L’influenza della psicologia della Gestalt sulla teoria della percezione di Merleau-Ponty

1. Introduzione

ll presente contributo ha come oggetto il chiarimento dei rapporti tra l’analisi del processo della percezione, svolta da Merleau-Ponty, e la teoria psicologica della Gestalt.

Viene dapprima presentato sommariamente il ruolo centrale che il tema della corporeità e del rapporto mente-corpo svolgono nell’ambito della filosofia di Merleau-Ponty. Successivamente i lineamenti della psicologia della Gestalt vengono brevemente accennati allo scopo di illustrare lo stato delle conoscenze psicologiche riguardo al tema delle percezione nei primi decenni del XX secolo. Ciò permette da un lato di chiarire i rapporti tra l’approccio psicologico della Gestalt e la filosofia di Merleau-Ponty e dall’altro consente di apprezzare gli aspetti più innovativi del processo di rielaborazione a cui il filosofo francese sottopone i dati della riflessione psicologica dei teorici della Gestalt. Merleau-Ponty si serve infatti del ricco bagaglio di osservazioni reso disponibile dagli psicologi della Gestalt per irrobustire la sua puntuale e rigorosa critica della filosofia degli empiristi e dei razionalisti. Dopo aver discusso quelle parti dell’opera di Merleau-Ponty in cui il filosofo francese prende le distanze dalla psicologia della Gestalt, criticandone la mancanza di generalità, vengono brevemente illustrate alcune considerazioni di carattere conclusivo.

2. Merleau-Ponty filosofo del corpo

La modernità del pensiero del filosofo francese Merleau-Ponty e la sua attualità è stata sottolineata da un recente contributo,1 in cui le intuizioni di Merleau-Ponty sul tema del rapporto tra mente e corpo sono messe in relazione con l’opera del neuroscienziato americano Damasio. L’innovatività e il coraggio intellettuale di Merleau-Ponty risultano poi ancora più evidenti quando si considera l’enorme influsso che il razionalismo cartesiano, con il suo marcato dualismo mente-corpo, hanno sempre avuto sulla cultura e sulla filosofia francesi.

Cartesio è, tra i filosofi moderni, quello che ha maggiormente insistito sulla tradizionale distinzione tra mente e corpo, lasciando in eredità alle successive generazioni di filosofi, tutta una serie di problemi di ordine gnoseologico e non solo, connessi con il suo dualismo.

Merleau-Ponty appartiene a quella schiera di filosofi contemporanei che si oppongono a questo dualismo tra mente e corpo, spirito e materia, sviluppando una filosofia che cerchi di unire i due ambiti che Cartesio e i razionalisti avevano voluto delimitare con tanta precisa accuratezza. In questo suo tentativo la psicologia della Gestalt poteva svolgere un ruolo non trascurabile.

Merleau-Ponty, sulla scia di Bergson, ha molto insistito sul problema del «corpo» e sul fatto che la filosofia contemporanea avesse ormai cancellato la linea che divideva corpo e mente. Nella discussione successiva al suo discorso inaugurale al Collège de France, a chi gli obiettava che il corpo era più importante per la sensazione che non per la percezione, egli rispondeva chiedendo se le due (ossia percezione e sensazione) potessero essere distinte.2

Per Merleau-Ponty, il corpo è la base per la percezione mentre quest’ultima costituisce la base della conoscenza e la chiave del rapporto tra l’uomo e il mondo. Egli oppone al «cogito» cartesiano la considerazione che una linea di riflessione come quella proposta da Cartesio può sussistere solo dopo una lunga permanenza nel mondo da parte di chi riflette. La stessa linea di pensiero si ritrova nel capolavoro di Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione,3 laddove l’autore dedica lunghe a accurate considerazioni su alcune sintomatologie di tipo fisio-psicologico delle quali era a conoscenza. In particolare Merleau-Ponty fa riferimento alla sindrome dell’arto mancante, ossia la sensazione fallace che un arto amputato sia ancora presente e sede di una varia gamma di sensazioni. Anche i disturbi motori del soldato Schneider, un reduce di guerra che era stato colpito da una scheggia di granata nella regione occipitale sono oggetto dello studio condotto dal filosofo francese. Da un punto di vista puramente fisiologico, Schneider aveva riportato solo un indebolimento dalla vista, che non appariva congruente con il quadro psicologico del soggetto che non appariva più in grado di porsi in relazione con gli altri uomini secondo schemi di normale comportamento. Richiesto di compiere un semplice gesto automatico come il saluto militare,

prima di tutto il malato deve trovare il suo braccio, trovare il gesto richiesto mediante movimenti preparatori, mentre il gesto stesso perde il carattere metodico che offre nella vita abituale e manifestamente diviene una somma di movimenti parziali laboriosamente giustapposti.4

