Linee e fondamenti per una vita simulata

L’utilizzo di nuovi strumenti tecnologici è in progressivo e vertiginoso aumento. Se i veterani della seconda guerra mondiale guardano attoniti il solipsismo dei ragazzini semi-alienati davanti ai loro schermi, le generazioni dei baby boomers, in un alternarsi di rifiuto ed esaltazione, hanno accettato il cambiamento al punto da ritenere di non poter più fare a meno della loro scrivania virtuale. La questione diventa estremamente complicata riflettendo sulle odierne teorie dell’apprendimento: lavagne interattive e seriuos games vengono spesso qualificati come metodologie propedeutiche avanguardiste portatrici di un successo assicurato. Se è lecito ammettere che siamo ormai immersi in una svolta epocale, è necessario avere uno sguardo lucido, per non perdere di vista il valore etico insito nell’utilizzo di queste nuove tecnologie, avendo cura di non cadere in ostracismi o in facili sillogismi apologetici quali tecnica/progresso.

Nel presente contributo è stata condotta una riflessione sul significato epistemologico del fenomeno realtà virtuale. Nel discutere tale argomento si intende concentrare l’attenzione sui processi e sulle implicazioni teoretiche alla luce dei risultati conseguiti in ambito pratico. Le linee guida della ricerca vertono sul tentativo di comprensione del mutamento fenomenologico introdotto dal concetto in questione. È stato necessario introdurre un indagine semiologica, per poi sviscerare la complessità della tematica in modo da alienare potenziali pregiudizi. Inoltre è stata fondamentale l’osservazione di esperimenti condotti in sistemi di realtà virtuale per comprenderne l’offerta cognitiva e riflettere filosoficamente sui paradigmi che introduce.

2. Realtà virtuale come espressione del verosimile

Un utilizzo improprio della parola virtuale, in un epoca di esasperata ricerca in ambito tecnologico, può essere manifesto di una profonda ideologia. Nel linguaggio comune il termine viene utilizzato ogniqualvolta ci si riferisce a ciò che non esiste nella realtà effettuale, nella pura materia. Siffatta definizione genera una grande confusione riconducibile all’inadeguata relazione che pone tra il reale e il non reale e conseguentemente tra verità e finzione. Possiamo notare che nella genealogia semantica il vocabolo latino virtualis, da virtus ciò che è in potenza e sta per trasformarsi in atto, prescrive un inscindibile dialettica tra la realtà manifesta e la propria radice astratta. Se accettassimo questo punto di vista sarebbe impensabile la cesura imposta dal linguaggio corrente; d’altra parte riuscirebbe più semplice comprendere l’ossimoro grammaticale realtà-virtuale, coniato da un celebre ingegnere, Jaron Lanier, durante un intervista pubblicata nel 1988. Il tecnico sostiene che «ricrea la nostra relazione con il mondo fisico su di un nuovo piano. Non influisce sul mondo soggettivo e non ha niente a che fare direttamente con ciò che è nel cervello. Ha a che fare solo con cosa i nostri organi sensoriali percepiscono».1

L’interpolazione tra virtuale e reale è dunque riconducibile nell’ambito del comportamento e della percezione del soggetto esperienziale; in aggiunta deve esser considerato il fatto che essendo la risultante di due autonomi domini di senso, sarebbe illegittimo tentarne una definizione sulla base di un unico ed intrinseco criterio di verità. Tuttavia la dimensione simulata può esser definita reale in quanto vissuta come se fosse tale; lo può dimostrare la paura esibita di fronte ad un avatar particolarmente aggressivo oppure il disagio percepito guardando un incidente stradale simulato.

