Recensione a Lidia Caputo, Coscienza e intersoggettività nella fenomenologia di Husserl

Lidia Caputo, Coscienza e intersoggettività nella fenomenologia di Husserl, Pensa Multimedia, Lecce 2013.

Il lavoro di Lidia Caputo si colloca nell’interessante filone di ricerche che vede nella fenomenologia di Edmund Husserl la tensione teoretica del binomio «coscienza e intersoggettività», al centro, negli ultimi decenni, di una profonda riflessione in campo filosofico ed epistemologico-scientifico.

È un fatto che la problematica dell’intersoggettività costituisca uno dei nodi epistemologici più complessi della fenomenologia (cfr. p. 12) che, aggiungiamo, mette in difficoltà lo stesso Husserl a un certo punto delle sue vaste ricerche e che innesca sviluppi inediti nei brillanti approfondimenti di pensatori contemporanei quali Maurice Merleau-Ponty, Paul Ricœur, Emmanuel Levinas, Jacques Derrida, Bernhard Waldenfels, per citarne alcuni. Quest’ultimo, allievo di Merleau-Ponty e considerato, oggi, tra gli studiosi fenomenologici di lingua tedesca più significativi, suggerisce all’autrice che l’aspetto più interessante della duplice dimensione (naturale e fenomenologica) dell’intersoggettività husserliana è costituito dall’«avventura» dell’io che, inconsapevolmente o intenzionalmente, fa esperienza dell’altro, dell’estraneo, del nemico, dell’ospite, dell’amico, comunicando con il suo corpo vivente (der Leib) e il suo volto (das Gesicht), mediante il contatto, la parola e il silenzio, in cui si scopre simile all’altro (cfr. p. 103). Questo breve riferimento a Waldenfels mette a fuoco come la fenomenologia di Husserl abbia destato molti echi, intersecato svariate strade, innestato, al di là delle proprie intenzioni, percorsi non ancora pensati, apparentemente così lontani dal punto in cui egli rimaneva.1

L’autrice si cimenta con il nucleo problematico di coscienza e intersoggettività, tentando di mostrare la continuità fra l’Husserl «trascendentale» che prende solennemente posto nella storia della filosofia, e l’Husserl «realista» degli Erlebnisse (fluire dei vissuti) e della Fremderfahrung (conoscenza dell’altro) utilizzando la strada dell’analisi testuale, tesa a rintracciare una sorta di unità diacronica nel pensiero husserliano, unità che però lo stesso Husserl mette in questione con la problematicità della Lebenswelt (mondo della vita).

L’ombra che accompagna Husserl, infatti, secondo la lettura che ne dà Merleau-Ponty in Il filosofo e la sua ombra, lascia intravvedere una diversa postura rispetto ai significati attribuiti all’opera husserliana, poiché «se dobbiamo molto allo stesso Husserl, non siamo in grado di vedere esattamente ciò che gli appartiene […]. Se si pensa che l’interpretazione è costretta o a deformare o a riprendere letteralmente, è perché si pretende che il significato di un’opera sia del tutto positivo, e suscettibile, in linea di diritto, di un inventario che delimiti ciò che vi si trova e ciò che non vi si trova. […] Quando Husserl giunge al termine della sua vita, c’è un non-pensato di Husserl, che è interamente suo, e che però mette capo a qualcosa d’altro».2 Ed è proprio questo ritmo, di pensato e di ciò che è ancora da pensare della fenomenologia husserliana, a fare da sfondo alle pagine del testo di Lidia Caputo.

