La nozione di tempo in Spinoza. Fra accidentalità e Notiones Communes

1. Prefazione

Come è noto, Spinoza distingue le varie tipologie di conoscenza in tre generi:1 il primo, inadeguato, che deriva dalla testimonianza scritta, orale e dalla sensibilità; il secondo, adeguato, che consiste nella conoscenza razionale, inferenziale, fondata su nozioni universali, principi e proprietà comuni, coincidente con la deduzione; infine il terzo, anch’esso adeguato, che consiste nel conoscere intuitivo, garantendo la comprensione della natura di Dio e la piena conoscenza degli oggetti particolari. Si deve distinguere quest’ultimo genere da un’impostazione induttivista, nella quale, secondo sempre il nostro Autore, si scorge l’inadeguatezza del proprio procedimento.2

A ridosso di queste tre diverse forme del conoscere si colloca, nella nostra ricerca, la nozione di tempo. Il tempo inerisce certamente alla prima e, in modalità diverse, alla seconda tipologia, ma non alla terza, nella quale si colloca la concezione atemporale del conoscere. Tuttavia, prima di cogliere pienamente queste profonde dinamiche, è bene esaminare le peculiari caratteristiche di questi generi di conoscenza, con la premessa che tratteggeremo più essenzialmente il primo genere, mentre ai fini della nostra trattazione, il terzo verrà brevemente accennato, dacché sulla sua struttura e sulle sue conseguenze ampliamente la letteratura secondaria si è soffermata: ciò che desideriamo è gettar luce sul connubio e legame indissolubile fra il tempo e le prime due forme di conoscenza, reinterpretate secondo questa prospettiva.

È nostra intenzione considerare le tre tipologie in base al particolare rapporto che esse instaurano con l’essere. Si ha, pertanto, l’essere come apparenza, cioè l’esistente conosciuto tramite il primo genere, quello inadeguato contrapposto a una conoscenza del reale chiara e distinta; l’essere come necessità, cioè compreso mediante un atto razionale nel quale, grazie a una nostra convinzione, persuasione, intellettuale, le cose sono carpite nel loro dover-essere così e non altrimenti,3 qui si inscrive la seconda tipologia, la ratio; infine si ha l’essere com’è, nel suo essere reale, in questo contesto si instaura il terzo genere, l’intuitivo.

2. Linguaggio, memoria, abitudine: accidentalità

Più in particolare, nel primo genere di conoscenza si inscrive anche la riflessione sul linguaggio. Quando ascoltiamo o leggiamo una parola connettiamo il suo pensiero al pensiero di ciò a cui essa si riferisce, senza che il suono dell’una abbia una qualche somiglianza col proprio designato.4 É in questo contesto che si collocano le problematiche della memoria e dell’abitudine (consuetudo): le rappresentazioni5 non sono svincolate dalla concatenatio affectionum;6 la memoria perciò non consiste in una libera attività della mente,7 la quale non ne dispone, né dispone ugualmente della possibilità di dimenticare secondo i suoi intenti.8

A consolidare questa non libera facoltà di pensare, nel primo genere di conoscenza, è bene sottolineare che le rappresentazioni non consistono in un atto libero-creativo della mente, ma le si offrono;9 inoltre, nella memoria non si presenta alcuna serie di idee necessarie, né si manifesta alcun ragionamento nel ricordare.10 La mancanza di un procedimento razionale giustifica la particolarità per la quale i ricordi si susseguano senza un preciso ordine: la mente giunge dal pensiero d’una cosa al pensiero di un’altra senza che questi abbiano una qualche minima somiglianza. In questi termini, nell’ambito del ricordare, l’abitudine dirige le operazioni intellettuali, giustificando singolarmente i singoli ricordi; ed è la medesima abitudine a spiegare le associazioni linguistiche.11

Con quanto finora detto, possiamo ben comprendere come non solo nell’Ethica, in cui la memoria si identifica con l’immaginazione,12 ma anche nel Tractatus de Intellectus Emendatione esse, pur se distinguibili, possono facilmente tramutarsi l’una nell’altra:13 possiamo concepire il linguaggio, la memoria e l’abitudine come unitari, complementari, e che vertono sulla conoscenza della singola mente su singole cose.14 Mentre per ciò che concerne l’arbitrarietà delle suddette esperienze, si trovano queste ulteriori esplicazioni: l’irregolare comporsi delle parole nella memoria, a causa di qualche disposizione del corpo (accidentale), determina l’immaginazione di concetti che, in quanto concepiti secondo l’immaginare, risultano essere inadeguati15 e fortuiti,16 venendo costituiti secondo l’arbitrio.17

Del valore intrinsecamente fallace del linguaggio abbiamo già diffuso tuttavia possiamo aggiungere che per mezzo delle parole tutto può essere espresso, anche l’insensato, ciò di cui non si può avere un’immagine alcuna.18 Inoltre, enti diversi per mezzo del linguaggio possono essere individuati dalla medesima parola, dal medesimo nome:19 profecto plerique errores in hoc solo consistunt, quod scilicet nomina rebus non recte applicamus.20 Pertanto, nel linguaggio è possibile fingere,21 e di finzione si tratta, in quanto più si conoscono gli oggetti e meno si manifesta la potenza dell’immaginazione,22 che le cose stiano diversamente da come le si conoscono:23 confondendo le parole con l’idea, con ciò che essa implica, ritenendo di poter volere contro ciò che si percepisce, quando si afferma o nega, qualcosa contro la propria esperienza.24 Precisiamo che la finzione non consiste in un atto creativo, in quanto rimane vincolata alla memoria; nella quale, ad esempio, la nozione di esistenza, concepita astrattamente, può venire assegnata facilmente a qualsiasi ente,25 in modo tale che nature diverse vengano riunite.26 Prima di procedere oltre, soffermiamoci su quanto appresso: le esperienze sensibili, il linguaggio, la mente e l’immaginazione sono caratterizzate e formata dall’abitudine e dall’essere complementari; oltre ciò non si presenta alcuna forma di necessità in esse, né tantomeno di libertà, dunque oltre che alla complementarità si ha la piena e pura accidentalità.

Proseguendo nella caratterizzazione del primo genere di conoscenza, introduciamo la concezione delle infinite relazioni, del legame originario fra la mente e il corpo e le proprie esperienze, e ribadiamo la contingenza di queste forme del conoscere. Si consideri che l’esperienza della percezione sensibile si presenta come una moltitudine di singole conoscenze mutilate e confuse, provenienti da determinazioni esterne.27 Il corpo umano è affetto da una moltitudine di oggetti in una pluralità di modi, ed esso stesso è disposto in maniera tale da modificare, in molteplici varianti, questi corpi medesimi:28 gli uomini, riprendendo il tema del darsi delle infinite relazioni, sono continuamente affetti dai corpi esterni.29 Inoltre, l’idea di qualsiasi modo implica la natura del corpo e degli oggetti esterni:30 nulla esso subisce che non sia percepito dalla mente,31 la quale non percepisce solo tali affezioni, ma anche le idee di queste ultime.32 Pertanto le idee che ineriscono ai modi non solo sono fondamentali per la conoscenza dei corpi esterni e delle loro modificazioni, conoscenza che si colloca nel primo genere, ma soprattutto per la percezione, da parte della mente, del corpo e del suo esistere, in quanto essa è nient’altro che l’idea stessa del corpo.33 Concludendo, la mente non conosce propriamente il corpo come oggetto, ma comprende le esperienze di quest’ultimo e così è in grado di conoscersi,34 ampliando il proprio sapere quanto più esso, il corpo, è atto a percepire.35