L’esame di questo caso clinico conduce Merleau-Ponty alla definizione di uno «schema corporeo» che permette a ciascun essere umano di prendere coscienza del corpo, dell’articolazione delle sue membra e della posizione che esso occupa nello spazio. Aggiunge ancora il filosofo che «nel soggetto normale ogni movimento ha uno sfondo, e che il movimento e il suo sfondo sono momenti di una totalità unica».5

Nell’analisi che Merleau-Ponty fa di questi casi e, più in generale del problema del corpo, appare evidente l’influsso della corrente psicologica della Gestalttheorie, che forniva un substrato teorico e un bagaglio di osservazioni e casi clinici al filosofo che era alla ricerca di una nuova teoria della percezione.

Merleau-Ponty dimostra di avere assimilato in modo approfondito la teoria della Gestalt e anche di possedere una non comune perspicacia nel campo della fisiologia e psicologia clinica; ciò gli permette anche di criticare, dal punto di vista della Gestalt, le scuole psicologiche del comportamentismo e dello strutturalismo le quali presupponevano che gli oggetti del mondo fossero percepiti dapprima come pure sensazioni e solo in seguito come oggetti dotati di significato; l’obiezione di Merleau-Ponty, derivata da un analogo concetto di Wertheimer, consiste nel far notare che noi percepiamo il mondo come un intero e non come una collezione di sensazioni. Partendo da queste premesse, volendo studiare l’evoluzione del pensiero del filosofo francese risulta indispensabile presentare, almeno nei suoi aspetti più significativi, la psicologia della Gestalt.

3. Psicologia della Gestalt

La corrente psicologica della Gestalt ha svolto un ruolo estremamente importante nel dibattito gnoseologico del XX secolo in merito al ruolo della percezione.

Lo psicologo danese E. Rubin fu tra i primi ad attirare l’attenzione sul problema dell’articolazione figura-sfondo (uno dei temi classici della psicologia della Gestalt). In particolare Rubin notò come la percezione di una figura può avvenire solo quando essa risalta in modo sufficiente su uno sfondo rispetto al quale si delinea come oggetto di interesse. Quando ciò non avviene insorgono delle ambiguità nella valutazione dell’immagine percepita; è questo il caso delle cosiddette «figure reversibili» spesso associate al nome degli studiosi che le hanno propagandate: il cubo di Necker, il diedro di Mach e la scala di Schroder.

La corrente psicologica della Gestalt, si sviluppa negli anni Venti del 1900 ad opera dei suoi principali rappresentanti: M. Wertheimer, W. Kölher, K. Koofka. È a questi ricercatori che risalgono le prime formulazioni generali della teoria della Gestalt e la definizione delle fondamentali leggi di organizzazione percettiva. In particolare, le leggi di vicinanza e somiglianza affermano che si percepiscono più facilmente come insiemi quegli oggetti che si presentano naturalmente aggregati a causa della loro maggiore vicinanza o per la relativa somiglianza delle forme.

Le leggi di continuità e di chiusura riguardano il modo con cui si percepiscono linee e disegni, privilegiando quelli che mostrano migliore continuità e minor interruzione, ma è soprattutto la legge della pregnanza a stimolare particolarmente l’attenzione dell’ambiente filosofico di orientamento gnoseologico. La legge della pregnanza afferma che si percepiscono gli elementi che nell’insieme hanno maggior coerenza strutturale, che presentano maggior regolarità, simmetria e semplicità. L’opera degli psicologi gestaltici ha anche investito il problema della percezione del movimento, attraverso la scoperta, da parte di Wertheimer del «fenomeno phi» o movimento stroboscopico (1912). Egli prese due sorgenti di luce, poste ad una certa distanza tra loro, che venivano accese e spente alternativamente, come nei comuni addobbi natalizi. Quando la frequenza di accensione e spegnimento aumentava, si aveva un’evidente percezione di movimento anche se le sorgenti luminose rimanevano, durante tutto l’esperimento, perfettamente ferme.

