente presa di posizione sull’esistente giustificata dalle diverse forme di conoscenza. Concludendo le contrapposizioni su tale oscillazione, il possibile, in quanto non conosciuto, non ancora chiarito, si colloca nel primo genere di conoscenza; differentemente l’idea del possibile in quanto correttamente concepita, cioè pensata, pensata nella sua effettività, è vera.

3. Contro l’idea del darsi d’un mondo «scisso»

Per evitare fraintendimenti sulla concezione del possibile e del suo rapporto con la conoscenza, occorre approfondire; si potrebbe, ad esempio, ritenere che Spinoza consideri il mondo come indipendente dal pensiero, il quale si deve «adeguare» al reale, ma ciò consisterebbe in una scissione che il filosofo non ha mai sviluppato. Leggendo il Tractatus de Intellectus Emendatione e soffermandosi sulle nozioni di ordine, chiarezza e semplicità, sembrerebbe che la Natura di per sé sia semplice, chiara e abbia un ordine il quale, non venendo colto dal pensiero, giustificherebbe un porsi di quest’ultimo «al di fuori» di essa,41 a causa d’una spontanea propensione dell’uomo all’errore, a causa dell’humana imbecillitas;42 infatti i sensi lo distolgono dal pensare e la loro veemenza è tale che l’animo ne è facilmente attratto e, perciò, lo persuadono.43 Tuttavia, l’umana «debolezza» non può essere definita come colpa, in quanto è da attribuire alla fortuna.44 Scrive Paola Grassi:

La debolezza, la imbecillitas, non si radica nella natura umana: tutto ciò che limita, costringe, trattiene e riduce la spontaneità della vis nativa viene dall’esterno, da quel regime di esteriorità evocato dall’uso di fato.45

Un termine chiave del passo allegato è spontaneità, che ben sintetizza la visione di Spinoza contro ogni forma di coercizione assoluta; dunque la spontaneità diviene la forma della libertà.

Proseguendo l’analisi gnoseologica, se si considerano l’immaginazione e i suoi procedimenti come fortuiti e materiali, cioè non affatto intelligibili, si comprende che l’intelletto, in quanto diverso da essa, referet Naturam46 e consiste nel vero;47 inoltre, col professare il darsi di un’unica Sostanza, viene negata qualsiasi forma di scissione. La medesima impostazione, dell’esistenza di un’unica Natura, è oggetto anche del Breve Trattato e in esso acquista delle peculiari caratteristiche: se esistesse un’altra sostanza, oltre a Dio, essa dovrebbe differenziarsi da Lui; il differenziarsi richiede un’essenza che determini, la quale essenza non potrà avere le medesime proprietà di Dio — altrimenti coinciderebbe con la Sostanza stessa —; né può trarre la propria essenza da Lui in quanto è perfetto e non-finito; mentre un’altra sostanza oppostaGli lo limiterebbe e perciò l’ipotetica opposizione di quest’altra sostanza non può essere giustificata da ciò che non può limitarsi (Dio).48 Ciò ci conduce a sostenere che non essendoci ragioni per le quali si possa dare un’altra sostanza oltre la Natura, altre sostanze non vi sono: le sostanze ipotizzate trarrebbero la propria differenza (esistenza) dal nulla.49

Per seguitare la nostra trattazione dobbiamo rievocare il concetto di causa adeguata. Come già delineato una causa è adeguata in quanto la sua conoscenza è sufficiente e necessaria per la comprensione del fenomeno di cui è causa; ovvero, se sussiste la deduzione, fra il fenomeno e la propria causa, senza l’impiego di altre nozioni, si ha una causa adeguata, ciò dà anche un parametro per la differenziazione fra l’essere attivo e quello passivo; perciò si può intendere la causazione come una forma di deduzione logica,50 è invece errato concepirla come una questione di solo coordinate spazio-temporali.51 Non possiamo in questo contesto comprendere adeguatamente la dicotomia attività-passività, tuttavia, semplificando all’estremo, essa può svolgersi nella considerazione della parzialità, rispetto alla Sostanza, di ogni esistente.