Al di là di questi indissolubili rapporti, sempre per ciò che concerne il primo genere, non è inutile far presente che non si dà alcuna memoria che sia frutto della sola mente:36 il ricordare abbisogna di elementi esterni; ciò diviene evidente se si considera che l’intelletto umano non possiede da sé il principio e la ragione del proprio cominciamento.37 Tale esigenza si presenta anche per ciò che concerne la fantasia: in essa la mente abbisogna di casi particolari e attributi specifici,38 rivelandosi finita dacché da sé non può conoscere nulla, conosce solo in quanto iscritta nelle infinite relazioni di cui abbiamo più volte parlato.39 In aggiunta, usando come filo conduttore l’impossibilità di una certezza assoluta per ciò che concerne la memoria, né di una sua piena autosufficienza, si comprende come le dimostrazioni, persino quelle matematiche, che abbisognano di un memorare continuo — cioè di quei procedimenti che non sono di per sé evidenti, non colti con un singolo sguardo — possono ricadere nell’ambito del vacuo, del dubbio, dacché è possibile errare.40

Di certo tale ambiguità è imputabile all’“instabilità” dell’esistente: la mente umana, e dunque il corpo umano, è immersa in un’attività perpetua, in perpetue relazioni:41 si può sostenere che non esista un oggetto isolato, né che non sia modificato e che non modifichi.42 Pensare un corpo senza le moltitudini delle dinamiche a esso confacenti, senza le relazioni che esso instaura, senza il contesto del proprio ambiente, è impossibile.43 Il reale è ciò che è infinitamente modificato. Già a partire dal Tractatus de Intellectus Emendatione è negata ogni possibilità dell’esistenza d’un qualcosa di inconoscibile, cioè ogni cosa, comprese le idee, è in rapporto con altro; più precisamente, gli enti esistono in quanto sono in relazione, cioè producono e sono prodotti.44 La conoscenza stessa è una “relazione” fra le idee.45 La concezione dell’inesistenza d’un qualcosa di isolato e, pertanto, del darsi di infinite relazioni è fondamentale alla comprensione dei generi di conoscenza.

Come più volte sottolineato, le esperienze sensibili si inscrivono nella sfera dell’accidentale, e di certo la perpetuità che abbiamo già evocata la caratterizza; di esse, di queste esperienze, non vi può essere scienza, giacché nel fortuito non si presenta il necessario, né l’universale. Tuttavia, la conoscenza sensibile non è falsa,46 ma inadeguata nel comprendere la natura delle cose: non si presenta alcuna necessità, dacché l’idea di un’affezione qualsiasi del corpo non implica l’adeguata conoscenza dell’oggetto esterno47 (né della mente) .48 Nonostante questa totale contingenza, l’esperienza è fondamentale per conoscere l’esistenza degli oggetti esterni: è grazie alle idee delle affezioni del corpo che la mente percepisce gli oggetti esistenti in atto,49 pur se tramite questa percezione non ne ha una conoscenza chiara, né una scienza, non presentandosi alcuna necessità, e dunque essa coincide col conoscere inadeguato: in questo genere non si conoscono le cose, ma solo le impressioni che gli enti esterni imprimono sul corpo.50 Perciò l’immaginazione è definibile come corporea, cioè affetta solo dai corpi.51

A comprovare l’impossibilità di una scienza nella percezione sensibile si constati che senza un confronto con altre idee, diverse rispetto a quelle che si presentano nel primo genere di conoscenza, non v’è modo di distinguere il vero dal falso: sogno, memoria, immaginazione e percezione, dal punto di vista ontologico — epistemologico presentano lo stesso valore. Scribano sintetizza dicendo: «una singola percezione, da sola, non consente nemmeno di impostare il problema della distinzione tra apparenza e realtà».52

3. Affetti, passioni e temporalità

Per terminare questa rapida perlustrazione del primo genere di conoscenza, ed esplicare in esso la nozione di tempo, introduciamo la concezione degli affetti.53 Tenendo ben presente il cambiamento continuo di modificazioni, che costituisce l’esistente, gli affetti si collocano nel primo genere di conoscenza, ed è opportuno sottolineare che col termine affetto non si intendono esclusivamente le “alterazioni” che avvengono nel corpo, ma anche le idee che lo riguardano:54 seppur la mente non determini il corpo, né avvenga il contrario,55 ogni modificazione e cambiamento della mente significa una modificazione e un cambiamento del corpo.56

Perciò per apprendere appieno il concetto di affetto si deve sottintendere l’indissolubile legame fra mente e corpo e immaginazione. Innanzitutto, se la mente consiste nell’idea del corpo, essa è vincolata alle percezioni di quest’ultimo che, contemporaneamente, si attuano in essa come passioni; passioni che si insinuano nei termini in cui è possibile definire gli uomini come esseri combattuti dalle passioni.57 Mentre per ciò che concerne la loro origine, definendo le passioni come affetti dei quali noi siamo la “causa inadeguata”,58 causa dove l’effetto non può venir individuato per mezzo di questa soltanto,59 esse vengono determinate dalle idee inadeguate.60 Quindi la concezione dell’immaginazione non solo giustifica la presenza delle idee inadeguate, ma si rivela la causa principale delle passioni e l’origine degli affetti.

Si deve concepire l’affetto come una medesima cosa che si esplica sia per mezzo di una modificazione dell’attributo dell’estensione, cioè come modificazione corporea, e sia del pensiero, cioè come idea dell’affetto stesso. Precisiamo che la natura dell’affetto non si esaurisce nell’essere una relazione fra l’idea e il suo ideato. Qualcosa di simile avviene nella stessa definizione di uomo: idem esse Individuum, quod jam sub Cogitationis, jam sub Extensionis attributo concipitur.61

Per ciò che concerne la differenza dei singoli individui e l’essenza di loro medesimi, ampliamo quanto già detto: l’affetto consiste nell’essenza dell’uomo, ne garantisce l’individualità62 (quantum essentia unius ab essentia alterius differt)^[63] e, richiamando il connubio mente-corpo, in un contesto “naturale”, precisiamo che la mente è combattuta dagli affetti e contemporaneamente il corpo umano accresce o diminuisce la propria potenza ad agire.63 Su questa scia “naturalistica”, è ben risaputo che secondo Spinoza si devono considerare gli affetti come non estranei all’ordine e alle leggi della Natura, pertanto essi non la “turbano”; è in questi stessi termini che egli sostiene che l’uomo non abbia un’indipendenza assoluta, sottolineando la particolarità che la causa dell’incostanza e dell’impotenza umana sia da attribuire alla Natura nel complesso, non già a qualche vizio connaturato all’uomo.64

La concezione spinoziana degli affetti esige che per mezzo della percezione del corpo si ricavi la certezza che l’anima vi è unita, e tale unione è causa della percezione stessa.65 Il corpo umano, in quanto percepito, esiste.66 Inoltre: corpus humanum multas pati potest mutationes, & nihilominus retinere objectorum impressiones, seu vestigia […], & consequenter easdem rerum imagines;67 da qui comprendiamo il perché abbiamo accennato anche la questione della memoria.