Il comune denominatore del ricco patrimonio sperimentale offerto dagli psicologi della Gestalt si può riassumere nell’enfasi data al ruolo attivo che la mente umana svolge nell’attività percettiva. Appare infatti evidente che, di fronte ad un aggregato di oggetti percepiti, potenzialmente caotico e privo di significato, la mente umana opera una funzione organizzativa essenziale che è precisamente quella che dona alla percezione il suo significato.

Oggi la psicologia della Gestalt ha perso gran parte della sua carica di innovazione e gli psicologi che si occupano dei problemi della percettività si sono orientati verso le nuove acquisizioni delle scienze cognitive (reti neuronali e neuroni specchio). Tuttavia questo approccio alla scienza cognitiva era largamente preponderante per tutta la prima metà del XX secolo; come tale ha lasciato tracce evidenti nella contemporanea riflessione gnoseologica ed appare quindi evidente come Merleau-Ponty e i filosofi della sua generazione dovessero fare i conti con la psicologia della Gestalt.

4. Critica degli empiristi e dei razionalisti

Nel suo capolavoro Fenomenologia della percezione, Merleau-Ponty dedica alcune pagine a demolire la presunta oggettività delle sensazioni che costituisce la base di qualsiasi filosofia empiristica e, nello svolgimento della sua critica serrata, si serve in modo evidente dei risultati ottenuti dagli psicologi della Gestalt.

Il filosofo francese afferma che «la pretesa evidenza del sentire non è fondata su una testimonianza della coscienza, ma sul pregiudizio del mondo».6 Come egli spiega poche righe più avanti, noi pensiamo di sapere con precisione il significato di ciò che chiamiamo «vedere», «udire» o «sentire», ma in tutto questo non si può fare a meno di ravvisare il classico errore che gli psicologi chiamano «experience error», cioè «supponiamo nella nostra coscienza delle cose, ciò che sappiamo essere nelle cose». Noi possiamo affermare di vedere il colore rosso, oppure di udire le prime quattro note della quinta sinfonia di Beethoven, ma queste affermazioni sono il risultato di una successiva e abbastanza complessa rielaborazione della nostra coscienza a partire dal dato della percezione. Quest’ultima, infatti abbraccia in un tutto unico, un fascio di diverse sensazioni, che, se fossero prese una alla volta, come pretendono di fare gli empiristi, non avrebbero alcun senso. L’approccio empiristico appare dunque una sorta di atomismo» della sensazione, ma Merleau-Ponty fa notare che le sensazioni e le immagini che dovrebbero cominciare e terminare tutta la conoscenza non appaiono mai se non in un orizzonte di senso, e il significato del percepito, lungi dal risultare da una associazione, è invece presupposto in tutte le associazioni, sia che si tratti della sinossi di una figura presente o dell’evocazione di esperienze trascorse.

Quindi, io posso dire di vedere non «il rosso», ma una macchia di colore rosso su un foglio bianco o di udire le prime quattro note della quinta sinfonia di Beethoven provenire dall’altoparlante dell’impianto stereo; secondo i dettami della Gestalt lo sfondo è altrettanto importante dell’oggetto osservato o del suono udito.

Dopo aver criticato gli empiristi, Merleau-Ponty critica allo stesso modo quei filosofi che si rifanno all’intellettualismo tra cui emergono soprattutto i razionalisti come Cartesio, Pascal e Malebranche che egli cita esplicitamente nel Capitolo III della Fenomenologia della Percezione.