Una possibilità per aggirare il problema, in linea col pensiero del filosofo statunitense Kendall Walton, sarebbe quella di ipotizzare una netta distinzione tra mondi di finzione e mondi reali, e interpretare l’interazione psicologica secondo la categoria del fittizio. Walton esemplifica con l’accaduto di Charles, uno spettatore cinematografico particolarmente sensibile, la cui paura di fronte alla creatura mucillaginosa di una pellicola horror lo induce a gridare aggrappandosi alla propria sedia. Nel dimostrare che la paura di Charles appartiene al dominio del fittizio, l’autore tenta una comparazione con il comportamento presumibilmente adottato nella vita concreta. Se un mostro tentasse di avvicinarci, in preda a un terribile spavento, non esiteremo a fuggire, al contrario sapendolo non-reale, godiamo della suggestione.2 La soluzione di Walton appare come uno spurio rigiro di parole, irrilevante dal punto di vista contenutistico. Piuttosto che risolvere la questione con l’appellativo quasi-paura,3 sarebbe opportuno riflettere sul livello cognitivo vissuto durante le esperienze e i modi in cui il soggetto risponde ad elevati gradi di illusione.

Che l’uomo, in quanto animale mimetico, si abbandoni alle finzioni per puro piacere e ne tragga godimento, non è soltanto opinione comunemente accettata, ma un caposaldo della filosofia che trova radici nel pensiero aristotelico.4 Con un approccio eminentemente cognitivista, lo stagirita analizza l’ars poiesis considerandola come una scienza e ne sottolinea l’appartenenza alla categoria del verosimile. L’emozione dell’arte non è conseguenza di una riproduzione fedele della realtà, bensì esibizione di una dimensione credibile:

risulta chiaro che compito del poeta non è dire ciò che è avvenuto ma ciò che potrebbe avvenire, vale a dire ciò che è possibile secondo verosimiglianza o necessità. Lo storico e il poeta non differiscono tra loro per il fatto di esprimersi in versi o in prosa […] ma differiscono in quanto uno dice le cose accadute e l’altro quello che potrebbe accadere.5

Ne consegue una similitudine tra verosimiglianza e realtà virtuale, concetti riconducibili ad un unica matrice. Allo stesso modo del verosimile, la realtà virtuale non si relaziona al reale per analogia, poiché esprime un codice di significato autonomo. Da una parte c’è la concretezza materiale della vita, dall’altra ci troviamo di fronte ad un universo sintetico simulato. Tuttavia il livello di coinvolgimento raggiunto dai nuovi sistemi tecnologici pone ulteriori domande. Che ruolo ha la nostra corporalità? È possibile perdere di vista la cornice contestuale e scambiare per reali oggetti che sono soltanto una sintesi di byte? Per rispondere a tali questioni è necessario fare un ulteriore passo in avanti e scrutare gli esiti delle ricerche sul campo.

3. È possibile toccare una forbice virtuale?

Attualmente la lacerata querelle sulla relazionalità mente-corpo, ossessione secolare della critica filosofica, torna ad essere motivo centrale di discussione. Sebbene la ricerca in ambito neurologico abbia raggiunto risultati che paiono dimostrare un ineluttabile superamento dell’antico dualismo, tuttavia da un punto di vista speculativo non è ancora stata elaborata una vera e propria teoria sistemica. Il successo del concetto di mente incarnata (embodied mind) ,6 non ha avuto meritato riscontro in ambito teoretico ed è tutt’ora arginata entro un dibattito etichettato come cognitivista. È ipotizzabile che l’incapacità di afferrare tout court il valore di tali sperimentazioni sia dovuto al fatto che ci troviamo di fronte ad una sorta di rivoluzione sul campo. La filosofia, in quanto sapere fondato sui concetti, risulta inadeguata a gettare uno sguardo complesso verso il reale, ritirandosi a combattere battaglie di retroguardia entro ambiti consoni alle proprie logiche e non ponendosi più a fondamento di una forma critica di conoscenza. Ancorandosi alle definizioni diventa inoltre pericolosa, fornendo un contributo ideologico incline ad essere strumentalizzato. Sarebbe certamente più utile rivolgere l’attenzione, senza pregiudizi e esaltazioni, alle sperimentazioni scientifiche al fine di poter elaborare un contributo essenziale. Ad esempio, si potrebbero dedurre importanti valutazioni sull’agire umano analizzando un recente esperimento ingegneristico sull’illusione tattile in un ambiente virtuale. In sintesi, diciassette persone, per l’esattezza dieci maschi e sette femmine, dotati di occhiali per la visualizzazione stereoscopica, di sensori psicologici e fisiologici, e uno strumento di monitoraggio nel palmo della mano, sono stati posizionati di fronte ad un interfaccia di realtà virtuale definita semi-immersiva (powerwall) .7 I partecipanti furono invitati a toccare sette differenti oggetti virtuali (un cono, un cubo, un cilindro, una piramide, forbici, una sfera e