Indirettamente l’autore informa che la forza delle idee inadeguate sarà maggiormente depotenziata con la maggior presenza delle idee adeguate;68 se ne deduce che l’uomo è tanto più soggetto a passioni, cioè è passivo, quanto più ha idee inadeguate, viceversa è tanto più attivo, quanto più possiede idee adeguate.69 Tuttavia, ricordiamo che non è per nulla condivisibile la lettura di coloro che interpretano il rapporto fra mente e corpo nei termini di una determinazione reciproca, né che sostengono l’esistenza di un dualismo sostanziale:70 Spinoza professa un’«identità ontologica» della mente e del corpo, che giustifica la simultaneità delle modificazioni sotto attributi diversi.

Prima di procedere oltre, avendo fissato quanto già detto, ovvero che l’affetto è di per sé non libero, dacché dettato da fattori esterni, complementario con le esperienze del primo genere, sicché in esso vengono riassorbite, e contingente in quanto non fornisce elementi necessari, per le finalità della presente trattazione sul tempo, fermiamoci momentaneamente sulla categoria di alternanza; laddove il tempo non è niente altro che l’alternanza delle singole rappresentazioni dettata dal diverso presentarsi delle esperienze.71 Ma andiamo per ordine.

Innanzitutto quel che è stato asserito sul primo genere di conoscenza postula che le esperienze, pur se appartengono all’individuo che esperisce, sono dettate da fattori a lui esterni e da lui indipendenti (su questo abbiamo già diffuso), ma la peculiarità che a noi preme di sottolineare delle suddette esperienza va ricercata nel loro continuo darsi, alternarsi, determinato da perpetue modificazioni, modificazione di cui abbiamo accennato a più riprese. Modificazioni e alternanze secondo un ordine comune della Natura, ovvero una determinazione esterna, dunque per il tramite dell’accidentalità, in un mondo variegato e multiforme che è quello costituito dalle passioni.

Se analizziamo la natura effettiva delle cose, il loro durare, comprendiamo che il loro essere è sempre in altro, ciò significa che il loro darsi, costituito da quelle infinite relazioni allegate, come il perire, il terminare, si costituisce dalle medesime relazioni; perciò, di per sé considerata, una cosa (con la premessa che solo tramite l’immaginazione si può concepire qualcosa di isolato) possiede una durata indefinita,72 venendo generata, nutrita, distrutta da altre. In questo ordine cosmico, non sfuggono le passioni le quali durano fin quando non vengono “sostituite”:

Si humanum Corpus affectum est modo, qui naturam Corporis alicujus externi involvit, Mens humana idem corpus externum, ut actu existens, vel ut sibi præsens, contemplabitur, donec Corpus afficiatur affectu, qui ejusdem corporis existentiam, vel præsentiam secludat.73

Se di per sé una cosa possiede una durata indefinita, si esplica come durata indefinita, sicché solo da altre cose viene terminata, il donec introduce la nozione che l’affetto non dura fin quando v’è l’afficiente, ma fin quando, come già svelato, non compaia un altro affetto; per questo, avendo come sfondo quell’infinito darsi di relazioni, è impossibile alla mente rimanere fissa su di un’idea. Tale “commercio delle passioni” certamente è complementare al concetto di alternanza. Infine, per riprendere il tema della memoria, questo alternarsi non è dettato esclusivamente da ciò che è presente, dallo stato attuale delle cose, ma anche dalla struttura immaginifica della mente. Sicché essa può accedere a ciò che una volta la segnò,74 o immaginare altro, come se fosse a lei presente;75 preme tuttavia sottolineare che questa facoltà spontanea è dettata da fattori esterni, pur per il tramite dell’abitudine, sicché, in linea con quanto già detto, non consiste in un’attività libera e originaria.76

Eppure lo stesso Spinoza sostiene in maniera inequivocabile che non si dia alcuna affezione della quale non si possa avere un’idea chiara e distinta.77 Questo diverso modo di conoscere, questa differente modalità di accesso alla comprensione dell’essere, costituisce l’ambito della ragione, ossia del secondo genere di conoscenza, adeguato in quanto identifica il necessario e l’universale. Un affetto consiste nell’idea di un’affezione del corpo e, in quanto idea, indica un concetto chiaro e distinto.78 Se nel primo genere di conoscenza il sapere si esaurisce in un semplice riflesso di un fatto empirico, nel secondo la concezione delle notiones communes,79 di per sé già presenti nella struttura del corpo e grazie ad esso conoscibili,80 esplicati dalla ratio, garantisce l’accesso alla scienza, a un sapere adeguato.81

4. Astrattezza, parzialità e durata

Prima di affrontare il secondo genere di conoscenza, ci soffermeremo sul concetto di astratto che, in quanto nozione esplicata sia dal primo genere che dal secondo, costituisce un nesso fra i due. Compiendo ciò, per ciò che concerne la conoscenza umana, evocheremo la nozione di parzialità.

La questione del che cosa sia per Spinoza l’astratto è piuttosto oscillante, ma ammette la seguente ricostruzione: tanto più un’idea è particolare, cioè non è astratta, tanto più è chiara.82 Lo stesso Spinoza ci offre l’esempio di concetti astratti quali gli aggettivi,83 che posso riferirsi a molteplici elementi; questa medesima concezione viene sottolineata in una nota del Tractatus de Intellectus Emendatione.84 Neppure se l’astratto viene concepito come gli assiomi universali, può considerarsi una conoscenza adeguata, giacché da tali principi (generali) non è possibile determinare una cosa singola.85

Già a partire dal Tractatus de Intellectus Emendatione Spinoza sottolinea la possibile inadeguatezza di un sapere astratto;86 come nel caso (ivi si colloca la nostra ricerca) del sapere esplicato nell’ordine temporale, in cui si collocano gli enti in concatenamenti di cause ed effetti (intesi come relazione universale e continua) — come, in analogia, nell’esperienza sensibile si presenta il flusso delle percezioni.

Di certo per Spinoza l’astratto è un modo di conoscere insufficiente,87 che non concepisce l’effettivo svolgersi degli eventi, determinato dalle esperienze individuali, nelle quali si cerca una certa familiarità linguistica88 e di ridurre il molteplice a un’astratta unità.89 La semplice esposizione di questa “avversità” verso l’astratto giustifica il perché, nel Breve Trattato, il generale, che si oppone alle cose particolari (realmente esistenti), si approssimi al nulla.90

Sulla scia del concetto di astratto, non è inutile far presente che Spinoza delinei l’uomo come condizionato a una naturale ignoranza, causata da una “parzialità” della mente;91 in cui si confonde l’immaginazione come un autentico sapere, sconvolgendo l’acquisizione della conoscenza.92

Nel percepire e ragionare noi separiamo i modi dalla Sostanza, donandogli una realtà a sé, e tentiamo, tramite le nozioni dell’immaginazione, di spiegarla, cadendo in continui vaneggiamenti; poiché gli enti di ragione sono soltanto degli auxilia dell’immaginazione:93 ogni cosa è come mediata dall’indeterminabile concatenamento degli eventi. Non possiamo concepire la durata come separata da ciò che persiste; pensarla come qualcosa di separato significa concepirla astrattamente. Concentrando ancora l’attenzione sulla durata, essa può essere divisa all’infinito,94 ma in tale scissione si comprende che nessun intervallo temporale propriamente trascorre, ché l’intervallo di tempo più breve concepibile è ancora divisibile; pertanto, fra due qualsiasi momenti, per quanto ipotizzati prossimi, si collocano un’infinità di altri momenti. A questa peculiarità, di poter «dividere all’infinito», possiamo porre in contrapposizione l’impossibilità, nemmeno per mezzo dell’immaginazione, di «dividere l’infinito»; una densissima nota del Breve Trattato, recita:

Obietterete, non vi sono affatto parti nell’estensione, prima di ogni modificazione? Nessuna, rispondo. Ma, direte voi, se c’è movimento nella materia, questo deve stare in una parte della materia, e non nel tutto, perché il tutto è infinito: in quale direzione si potrebbe muovere, dal momento che nulla si trova al di fuori di lui? Dunque il movimento ha luogo in una parte. Al che io rispondo: non c’è solamente moto, ma moto e quiete assieme, e questo è nel tutto, e deve esserci, poiché nell’estensione non vi è parte alcuna. Insistete ancora che l’estensione consta di parti? Ditemi allora se, a dividere l’estensione in sé, voi potete separare nella natura da tutte le altre parti quella che voi separate nel vostro intelletto. Supposto che voi lo facciate, io vi domando allora: che cosa sta tra la parte separata e il resto? Dovete dire, o un vuoto, o un altro corpo, o qualche cosa dell’estensione stessa, non vi è una quarta ipotesi. La prima non è possibile, poiché non esiste il vuoto, in quanto vi sarebbe qualcosa di positivo che non sarebbe corpo. Nemmeno la seconda ipotesi è possibile, perché vi sarebbe un modo che non può esistere, giacché l’estensione come estensione esiste senza e prima di tutti modi. Resta dunque la terza ipotesi: ma allora non vi è parte alcuna dell’estensione, ma l’estensione intera.95

L’impossibilità di dividere, giacché nella Natura non vi sono né tuttoparti,96 l’estensione e con essa l’infinito, di cui è espressione in quanto Attributo della Sostanza, rimane un elemento guida del filosofare di Spinoza; la semplice esposizione di questa peculiarità dell’infinito, pur non esaurendo le possibili spiegazioni a riguardo della natura degli attributi, fornisce un’interessante traccia: la totale differenza che sussiste fra “il dividere all’infinito” della durata e “l’impossibilità di dividere l’infinità” dell’eternità, chiarisce ulteriormente l’“abisso” che separa un tempo infinito con un tempo, anche se di tempo propriamente non si tratta, atemporale, eterno.

Per concludere la delimitazione della nozione di durata, concepita per mezzo di forme di conoscenza astratte, è bene precisare che essa non si compone di momenti, cioè di intervalli di tempo nulli, come avviene in Cartesio,97 negli stessi termini in cui i numeri non si costituiscono dalla somma di zeri: molte cose non possono essere individuate dai numeri, non perché siano costituite da molteplici parti difficili da numerare, ma in quanto è nella loro natura di eccedere ogni numerazione; come, ad esempio, nella possibilità di variazione della materia fra due cerchi non concentrici, in cui il superamento della classificazione numerica non conduce alla considerazione di vastissimi spazi interposti fra questi cerchi.98

5. Notiones Communes e temporalità

Il primo genere di conoscenza, costituito dalla conoscenza delle proprie passioni, inerisce i singoli modi i quali sono individuati, determinati, dai rapporti di quiete e movimento,99 nozioni generiche che condizionano l’esistenza delle singole cose. Tutti i corpi si costituiscono come esplicazioni dei notiones communes; queste possiedono sia un significato fisico, come le categorie dell’estensione, della quiete e del movimento, sia logico, come il principio di identità e non contraddizione o del terzo escluso.

Con la dottrina delle nozioni comuni, che costituisce l’argomento di indagine della ragione, si presenta quel concatenamento di cause ed effetti, di eventi e di sequenze di avvenimenti di cui abbiamo accennato e che si esplicano nelle cose singole in quanto singole, garantendone l’effettiva esistenza — si ricordi, inoltre, che una cosa in sé non v’è: omnia enim corpora ab aliis cincumcinguntur, & ab invicem determinantur ad existendum, & operandum certa, ac determinata ratione.100 Tale concezione pone le cose, più precisamente i concatenamenti che le determinano, nella durata, nel tempo.

A ridosso del primo genere di conoscenza si esplica la contingenza di tali rapporti, mentre nel secondo essi vengono compresi e interpretati come necessari, nelle modalità, riprendendo quanto accennato nella prefazione, del come l’essere deve essere. Concordiamo e precisiamo con Sangiacomo: «l’unica via che la mente può seguire per accedere al piano della coscienza è quella della conoscenza delle affezioni del suo corpo».101 Perciò, rievocando il tema della nostra indagine, non cogliendo la reale natura dell’esistente, il tempo è un modo del pensare, un peculiare approccio del soggetto pensante.102 A comprovare ciò, nei Cogitata Metaphysica, è detto: ex eo, quod res inter se comparamus, quædam oriuntur notiones, quæ tamen extra res ipsas nihil sunt, nisi cogitandi modi;103 oltre che: quare tempus non est affectio rerum, sed tantum merus modus cogitandi, sive, ut jam diximus, ens rationis; est enim modus cogitandi durationi explicandæ inserviens.104 Possiamo parlare, per quanto concerne le affezioni e riprendendo la traccia precedente, di presenzialità ovvero esse sono e si danno fin quanto la mente ne è affetta, cioè l’affezione implica il rapporto fra il corpo affetto e quello afficiente, rapporto che si esplica nella durata; l’idea poi di tale affezione, che contiene entrambi gli oggetti, li implica, pur se per mezzo di essa non se ne ha una conoscenza adeguata, nel suo essere comparata, relazionata con altre idee, genera il tempo. Così il tempo viene costituito da un relazionare di idee, come, in analogia, il secondo genere di conoscenza si costituisce quale ordinamento, comparazione di idee, e così la mente si determina internamente a contemplare in modo chiaro e distinto le cose,105 per mezzo del communis ordo naturæ; perciò ricapitolando i risultati ottenuti, l’errore consiste in un’inadeguata comprensione delle immagini, immagini che non sono isolate, ma interagiscono (come nel caso della memoria, dell’abitudine), mentre il secondo genere si costituisce come interpretazione adeguata di tali immagini, le quali, e questo dovrebbe risultare oramai ovvio, non indicano tanto l’oggettività della cosa, quanto la veemenza di essa sul corpo, cioè l’affetto stesso. Tale movimento di idee, dunque la loro possibilità di alternarsi, è possibile proprio grazie alle infinite relazioni che costituiscono le cose.

Quanto detto, cioè che anche nel secondo genere di conoscenza si esplica la nozione di tempo, è confermato da alcuni assunti: nel primo genere si conosce confusamente, non avendo una visione organica e concettuale degli eventi; si ha poi una limitazione reciproca dei saperi, delle idee, che si attua come comparazione secondo la ratio, così che, come negli affetti, anche le forme di conoscenza si alternano, secondo l’assunto che un pensiero viene limitato esclusivamente da un altro pensiero.106

Si può agevolmente constatare che la nozione di durata può considerarsi complementare a quella di «esserci» e, dunque, nel sistema spinoziano, a quella di essenza; ovvero, l’esistenza delle cose nel loro darsi, cioè nel loro durare, coincide con la propria essenza. In questi termini si può parlare in Spinoza di una mortalità dell’anima: se la mente consiste nell’idea del corpo, e il corpo si esplica in una certa durata, inevitabilmente vi saranno delle ripercussioni sulla struttura stessa dell’animo.107 Sempre a riguardo della mortalità dell’anima, avendo come sfondo il perpetuo modificarsi dell’esistente e la concezione della mente come attività costante,108 si può ben desumere la sua finitudine temporale: giacché, consistendo la mente nell’idea del corpo, terminati i processi di quest’ultimo, anch’essa non avrà più modo d’essere o, più precisamente, di “fare/subire”. Inoltre, la teoria per la quale il corpo-mente costantemente modifica e viene modificato, risponde a un’importante questione gnoseologica: se il soggetto pensante fosse un ente a parte, rispetto all’esistente, come potrebbe conoscere? Solo inscrivendolo in un’infinita catena di rapporti instabili l’uomo può conoscere le cose, senza potersi considerare ontologicamente opposto a queste.