Secondo Merleau-Ponty, i filosofi dell’intellettualismo nel loro contrapporsi all’empirismo seguono un approccio altrettanto errato:

All’empirismo mancava la connessione interna dell’oggetto e dell’atto che esso provoca. All’intellettualismo manca la contingenza delle occasioni di pensare. Nel primo caso la coscienza è troppo povera e nel secondo è troppo ricca perché qualche fenomeno possa sollecitarla.7

L’intellettualismo opera una svalutazione del dato della percezione che è sempre vista come una intellezione confusa: l’operazione che l’intelletto compie sulla percezione è precisamente quella di esaminare attentamente la percezione astraendo da essa il particolare e geometrizzando quanto in essa l’intelletto giudica essenziale.

5. Critica della Gestalt

Bisogna sempre sottolineare che l’adesione di Merleau-Ponty ad alcuni principi della psicologia della Gestalt non è mai acritica; al contrario essa rimane sempre strumentale allo sviluppo del pensiero del filosofo francese riguardo al ruolo della percezione in ambito gnoseologico. In questo senso vanno interpretate le critiche che Merleau-Ponty rivolge agli psicologi della Gestalt.

Merleau-Ponty riconosce loro il merito di aver riproposto l’originalità dell’esperienza percettiva in opposizione al logicismo, ma osserva che questa idea, in sé estremamente importante e feconda, «deve essere ripresa e generalizzata».8 Tuttavia, «gli psicologi che praticano la descrizione dei fenomeni non riconoscono, solitamente, la portata filosofica del loro metodo».9

Secondo il filosofo francese la Gestalt, pur facendosi portatrice di un nuovo modo di studiare la psicologia non più ricalcato su quello della fisica, fallisce in quanto ripropone l’ideale erroneo della «mente oggettiva» tipico della filosofia tradizionale (Kosmotheoros), anziché studiare il fenomeno «dal di dentro», nell’esperienza stessa.10 Al contrario, Merleau-Ponty si dimostra alla ricerca di una terza via al di là del realismo e dell’idealismo che la Gestalt avrebbe potuto, ma non è stata in grado di trovare. Infatti, come mostrato nel saggio,

essi [i teorici della Gestalt] hanno teso per lo più a ricondurre la genesi delle forme percettive a eventi fisici misurabili, cioè rinvenibili a loro volta in uno spazio omogeneo e indifferente, comprensibile in termini di spazialità fisica.11

Nella percezione della distanza, la grandezza apparente dell’oggetto osservato e il numero di oggetti interposti fra quello e noi non sono riconosciuti esplicitamente se non attraverso un esame analitico e riflessivo del fenomeno della percezione. Gli psicologi della Gestalt sono quindi portati a concludere che: «non essendo segni o ragioni nella nostra percezione della distanza, le impressioni corporee o gli oggetti interposti non possono essere che cause di questa percezione. Si ritorna così a una psicologia esplicativa di cui la Gestalttheorie non ha mai abbandonato l’ideale, poiché, come psicologia, non ha mai rotto con il naturalismo».12 Merleau-Ponty fa giustamente notare che non c’è nessuna ragione perché un campanile appaia più piccolo se è lontano o se possiamo osservare altri oggetti interposti; al contrario l’effetto percettivo della distanza non si presta ad essere analizzato o giustificato secondo le modalità della logica oggettiva e causale. Tuttavia

la Gestalttheorie, che, come ogni psicologia, è prigioniera delle evidenze della scienza e del mondo può scegliere unicamente fra la ragione e la causa; ecco perché, nelle sue mani, ogni critica dell’intellettualismo mette capo a una restaurazione del realismo e del pensiero causale.13

Dunque per il filosofo Merleau-Ponty, gli psicologi della Gestalt, come il Mosè biblico, hanno potuto vedere la terra promessa, ma non sono riusciti ad entrarvi; per attuare una vera riforma del concetto stesso di percezione sarebbe stato necessario «rimettere in questione il pensiero oggettivo della logica e della filosofia classiche, sospendere le categorie del mondo, mettere in dubbio, nel senso cartesiano, le pretese evidenze del realismo e procedere a una autentica riduzione fenomenologica».14

6. Il tema della Gestalt nell’ultimo Merleau-Ponty

La costante presenza del tema della Gestalt come fonte di ispirazione per il pensiero di Merleau-Ponty risulta evidente anche dall’esame delle Note di lavoro pubblicate in appendice a Il visibile e l’invisibile, l’ultima opera, incompiuta, del filosofo francese. Nonostante l’evidente mancanza di organicità di quest’ultima opera, dovuta alla prematura morte dell’autore, appare evidente come il processo di rielaborazione della teoria della Gestalt da parte di Merleau-Ponty sia ormai giunto al termine: il legame con la psicologia è ormai relegato sullo sfondo di una nuova interpretazione del concetto in chiave squisitamente gnoseologica e quindi filosofica.