un vaso), che in successione venivano posti di fronte a loro. L’analisi valutativa conseguente l’esperimento fece riferimento alle variazioni di eccitazione che suscitarono alcuni oggetti rispetto ad altri e a post-questionari. I risultati persuasero i tecnici ad ammettere che gli oggetti angolosi inducono una sorta di percezione tattile concreta, e ne discussero le ragioni nel paper di presentazione del progetto.8 Probabilmente la pre-conoscenza della forbice, associata all’idea di pericolosità, dispone il soggetto ad averne paura, e da ciò ne consegue la sensazione avvertita; ma come possibile che avvenga in un sistema di realtà virtuale, nel regno della mera simulazione? Oppure, é lecito ammettere che l’oggetto sintetico e quello reale si somiglino a tal punto che non se ne percepiscano le differenze?

La condizione ambientale del soggetto sperimentale è contraddistinta da una preliminare consapevolezza, e l’abbandono all’illusione è da considerarsi come come un azione volontaria, e in quanto tale deliberata. Perciò le sovra citate domande risultano forvianti, poiché si basano sull’idea che non vi sia una coincidenza tra spirito e materia, tra ciò che la mente presuppone e il meccanismo corporeo corrispondente. La scoperta dei neuroni specchio ha dimostrato la validità del fenomeno della simulazione incarnata: il coinvolgimento empatico dell’esperienza estetica non è meramente circoscritto al processo percettivo del guardare, ma si configura in tutta una serie di reazioni fisiche nel corpo dell’osservatore9 .

Un contributo essenziale per comprendere l’analogo filosofico della questione è l’approccio ontologico di Jonas, il quale nel ricostruire fenomenologicamente l’evoluzione della vita organica si propone l’obiettivo di rendere «all’unità psicofisica della vita il posto nel tutto teoretico che ha perso a partire da Cartesio a causa della divisione del mentale dal materiale».10 A tal fine introduce una connessione necessaria tra organismo e libertà, e svincola quest’ultima da una secolare concettualizzazione antropocentrica. La libertà infatti, viene interpretata come un «modo dell’essere oggettivamente discernibile […] che dapprima può essere riferito addirittura a dati di fatti meramente corporei».11 L’evoluzione della funzione biologica dell’organismo viene definita sulla base del principio-guida della libertà e raggiunge il proprio apice nell’uomo, che in tal modo appare come il manifesto di un indissolubile vincolo tra spirituale e materia, tale da rendere inadeguata una qualsiasi forma di riduzionismo al cogito. Libertà dell’organismo e propensione alla mimesi sono gli elementi chiave per comprendere le reazioni di un individuo in un contesto simulato. La percezione tattile di una forbice virtuale non è altro che una manifestazione della natura imitativa dell’uomo, il quale esprime la propria libertà abbandonandosi totalmente al piacere dell’illusione. In altri termini, si tratta di simulazione liberata, cioè del fatto che, nel sospendere la sua presa sul mondo, l’uomo si affranca da un coinvolgimento personale diretto e riempie il vuoto dell’invisibile mediante desiderio imitativo.12 Una nuova ontologia che in un linguaggio tecnico si spiega in termini di presence,13 l’elemento chiave per interpretare il comportamento in un ambiente virtuale.