È opportuno, per comprendere il concetto di parzialità, sottolineare che Dio costituisce i pensieri veri e certi della mente umana o, più precisamente, ogni pensiero di per sé possiede un «valore veritativo» esplicato dalla ratio oppure per mezzo dell’intuizione, che garantisce la comprensione immediata dell’essenza delle cose. I pensieri dell’Ente pensante costituiscono la mente umana, alcuni integralmente, altri in parte;52 tale parzialità giustifica nell’uomo la possibilità dell’errore, in quanto la mente è «parte» dell’intelletto infinito di Dio.53 Questa parzialità non può non essere posta in rapporto con l’astrazione. La questione del che cosa sia per Spinoza l’astratto è piuttosto «oscillante», ma ammette la seguente ricostruzione: tanto più un’idea è particolare, cioè non è astratta, tanto più è chiara.54 Lo stesso Spinoza ci offre l’esempio di concetti astratti quali gli aggettivi,55 che posso riferirsi a molteplici elementi; questa medesima concezione viene sottolineata in una nota del Tractatus de Intellectus Emendatione.56 Neppure se l’astratto venga concepito come gli assiomi universali, può considerarsi una conoscenza adeguata, giacché da tali principi (generali) non è possibile determinare una cosa singola.57

Sulla scia del concetto di astratto, non è inutile far presente che Spinoza delinei l’uomo come condizionato a una naturale ignoranza, causata da una «parzialità» della mente;58 in cui si confonde l’immaginazione come un autentico sapere, sconvolgendo l’acquisizione della conoscenza.59 Concludendo, nel constatare il rapporto fra la parzialità di una nozione e la passività si comprende come la problematica sia di nuovo gnoseologica: l’essere passivo significa possedere idee inadeguate.60 Parzialità significa inadeguatezza,61 passività significa inadeguatezza: si noti come questi concetti siano complementari.

4. Sul libero agire

Ricapitolando quanto detto, ogni cosa singola si esplica come particolare, ed è questa la critica a qualsiasi forma di sapere astratto, tuttavia ogni cosa singola è anche vincolata, proprio in quanto esiste, in un’infinita catena di eventi.

Quodcunque singulare, sive quævis res, quæ finita est, & determinatam habet existentiam, non potest existere, nec ad operandum determinari, nisi ad existendum, & operandum determinetur ab alia causa, quæ etiam finita est, & determinatam habet existentiam: & rursus hæc causa non potest etiam existere, neque ad operandum determinari, nisi ab alia, quæ etiam finita est, & determinatam habet existentiam, determinetur ad existendum, & operandum, & sic in infinitum.62

È noto che in Spinoza l’uomo, da un punto di vista ontologico, non si esplichi «fuori» dal concatenamento delle cose singole, ovvero nei nessi di causa ed effetto è partecipe anche l’uomo inteso quale individuo che si esplica come cosa pensante (la sua mente) e cosa estesa (il suo corpo). Questa natura, che annulla qualsiasi primato ontologico dell’uomo sulle cose, si ripercuote nel concetto di libertà. Cosicché l’uomo agisce non a causa di una libertà assoluta, posto che tale perifrasi significhi qualcosa, ma a causa di accidenti, i quali motivano azioni; sicché è pur vero che egli possa essere conscio di tali azioni, ma non ne conosce fino in fondo le cause.63 Per uomo si intende un individuo che, come qualsiasi «cosa singola», viene determinato e delimitato da altre — in quel concatenamento di nessi di oggetti, infinito, che costituisce la chiave di volta dell’ontologia spinoziana. È proprio l’effettività da parte dell’uomo di essere inscritto in questi concatenamenti a rendere possibile qualsiasi esperienza, dacché senza un «contatto» con altri oggetti, fenomeni, non si attuerebbe alcun principio di conoscenza: per conoscenza si intende conoscenza di qualcosa e non una pura finzione.64 Inoltre, l’uomo non è mai integralmente causa adeguata, cioè la causa grazie alla quale è possibile concepire totalmente l’effettività di un oggetto.65