Si consideri, come esempio, il seguente brano, tratto dalle Note di lavoro e recante il titolo molto significativo di «Percezione — inconscio — mvt retrogrado del vero — sedimentazione (di cui fa parte il mvt retrogado del vero)».

Merleau-Ponty sta descrivendo i problemi di comprensione che ha avuto parlando, in inglese, con un taxista ed una tabaccaia, mentre si trovava a Manchester. Egli ricorda come, in entrambi i casi, la comprensione delle parole dei suoi interlocutori sia avvenuta quasi di colpo, alcuni secondi dopo averle udite.

[…] Una volta dato il senso, i segni acquistano valore totale di «segni». Ma è necessario che il senso sia dato prima. Ma allora come lo è? Probabilmente un frammento della catena verbale è identificato, proietta il senso che ritorna sui segni. Non basta dire (Bergson): andirivieni. Si deve comprendere fra che cosa e che cosa, e ciò che forma lo spazio intermedio. Non è una serie di induzioni. È Gestaltung e Ruckgestaltung. Movimento retrogrado del vero, questo fenomeno: che non ci si può più disfare di ciò che è stato pensato una volta, che lo si ritrova nei materiali stessi. E ciò significa: la percezione (la prima) è di per sé apertura di un campo di Gestaltungen. E ciò significa: la percezione è inconscio. Che cos’è l’inconscio? Ciò che funge da cardine, esistenziale, e, in questo senso, è e non è percepito.15

Leggendo questo brano, denso di intuizioni filosofiche, è possibile comprendere come Merleau-Ponty sia effettivamente andato oltre l’originale psicologia della Gestalt, generalizzandone ed estendendone i risultati ben al di là dell’ambito della psicologia della percezione.

Le parole inglesi pronunciate dal taxista o dalla tabaccaia non sono altro che una catena linguistica indifferenziata e, almeno inizialmente, incomprensibile, uno sfondo confuso, secondo lo schema descrittivo della teoria gestaltica. All’improvviso, la comprensione anche di una sola parola, proietta il senso su tutta la frase, le dà un significato e la rende comprensibile. È pressoché la stessa esperienza che si prova quando si guarda una delle «figure reversibili» tanto care agli psicologi della Gestalt. E così che, a partire da un particolare, una figura all’inizio indistinta, di colpo si intuisce come l’immagine di una giovane signora con un elegante ed elaborato cappello, oppure come una vecchia con un grosso naso.

Per il filosofo, la percezione, diventa quindi «apertura di un campo di Gestaltungen», cioè il punto di partenza di una qualsivoglia interpretazione del mondo fisico, ma allo stesso tempo, anche qualcosa di talmente rapido e così automatico da coinvolgere inevitabilmente il lato inconscio dell’essere umano.

Più oltre, sempre nelle Note di lavoro, troviamo queste scarne annotazioni che comunque confermano che il ruolo importantissimo che l’approccio Gestaltico continuava ad avere anche nella fase finale dell’opera di Merleau-Ponty.

Commentando il pensiero di Bergson in merito alla «coscienza che cerca di vedere il tempo e non di misurarlo», Merleau-Ponty afferma:

Al di là del punto di vista dell’oggetto e del punto di vista del soggetto, ciò evoca un nucleo comune che è il «serpeggiamento», l’essere come serpeggiamento, (quello che ho chiamato «modulazione dell’essere al mondo»). Si deve far comprendere come ciò (o ogni Gestalt) sia una percezione effettuantesi nelle cose.^[16]

L’immagine di un essere «serpeggiante» che mostra ogni volta aspetti sempre diversi di sé ha certamente una valenza evocativa e quasi poetica. Tuttavia, il concetto che qui vale la pena di sottolineare è quello della Gestalt intesa come percezione effettuantesi nelle cose.