4. Presence. Il ruolo epistemologico di un universo sintetico

La parola presence viene utilizzata per descrivere il comportamento di un soggetto esperienziale entro una dimensione artificiale. Uno tra i maggiori studiosi europei, l’ingegner Mel Slater, ne fornisce una definizione esaustiva, distinguendo tra place illusion, l’illusione di essere in un posto, e plausibility, l’illusione che quel posto sia reale, che si sintetizzano nell’idea che ciò sta accadendo a me. Da notare la stretta correlazione al concetto di illusione, volta a sottolineare l’aspetto dell’esser cosciente della condizione di presenza. Non a caso, nel paper di battesimo di un sistema immersivo di realtà virtuale, il CAVE, si parla di suspansion of disbelief, cioè di una deliberata sospensione dell’incredulità al fine di abbandonarsi al gioco della finzione.14 Lo stesso Coleridge, che per primo coniò tale termine, lo utilizza per sottolineare la volontarietà dello spettatore teatrale che temporaneamente sospende l’epochè scettica per godere della piece.15

Inoltre, la presenza si contraddistingue dall’immersione, in quanto non è direttamente proporzionale agli strumenti tecnologici utilizzati per indurla, e pertiene esclusivamente all’ambito comportamentale, di conseguenza riveste un importante valore epistemologico. Tuttavia per vagliarne le alterazioni vengono condotti numerosi test in ambienti virtuali fortemente immersivi. Un esempio, fu la riproduzione del celebre esperimento di Milgram, in cui i pazienti umani furono sostituiti con avatar virtuali. Il risultato sorprendente fu che sei dei ventitré individui sottoposti a prova scelsero di terminare l’esperimento, mentre la restante totalità ha avuto un rilevante aumento del battito cardiaco durante la somministrare di scosse elettriche al personaggio simulato. A ragione si argomenta in termini di fenomenologia della presenza: nonostante la consapevolezza che ciò che sta accadendo sia finzione, il comportamento e le risposte sono compatibili al come se dell’evento concreto.16 In altri termini, il coinvolgimento vissuto non pertiene soltanto le emozioni, ma ne determina l’esito comportamentale.

Da un punto di vista tecnico sarebbe auspicabile l’irrealizzabile presupposto di una condizione di totale incoscienza al fine di vagliare la potenza immersiva del sistema, tuttavia ritengo interessante definire l’estremo emotivo e comportamentale in una situazione di abbandono cosciente. Il come se è il valore di verità della finzione, l’elemento che permette all’uomo di giocare kantianamente con le apparenze senza ingannarsi,17 e ha il merito di rendere le esperienze simulate un importante momento di apprendimento: è soltanto nell’esser coscienti che subentra la possibilità di acquisire conoscenza ed imparare.

5. Verso una nuova forma di trascendenza

La presenza appartiene anzitutto all’aspetto quotidiano della vita di ciascuno, potrebbe esser definita, utilizzando il linguaggio di Alfred Shutz, come l’atteggiamento naturale entro il vivido presente del mondo a mia portata.18 È normale emozionarsi nel rincontrare una persona cara dopo molti anni di lontananza, percepire l’alienazione di un ventennale lavoro ripetitivo, angustiarsi quando si ricevono ingiurie dal prossimo. Tuttavia risulta sorprendente avere reazioni analoghe al cospetto di un avatar aggressivo o in una fabbrica virtuale. La cognizione della finzione non impedisce di esser presente nel modo più profondo, come un indissolubile unione mente-corpo propria dell’organismo. Tale forma di presenza appare come una sorta di trascendenza, un esperienza stupefacente in ci si libera dalla preminenza di una rigida materialità per entrare in una dimensione fluttuante, a-temporale e coinvolgente sia livello empatico che sensoriale. Come in ogni forma di trascendenza, il ritorno alla vita è una reinterpretazione della vita stessa, con un accresciuta consapevolezza che ci permette di guardare il mondo secondo le sue infinite possibilità.