Tornando sul connubio durata/cosa, l’affermarsi di una cosa, l’essere determinata, coincide col suo durare, in merito si ricordi che tale determinazione è causata dall’essere inscritta, la cosa in questione, in molteplici ed infinite relazioni (forze); nella durata noi concepiamo l’esistenza delle cose nella misura in cui permangono in atto, in cui esistono.109 Non si dà esistenza senza una durata determinata, né si dà una qualsiasi durata senza qualcosa che esiste; perciò, scindere le due situazioni è possibile solo tramite enti di ragione.110

Considerando l’identificazione fra la sfera dell’essere e del pensiero, che seguendo l’insegnamento di Spinoza abbiamo postulato, i procedimenti deduttivi, collocati nel tempo, presentano un rispecchiamento e un’analogia nell’estensione, nella durata e per quanto possa essere vera e formalmente corretta, la conoscenza temporale consiste in una conoscenza parziale. Ciò che si presenta nel tempo esula da una conoscenza sub specie æternitatis, non possiede una “piena” realtà, giacché si dà in relazione ad altro, esplicandosi come contingente o sotto forma di proprietà normative non attuate. Nella durata, per quanto possiamo essere sicuri delle nostre percezioni o dei nostri ragionamenti, non possiamo mai essere certi dell’effettiva esistenza dell’oggetto nei termini in cui lo sperimentiamo o pensiamo, in quanto la sua essenza — cioè quel “qualcosa” che di per sé non è temporale — viene collegata e iscritta nel tempo; nel tempo in cui il corpo umano è così affetto d’avere l’idea di tale modo esistente in atto.111

Se nella percezione, che include in sé anche l’immaginazione, ovvero la spontaneità di associazioni dinamiche e variopinte delle idee inadeguate, si è “incatenati” al susseguirsi degli eventi, degli avvenimenti, del tempo, nelle stesse modalità temporali, nella ratio, per mezzo di principi comuni, emergono le connessioni logiche di causa/effetto, del prima e del dopo: in entrambe le perlustrazioni viene evocata la nozione di durata. La continuità di tali procedimenti costituisce il tempo, il quale si rivela un modo dell’immaginare,112 ovvero una conoscenza che non spiega l’essenza delle cose, ma di come si costituisce propriamente l’immaginazione, essendo tale modo di pensare un suo strumento.113

Il tempo si manifesta come una “frammentazione” del reale, il quale consiste nell’unica Sostanza,114 pertanto è bene ri-soffermarsi sulla particolarità che non si danno cose statiche; ciò che sussiste coincide col perpetuo modificarsi dei corpi: nessuno oggetto è così statico da poter essere individuato definitivamente. Persino il cogito, inteso quale interiorità, non si presenta come una sostanza definita — infatti si dà una sola Sostanza ed essa coincide con Dio115 — , ma come in costante mutamento.116 La forma dell’uomo non viene costituita dall’essere egli stesso una sostanza:117 la memoria e l’immaginazione, collocate nel primo genere di conoscenza, percepite con veemenza, non garantiscono nulla sull’esistenza, nell’uomo, di un substrato.

Concludendo, la durata di un oggetto viene paragonata alla durata di altre cose e questo paragonare, questo relazionare, è ciò che definiamo come tempo; perciò, esso non consiste in un attributo delle cose, ma in un modo di pensare, in un ente di ragione.118 Inoltre, la durata, per il fatto che è composta di parti, risulta divisibile,119 e pertanto non può riferirsi alla Sostanza, la quale è indivisibile120 e, per questo, eterna.121

6. Conclusioni

In tutta l’opera di Spinoza è presente come monito non solo la convinzione unilaterale dell’esistenza di un’unica sostanza, ma anche quella del tempo come modo del pensiero, vincolato alle rappresentazioni, pur se questa persistente considerazione non venga mai resa oggetto di indagine specifica quanto la ben più nota trattazione dell’infinito e della causa sui.

La bibliografia secondaria frequentemente si è soffermata sulle implicazioni etiche e politiche delle impostazioni ontologiche. L’autore che maggiormente pensiamo è Alexandre Matheron; tuttavia, il presente lavoro cerca di cogliere le sfumature ontologiche derivate dai differenti modi di essere collocati nei diversi generi di conoscenza. Per quanto il filosofare spinoziano possieda un ripiegamento morale, che per nulla neghiamo, esso rimane, seguendo la lezione di Scribano, pur sempre un tentativo di giustificare le varie tipologie di accesso all’essere per mezzo dei diversi modi del conoscere.

Abbiamo pertanto analizzato le varie forme di conoscenza in concomitanza con i loro oggetti, cercando di collocare in queste tipologie il tempo e il suo manifestarsi: i generi di conoscenza hanno costituito lo sfondo su cui collocare le varie problematiche via via evocate, avendo come riferimento la particolarità che è lo stesso Spinoza a delineare le passioni, apparentemente estranee al sapere, come modalità di conoscenza, in quanto in esse si manifesta un contenuto conoscitivo. Si è così attuata una contrapposizione delle tipologie del conoscere e del modo di manifestarsi della durata e dell’eternità, ponendo in contrasto le varie sfaccettature ontologiche. Se l’oggetto della ratio (i principi comuni) e del primo genere di conoscenza (le esperienze singole) costituiscono e manifestano il tempo e la durata, l’eternità — già di per sé evocata dai principi comuni considerati come atemporali, scissi dalle cose — si esplica nell’intuizione, nel terzo genere di conoscenza.

Pertanto c’è da interrogarsi: nel sistema spinoziano le categorie eterno-eternità, sono indiscutibilmente ampiamente trattate; ma cosa ne resta del tempo? Tramite una perlustrazione delle opere di Spinoza, non tralasciando il suo denso carteggio, abbiamo cercato di scorgere una concezione unitaria del tempo; questi è stato identificato con il susseguirsi degli avvenimenti, la spontaneità dell’alternarsi delle rappresentazioni e, di conseguenza, con il nesso non necessario del loro susseguirsi, cioè il contingente. La ragione, di contro, con i suoi principi comuni, mostra una possibile scissione e presa di distanza da questo perpetuo susseguirsi di eventi e di percezioni confuse; dunque, già in essa, già a partire del secondo genere di conoscenza, è possibile rinvenire delle “tracce di eternità”; a dimostrazione di ciò non solo vi sono gli espliciti passi dell’Ethica, ma anche le opere di carattere introduttivo alla filosofia cartesiana e il Breve Trattato stesso.

Quel che volevamo far intendere è ben espresso da Grassi: «la dimensione della eternità, infatti, rende conto dell’esistenza della sostanza, la dimensione della durata, dell’esistenza dei modi».122 Concludiamo dicendo che la concezione temporale di Spinoza, da lui stesso posta al margine della riflessione filosofica, non rendendola oggetto di una trattazione sistematica specifica, non nega affatto gli assunti del suo pensiero, anzi, li sottolinea con immancabile sicurezza.