È bene richiamare all’attenzione del lettore la peculiarità che nell’ottica spinoziana esistenza significa determinazione, delimitazione; cioè, qualsiasi cosa che sussiste è tale in quanto determinata ad essere in un certo modo, che si esplica in un rapporto serrato con gli altri enti. A questi due elementi, all’esistenza di ogni cosa e al suo essere necessariamente determinata, si deve aggiungere la sua essenza dacché è proprio dal rapporto fra una visione necessitarista vincolata all’essenza che si comprende l’autentica portata della visione spinoziana,66 in rapporto alla natura naturata.67 Con quest’ottica si può comprende come ogni ente finito sia tale in quanto determinato ad essere da un altro ente e così all’infinito. Perciò nella filosofia spinoziana si è parlato spesso di pura attività, in luogo della dicotomia aristotelica potenzialità-attualità.68

Se si ha, nell’esistente, una pura attualità, non è possibile parlare di indifferentiæ per quanto concerne un’azione, e ancor prima per una scelta; ovvero, e ciò consiste nella comprensione della nozione di libertà, ogni nostra azione, ogni evento, consiste nell’esplicazione di una ragione. Un universo dove tutto avviene in maniera «indifferente», per caso, consiste in un mondo dove nulla di determinato sussiste.69 Lo stesso Spinoza, rispondendo a Boxel, rende escludenti il necessario dal caso, cosicché se il mondo fosse esistito nell’esplicazione del caso, il mondo stesso poteva non darsi.70 È bene precisare che seppur tutto ciò che avviene, avviene secondo cause, cause che si inscrivono in quell’infinita concatenazione di eventi che coincide con la Sostanza, tuttavia, come più volte sottolineato, non sussiste alcuna necessità assoluta che porti gli eventi ad essere. Perciò è possibile sostenere che l’apporto maggiore della filosofia spinoziana, nel contesto del dibattito sulla possibilità, è la scissione fra l’impostazione determinista, fatalista e necessitarista.71 Sempre per quanto riguarda la nostra problematica, e sempre nella lettera sopracitata, Spinoza asserisce che l’indifferenza è in sé ignoranza,72 non può pertanto essere associata alla libertà la quale, come è risaputo nel sistema spinoziano, coincide essenzialmente con la conoscenza.

Ponendo che l’essenza di una cosa coincida con la sua capacità di agire (ciò lo si riscontra maggiormente in Dio),73 allora si deve parlare non più di potenzialità, ma di attualità, ogni cosa è come un centro di azione;74 cioè, anche in questo ambito, viene eliminato qualsiasi riferimento al possibile, ma sussiste un darsi continuo, necessario, inscritto nelle relazioni infinite di cause ed effetto. Pertanto, ogni ente non è libero dacché indipendente dagli altri (o in quanto possa compiere scelte arbitrarie),75 viepiù perché risulta essere causa adeguata rispetto a questi, cioè più atto a modificare.76 La libertà non coincide con la facoltà di fare ciò che si vuole, ma si esplica come «appropriazione» delle proprie azioni, ribadendo il nesso fra l’agente e le sue azioni.77 Ovvero, ogni agente, per potersi considerare libero, deve essere autosufficiente per il compimento delle proprie azioni; questa è anche la forma di necessità in Spinoza: essere la condizione necessaria e sufficiente per il compimento delle proprie azioni. È pur vero che Spinoza non fa coincidere esplicitamente la causa adeguata con la causa agente, tuttavia ciò non consiste, a nostro avviso, in una forzatura.78 Perciò la libertà e la necessità coincidono. Perciò essere liberi non esclude l’essere determinati, dacché si è determinati dalla propria essenza, né implica la libera volizione.79