Quello che Merleau-Ponty vuol suggerire in questo caso è, a mio avviso, l’aspetto onnipervasivo della Gestalt. Il filosofo afferma che essa è percezione che si effettua nelle cose, cioè qualcosa che risulta talmente saldato alla realtà fisica del mondo da apparire come la realtà stessa delle cose né più né meno.

Anche in questo caso, mi pare appena il caso di sottolineare come il filosofo francese abbia ormai preso le distanze dalla formulazione originale della psicologia della Gestalt; ormai il termine stesso di Gestalt ha assunto una valenza molto più ampia, passando a significare l’interfaccia percettiva attraverso cui l’essere umano può entrare in contatto con il mondo.

7. Conclusioni

La teoria psicologica della Gestalt è stata promossa da un gruppo di studiosi operanti, soprattutto in Germania, tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento.

Per un periodo abbastanza lungo, che giunge fino al secondo dopoguerra, le idee degli psicologi della Gestalt in merito al meccanismo della percezione dominano il panorama delle neuroscienze. Il nocciolo della teoria della Gestalt consiste nella fondamentale constatazione che la percezione non avviene mai come combinazione pura e semplice di una serie di input sensoriali, tra loro disgiunti, separabili e analizzabili uno alla volta. Al contrario qualunque percezione consiste di un insieme di sensazioni nelle quali lo sfondo è altrettanto se non più importante dell’oggetto principale della percezione.

Se gli esiti della ricerca degli psicologi della Gestalt sono tuttora ben presenti a tutti gli studiosi di neuroscienze, l’impatto di queste idee sulla gnoseologia non poteva non farsi sentire e proprio nel pensiero del filosofo Merleau-Ponty se ne trovano le tracce più cospicue.

Nell’opera Filosofia della percezione, da molti ritenuta il capolavoro dell’intera produzione merleau-pontiana, i riferimenti alla psicologia della Gestalt sono distribuiti soprattutto nei primi capitoli del libro, laddove il filosofo francese conduce una puntuale confutazione delle tesi gnoseologiche classiche degli empiristi.

Non potevano nemmeno mancare le critiche alla filosofia razionalistica di tradizione cartesiana, colpevole di una inammissibile svalutazione del dato percettivo.

Un esame attento degli scritti dell’ultimo Merleau-Ponty e, in particolare delle Note di lavoro raccolte in appendice a Il visibile e l’invisibile, mostrano come l’ispirazione della psicologia della Gestalt rimanga ben presente nell’opera filosofica di Merleau-Ponty fino alla fine. Si può tuttavia notare come i concetti mutuati dalla teoria della Gestalt appaiono, in quest’ultima opera, del tutto rielaborati ed assimilati alla prospettiva fenomenologica della filosofia di Merleau-Ponty.


  1. F. Talento, Sulle emozioni: confronto tra fenomenologia e neuroscienze, cfr. www.phenomenologylab.eu/index.php/2010/07/fenomenologia-e-neuroscienze. ↩︎

  2. H. Nilsen, Gestalt and Totality. The case of Merleau-Ponty and Gestalt psychology, Winter Symposium on Cornelius Castoriadis, Castoriadis beyond post-modernism and neo-modernism, University of Akureyri, Iceland, March 2008. ↩︎

  3. M. Meleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, a cura di Pier Aldo Rovatti, V edizione, Studi Bompiani, Milano 2012. ↩︎

  4. Ivi, p. 159. ↩︎

  5. Ivi, p. 165. ↩︎

  6. Ivi, p. 37. ↩︎

  7. Ivi, p. 65. ↩︎

  8. Ivi, p. 84. ↩︎

  9. Ibidem↩︎

  10. M. Meleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, a cura di Pier Aldo Rovatti, VI edizione, Bompiani, Milano 2009, pag. 41. ↩︎

  11. L. Vanzago, Merleau-Ponty, Carocci, Roma 2012, p. 21. ↩︎

  12. M. Meleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, op. cit.,p. 84. ↩︎

  13. Ivi, p. 87. ↩︎

  14. Ivi, p. 86. ↩︎

  15. M. Meleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, op. cit., p. 205. ↩︎