7. Bibliografia

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  1. Si deve precisare che nel Tractatus de Intellectus Emendatione (da adesso in poi citato come TIE) i generi di conoscenza sono quattro (cfr. TIE, §19), tuttavia, sia per una loro peculiare somiglianza, sia per le finalità della nostra trattazione, possiamo considerare il primo (ex auditu) e il secondo (ab experientia vaga) costituenti un’unica tipologia. ↩︎

  2. Cfr. Breve trattato (da adesso in poi citato come KV) II, 1, §3. Antecedente all’Ethica, il Breve Trattato, ma non al Tractatus de Intellectus Emendatione; in merito v. F. Mignini, Per la datazione e l’interpretazione del Tractatus de Intellectus emendatione di B. Spinoza, in “La Cultura” 17 (1979), pp. 87-160. ↩︎

  3. Cfr. KV, II, 2, §2. ↩︎

  4. Cfr. Ethica more geometrico demonstrata (da adesso in poi citata come E), II, proposizione 18, scolio. ↩︎

  5. Porro, ut verba usitata retineamus, Corporis humani affectiones, quarum ideæ Corpora externa velut nobis præsentia repræsentant, rerum imagines vocabimus, tametsi rerum figuras non referunt; ivi, II, proposizione 17, scolio. ↩︎

  6. Cfr. ivi, II, proposizione 18, scolio. La memoria perciò si rivela un intreccio di idee. ↩︎

  7. Sul connubio fra le attività della mente e il divenire attivi v. P. Sévérac, Le devenir actif chez Spinoza, Paris, 2005. ↩︎

  8. Cfr. E, III, proposizione 2, scolio. ↩︎

  9. Cfr. TIE, §66. Si ricordi che è lo stesso Spinoza che in maniera inequivocabile, inscrive le idee fittizie, non chiare, nella sfera dell’immaginazione, sottolineando la differenza che sussiste fra quest’ultima e l’intelletto; per questo la mente “patisce” l’immaginare (cfr. ivi, §84). Sulla nozione di immaginazione v. M. Bertrand, Spinoza et l’imaginaire, Paris 1983; P. Grassi, L’interpretazione dell’immaginario. Uno studio in Spinoza, Pisa 2012; F. Mignini, Ars Imaginandi. Apparenza e rappresentazione in Spinoza, Napoli 1981; L. Vinciguerra, Spinoza et le signe. La genèse de l’imagination, Paris 2005. ↩︎

  10. Cfr. E, II, proposizione 18, scolio. ↩︎

  11. Cfr. ibidem↩︎

  12. Cfr. ivi, V, proposizione 34, scolio. ↩︎

  13. Cfr. TIE, §57. ↩︎

  14. Fin quando si rimane nell’ambito del primo genere di conoscenza, non si presentano idee chiare e distinte; non v’è alcuna differenza fra l’esperienza sensibile, il sogno e l’immaginazione, in quanto in essi il valore non risiede nell’oggetto, ma nel percepire stesso: è possibile avere esperienza di ciò che non esiste, come nel caso del ricordo, in cui la memoria è segno di qualcosa che non-è-più, e che viene tuttavia percepito come reale. Sul concetto di memoria vincolata alla propria individualità v. W. Matson, Death and destruction in Spinoza’s Ethics, in “Inquiry” 20 (1977), pp. 403-417, poi in “Lloyd” (2001), vol. II, pp. 248-261. Sul connubio memoria e segno/senso v. L. Vinciguerra, La semiotica di Spinoza, Pisa 2012. ↩︎

  15. Cfr. TIE, §88. ↩︎

  16. Cfr. ivi, §91. ↩︎

  17. Cfr. ivi, §89. ↩︎

  18. Cfr. ivi, §58. ↩︎

  19. Come nel caso dell’intelletto di Dio e dell’uomo, diversissimi, ma designati dal medesimo nome; cfr. E, I, proposizione 17, scolio. ↩︎

  20. Ivi, II, proposizione 47, scolio; inoltre hinc pleræque oriuntur controversiæ, nempe, quia homines mentem suam non recte explicant, vel quia alterius mentem male interpretantur (cfr. ibidem). ↩︎

  21. Non a caso, gli esempi di ideæ fictæ evocati da Spinoza, non sono altro che finzioni; in merito v. W. Klever, Remarques sur le Tractatus de Intellectus Emendatione (Experientia vaga, paradoxa, ideæ fictæ), in “Revue de sciences philosophiques et théologiques”, LXXI (1987), pp. 101-113. ↩︎

  22. Cfr. TIE, §58. ↩︎

  23. Cfr. ivi, §56. ↩︎

  24. Cfr. E, II, proposizione 49, scolio. ↩︎

  25. Cfr. TIE, §55 & cfr. ivi, §57, nota originale. ↩︎

  26. Cfr. KV, I, 1, §8, nota originale. ↩︎

  27. Cfr. E, II, proposizione 29, scolio. ↩︎

  28. Cfr. ivi, II, proposizione 14. ↩︎

  29. Cfr. ivi, II, proposizione 47, scolio. ↩︎

  30. Cfr. ivi, II, proposizione 16. ↩︎

  31. Cfr. ivi, II, proposizione 12. ↩︎

  32. Cfr. ivi, II, proposizione 22. ↩︎

  33. Cfr. ivi, II, proposizione 13; ovvero la mente coincide con la conoscenza del proprio corpo. In tali termini è negata la semplicità e l’unità della mente; in merito v. M. Messeri, L’epistemologia di Spinoza, Milano 1990, pp. 5-6. Inoltre da questo spunto riflessivo trarrà origine anche la critica del “giovane” Leibniz, nel 1677, nello scritto De veritatibus, de mente, de Deo, de universo (cfr. G.W. Leibniz, Sämtliche Schriften und Briefe, serie VI (Philosophische Schriften), Akademie Verlag, Berlin 1923, volume 3, p. 510). Inoltre la considerazione della mente come idea del corpo, pare rispondere meglio al concetto di fondo che Spinoza ha fissato dell’essere essa un modo, non già una sostanza: la mente umana non consiste nell’origine dei pensieri, ma è essa stessa un pensiero, un modo che, come tale, ha la propria causa in altro. ↩︎

  34. Cfr. E, II, proposizione 19. ↩︎

  35. Una rilettura empirica delle impostazioni spinoziane viene data da Yovel; v. Y. Yovel, The second kind of knowledge and the removal of error, in “Spinoza on knowledge and the human mind”, Leiden 1994. ↩︎

  36. Cfr. TIE, §83, nota originale. ↩︎

  37. Cfr. KV, I, 1, §5. ↩︎

  38. Cfr. ivi, I, 1, §8, nota originale. ↩︎

  39. Cfr. ivi, I, 1, §7. Proprio questa particolarità che la conoscenza umana non possiede da sé alcun cominciamento, pare rispondere meglio al concetto di fondo che Spinoza ha fissato per ciò che concerne il legame fra i concatenamenti degli avvenimenti e il conoscere. La catena infinita degli eventi, nella quale non può esserci alcunché di inconoscibile (di isolato), giustifica gli assunti epistemologici che considerano ogni conoscenza umana, adeguata o no che sia, come dettata dall’essere l’uomo inscritto in questi processi, perciò l’oggetto stesso è causa dei giudizi su di esso, indipendentemente dalla veridicità di quest’ultimi (cfr. ivi, II, 16, §6); tale concezione non è dissimile dalla considerazione che l’uomo non è libero dalle proprie esperienze: percependo qualcosa proveniente dall’oggetto, immaginiamo che l’oggetto affermi o neghi, nella sua totalità, ciò che ne percepiamo (cfr. ivi, II, 16, §7). L’atto conoscitivo è dato dai concatenamenti di eventi, non da una forza innata. Sulla finitudine della mente e sulla sua inadeguatezza v. J.L. Marion, Aporie ed origini della teoria spinoziana dell’idea adeguata, in “L’etica e il suo altro”, Milano 1994, pp. 240-267. ↩︎