Non si può considerare l’uomo come indipendente da tutti gli eventi che lo determinano ad essere,80 condizione che lo accomuna a qualsiasi oggetto nell’universo, ma lo si deve considerare come determinante le proprie azioni. Come in un fiume ogni oggetto/avvenimento viene trascinato nell’infinito fluire delle cose, mentre ogni entità, di per sé considerata (per questo il possibile e la libertà sono essenzialmente una problematica gnoseologica), è condizione necessaria per le azioni ad essa imputabili. Ciò lo si può comprendere considerando che è vero che Dio è causa di tutto ciò che esiste, ma è causa del tutto in sé considerato come infinito, non è causa invece delle cose particolari,81 quali ad esempio le leggi umane.82

Nessun ente può essere o essere concepito al di fuori di tale ordine. Non essere nel mondo significa quindi essere assolutamente nulla.83

La totale indipendenza fra la consapevolezza di un’azione e la conoscenza delle proprie cause, potrebbe sembrare un’aporia, ciononostante nel sistema spinoziano trova pienamente riscontro: noi possiamo essere consci di un’azione e, tuttavia, esserne all’oscuro del perché — oppure, più semplicemente, erriamo nell’individuarne le ragioni. Ciò si giustifica pienamente nella visione che vede la maggior parte dell’azioni come dettate da impulsi ed errori.84 In merito alla dicotomia conoscenza-errori, Spinoza si scaglia contro l’assunto che vede nella possibilità di scelta, nella possibilità di scegliere il bene o il male, il fondamento della libertà — assodando che per scegliere bisogna conoscere, per il filosofo olandese semmai è il contrario: la non conoscenza del bene e del male permette azioni libere, cioè svincolate dall’ordine delle cause. Ciò può sembrare assurdo, contradditorio, eppure se libero è colui che è guidato dalla ragione, ovvero da idee adeguate, egli non può avere alcun concetto del male85 e, dunque, anche del bene (che è correlativo al concetto del male).86 Perciò è fondamentale per la conoscenza del bene e del male l’assenza di libertà.

La visione necessitarista di Spinoza non può considerare l’uomo come una sorta di macchina in cui esso non è imputabile di alcuna azione, perciò è possibile parlare di responsabilità;87 cosicché ogni uomo è responsabile delle azioni e di quegli affetti che provengono relativamente dalla propria essenza, che non possono pertanto in alcun modo essere riferiti ad altri individui. Queste azioni per essere abbisognano esclusivamente di questo uomo e non di un altro.88 La libertà è così fondata dall’unicità dell’azione e dall’unicità di colui che la compie; comprendendo che agire significa essere causa adeguata di un accadimento, la nostra libertà coincide con la potenza a fare solo ciò che noi possiamo compiere. Uno degli elementi cardine del discorso di Spinoza, pertanto, è il principio individuationis, ovvero il nesso necessario fra la causa e l’effetto significa il principium individuationis.89 Richiamando l’attenzione sul concetto di spontaneità, esso si colloca con la comprensione dell’individuazione, espressione che delinea la differenza fra l’attività e la passività, ovvero il movimento della propria produzione, che consiste in un’unità organica, originale, naturale.90

