Recensione a Reginaldo Pizzorni, La Filosofia del Diritto secondo S. Tommaso d’Aquino

Reginaldo Pizzorni, La Filosofia del Diritto secondo S. Tommaso d’Aquino, Serie Civis 17, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 2003, 839 pp., € 50,00.

Padre Reginaldo Pizzorni, domenicano, sacerdote dal 1944, laureato in teologia e filosofia, è stato ordinario di filosofia del diritto presso la Pontificia Università Lateranense (1970-1991). In quest’ultima è stato anche Decano della Facoltà di Diritto Canonico, per due mandati, e Preside dell’Institutum Utriusque Iuris. Inoltre ha svolto la sua docenza, come professore invitato, presso le università pontificie san Tommaso d’Aquino (Angelicum), Urbaniana e per molti anni nella Libera Università di Studi Sociali «Pro Deo», ora Luiss. Attualmente è professore emerito della Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Lateranense.

Le sue pubblicazioni riguardanti la filosofia del Diritto sono numerose, in modo particolare in relazione al pensiero dell’Aquinate. Tra i molteplici titoli che compongono la sua produzione scientifica, ricordiamo qui solo quelli a carattere monografico: Attualità del Diritto naturale (1971); Giustizia e Carità (1953); Diritto naturale e Diritto positivo in S. Tommaso d’Aquino (2003); Il Diritto naturale dalle origini a S. Tommaso d’Aquino (2003); Diritto-Morale-Religione. Il fondamento etico-religioso del Diritto secondo S. Tommaso d’Aquino (2003).

Nel presente volume, di consistenti dimensioni, riprende ed in parte sviluppa quanto detto nelle opere sopra citate, privilegiando e sottolineando, in un modo tutto particolare, la riflessione a livello di filosofia del diritto. La presente edizione, rispetto alle precedenti, risulta essere, quindi, completamente rinnovata ed ampliata. Per comprendere l’odierna necessità circa una riflessione filosofica sul diritto, basta considerare alcuni dati di fatto evidenti della situazione contemporanea. Il tempo che stiamo vivendo si qualifica come tempo dell’umanesimo; vale a dire stiamo vivendo un tempo nel quale la dignità della persona umana riveste un ruolo primario nella vita sociale. D’altro canto, al tempo stesso ed in modo paradossale, mai come in questo tempo la persona è stata oggetto d’ingiustizie e soprusi da parte delle varie legislazioni civili. Il problema è quindi quello di comporre, nel giusto modo, da una parte l’affermazione della centralità del valore della persona e dall’altra il fatto, che proprio a a partire da detta centralità, ogni individuo si senta autorizzato a fare ciò che vuole, in nome di un frainteso pluralismo etico-culturale che in realtà non è altro che soggettività individuale che si trasforma in soggettivismo etico. Tutto questo, ovviamente, con nefaste conseguenze anche nel campo del diritto.

Il giusnaturalismo di stampo naturalistico lasciava trasparire la convinzione di poter giungere a sistemi giuridici razionali e definitivi dati una volta per tutte e le codificazioni della seconda metà del XVIII sec. e degli inizi del XIX sono una chiara manifestazione. Si dimenticava così che i Codici potevano si essere un utile strumento per l’amministrazione della giustizia ma non potevano realizzarla una volta per tutte secondo il cosiddetto mito della codificazione. Questa assolutizzazione, di una concezione statica e definitiva del diritto, fu messa successivamente in crisi dallo storicismo romantico, dall’idealismo e dall’evoluzionismo positivistico. Occorre rilevare che, sia l’idealismo sia l’evoluzionismo, insieme alla messa in crisi di un concetto di diritto dato una volta per sempre, introdussero un modo alternativo di concepire la storia quale successione di continui progressi.