A partire da Ideen II, Husserl perviene a una terza dimensione, una «nuova via» che scopre essere paradossalmente non filosofica, non riflessiva e che si dirige letteralmente altrove.3 L’iniziale progetto coscienzialistico husserliano, di una «filosofia come scienza rigorosa» fa i conti con l’esigenza di una nuova episteme del mondo della vita, mettendo in questione l’assolutezza della coscienza.4 L’«ombra» husserliana — cui la Caputo tenta talvolta di dar forma esplicativa, delineando tratti interpretativi personali — interseca il difficile rapporto della coscienza intersoggettiva con i chiaroscuri della doxa, dell’opinione originaria (Urdoxa) che intrama la nostra esistenza. Come scrive Carlo Sini nel suo recente saggio dal titolo Incontri, il tema della Lebenswelt assume importanza fondamentale in Die Krisis der europäischen Wissenschaften e «proprio il riferimento alla doxa ci consente di comprendere nel modo più adeguato e approfondito che cosa significhi l’espressione famosa (ma non sempre davvero intesa) “mondo della vita”. […] Un mondo caratterizzato da qualsiasi prassi umana, da qualsiasi vita prescientifica: una vita perennemente agitata che plasma in avanti e di continuo l’orizzonte del suo mondo, immenso e anonimo. Queste straordinarie espressioni designano dunque quegli atteggiamenti che sono propri della cosiddetta doxa. Tutt’altro che qualcosa di semplice e di immediato; anzi, un vero e proprio “sapere” che obbedisce alle esigenze imposte dai progetti pratici della vita quotidiana; un sapere che si giova di conoscenze predicative, cioè di veri e propri giudizi impliciti o espliciti che vengono di continuo confrontati con le esperienze di vita, e il cui controllo dà luogo a verità a loro modo ben definite».5 Trascurare questo dato essenziale nell’evoluzione ultima del pensiero di Husserl, cioè dell’urgenza di una nuova via epistemica che leghi le conoscenze predicative ai progetti pratici della vita quotidiana, significa restringere acriticamente la problematica di coscienza e intersoggettività soltanto a un improvviso e inspiegabile cambiamento di rotta nel tragitto husserliano. Significa non vedere la portata euristica di un realismo che abbia il suo fondamento nella vita prescientifica del mondo; o anche a non comprendere la distanza che separa il pensiero di Husserl da quello di Heidegger, suo allievo diretto, il quale in Essere e tempo segue articolazioni e sviluppi di una «ontologia dell’essere nel mondo» giudicati da Husserl inconsistenti e impossibili, privi di qualsiasi fondamento epistemico.6

Caputo esamina ad arco l’intera produzione husserliana, dai tempi della Philosophie der Arithmetik (1891) e dell’influenza del nodo dell’intenzionalità presente in Franz Brentano fino a Zur Phänomenologie der Intersubjektivität (1905-1935), monumentale raccolta di manoscritti sull’intersoggettività a cura di Iso Kern.

Le modalità di costituzione della coscienza (Bewußtsein) e il loro carattere dinamico sono esaminati nel primo capitolo Fenomenologia della coscienza trascendentale, segnando l’inaugurazione di un nuovo modello di logica nel percorso di Husserl e la genesi interpretativa del processo percettivo, nonché la distanza dell’elaborazione husserliana dalla filosofia cartesiana e kantiana, da Hume e dall’idealismo platonico. Il secondo capitolo è interamente dedicato alla disamina delle Cartesianische Meditationen, piattaforma basica per esercitare l’epoché trascendentale, dalla quale emerge, soprattutto nella V Meditazione, l’Eigenheitsphäre, la sfera del totalmente altro che genera la nostra stessa individualità.

In Tempo e correlazione universale l’autrice documenta lo spessore epistemico della genesi prelogica e preindividuale del mondo comunicativo sin dagli appunti husserliani del 1893 Sulla genesi, passando attraverso le ricerche sulla teoria della conoscenza e le lezioni del 1904/1905 e quelle dal 1893 al 1917, raccolte e rielaborate da Edith Stein e pubblicate nel 1928 da Heidegger come Zur Phänomenologie des inneren Zeitbewußtseins.