Concludendo la nostra disamina a riguardo della nozione del possibile, la concatenazione delle idee dell’intelletto deve riprodurre l’ordine, il concatenamento, della Natura,91 diversamente si presenta l’immaginazione; così nell’ambito del differenziarsi del primo genere dal secondo, la mente deve comprendere le cause e l’effettiva esistenza degli enti, e non relegarsi all’ambito del possibile, cioè dell’immaginabile. Cercando di sintetizzare quanto detto: come Morfino sostiene che non v’è luogo dove sussiste qualcosa di fermo e immobile, se non in quanto «fermato» dal nostro pensiero,92 così non v’è qualcosa di propriamente possibile, se non concepito mediante la riflessione su di sé, su quell’essenza vera presa indipendentemente dalle altre, la cui indipedenza si svela nella possibilità di non concordanza col reale. Spinoza fa coincidere diverse impostazioni a riguardo della possibilità, visioni di per sé contrastanti, ma che trovano un armonioso accordo: il possibile è contingente e pertanto non reale in quanto principalmente immaginato, tuttavia la verità di un’idea non deve soggiacere al suo vincolarsi con il proprio ideato, non v’è alcuna scissione fra il pensiero e l’essere, ciò — infine — si caratterizza con l’unione del necessitarismo con la libertà.


  1. Cfr. Ethica (da adesso in poi citato come E), I, proposizione 29. ↩︎

  2. Cfr. ivi, I, proposizione 33, scolio 1. ↩︎

  3. Cfr. Tractatus de Intellectus Emendatione, (da adesso in poi citato come TIE), §53. ↩︎

  4. Cfr. ivi, §68. ↩︎

  5. Cfr. E, I, appendice. ↩︎

  6. Cfr. ivi, IV, definizione 4. ↩︎

  7. Cfr. ivi, IV, definizione 3. In merito v. J.A. Miller, Spinoza’s Possibilities in «The review of Metaphysics» 54 (2001), pp. 779-814. ↩︎

  8. Cfr. E, III, proposizione 1, dimostrazione. ↩︎

  9. Cfr. TIE, §62. ↩︎

  10. Cfr. ibidem↩︎

  11. È interessante constatare che nel Tractatus de Intellectus Emendatione il piano di esistenza dell’immaginario è maggiore di quello che si esplica nel reale: in natura i casi particolari evidenziano come la portata degli universali sia sempre maggiore di ciò che effettivamente esiste; cfr. ivi, §76. ↩︎

  12. In merito ci sia concesso rimandare a G. Petrella, La nozione di tempo in Spinoza. Fra accidentalità e «Notiones Communes» in «Dialegesthai» 16 (2014). ↩︎

  13. Impostazione già presente nel Tractatus de Intellectus Emendatione: cfr. ivi, §93. ↩︎

  14. Cfr. ivi, §21, nota originale. ↩︎

  15. Cfr. Breve Trattato (da adesso in poi citato come KV), I, 6, §7. ↩︎

  16. È nostro avviso riscontrare nella negazione dell’esistenza di questo determinismo assoluto un’affiliazione con la negazione di qualsiasi forma di trascendenza; su Spinoza e la trascendenza v. E. Levinas, Difficile liberté: essais sur le judaïsme, Parigi 1976; I. Tonelli, La ferita non chiusa. La ricezione ebraica di Spinoza nel Novecento, Alessandria 2003. Perciò conveniamo pienamente con Sangiacomo nel non poter interpretare la posizione di Spinoza come un semplice determinismo; cfr. A. Sangiacomo, L’uomo libero a nulla pensa meno che alla morte: Spinoza contra Heidegger in «Giornale di Metafisica», Nuova Serie, XXXIII (2011), pp. 369-388, ma p. 371. ↩︎

  17. Cfr. KV, I, 6, §2. ↩︎

  18. E, I, proposizione 29. ↩︎

  19. Cfr. ivi, I, proposizione 36. ↩︎

  20. Cfr. Cogitata Metaphysica (da adesso in poi citati come CM), I, cap. 3. ↩︎

  21. Cfr. KV, II, 2, §2. ↩︎

  22. Cfr. E, III, definizione 1. ↩︎

  23. Cfr. ivi, III, definizione 2. ↩︎

  24. Cfr. TIE, §74. ↩︎

  25. Cfr. E, II, proposizione 43, scolio. ↩︎

  26. Cfr. TIE, §69. ↩︎

  27. Cfr. KV, I, 1, §8, nota originale. ↩︎

  28. Cfr. E, I, proposizione 28. ↩︎

  29. Cfr. TIE, §19. ↩︎

  30. È il caso di Runggaldier, che si esprime a riguardo della necessità di trovare i livelli superiori; cfr. E. Runggaldier, Che cosa sono le azioni? Un confronto filosofico con il naturaalismo, Milano 2000. ↩︎