Il diritto vigente, in tale prospettiva, correva il rischio di rivelarsi, e di fatto lo realizzò, come quello che, di volta in volta, era giusto che così fosse. Il realizzarsi di ordinamenti giuridici lesivi dell’umanità, soprattutto durante il corso del XX sec., portò a non poter più accettare in modo aprioristico ed acritico il carattere progressivo dello sviluppo storico, favorendo così un atteggiamento critico-interpretativo nei confronti del valore e della giustizia del diritto vigente. Diritto recepito dai più come manifestazione di potenza ed autoritarismo, in altre parole Diritto come espressione della forza. La presa di coscienza dell’involuzione subita dall’idea di diritto negli ultimi secoli, costituisce un chiaro invito per tutti a porsi le domande sul vero senso del diritto, avvertendo che il diritto stesso trova il suo senso ed il suo scopo nel fatto di dover essere sempre un diritto per l’uomo, in particolare per il debole e l’indifeso, e mai contro l’uomo, rispettando così il suo fondamento e le sue caratteristiche costitutive. Se il diritto è chiamato a regolare i rapporti intersoggettivi della vita, ad essere strumento d’ordine nella vita sociale, ciò non può avvenire in qualsiasi modo ed a qualsiasi prezzo, secondo l’arbitrio di una autorità o di una maggioranza, ma solo realizzando la giustizia: ius quia iustum e non ius quia iussum. Proprio perché esigenza irrinunciabile della nostra dimensione interiore concepire l’idea del giusto come assoluta, e non dipendente dal volere di chi detiene il potere in un determinato momento o dal consenso dei consociati, s’impone, oggi più che mai, una riflessione filosofica sul diritto che non si blocchi all’ineluttabilità del fenomeno diritto, ma colga il suo senso più profondo e proprio per l’uomo. Riflettere a livello filosofico sull’oggetto diritto significa quindi porsi delle domande sul fondamento di questa dimensione insopprimibile della natura umana, nella continua ricerca di risposte che aiutino a vivere in modo significativo questa quotidiana realtà della persona.

Date queste considerazioni possiamo comprende l’attualità dello studio che presentiamo dove l’A. sviluppa l’insieme delle questioni lasciandosi guidare dal pensiero di san Tommaso d’Aquino, e dalla sua sintesi soprattutto sul diritto naturale, utilizzando la cultura e la tradizione giuridica che l’ hanno preceduto. Il pensiero dell’Aquinate, e la sua sintesi, costituiscono, al tempo stesso, il punto di partenza e l’adozione di una metodologia che Pizzorni seguirà nella sua indagine senza peraltro limitarsi a questi. Infatti vengono utilizzati diversi contributi di vari autori presenti lungo il corso della storia fino ad arrivare ai contemporanei, come risulta dalle numerose citazioni, rilievi, commenti e considerazioni presenti nel testo, compiendo sempre un proficuo confronto tra quest’ultimi ed il pensiero del Doctor communis.

Il volume è diviso in tre parti proporzionate e strutturate in modo adeguato. La prima parte tratta del diritto in generale (pp. 13-165). In questa parte si affronta la questione relativa alla definizione del diritto e dei suoi caratteri che lo differenziano dalla morale. Differenze e distinzioni non sono opposizioni, perché la morale è il fondamento del diritto per cui un diritto immorale è impossibile da concepire, in quanto dal momento che è immorale smette di essere diritto.

Rilevante dal punto di vista del contenuto risulta essere, in particolare, il secondo capitolo sulla nozione di diritto (pp. 25-62). In esso vengono spiegate in modo approfondito le definizioni nominale e reale di diritto, a partire dalla considerazione dei vari contenuti semantici del termine diritto e proseguendo poi nell’analisi interpretativa dei concetti compresi nella definizione; vale a dire: giustizia, giusto mezzo, suo, uguale, altro, dovuto. In questa prima parte viene chiarito inoltre chi è soggetto del diritto, quali sono le differenze tra diritto e legge, qual è il fine del diritto, quali sono le peculiarità dell’obbligazione giuridica, ed infine si considera il problema dell’interpretazione alla luce dell’equità.