È da sottolineare il lavoro di scavo dell’autrice: l’analisi fenomenologica dell’esperienza comunicativa attraverso i manoscritti inediti, redatti con la lettera C ed editi in lingua italiana soltanto negli ultimi decenni, è affinata dalla traduzione personale e dal commento di alcune parti di testi ripresi dalla raccolta di Kern, e inseriti nell’ultimo capitolo (L’intersoggettività nell’esperienza naturale e nella comunicazione). L’autrice vi scorge in filigrana la fondazione di una vera e propria antropologia relazionale che documenta, fin dai primi anni del Novecento, la tensione di Husserl a porre i fondamenti metodologici per la costituzione intenzionale non solo della coscienza individuale, ma anche di quella trascendentale che forma la sorgente della comunità universale. Tuttavia, come ho sottolineato all’inizio, per Husserl tale approdo non è affatto scontato, ma si intreccia problematicamente ed enigmaticamente con il sapere comune, la comune atmosfera del «sapere» e dei saperi molto differenziati che caratterizzano ogni tempo storico, affidandoci il compito esclusivo e continuo di imparare a fare i conti con i caratteri di relatività della Lebenswelt.7 Difatti, Husserl si domanda nella Krisis: come realizzare questa diversa scientificità a cui finora s’è sempre sovrapposta quella obiettiva? «Il primum reale — scrive il padre della fenomenologia — è l’intuizione “meramente soggettivo-relativa” della vita pre-scientifica nel mondo».8

Lidia Caputo ci dà l’occasione di individuare, oltre alle complesse analisi dei testi husserliani e alla loro rielaborazione critica, il sentimento che attraversa l’infaticabile ricerca del pensatore moravo e il senso stesso del pensare filosofico: l’audacia del nuovo e l’approdo a un «piccolo inizio», come ebbe a dire lo stesso Husserl alla fine della sua vita.

Ma perché un piccolo inizio? Lo straordinario cammino di Husserl, tutt’altro che lineare, nonché la sua smisurata produzione, fanno i conti con un gesto inaugurale dalla portata inaudita e rivoluzionaria, come rileva Sini9: la Lebenswelt emersa dal metodo dell’epoché trascendentale, con il precategoriale che retrostà ad ogni riflessione, costringe a cominciare interamente da capo. Cioè, a cominciare da un mondo comunicativo nel quale, osserva Waldenfels, occorre sentirsi toccati dagli altri, prima ancora di giungere a chiedere chi siano o cosa significhino le loro parole (p. 103).

Per concludere, il quotidiano, il senso comune, la comunicazione interumana entrano nella riflessione teoretica imprimendo alla percezione della doxa un inaudito carattere epistemico che invita a intraprendere l’analisi di «ciò che tutti sanno», la comune atmosfera del sapere che intenziona il sapere stesso, costitutivamente multiforme e relativa. In questa prospettiva, la ricerca di senso nel mondo naturale o sociale coincide con la ricerca e la scoperta dell’altro, che, anche in quanto estraneo — è bene sottolinearlo oggi —, ci interpella, sollevandoci dall’indifferenza, e ci sollecita a un impegno responsabile nei confronti della società.


  1. M. Merleau-Ponty, Signes, Gallimard, Paris 1960; tr. it. di G. Aufieri, a cura di A. Bonomi, Segni, Il Saggiatore, Milano 2003, p. 211. ↩︎

  2. Ibidem, p. 60. ↩︎

  3. Cfr. M. Merleau-Ponty, (1960), Il filosofo e la sua ombra, in Segni, cit., p. 215. ↩︎

  4. Cfr. G. Semerari, Introduzione a E. Husserl, La filosofia come scienza rigorosa, p. XVIII. «Bisogna dire che sarà Husserl stesso a mettere in questione, nelle ricerche successive, quello che è indubbiamente il dogma della prima fenomenologia: l’assolutezza della coscienza. Sarà Husserl stesso a risolvere la logica del coscienzialismo nella più critica logica di quello che sarà chiamato, a partire dagli anni Venti e soprattutto ne La crisi delle scienze europee, il mondo-della-vita quale fonte di senso di ogni sapere e di ogni scienza formalizzata come tale». ↩︎

  5. C. Sini, Incontri. Vie dell’errore, vie della verità, Jaca Book, Milano 2013, pp. 99-100. ↩︎

  6. Cfr. Ivi, p. 100. ↩︎

  7. Cfr. Ivi, pp. 101-104. ↩︎

  8. E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie, Martinus Nijhoff, L’Aia 1959; tr. it. di E. Filippini, a cura di E. Paci, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Net 2002, p. 154. ↩︎

  9. Cfr. C. Sini, Incontri, cit., pp. 96-100. ↩︎