  31. Cfr. TTP, IV, §1. ↩︎

  32. Cfr. E, II, definizione 4. ↩︎

  33. Cfr. TIE, §§35-36. ↩︎

  34. Cfr. Spinoza a Tschirnhaus, Ep. XL per ciò che concerne le lettere, seguiremo la canonica numerazione di Gebhardt. ↩︎

  35. Cfr. E, I, definizione 2. ↩︎

  36. Cfr. M. Messeri, L’epistemologia di Spinoza. Saggio sui corpi e le menti, Milano 1990, pp. 193-222. ↩︎

  37. Cfr. Spinoza a Burgh, Ep. LXXVI. ↩︎

  38. Diversamente, a riguardo dell’essenze e dell’eternità che le confa, è l’impostazione di Matson; cfr. W. Matson, Body essence and mind eternity in Spinoza, in «Spinoza. Issues and directions. The proceedings of the Chicago Spinoza Conference», Leiden 1990, pp. 82-95. ↩︎

  39. Cfr. KV, I, 2, §17. ↩︎

  40. Cfr. P. Macherey, Introduction à l’Éthique de Spinoza. La seconde partie: la réalité mentale, Parigi 1997, pp. 83-92. ↩︎

  41. Cfr. TIE, §91. ↩︎

  42. Cfr. ivi, §13. ↩︎

  43. Cfr. ivi, §4. ↩︎

  44. Cfr. Tractatus Theologico-Politicus (da adesso in poi citato come TTP), prefazione, §1. ↩︎

  45. P. Grassi, L’interpretazione dell’immaginario. Uno studio in Spinoza, Pisa 2002, p. 83. ↩︎

  46. Cfr. TIE, §99. ↩︎

  47. Cfr. ivi, §68. ↩︎

  48. Cfr. KV, I, 2, §2, nota originale. ↩︎

  49. Cfr. ibidem↩︎

  50. È il caso di Sangiacomo; v. A. Sangiacomo, La libera necessità. Note sul compatibilismo di Spinoza in «Filosofia Politica» 25 (2011), 1, pp. 85-106. ↩︎

  51. È il caso di Hampshire; v. S. Hampshire, Spinoza and the idea of freedom in «Proceedings of the British academy», 46 (1960), pp. 195-215. ↩︎

  52. Cfr. TIE, §73. ↩︎

  53. Cfr. E, II, proposizione 11, corollario. ↩︎

  54. Cfr. TIE, §98. ↩︎

  55. Cfr. ivi, §97. ↩︎

  56. Cfr. ivi, §19, nota originale. ↩︎

  57. Cfr. ivi, §93. ↩︎

  58. Cfr. ivi, §63. ↩︎

  59. Cfr. ivi, §90. ↩︎

  60. Cfr. E, III, proposizione 1. ↩︎

  61. Cfr. ivi, II, proposizione 17, scolio; cfr. ivi, II proposizione 35. ↩︎

  62. Ivi, I, proposizione 28. ↩︎

  63. Cfr. ivi, II, proposizione 35, scolio. ↩︎

  64. Cfr. KV, I, 1, §8. ↩︎

  65. Cfr. E, III, definizione 1. Mentre, per un’analisi ontologia-gnoseologica della causa adeguata, v. P. Macherey, Introduction à l’Éthique de Spinoza. La troisième partie: la vie affective, Parigi 1994, pp. 34-39. ↩︎