Nella seconda parte, quella centrale, alla quale risulta essere dedicato maggior spazio, viene studiata la problematica del diritto naturale (pp. 169-610) e viene dato preliminarmente una specie di glossario relativo ai termini usati. In particolare viene detto cosa bisogna intendere per diritto e soprattutto per natura, e come con l’Aquinate tali concetti ricevano una soluzione definitiva: il diritto naturale è definito come esigenza di ragione e necessità di giustizia, sotto il duplice aspetto di conoscimento (naturalis conceptio) e di tendenza (naturalis inclinatio) al bene nell’uso della libertà esercitata socialmente. Legge o diritto naturale che, nella classica definizione di san Tommaso, costituisce la partecipazione della legge eterna nella creatura razionale (partecipatio legis aeternae in rationali creatura). Apprezzabili, in particolare in questa seconda parte, sono i capitoli dedicati a chiarire i dubbio che nel corso dei secoli hanno alterato il concetto autentico di diritto naturale fino ad arrivare all’inesatta idea confessata dal giusnaturalismo illuministico ed ateo. Sono affrontate, inoltre, le tematiche relative alla conoscenza del diritto naturale, al fondamento ontologico, al suo contenuto differenziale e graduato nella storia, al significato per la persona e la società ed alla presenza del diritto naturale nelle varie Dichiarazioni dei diritti dell’uomo, con attuali riferimenti alle ultime celebrazioni in occasione del cinquantesimo anniversario della Dichiarazione del 1948 a cura delle Nazioni Unite. Occorre rilevare che non viene tralasciata neppure la spiegazione relativa al fondamento ultimo del diritto naturale. Essa si trova in Dio, che è principio e fine di tutte le cose. Anche se bisogna ammettere, come esplicitò il Concilio Ecumenico Vaticano I (1869-1870) riferendosi alla Scrittura (cfr. Rm. 2, 14-16), che è possibile averne una qualche conoscenza anche senza risalire per forza al Creatore ma semplicemente muovendo dalla ragione.

Nella terza ed ultima parte, si considera il diritto positivo (pp. 613-815), della sua natura e della sua necessità, delle sue relazioni con il diritto naturale, dei suoi incontestabili limiti. Vengono inoltre affrontate alcune questioni specifiche che rivestono un interesse particolare per la nostra odierna società, come la liceità della resistenza alla legge ingiusta — tema noto ai più oggi come obiezione di coscienza — , oppure l’atteggiamento da assumere nei confronti di un potere tirannico o dittatoriale. Questa terza parte si conclude con un capitolo su Persona, diritto, Stato. In esso sono accuratamente studiate alla luce del personalismo sociale cristiano-tomista le relazioni che devono intercorre tra Persona e Stato, Persona ed Autorità arrivando a riaffermare Societas pro persona, e non viceversa. In particolare viene riportato un pensiero di Bobbio, il quale afferma che: «il giusnaturalismo, in quasi tutte le sue accezioni, ha sostenuto, e non poteva non sostenere, che il potere sovrano ha dei limiti, che questi limiti derivano dall’esistenza di norme superiori a ogni volontà umana (anche a quella in cui si esprime la summa potestas), e pertanto è moralmente, se non legalmente, condannevole ogni sovrano che li trasgredisca. In altre parole il giusnaturalismo, come teoria oggettivistica della morale, è servito ottimamente da fondazione di ogni teoria favorevole ai limiti del potere statale, […] [da] garanzia internazionale dei diritti dell’uomo contro il perenne pericolo dello Stato totalitario» (p. 784).

Lo scritto termina con una lunga conclusione generale (pp. 817-830) e l’augurio che possa riaffermarsi la «dottrina classica, cristiano-tomista del Diritto naturale per la salvaguardia e la difesa della Persona umana, della sua dignità e dei suoi diritti fondamentali contro lo strapotere dell’autorità dello Stato, per la vera pace dei popoli, delle nazioni e del mondo intero» (p. 830).

Tutti i diversi temi sono esposti in modo scientifico e rigoroso con abbondanza di citazioni e rimandi storici. Lo scopo è quello di aiutare il lettore ad orientarsi in una materia così ampia, articolata, delicata, e non priva di conseguenze, come ognuno può, del resto, immediatamente rendersi conto. Anche se la prospettiva di cui si è avvalso l’A. — cioè quella di privilegiare l’idea di una filosofia del diritto come particolarmente orientata alla riflessione sul diritto naturale — è oggi scarsamente condivisa, rimane tuttavia valida come scelta da proporre a coloro che s’interessano a diverso titolo della realtà diritto. Pensiamo infatti rimanga profondamente vero che un atto di giustizia ha sempre un atto preesistente. L’atto di giustizia è sempre un atto secondo. Dire che il diritto deve essere giusto o che il diritto positivo umano è opera di giustizia ha senso se si ha un diritto preesistente in relazione al quale può e deve essere giusto. Questo diritto preesistente è proprio, secondo l’A., il diritto divino naturale. Concludendo osserviamo che la severa logica interna e la comprensibilità espositiva ne fanno un lavoro ideale per introdurre i vari studiosi della materia al concetto di diritto, la cui anima è e non può essere che la giustizia.