Perciò è necessario riflettere sul contenuto della presenza, e comprenderne le pratiche di sperimentazione e valutazione. Il terreno è fertile ed è necessario esser capaci di coglierne le potenzialità.

6. Bibliografia

  • Aristotele, Poetica, a cura di G. Paduano, Laterza, Roma-Bari 1998.
  • A. Brogni, D. G. Caldwell, M. Slater, Touching Sharp Virtual Objects Produces a Haptic Illusion, in Virtual and Mixed Reality-New Trends, vol. 6773 Part I, R. Shumaker 2011, pp. 234-242.
  • S. T. Coleridge, Biographia literaria, in Opere in prosa, Bompiani, Milano 2006.
  • C. Cruz-Neira, D. J. Sandin, T. A. DeFanti, R. V. Kenyon, J. C. Hart, The CAVE. Audio visual experience automatic virtual environment, Communications of the ACM, Vol. 35 N. 6, June 1992, pp. 65-72.
  • V. Gallese, Corpo e azione nell’esperienza estetica. Una prospettiva neuroscientifica, in U. Morelli, Mente e bellezza. Mente relazionale, arte creatività e innovazione, Umberto Allemandi & c., Torino 2010.
  • V. Gallese, D. Freedberg Movimento, emozione, empatia. I fenomeni che si producono a livello corporeo osservando le opere d’arte, Prometeo, Arnoldo Mondadori Editore, Settembre 2008, Anno26, N. 103, pp. 52-59.
  • H. Jonas, Organismo e libertà. Verso una biologia filosofica, Einaudi, Torino 1999.
  • I. Kant, Inganno e illusione, in I. Kant, J. G. Kreutzfeld, Inganno e illusione. Un confronto accademico, a cura di M. T. Catena, Alfredo Guida Editore, Napoli 1998.
  • M. Slater, Place illusion and plausibility can lead to realistic behaviour in immersive virtual environments, Philosophical Transactions of the Royal Society B: Biological Sciences, vol. 364 (1535), December 2009, pp. 3549- 3557.
  • M. Slater, M. V. Sanchez-Vives, From presence to consciousness through virtual reality, Nature Reviews Neuroscience, vol. 6, April 2005, pp. 332-338.
  • M. Slater, A. Antley, A. Davison, D. Swapp, C. Guger, C. Barker, N. Pistrang, M. V. Sanchez-Vives, A Virtual reprise of the Stanley Milgram obedience experiments, PLoS ONE 1, December 2006, (doi:10.1371/journal.pone.0000039).
  • A. Shutz, Sulle realtà multiple, in Saggi sociologici, a cura di A. Izzo, Utet, Torino 1979.

  1. L’intervista completa è reperibile nel sito internet http://www.jaronlanier.com/vrint.html↩︎

  2. K.L.Walton, Mimesi come far finta. Sui fondamenti delle arti rappresentazionali, a cura di M.Nani, Mimesi, Milano-Udine 2011, pp. 234-235. ↩︎

  3. Walton definisce lo stato fisiologico-psicologico di Charles quasi-paura sottolineando che l’aspetto fittizio della sua reazione emotiva è differente allo spavento indotto da un evento concreto. In merito si rimanda ai paragrafi 5.2, 7.1 del testo di Walton, ivi, pp. 234-244, 284-293. ↩︎

  4. Nella Poetica Aristotele afferma: «L’imitare è congenito fin dall’infanzia all’uomo, che si differenzia dagli altri animali proprio perché è il più portato a imitare, e attraverso l’imitazione si procura le prime conoscenze: dalle imitazioni tutti ricavano piacere». Aristotele, Poetica, a cura di G. Paduano, Roma-Bari, Laterza 1998, 1448 b5-1448 b9. ↩︎