  66. In merito v. M. Messeri, L’epistemologia di Spinoza. Saggio sui corpi e le menti op.cit. Visione che non nega l’impostazione che vede usa cosa contingente dall’impossibilità di decidere sulla sua esistenza a partire esclusivamente della propria essenza; in merito v. O. Koistinen, On the consistency of Spinoza’s modal theory in «The Southern Journal of Philosophy» 36 (1998), 1, pp. 61-80. ↩︎

  67. In merito v. R. Mason, Spinoza on Modalità in «The Philosophical Quarterly» 36 (1986), 144, pp. 313-342. ↩︎

  68. Cfr. A. Sangiacomo, L’uomo libero a nulla pensa meno che alla morte: Spinoza contra Heidegger op.cit., p. 380. ↩︎

  69. Cfr. A. Sangiacomo, La libera necessità. Note sul compatibilismo di Spinoza op.cit., p. 87; A. Sangiacomo, Homo Liber. Verso una morale spinoziana, Milano 2011. ↩︎

  70. Cfr. Spinoza a Boxel, Ep. LIV. ↩︎

  71. In merito v. A. Sangiacomo, La libera necessità. Note sul compatibilismo di Spinoza op.cit. ↩︎

  72. Cfr. Spinoza a Boxel, Ep. LIV. ↩︎

  73. Cfr. E, I, proposizione 34; cfr. A. Sangiacomo, La libera necessità. Note sul compatibilismo di Spinoza op.cit., p. 88. ↩︎

  74. In merito v. P. Sévérac, Le devenir actif chez Spinoza, Parigi 2005. ↩︎

  75. Cfr. E, I, appendice. ↩︎

  76. Cfr. A. Sangiacomo, La libera necessità. Note sul compatibilismo di Spinoza op.cit.; A. Sangiacomo, Homo Liber. Verso una morale spinoziana op.cit. ↩︎

  77. In merito v. M. De Caro, Il libero arbitrio. Una introduzione, Roma-Bari 2004, pp. 37-49. ↩︎

  78. Cfr. E, IV, proposizioni 69-73; cfr. TP, II, 7. ↩︎

  79. In merito v. F. Van Iwagen, Free will remains a mystery in R. Kane (a cura di) The Oxford Handbook of Free Will, Oxford 2003, pp. 158-177. ↩︎

  80. Cfr. E, IV, proposizione 3. ↩︎

  81. Cfr. TTP, I, §27. ↩︎

  82. Cfr. ivi, IV, §1. ↩︎

  83. A. Sangiacomo, L’uomo libero a nulla pensa meno che alla morte: Spinoza contra Heidegger op.cit., p. 380. ↩︎

  84. Cfr. E, III, proposizione 2, scolio. ↩︎

  85. Cfr. ivi, IV, proposizione 64, corollario. ↩︎

  86. Cfr. ivi, IV, proposizione 68, dimostrazione. ↩︎

  87. In merito v. L.C. Rice, La causalité adequate chez Spinoza in «Philosophiques» 19 (1992), 1, pp. 45-59. ↩︎

  88. Cfr. A. Sangiacomo, Homo Liber. Verso una morale spinoziana op.cit., pp.107-131. ↩︎

  89. In merito v. A. Gilead, Spinoza’s principium individuationis and personal identity in «International studies in philosophy» 15 (1983), pp.41-57. In merito all’identità v. R.E. Aquila, The identity of thought and object in Spinoza in «Journal of the History of Philosophy» 16 (1978), pp. 271-288; R.E. Aquila, States of affairs and Identity of Attributes in Spinoza in «Midwest studies in Philosophy» 8 (1983), pp. 161-179. ↩︎

  90. Cfr. E. Balibar, Individualità, causalità, sostanza in Id., Spinoza. Il transindividuale, Milano 1990, pp. 73-102, ma p. 74. ↩︎

  91. Cfr. TIE, §95. ↩︎

  92. Cfr. V. Morfino, Il tempo della moltitudine, materialismo e politica prima e dopo Spinoza, Roma 2005, p. 107. ↩︎