Editoriale: Qualche domanda dell’etica all’economia

I precedenti editoriali di Dialegesthai sono stati pubblicati nel 1999 con il titolo La verità dialogica, cioè aver bisogno dell’altro e nel 2010 con il titolo Dieci anni dopo.

Vogliamo invitare a riflettere, in particolare gli amici economisti, nell’orizzonte dell’etica sociale e prima ancora dell’etica tout court, sulla «piramide della ricchezza globale», che non ha un valore di denuncia ideale o ideologica, ma è il grafico del Global Wealth Report elaborato dal Crédit Suisse.

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È un grafico che fa pensare e che fa anche comprendere l’indignazione che monta a livello planetario. È possibile e soprattutto è accettabile che l’8% della popolazione mondiale detenga il 79,3% delle ricchezze e che il 92% della popolazione mondiale debba disporre soltanto del 20,7%? Messo in forma proporzionale diventa sconvolgente: 8:80 ≠ 92:20, che con altri termini suona: ognuno degli 8 ha 10, ognuno dei 92 può contare sullo 0,2. Se si fanno i calcoli anche sul restante 16,5% i dati sono tragici. Questo è l’attuale risultato dell’economia. Viene allora da chiedersi se il senso dell’economia è ancora quello della gestione delle risorse per il bene comune, oppure si è trasformato nel feroce gioco finanziario che, affamando milioni di esseri umani, sta mettendo a repentaglio la stessa sopravvivenza del pianeta. Il mercato è un ente metafisico a cui bisogna sottomettersi, oppure può essere ricondotto a quello strumento di cooperazione attraverso cui si costruisce socialità, com’era in origine? L’economia è deputata alla individuazione delle modalità di produzione dei beni a vantaggio di tutti, oppure si è ormai, nel processo globale, trasformata in produzione di beni finanziari attraverso una logica speculativa che schiaccia i popoli e le nazioni? Libertà, liberalismo, liberismo è un percorso necessario? Che rapporto dobbiamo ancora pensare tra giustizia ed economia e prima ancora tra libertà e giustizia? C’è spazio per un’economia del bene comune? Per un’economia del dono? Per un’economia di comunione?

Le molteplici domande indicano la complessità della questione, ma proprio per questo vogliamo programmare una ricerca a più voci che si proponga come contributo critico per pensare altrimenti, l’economia ma non soltanto. Non ci proponiamo una scadenza, piuttosto verrà aperta sulla rivista una finestra dedicata a «etica ed economia» che verrà aggiornata continuamente e intende essere un contributo vivo e continuo al dibattito. Se mi è consentito avviarlo, credo che siamo di fronte a una crisi di carattere antropologico. Se la vittoria dell’economia di mercato ha il sopravvento non dobbiamo forse dichiarare con onestà il fallimento della stessa economia?

Il mercato cerca i capitali e intende farli fruttare il più possibile, ma è lecito che il malessere di interi popoli sia subordinato a rispondere alle attese degli investitori? È possibile un’altra strategia che consideri la terra non soltanto lo spazio dell’utile, ma anche il luogo in cui sia possibile la convivenza dei popoli come loro casa?