  40. Cfr. Renati Des Cartes Principiorum Philosophiæ (da adesso in poi citati come PPC); Introduzione↩︎

  41. La teoria delle infinite relazioni nega i presupposti del soggettivismo e dell’esistenza di un impensabile, inconoscibile: è ben risaputo che nella concezione spinoziana il pensiero consiste in un Attributo di Dio, e che è, pertanto, insensato parlare propriamente di impensabilità; il pensiero non coincide con un modo della res cogitans. Tuttavia, sostenere che il pensiero sia un Attributo di Dio non significa professare l’esistenza di un Suo intelletto, inteso quale Sua affezione; in merito v. A. Koyré, Le chien, constellation céleste, et le chien, animal aboyant, in “Revue de Métaphysique et de Morale” 55 (1950), 1, pp. 50-59. Non esiste pertanto nemmeno una conoscenza pura o un’interpretazione scissa da qualsiasi esperienza; v. L. Vinciguerra, La semiotica di Spinoza op.cit.. ↩︎

  42. Se nessun corpo è isolato non può nemmeno esistere un’interiorità irriducibile dell’uomo, un substratum, un’anima intesa qual entità semplice, incondizionata (la mente è composta da moltissime idee; cfr. E, II, proposizione 15); né può esistere qualcosa di propriamente inconoscibile, un in sé che rimanga identico, inadatto a “segnalare” se stesso per mezzo di qualche affezione prodotta o subita: ogni corpo, in quanto si modifica in una data maniera, appartiene all’universo (cfr. Lettera 32, a Oldenburg), né perciò di esso, ricapitolando, oltre le proprie modificazioni, sussiste un substratum↩︎

  43. In questi termini è possibile un’interpretazione sociologica delle teorie spinoziane; v. F. Lordon & Y. Citton, Spinoza et les science humaines, Paris 2007. ↩︎

  44. Cfr. TIE, §41 & nota originale. ↩︎

  45. Cfr. ibidem↩︎

  46. Cfr. E, II, proposizione 33. Pur se nell’uomo è connatura un’originaria ignoranza, egli tuttavia possiede sempre un minimo di sapere, giacché la sua mente conosce le esperienze del proprio corpo, dettate da corpi ad essa estranei; noi siamo, in qualche modo, da sempre nel vero: sappiamo ciò che può il nostro corpo. ↩︎

  47. Cfr. ivi, II, proposizione 25. ↩︎

  48. Cfr. ivi, II, proposizione 29. ↩︎

  49. Cfr. ivi, II, proposizione 26. ↩︎

  50. Anticipando taluni risultati della nostra disamina, la semplice esposizione di questa impostazione giustifica il perché la ragione non abbia come oggetti i corpi esterni e le loro leggi in se stesse, ma le percezioni del corpo, nelle quali, nel secondo genere di conoscenza, si rischiarano le proprietà normative dell’essere. ↩︎

  51. Cfr. TIE, §82; inoltre la distinzione fra i movimenti fortuiti del corpo è causa dell’immaginazione (cfr. ivi, §91); v’è da aggiungere che anche la memoria ha un’origine corporale corrispondendo all’intreccio delle tracce delle affezioni del corpo (cfr. E, II, proposizione 19, scolio). ↩︎

  52. E. Scribano, Spinoza sull’errore e sulla verità, in “Ontologia e temporalità. Spinoza e i suoi lettori moderni”, Milano 2012, p. 23. Ovvero il dubbio non scaturisce da una singola idea; cfr. TIE, §78. ↩︎

  53. Certo parrebbe un’operazione alquanto strana introdurre tale nozione che, in effetti, si rivela totalizzante per ciò che concerne il primo genere, al termine dell’esposizione, tuttavia era nostra intenzione soffermarci principalmente sulle peculiari caratteristiche di questa prima forma di conoscenza, che saranno fondamentali laddove introdurremo la nozione di tempo. ↩︎

  54. Cfr. E, III, definizione 3. ↩︎

  55. Cfr. ivi, III, proposizione 2. ↩︎

  56. Cfr. ivi, II, proposizione 7. ↩︎

  57. Cfr. ivi, IV, proposizione 35, dimostrazione. ↩︎

  58. Cfr. ivi, III, definizione 3. ↩︎

  59. Cfr. ivi, III, definizione 1. ↩︎

  60. Cfr. ivi, III, proposizione 3. ↩︎

  61. Ivi, II, proposizione 21, scolio. ↩︎

  62. Cfr. ivi, IV, proposizione 35, dimostrazione. Perciò l’individualità viene garantita non dall’essenza di ognuno, dalla propria mente, ma dalla propria corporeità; v. J.T. Cook, Spinoza on mind and body, in “Studia spinozana” 14 (1998), pp. 11-132; J.T. Cook, Spinoza’s science of the idea of the body, in “Historical foundations of cognitive Science”, Dordrecht 1990, pp. 81-97; A. Damasio, Alla ricerca di Spinoza, Milano 2003; D. Garrett, Spinoza’s theory of metaphysical individuation, in “Individuation in Early Modern Philosophy: Descartes to Kant”, Albany 1994, pp. 73-101; P. Gillot, Corps et individualité dans la philosophie de Spinoza, in “Methodos” 3, 2003, pp. 195-225; C. Jaquet, Le problème de la différence entre les corps chez Spinoza, in “Les significations du corps dans la philosophie classique”, Paris 2004, pp. 127-141; C. Jaquet, L’unité du corps et de l’esprit. Affects, actions et passions chez Spinoza, Paris 2004; F. Mignini, Soggetto e individuo in Spinoza, in “uno Molti modi della filosofia”, Cesena 2007, pp. 27-42. ↩︎

  63. Cfr. ivi, IV, proposizione 7, dimostrazione. ↩︎

  64. Cfr. ivi, III, prefazione↩︎

  65. Cfr. TIE, §21. ↩︎

  66. Cfr. E, II, proposizione 13, corollario. ↩︎

  67. Ivi, III, postulato 2. ↩︎

  68. Cfr. ivi, III, proposizione 1, dimostrazione. ↩︎

  69. Cfr. ivi, III, proposizione 1, corollario. ↩︎

  70. Cfr. ivi, III, proposizione 2, scolio. Perciò non possiamo per nulla approvare Marshall che propone una netta distinzione e indipendenza fra la mente e il corpo; v. C. Marshall, The mind and the body as one and the same thing in Spinoza, in “British journal for the History of Philosophy” 17 (5) (2009), pp. 897-919. ↩︎

  71. Credo che sia proprio il concetto di alternanza, nel contesto della problematica temporale, a rispondere all’interrogativo che si è posto Zourabichvili, su che cosa consista effettivamente il divenire della natura concepita per il tramite dell’attributo del pensiero; ci riferiamo al testo F. Zourabichvili, Spinoza. Une physique de la pensée, Paris 2002. ↩︎