  5. Ivi, 1451 a36-1451 b5. ↩︎

  6. Il concetto di mente incarnata è un radicale superamento del dualismo. Alla base di tale teoria c’è l’idea che la mente sia radicata nel corpo, dunque in assenza di esso cesserebbe di non soltanto di funzionare, ma persino di esistere. ↩︎

  7. Il powerwall è uno schermo retroproiettivo in cui vengono visualizzate immagini stereoscopiche. Viene definito semi-immersivo perché a differenza di altri sistemi, come ad esempio il CAVE (Cfr., nota 14) lo sperimentatore non vi entra con tutto il corpo. ↩︎

  8. A.Brogni, D.G.Caldwell, M.Slater, Touching sharp virtual object produces a haptic illusion, in Virtual and Mixed Reality-New Trends, vol. 6773 Part I, R. Shumaker 2011, pp. 234-242. ↩︎

  9. V.Gallese, D.Freedberg, Movimento emozione empatia. I fenomeni che si producono a livello corporeo osservando le opere d’arte, Prometeo, Arnoldo Mondadori editore, Settembre 2008, Anno 26, N. 103, pp.56-58 ↩︎

  10. H.Jonas, Organismo e libertà. Verso una biologia filosofica, Einaudi, Torino 1999, p. 4. ↩︎

  11. Ivi, p. 9. ↩︎

  12. V.Gallese, Corpo e azione nell’esperienza estetica. Una prospettiva neuroscientifica , in U.Morelli, Mente e bellezza. Mente relazionale, arte, creatività e innovazione, Torino, Umberto Allemandi & c. 2010, pp.259-261. ↩︎

  13. Per approfondimenti sulle implicazioni del concetto di presenza nell’ambito dei sistemi di realtà virtuale si rimanda al sito www.presenccia.org. ↩︎

  14. Il CAVE è una vera e propria stanza virtuale in cui un utente entrandovi vive un esperienza tridimensionale immersiva e coinvolgente. Il primo prototipo fu presentato nel 1992 presso il SICGRAPH di Chicago. Nel paper di presentazione, oltre ad esser descritte le funzionalità tecniche, vengono forniti i paradigmi concettuali fondanti. Cfr., C.Cruz-Neira, D.J.Sandin, T.A.DeFanti, R.V.Kenyon, J.C.Hart, The CAVE. Audio visual experience automatic virtual environment, Communication of the ACM, Vol.35 N.6, June 1992, pp. 65-72. ↩︎

  15. S.T.Coleridge, Biographia literaria, in Opere in prosa, Bompiani, Milano 2006, p. 678. ↩︎

  16. M.Slater, D.Swapp, S.Antle, A.Davison, C.Guger, C.Barker, N.Pistrang, M.V.Sanchez-Vives, A virtual resprise of the Stanley Milgram obedience experiments, PLoS ONE 1, December 2006, (doi:10.1371/journal.pone.0000039). ↩︎

  17. Kant in un carteggio con Kreutzfeld tratta della propensione umana ad abbandonarsi all’inganno dei sensi. Dalle parole dell’autore emerge una differenza sostanziale tra la piacevolezza dell’illusione, a cui l’uomo volontariamente si abbandona e la sgradevolezza dell’inganno che raggira. Cito le parole dell’autore: «l’apparenza che inganna, percepita nella sua stessa futilità e illusorietà, svanisce; quella che illude, al contrario, poiché il fenomeno non è nient’altro che verità, permane anche quando sia stata riconosciuta la stessa realtà; al contempo essa muove piacevolmente l’animo, quasi fluttuante al confine tra errore e verità e accarezza con meravigliosa dolcezza quello conscio della sua sagacia contro le seduzioni dell’apparenza». I. Kant, Inganno e illusione, in I.Kant, J.G. Kreutzfeld, Inganno e illusione. Un confronto accademico, a cura di M.T. Catena, Giuda Editori, Napoli 1998, p. 44. ↩︎

  18. A.Schutz, Sulle realtà multiple, in Saggi sociologici, a cura di A. Izzo, Utet, Torino 1979, pp. 192-200 ↩︎