  72. Cfr. E, II, definizione 5. ↩︎

  73. Ivi, II, proposizione 17. ↩︎

  74. Il corpo umano registra tali incontri, fortuiti, i quali non sono, per utilizzare un lessico fisico che ha caratterizzato il percorso filosofico moderno, discreti ma si danno in un continuo↩︎

  75. Cfr. ivi, II, proposizione 17, corollario. ↩︎

  76. Cfr. ivi, II, proposizione 17, scolio. ↩︎

  77. Cfr. ivi, V, proposizione 4. ↩︎

  78. Cfr. ivi, V, proposizione 4, corollario. ↩︎

  79. Sulla concezione di tali nozioni v. F. Cerrato, Cause e nozioni comuni nella filosofia di Spinoza, Macerata 2008. ↩︎

  80. Cfr. E, II, proposizione 39. ↩︎

  81. In merito al presentarsi della ragione, avendo come sfondo il primo genere di conoscenza: G. Albiac, El orden imaginario o la politica de la metafisica espinosiana, in “Hobbes e Spinoza. Scienza e politica”, Atti del Convegno (Urbino), Napoli 1992, p. 371. ↩︎

  82. Cfr. TIE, §98. ↩︎

  83. Cfr. ivi, §97. ↩︎

  84. Cfr. ivi, §19, nota originale. ↩︎

  85. Cfr. ivi, §93. ↩︎

  86. È interessante constatare che nel TIE il piano di esistenza dell’immaginario è maggiore di quello che si esplica nel reale: in natura i casi particolari evidenziano come la portata degli universali sia sempre maggiore di ciò che effettivamente esiste; cfr. ivi, §76. ↩︎

  87. Cfr. ivi, §93. ↩︎

  88. Cfr. ivi, §21, nota originale. ↩︎

  89. Cfr. KV, I, 1, §8, nota originale. ↩︎

  90. Cfr. ivi, I, 6, §7. ↩︎

  91. Cfr. TIE, §63. ↩︎

  92. Cfr. ivi, §90. ↩︎

  93. Cfr. Lettera 12, a Meyer, 1663. ↩︎

  94. Cfr. ibidem↩︎

  95. KV, I, 2, §19, nota originale. Per le citazioni in italiano di questo testo: B. Spinoza, Breve Trattato, in “Tutte le opere”, trad.it. di A. Sangiacomo, Milano 2010. ↩︎

  96. Cfr. ivi, I, 2, §19. Il lettore attento potrebbe scorgere una certa contraddizione a quanto da noi riportato: da un lato vien detto che la mente umana è limitata e conosce una parte dell’esistente, dall’altro che nell’estensione non si danno parti, in quanto indivisibile. Per sciogliere questa difficoltà, basti considerare che per parte nell’estensione si intende una sostanza separata, un ente scisso (a parte), mentre, in un ambito gnoseologico, si parla di limitazioni, di enti di ragioni, quasi come punti di vista. ↩︎

  97. Secondo Cartesio, ogni durata può essere divisa in innumerevoli parti e nessuna di esse è vincolata alle altre, si ha pertanto una concezione del tempo discontinua; in merito v. R. Descartes, Meditationes De Prima Philosophia, De Deo, quod existat↩︎

  98. Cfr. Lettera 12, a Meyer, 1663. ↩︎

  99. Cfr. E, II, proposizione 13, lemma 2, dimostrazione. ↩︎

  100. Lettera 32, a Oldenburg. ↩︎

  101. A. Sangiacomo, Gli strani confini della coscienza: Spinoza e gli animali, in “Giornale critico di storia delle idee”, anno 2, numero 4, p. 151; ivi Sangiacomo precisa che se è pur vero che qualsiasi affezione del corpo umano non implichi una conoscenza adeguata della mente, la mente si conosce solo tramite le affezioni del corpo, tale condizione non è sufficiente per ciò che concerne la ratio; ovvero le affezioni, come ampiamente già detto, sono isolate e non vengono ordinate e inscritte in un ordine a loro superiore, tuttavia proprio la peculiarità che le affezioni si diano e che siano l’elemento conoscitivo base della mente, garantisce che essa non solo si conosca, ma possa accedere al secondo genere di conoscenza, la ratio↩︎

  102. Si veda anche: G. D’Anna, L’eternità senza tempo in Spinoza in “Ontologia e temporalità. Spinoza e i suoi lettori moderni” op.cit., p. 379. ↩︎

  103. Cogitata Metaphysica (da adesso in poi citati come CM), I, cap. 5. ↩︎

  104. Ivi, I, cap. 4. ↩︎

  105. Cfr. E, II, proposizione 29, scolio. ↩︎

  106. Cfr. ivi, I, definizione 2. ↩︎

  107. La concezione della mortalità dell’anima, secondo Nadler, fu la causa della scomunica di Spinoza da parte della comunità ebraica; in merito v. S. Nadler, L’eresia di Spinoza. L’immortalità e lo spirito ebraico, Torino 2005. Per Spinoza la concezione per la quale l’anima è immortale deriva dall’immaginare confusamente; cfr. TIE, §74. Sull’immortalità dell’anima, nell’Ethica, Spinoza sostiene: Si ad hominum communem opinionem attendamus, videbimus, eos suæ Mentis æternitatis esse quidem conscios; sed ipsos eandem cum duratione confundere, eamque imaginationi, seu memoriæ tribuere, quam post mortem remanere credunt; E, V, proposizione 34, scolio. Inoltre, Autorevoli studiosi concordano nel ritenere che Spinoza professi la mortalità dell’anima umana: cfr. E.M. Curley, Behind the geometrical method, Princeton (N.J.) 1988, pp. 84-86; cfr. S. Hampshire, Spinoza, Harmondsworth 1951, p. 175; cfr. J. Morrison, Spinoza on the self, personal identity and immortality, Toronto 1994, pp. 31-47; cfr. Y. Yovel, Spinoza and other heretics: the marrano of reason, Princeton (N.J.) 1989, p. 170. ↩︎

  108. L’autocoscienza, in questo frangente, può essere persino paragonata a nient’altro che all’attività da parte della mente di conoscere sempre maggiormente; cfr. A. Sangiacomo, Gli strani confini della coscienza: Spinoza e gli animali op.cit., p. 157. Per quanto concerne l’autocoscienza in Spinoza segnaliamo: S. Nadler, Spinoza and consciousness, in “Mind”, 117, 2008, pp. 576-601. ↩︎

  109. Cfr. CM, I, cap. 4. ↩︎

  110. Cfr. ibidem, & cfr. Ep12, a Meyer, 1663. ↩︎

  111. Cfr. E, II, proposizione 17, dimostrazione. ↩︎

  112. Cfr. CM, I, cap. 4. ↩︎

  113. Cfr. Lettera 12, a Meyer, 1663. ↩︎

  114. Cfr. E, I, proposizione 5, dimostrazione. ↩︎

  115. Cfr. ivi, I, proposizione 14. ↩︎

  116. Cfr. ivi, V, proposizione 39, scolio. ↩︎

  117. Cfr. ivi, II, proposizione 10. ↩︎

  118. Cfr. Lettera12, a Meyer, 1663. ↩︎

  119. Cfr. ibidem↩︎

  120. Cfr. E, I, proposizione 13. ↩︎

  121. Cfr. ivi, I, definizione 8, spiegazione. ↩︎

  122. P. Grassi, L’interpretazione dell’immaginario. Uno studio in Spinoza cit., p. 87. ↩︎